Sentenza n. 126/2000

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SENTENZA N. 126

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 53, comma 4, del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 198 (Attuazione dell'art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino dei ruoli e modifica delle norme di reclutamento, stato ed avanzamento del personale non direttivo e non dirigente dell'Arma dei carabinieri), promossi con n. 2 ordinanze emesse il 21 gennaio 1998 dalla Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la Regione Lazio – sui ricorsi proposti da Spinelli Giuseppe ed altri e da Cipullo Andrea ed altri contro il Ministero della difesa, iscritte ai nn. 632 e 633 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 1998.

Visti gli atti di costituzione dei Spinelli Giuseppe e di Cipullo Andrea ed altro nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 7 marzo 2000 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;

uditi gli avvocati Vittorio Rossi e Italico Pederzoli per Spinelli Giuseppe e Cipullo Andrea ed altro e l’avvocato dello Stato Luigi Mazzella per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.— La Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la Regione Lazio – nel corso di un giudizio promosso da alcuni militari dell'Arma dei carabinieri in congedo, in posizione di ausiliaria alla data del 1° settembre 1995, contro il Ministero della difesa per il mancato adeguamento della relativa indennità in godimento in relazione al decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 198 – ha sollevato, con ordinanza del 21 gennaio 1998, questione di legittimità costituzionale dell'art. 53, comma 4, del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 198 (Attuazione dell'art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino dei ruoli e modifica delle norme di reclutamento, stato ed avanzamento del personale non direttivo e non dirigente dell'Arma dei carabinieri) nella parte in cui esclude dall'applicazione delle nuove disposizioni ai fini dell'adeguamento dell'indennità di cui all'art. 12 della legge 1° febbraio 1989, n. 53 e successive modifiche ed integrazioni, gli appuntati scelti ufficiali di polizia giudiziaria dell'Arma dei carabinieri che alla data del 31 agosto 1995 si trovavano nella posizione di ausiliaria, ragguagliando la stessa indennità ai livelli retributivi di cui al d.l. 7 gennaio 1992, n. 5, convertito in legge 6 marzo 1992, n. 216.

Osserva il remittente che i ricorrenti, collocati in ausiliaria anteriormente al 1° settembre 1995 (data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 198 del 1995), lamentano il mancato adeguamento dell'indennità di ausiliaria in godimento al nuovo livello retributivo conferito ai loro colleghi in servizio di pari grado ed anzianità in relazione alle diverse qualifiche ed ai diversi livelli riconosciuti nel nuovo ordinamento ai sottufficiali.

Sulla rilevanza della questione, il giudice a quo ritiene che la disposizione censurata inciderebbe sulla sorte del ricorso, destinato, in sua presenza, al rigetto. A seguito di un'eventuale rimozione di essa non vi sarebbero altri impedimenti normativi all'accoglimento del ricorso, non ostandovi l'art. 54 del d.lgs. n. 198 del 1995 che limita al personale in servizio al 1° settembre 1995 l'applicazione delle nuove disposizioni, potendosi individuare, in base all'art. 53, comma 3, dello stesso decreto legislativo, che raccorda il vecchio al nuovo ordinamento delle carriere dei sottufficiali, il grado ed il connesso livello retributivo, cui commisurare l'indennità di ausiliaria.

Quanto alle singole censure, osserva il giudice a quo che il contenuto della disposizione denunciata, attenendo l'indennità che ne costituisce l'oggetto al trattamento connesso a posizione pensionistica (ausiliaria), si porrebbe fuori dell'orbita di cui all'art. 3 della legge n. 216 del 1992 che delegava il Governo ad emanare norme per il riordino delle carriere, delle attribuzioni e dei trattamenti economici delle forze di polizia, senza alcun riferimento ai diritti conseguenti alla risoluzione del rapporto di impiego. La disposizione in esame violerebbe, quindi, l'art. 76 della Costituzione che, nell'imporre al legislatore delegante la precisa determinazione dell'oggetto della delega, persegue il fine di evitare che il delegato oltrepassi i confini segnati da quella.

La stessa disposizione violerebbe inoltre i principi di proporzionalità e di adeguatezza di cui all'art. 36 della Costituzione, in quanto altererebbe ingiustificatamente il rapporto di cui all'art. 12 della legge n. 53 del 1989 tra il trattamento economico complessivo garantito al personale in ausiliaria e quello concesso al personale di pari grado ed anzianità in servizio, rapporto destinato, secondo l'originario disegno del legislatore, a mantenersi costante per tutta la durata dell'ausiliaria e ciò senza il supporto esplicito dell'autorizzazione del legislatore delegante e quindi con ulteriore violazione dell'art. 76 della Costituzione.

La disposizione censurata violerebbe altresì i principi di razionalità, buon andamento ed imparzialità dell'amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione perché altererebbe nel tempo il raccordo tra la posizione dell'ausiliaria e quella del servizio attivo, voluto dal citato art. 12 proprio per la similarità della prima (quanto a divieti ed oneri) alla seconda.

Sarebbe infine violato l'art. 3 della Costituzione in quanto la disposizione impugnata discriminerebbe ingiustificatamente personale in identica posizione (l'ausiliaria) sulla base di un elemento assolutamente accidentale e cioè la circostanza di trovarsi in servizio quali richiamati alla data del 1° settembre 1995, giacché, al personale dell'ausiliaria in tale ultima posizione, l'art. 54 dello stesso decreto legislativo assicurerebbe il più favorevole inquadramento previsto dalle nuove disposizioni, con effetti che sembrano travalicare il limite dell'indennità in esame per toccare l'intero trattamento pensionistico.

