SENTENZA N. 166
ANNO 2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Silvana SCIARRA;
Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 2, del decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116 (Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima, nel procedimento vertente tra C. I., Presidente del Consiglio dei ministri, Consiglio superiore della magistratura e Ministero della giustizia, con ordinanza del 6 ottobre 2022, iscritta al n. 129 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2022.
Visti l’atto di costituzione di C. I., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 24 maggio 2023 il Giudice relatore Maria Rosaria San Giorgio;
udito l’avvocato Calogero Ingrillì per C. I. e l’avvocato dello Stato Giustina Noviello per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 24 maggio 2023.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 6 ottobre 2022, iscritta al n. 129 del registro ordinanze 2022, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima, ha sollevato – in riferimento all’art. 76 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 2, del decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116 (Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57), nella parte in cui dispone che «[i]l magistrato onorario è dispensato, anche d’ufficio, per impedimenti di durata superiore a sei mesi», in difformità dal criterio stabilito dall’art. 2, comma 10, lettera a), della legge 28 aprile 2016, n. 57 (Delega al Governo per la riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace), che rinvia all’art. 9, comma 2, della legge 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace), e successive modificazioni, secondo cui l’infermità costituisce causa di dispensa solo quando impedisca «in modo definitivo» l’esercizio delle funzioni, mentre la durata massima semestrale è prevista solo per gli «altri impedimenti», e quindi per quelli diversi dall’infermità.
2.– Il giudice a quo riferisce di essere stato investito nel giudizio principale dell’impugnazione del decreto del Ministero della giustizia emesso il 3 marzo 2020, e della presupposta delibera del Consiglio superiore della magistratura, con cui il ricorrente, C. I., era stato dispensato dall’incarico di vice procuratore onorario della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Trento.
Il TAR Lazio espone che il magistrato onorario assumeva di aver fruito, nello svolgimento del proprio incarico, di un periodo di assenza per malattia (con diagnosi di «dilatazione aneurismatica dell’arteria media ds dell’encefalo») dal 19 settembre 2017 al 6 luglio 2018, senza risultare, tuttavia, «impedito in modo definitivo» all’esercizio delle funzioni.
Il 4 giugno 2018 il Procuratore della Repubblica di Trento aveva comunicato, ai sensi dell’art. 21, comma 6, del d.lgs. n. 116 del 2017, che era stato superato il periodo di sei mesi di assenza per malattia, con proposta di dispensa dall’incarico che il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Trento aveva inviato al competente consiglio giudiziario.
Il successivo 8 luglio C. I. aveva chiesto la revoca della proposta di dispensa e di poter riprendere immediatamente il servizio essendosi concluso il periodo di convalescenza dalla sofferta patologia, ma il consiglio giudiziario aveva fatto propria la proposta di dispensa del Procuratore generale e disposto la trasmissione degli atti al Consiglio superiore della magistratura.
Nel corso del procedimento, espletata l’audizione dell’interessato, il consiglio giudiziario aveva confermato in data 20 giugno 2019 la precedente delibera, e il CSM aveva dispensato dall’incarico C. I. Era seguito il pedissequo decreto del Ministro della giustizia.
3.– Il Collegio rimettente riferisce di aver rigettato con sentenza non definitiva il secondo motivo di ricorso – con cui la parte denunciava violazione, falsa ed errata applicazione di legge, per mancata trasmissione del testo definitivo della legge delegata dal Consiglio dei ministri al Presidente della Repubblica nel termine previsto dall’art. 14, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri), oltre che per inosservanza di oneri di comunicazione propri del procedimento amministrativo e mancati adempimenti endo-procedimentali – e costruisce sul primo motivo di ricorso il sollevato dubbio di legittimità costituzionale della norma delegata.
3.1.– Espone il TAR Lazio che con la prima censura il ricorrente aveva denunciato eccesso di potere da sviamento, straripamento e travisamento dei fatti, nel rilievo che la delibera con cui era stata disposta la dispensa del magistrato onorario era viziata, in quanto adottata in applicazione dell’art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 116 del 2017, a sua volta emanato «in violazione dell’art. 76 della Costituzione per eccesso di delega con riferimento alla legge 28 aprile 2016, n. 57».
3.2.– Osserva il giudice a quo, in adesione al dubbio sollevato dal ricorrente, che la legge n. 57 del 2016, nel dettare i criteri direttivi della delega al Governo per la riforma organica della magistratura onoraria, aveva previsto che, nell’esercizio della stessa, si provvedesse a disciplinare i casi di decadenza dall’incarico, revoca e dispensa dal servizio, nel senso di applicare il regime di cui all’art. 9, comma 2, della legge n. 374 del 1991, e successive modificazioni, secondo cui «[i]l giudice di pace è dispensato, su sua domanda o d’ufficio, per infermità che impedisce in modo definitivo l’esercizio delle funzioni o per altri impedimenti di durata superiore a sei mesi».
Il legislatore delegato, invece, in contrasto con la richiamata previsione, ha stabilito, con la disposizione censurata, che «[i]l magistrato onorario è dispensato, anche d’ufficio, per impedimenti di durata superiore a sei mesi», senza distinguere tra infermità e altri impedimenti.
4.– Quanto alla rilevanza della questione, il rimettente osserva che, sulla base del tenore letterale della disposizione, il gravame dovrebbe essere rigettato essendosi prolungata l’assenza del ricorrente dal servizio oltre il semestre, mentre dall’accertamento della illegittimità costituzionale della disposizione scrutinata per eccesso di delega deriverebbe l’esito favorevole del gravame, con l’annullamento dei provvedimenti impugnati.
5.– In punto di non manifesta infondatezza, il rimettente rileva che la legge di delega n. 57 del 2016 – dopo aver disposto, al comma 1 dell’art. 1 (rubricato «Contenuto della delega»), che «[i]l Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge con l’osservanza dei principi e dei criteri direttivi di cui all’articolo 2, uno o più decreti legislativi diretti a: […] i) regolamentare i casi di decadenza dall’incarico, revoca e dispensa dal servizio», al comma 10, lettera a) del successivo art. 2 (Principi e criteri direttivi) – nel fissare i principi e i criteri direttivi cui il legislatore delegato si sarebbe dovuto attenere, stabilisce che «a tutti i magistrati onorari si applichi la disciplina della decadenza e della dispensa dal servizio, prevista dall’articolo 9 della legge 21 novembre 1991, n. 374 e successive modificazioni», disposizione che, a sua volta, al comma 2, recita, come precisato: «[i]l giudice di pace è dispensato, su sua domanda o d’ufficio, per infermità che impedisce in modo definitivo l’esercizio delle funzioni o per altri impedimenti di durata superiore a sei mesi».
5.1.– Il giudice a quo, nel raffronto tra il tenore letterale delle due disposizioni, apprezza pertanto l’esistenza di un contrasto tra il criterio di delega e l’applicazione di esso nel decreto delegato.
Espone il rimettente che la legge n. 57 del 2016 definisce con precisione il contenuto del potere legislativo delegato attraverso il «rinvio automatico e globale» all’art. 9 della legge n. 374 del 1991, vincolando, in tal modo, l’esercizio della delega alla previsione dell’applicazione a tutti i magistrati onorari di tale disciplina, secondo la quale l’infermità è causa di dispensa in quanto impedisca «in modo definitivo» l’esercizio delle funzioni, mentre la durata massima semestrale è stabilita solo per gli «altri impedimenti», diversi dall’infermità.
Il decreto delegato ha invece previsto la dispensa per qualsiasi impedimento che si protragga oltre sei mesi, senza riportare la più favorevole regolamentazione prevista dalla legge n. 374 del 1991 per le infermità e senza effettuare alcuna distinzione tra i vari tipi di impedimento.
5.2.– La delega sarebbe stata quindi esercitata in termini diversi da quelli stabiliti, incidendo sul migliore trattamento previsto nella legge n. 57 del 2016 per la malattia, senza che il Governo nella relazione illustrativa di presentazione del decreto legislativo al Parlamento e al CSM – nell’affermare che la disposizione sulla dispensa per malattia mutuava la disciplina prevista dall’art. 9 della legge n. 374 del 1991 per i giudici di pace – avesse offerto chiarimento alcuno in ordine alla diversa opzione adottata.
6.– Con atto depositato il 28 novembre 2022, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto dichiararsi la questione inammissibile o non fondata.
6.1.– Sotto il primo profilo, per la difesa erariale la questione è motivata in modo generico e comunque insufficiente in riferimento al parametro violato ed all’evocato petitum di illegittimità costituzionale.
Il giudice a quo non avrebbe spiegato, in modo chiaro e preciso, quali siano le ragioni del contrasto con l’art. 76 Cost. e quali le invocate modifiche della norma oggetto di dubbio.
6.2.– La questione sarebbe inoltre priva di rilevanza, non essendo corretta l’interpretazione fornita dal rimettente del criterio della legge delega.
Ad avviso dell’interveniente, l’art. 9 della legge n. 374 del 1991 andrebbe inteso, infatti, «nel senso che il termine di sei mesi (c.d. periodo di comporto) [sia] elemento costitutivo della fattispecie della dispensa solo nell’ipotesi in cui non vi sia una infermità che impedisca in via definitiva l’esercizio delle funzioni».
Pertanto, se la definitività dell’impedimento, quanto al profilo medico-sanitario, rende inutile l’attesa del termine di sei mesi ai fini della dispensabilità di colui che risulti inabile al servizio, per ogni altro impedimento tendenzialmente non definitivo, compresa l’infermità, invece, il legislatore richiederebbe che l’impossibilità di prestare servizio si protragga per oltre sei mesi.
Il pronome «altri» utilizzato nell’ordito della norma in connessione agli impedimenti sarebbe indicativo di una diversità rispetto al criterio della definitività dell’impedimento e non rispetto alla sua natura.
6.3.– La questione sarebbe comunque non fondata, rappresentando la norma oggetto di dubbio una più favorevole disciplina, diretta a fissare per tutti i tipi di impedimento, e quindi anche in caso di infermità definitiva, il termine semestrale prima non previsto.
7.– Con atto depositato il 10 novembre 2022, si è costituito, in proprio, C. I. che, dedotte l’ammissibilità e la fondatezza della questione, ha concluso per la declaratoria di illegittimità costituzionale, in riferimento all’art. 76 Cost., dell’art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 116 del 2017 per contrasto con il criterio di delega stabilito dall’art. 2, comma 10, lettera a), della legge n. 57 del 2016, là dove rinvia all’art. 9 della legge n. 374 del 1991.
7.1.– In punto di rilevanza, deduce la parte che la normativa censurata è stata applicata al ricorrente – magistrato onorario dispensato dal servizio in seguito ad un’assenza superiore a sei mesi – come previsto dal decreto delegato, in via generale e per ogni impedimento, senza alcuna indagine sul carattere definitivo, o meno, dell’incidenza della patologia riscontrata sull’esercizio delle funzioni.
Il criterio fissato nella legge delega avrebbe invece comportato un trattamento di maggior favore della fattispecie, in quanto la dispensa avrebbe dovuto essere adottata solo ove l’infermità fosse stata impeditiva, in modo definitivo, dell’esercizio delle funzioni, presupposto, in concreto, non esistente e, comunque, in nessun modo accertato.
7.2.– In punto di non manifesta infondatezza, espone ancora la parte che la legge delega avrebbe individuato in modo preciso il contenuto del potere legislativo delegato attraverso il rinvio automatico, e per intero, all’art. 9 della legge n. 374 del 1991, ed avrebbe vincolato, in tal modo, l’esercizio della delega alla previsione dell’applicazione di tale disciplina per tutti i magistrati onorari, stabilendo che l’infermità è causa di dispensa ove impedisca «in modo definitivo» l’esercizio delle funzioni, mentre la durata massima semestrale è stabilita solo per gli «altri impedimenti» diversi dall’infermità.
Viene richiamato l’indirizzo interpretativo di questa Corte secondo il quale la discrezionalità del Governo in attuazione della delega è, in via progressiva, ristretta in ragione di una maggiore puntualizzazione, analiticità e dettaglio dei principi e criteri direttivi dettati dalla legge di delega, e si menzionano diverse sentenze (n. 84 del 2017, n. 153 e n. 132 del 2014, n. 184 del 2013, n. 272 del 2012, n. 293 del 2010, n. 98 del 2008, n. 340 e n. 54 del 2007, n. 163 e n. 126 del 2000, n. 259 e n. 69 del 1991, n. 224 del 1990, n. 178 del 1984 e n. 226 del 1976) e ordinanze (n. 213 del 2005 e n. 490 del 2000) confermative dell’orientamento.
Nell’ipotesi di specie avrebbe potuto leggersi «quasi un caso limite» in cui il «legislatore-Parlamento», con l’art. 9 della legge n. 374 del 1991 nel testo risultante dall’art. 7, comma 1, della legge 24 novembre 1999, n. 468 (Modifiche alla legge 21 novembre 1991, n. 374, recante istituzione del giudice di pace. Delega al Governo in materia di competenza penale del giudice di pace e modifica dell’articolo 593 del codice di procedura penale), aveva fissato, in modo preciso ed esauriente, il principio e criterio direttivo in presenza di malattia, con determinazione per relationem (sono menzionate le sentenze n. 87 del 1989, n. 156 del 1987 e n. 72 del 1957), nell’intento di garantire «un obiettivo minimo di tutela» della salute di colui che si trovi a prestare, con carattere continuativo anche se non stabile, un’attività onoraria inserita nell’esercizio di funzioni pubbliche giurisdizionali.
Il legislatore della delega, attraverso il rinvio alla norma preesistente, avrebbe voluto delimitare l’ipotesi della «dispensa per “malattia”» al solo caso di impedimento per patologia non reversibile, come pure confermato dal sintagma «o per altri impedimenti di durata superiore a sei mesi» contenuto nell’art. 9, comma 2, della legge n. 374 del 1991 al quale non può che riconoscersi, nel significato suo proprio, secondo la parte costituita, la volontà del legislatore di evocare un impedimento «differente o diverso» dalla malattia.
E, d’altro canto, la differenziazione di due ipotesi di malattia, l’una da impedimento con effetti permanenti e definitivi, l’altra di durata ultrasemestrale, avrebbe finito per rendere superflua la previsione della prima, che sarebbe comunque confluita nella seconda.
L’espresso riferimento ad una norma chiara e precisa escluderebbe, ad avviso della parte, quelle esigenze di particolare riempimento che abilitano il Governo, nel silenzio serbato dal legislatore delegante, all’esercizio di una maggiore discrezionalità in attuazione della delega.
7.3.– A prescindere, poi, dal contrasto con la legge di delega, la concreta applicazione che della disposizione censurata è stata operata negli atti impugnati sarebbe manifestamente illogica e irragionevole, in quanto la natura definitiva dell’impedimento per malattia richiede, fino alla stabilizzazione delle condizioni di salute, il decorso di un periodo di cura ed osservazione che travalica, nella maggior parte dei casi, il periodo di sei mesi previsto in modo arbitrario dal legislatore delegato per ogni ipotesi.
Considerato in diritto
1.– Il TAR Lazio, sezione prima, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 116 del 2017, nella parte in cui dispone che «[i]l magistrato onorario è dispensato, anche d’ufficio, per impedimenti di durata superiore a sei mesi», in riferimento all’art. 76 Cost.
Secondo il rimettente, con la disciplina censurata il legislatore delegato avrebbe violato i principi e criteri direttivi dettati dal legislatore delegante che, all’art. 2, comma 10, lettera a), della legge n. 57 del 2016, aveva previsto che il Governo, nell’esercizio della delega, provvedesse a regolamentare i casi di decadenza dall’incarico, revoca e dispensa dal servizio (ai sensi dell’art. 1, comma, 1 lettera i, della citata legge n. 57 del 2016), stabilendo che a tutti i magistrati onorari si applicasse il regime di cui all’art. 9 della legge n. 374 del 1991, istitutiva del giudice di pace, e successive modificazioni.
Tale disposizione, espressamente richiamata nella legge di delega n. 57 del 2016, prevede, al comma 2, che: «[i]l giudice di pace è dispensato, su sua domanda o d’ufficio, per infermità che impedisce in modo definitivo l’esercizio delle funzioni o per altri impedimenti di durata superiore a sei mesi».
Dal differente tenore testuale delle due disposizioni a confronto il rimettente deduce che il Governo avrebbe esercitato la delega in modo costituzionalmente illegittimo.
Osserva al riguardo il giudice a quo che nel decreto delegato è venuta meno, in spregio al criterio posto dalla legge di delega, la distinzione tra la disciplina dell’infermità – che, secondo l’art. 9, comma 2, della legge n. 374 del 1991, come sostituito dall’art. 7, comma 1, della legge n. 468 del 1999, comporta la dispensa dal servizio solo in quanto impeditiva, in modo definitivo, dell’esercizio delle funzioni del magistrato onorario – e gli altri impedimenti, di diversa natura, rispetto ai quali la dispensa è destinata ad operare solo in caso di durata ultrasemestrale degli stessi.
2.– In via preliminare va esaminata l’eccezione, sollevata dalla difesa erariale, di inammissibilità della questione dedotta, per prospettata genericità e insufficienza della motivazione in riferimento al parametro violato e all’invocato petitum.
2.1.– L’eccezione non è fondata.
Nell’ordinanza di rimessione il giudice a quo provvede a richiamare la disposizione delegata (l’art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 116 del 2017) e quella di delega (art. 2, comma 10, lettera a, della legge n. 57 del 2016) di cui coglie nel rinvio all’art. 9 della legge n. 374 del 1991 il criterio applicativo per poi costruire – sul disallineamento letterale delle due previsioni – con chiarezza nelle premesse logiche e nelle relative ricadute applicative, il sospetto di illegittimità costituzionale.
La disposizione delegata – sostiene il rimettente, così precisando il suo pensiero e fugando ogni dubbio di inadeguatezza della motivazione sulla ritenuta non manifesta infondatezza della questione – viola il parametro di cui all’art. 76 Cost. perché, di contro al principio e criterio fissato nella legge di delega, prevede una sola indistinta causa di dispensa del magistrato onorario – l’assenza dal servizio per oltre un semestre –, obliterando quella parte della norma di delega che, nel richiamarlo espressamente, sottrae invece l’impedimento di salute alla disciplina dell’ultrasemestralità.
3.– Venendo al merito, la questione è fondata, nei sensi di seguito precisati.
3.1.– Si rende necessaria una sia pur sintetica ricognizione delle coordinate delineate dalla giurisprudenza costituzionale sulla delega legislativa in relazione al suo concreto esercizio da parte del Governo ove, come nella ipotesi in esame, si denunci la violazione dell’art. 76 Cost., nella dedotta non conformità della disposizione delegata alla volontà del legislatore.
Questa Corte ha costantemente affermato che la verifica di conformità della norma delegata a quella delegante richiede lo svolgimento di un duplice processo ermeneutico che, condotto in parallelo, tocca, da una parte, la legge di delegazione e, dall’altra, le disposizioni stabilite dal legislatore delegato, da interpretare nel significato compatibile con la delega stessa.
In sintesi, per definire il contenuto di questa, si deve tenere conto del complessivo contesto normativo in cui si inseriscono la legge delega, i relativi principi e criteri direttivi e le finalità che la ispirano, che rappresentano non solo la base e il limite delle norme delegate, ma anche gli strumenti di interpretazione della loro portata (tra le tante, sentenze n. 133 del 2021, n. 84 del 2017, n. 250 del 2016, n. 194 del 2015 e n. 153 del 2014).
La legge delega è dunque fondamento e limite del potere legislativo delegato; essa, se, da una parte, non deve contenere enunciazioni troppo generali o comunque non idonee ad indirizzarne l’attività, dall’altra, «può essere abbastanza ampia da preservare un margine di discrezionalità, e un corrispondente spazio entro il quale il Governo possa agevolmente svolgere la propria attività di “riempimento” normativo, la quale è pur sempre esercizio delegato di una funzione “legislativa”» essendo il legislatore delegato chiamato «a sviluppare, e non solo ad eseguire, le previsioni della legge di delega» (sentenza n. 104 del 2017, punto 3.1. del Considerato in diritto).
3.2.– Se la delega legislativa non esclude in capo al legislatore delegato ogni discrezionalità, tuttavia la maggiore o minore ampiezza di quest’ultima va apprezzata e ritenuta «in relazione al grado di specificità dei criteri fissati nella legge delega», nel rilievo che «per valutare se il legislatore abbia ecceduto [i] margini di discrezionalità occorre individuare la ratio della delega per verificare se la norma delegata sia stata con questa coerente» (sentenza n. 153 del 2014 e, nello stesso senso, tra le altre, sentenze n. 175 del 2022, n. 231 e n. 174 del 2021, n. 184 del 2013, n. 272 del 2012, n. 230 del 2010).
3.3.– Ciò premesso, venendo al caso in esame, si rileva che la legge n. 57 del 2016, dopo aver disposto, al comma 1 dell’art. 1 (rubricato «Contenuto della delega»), che «[i]l Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge con l’osservanza dei principi e dei criteri direttivi di cui all’articolo 2, uno o più decreti legislativi diretti a [per quanto rileva]: i) regolamentare i casi di decadenza dall’incarico, revoca e dispensa dal servizio», al comma 10, lettera a), del successivo art. 2 (rubricato «Principi e criteri direttivi»), nel fissare i principi ed i criteri direttivi cui il legislatore delegato si sarebbe dovuto attenere, stabilisce che «a tutti i magistrati onorari si applichi la disciplina della decadenza e della dispensa dal servizio, prevista dall’articolo 9 della legge 21 novembre 1991, n. 374 e successive modificazioni».
Detto art. 9, come sostituito dall’art. 7, comma 1, della legge n. 468 del 1999, al comma 2, prevede che «[i]l giudice di pace è dispensato, su sua domanda o d’ufficio, per infermità che impedisce in modo definitivo l’esercizio delle funzioni o per altri impedimenti di durata superiore a sei mesi»
Per il riportato sistema di richiami viene definita una trama normativa, inequivoca, in cui la disposizione della legge di delega concorre a formare il parametro violato e l’art. 9, comma 2, della legge n. 374 del 1991 – norma compiuta, integrativa non più, e non solo, di un principio o criterio direttivo, ma di una vera e propria regula iuris – nella sua portata vale a ridurre, in modo corrispondente, i margini di discrezionalità ed il cosiddetto potere di riempimento del legislatore delegato.
3.4.– L’art. 21, comma 2, del d.lgs. delegato n. 116 del 2017, là dove stabilisce che «[i]l magistrato onorario è dispensato, anche d’ufficio, per impedimenti di durata superiore a sei mesi» elimina uno dei sintagmi integrativi dell’art. 9, comma 2, della legge n. 374 del 1991.
Il raffronto tra le due disposizioni evidenzia inequivocamente come l’infermità quale causa di impedimento venga ignorata nella previsione delegata, che convoglia nell’unica indistinta categoria dell’impedimento ultrasemestrale ogni regolamentazione della dispensa dal servizio del magistrato onorario, discostandosi, in tal modo, dalla stessa disposizione delegante.
3.5.– Né l’indicata struttura dell’art. 21 citato ed i suoi rapporti con la legge di delega ed il parametro normativo interposto consentono una interpretazione conservativa che della norma oggetto di dubbio preservi la portata, in quanto espressiva di una discrezionalità guidata, nel suo esercizio, dai principi e criteri della legge di delega, quale mera ragionevole espansione di un contenuto, nel resto mantenuto nel suo fondamento.
3.6.– La legge di delega e quella delegata delineano infatti disposizioni completamente differenti, sostenute da distinte rationes, ove si consideri che il frammento del disposto venuto meno nella norma delegata è espressivo di una diversa causa di dispensa meritevole, nella sua autonomia, di mantenere menzione anche nella stessa norma delegata.
Il riferimento all’infermità che impedisce in modo definitivo l’esercizio delle funzioni vale, infatti, a dare contenuto ad una distinta categoria, il cui richiamo si pone in funzione di limite allo sviluppo dell’ulteriore attività legislativa del Governo e quale termine diretto a vincolare il legislatore delegato. La sua eliminazione nella previsione delegata espunge così uno dei contenuti precettivi della disposizione di delega.
La norma delegata non diviene in tal modo espressiva di una mera sintesi semplificativa del sistema rendendo più agevole l’applicazione della dispensa dal servizio nell’adottata unica prospettiva della durata ultrasemestrale dell’assenza del magistrato onorario, e non realizza una più agevole interpretazione della norma delegante di cui provveda ad eliminare contraddizioni e contenuti oscuri.
3.7.– Che la legge delegata non sia di mero completamento di quella di delega, nell’esercizio della ragionevole discrezionalità rispettosa dei principi della seconda, è evidenza che riceve conferma nell’art. 33 (rubricato «Abrogazioni») del d.lgs. n. 116 del 2017 che, al comma 1, dispone che: «[a] decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogati: […] b) gli articoli […] 9 […] della legge 21 novembre 1991, n. 374»).
Né può ritenersi che, attraverso la operata abrogazione, si sia inteso semplicemente soddisfare un’esigenza di maggiore fluidità e funzionalità del meccanismo applicativo. La disposizione integrativa del parametro violato cade, invero, qui, per mano del legislatore delegato, il cui potere viene in conseguenza esercitato nella materia della dispensa della magistratura onoraria non più entro i confini della legge n. 57 del 2016, ma al di fuori di essa, rivelando della previsione delegata la novità, per intervenuto suo svincolo dalla regola della legge di delega.
4.– Alla luce delle considerazioni che precedono, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 116 del 2017, sollevata in riferimento all’art. 76 Cost. è, pertanto, fondata.
5.– Va, qui, ulteriormente precisato che il criterio direttivo di cui all’art. 2, comma 10, lettera a), della stessa legge n. 57 del 2016 reca, come già chiarito, una vera e propria regula iuris, compiuta nei suoi contenuti e portatrice di una diretta e stringente disciplina della fattispecie di cui si tratta, che non lascia margini a scelte discrezionali del legislatore delegato, una volta esercitata la delega.
È necessario dunque ripristinare, con la presente pronuncia, la regola dettata dalla legge di delega.
6.– Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 116 del 2017, nella parte in cui prevede, al primo periodo, che «[i]l magistrato onorario è dispensato, anche d’ufficio, per impedimenti di durata superiore a sei mesi» anziché «[i]l magistrato onorario è dispensato, anche d’ufficio, per infermità che impedisce in modo definitivo l’esercizio delle funzioni o per altri impedimenti di durata superiore a sei mesi».
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 21, comma 2, del decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116 (Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57), nella parte in cui prevede, al primo periodo, che «[i]l magistrato onorario è dispensato, anche d’ufficio, per impedimenti di durata superiore a sei mesi» anziché «[i]l magistrato onorario è dispensato, anche d’ufficio, per infermità che impedisce in modo definitivo l’esercizio delle funzioni o per altri impedimenti di durata superiore a sei mesi».
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 maggio 2023.
F.to:
Silvana SCIARRA, Presidente
Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2023