2.— Con altra ordinanza in pari data, lo stesso remittente ha sollevato analoga questione di legittimità costituzionale dell'art. 53, comma 4, del decreto legislativo n. 198 del 1995 in riferimento agli artt. 76, 36, 96 (recte: 97) e 3 della Costituzione con riguardo, questa volta, alla categoria dei marescialli maggiori dell'Arma dei carabinieri.

3.— In entrambi i giudizi si è costituita la parte privata chiedendo l'accoglimento della questione.

4.— In entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata nel merito.

Premette la difesa erariale che la presente questione incide in modo consistente sul trattamento economico spettante ai sottufficiali non in servizio alla data del 1° settembre 1995.

Osserva inoltre la parte pubblica che, sotto il profilo dell'eccesso di delega, non sembra che la disposizione impugnata oltrepassi i limiti segnati dal legislatore delegante, in quanto il fine della norma consiste nel determinare con certezza la data da cui far decorrere la riforma oggetto della delega stessa.

La disposizione, poi, non altererebbe ingiustificatamente il rapporto stabilito dall'art. 46 della legge n. 212 del 1983 come modificato dall'art. 12 della legge n. 53 del 1989 tra il trattamento economico complessivo garantito al personale in ausiliaria e quello concesso al personale di pari grado ed anzianità, ma tenderebbe a confermare che i benefici della riforma decorrano dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo stesso.

L'Avvocatura osserva infine che la disposizione censurata non contrasterebbe con i principi di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione perché concorrerebbe a disciplinare in maniera difforme personale che, pur appartenendo alla stessa categoria (ausiliaria), si trova in due condizioni d'impiego differenti: personale cessato dal servizio prima del 1° settembre 1995 e quello comunque in servizio sotto tale data. Pertanto, l'infondatezza della questione discenderebbe dal fatto che, alla stregua dell'art. 3 della Costituzione, il principio di uguaglianza impone, non solo di disciplinare in modo uguale situazioni obiettivamente e soggettivamente uguali, ma anche di disciplinare in modo differenziato situazioni difformi sotto il profilo oggettivo e soggettivo.

5.–– In prossimità dell'udienza, le parti private hanno depositato memorie nelle quali dopo aver illustrato le fonti normative rilevanti per il presente giudizio hanno confermato le argomentazioni poste dal giudice a quo a sostegno delle ordinanze di rimessione.

Nel confutare, poi, gli argomenti sostenuti dalla difesa erariale, le predette parti hanno insistito nel ritenere che in ordine alla violazione dell'art. 76 della Costituzione la disposizione denunciata regolerebbe una materia estranea alla previsione della legge delega; quanto al denunciato vulnus all'art. 36 della Costituzione, le parti private ritengono che la disposizione denunciata altererebbe il rapporto che secondo la normativa sull'ausiliaria (art. 12 della legge n. 53 del 1989 modificato dall'art. 67 della legge n. 404 del 1990) doveva essere mantenuto costante nel tempo tra il trattamento economico complessivo garantito al personale in ausiliaria con l'attribuzione della relativa indennità e quello corrisposto ai colleghi di pari grado e anzianità di servizio.

Quanto alla violazione dell'art. 97 della Costituzione sarebbe poi irragionevole che per il personale in ausiliaria al 1° settembre 1995 debbano essere mantenuti fermi ai fini della determinazione della relativa indennità i precedenti livelli retributivi senza tener conto di quel necessario raccordo tra personale in servizio e quello in ausiliaria previsto dalla normativa che a quest'ultima si riferisce.

In ordine alla asserita violazione dell'art. 3 della Costituzione, infine, le parti private si riportano, confermandola, all'ordinanza di rimessione.

L'Avvocatura generale dello Stato ha depositato memorie illustrative in entrambi i giudizi, confermando, sostanzialmente, gli argomenti originariamente esposti e insistendo nelle conclusioni già rassegnate.

Considerato in diritto

1.— La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, con due ordinanze sostanzialmente identiche ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 53, comma 4, del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 198 (Attuazione dell'art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino dei ruoli e modifica delle norme di reclutamento, stato ed avanzamento del personale non direttivo e non dirigente dell'Arma dei carabinieri), nella parte in cui esclude dall'applicazione delle nuove disposizioni, ai fini dell'adeguamento dell'indennità di cui all'art. 46 della legge 10 maggio 1983 n. 212 come modificata dall'art. 12 della legge 1° febbraio 1989, n. 53, gli appuntati scelti e i marescialli maggiori dell'Arma dei carabinieri, entrambi ufficiali di polizia giudiziaria, che alla data del 31 agosto 1995 si trovavano nella posizione di ausiliaria. La denunziata norma, secondo i giudici rimettenti, sarebbe incostituzionale per violazione degli artt. 76, 36, 97 e 3 della Costituzione. Si sostiene anzitutto che il legislatore delegato avrebbe esorbitato dalla delega prevista dall'art. 3 della legge n. 216 del 1992 che conferiva al Governo il compito di emanare norme per il riordino delle carriere, delle attribuzioni e dei trattamenti economici delle Forze di polizia, senza alcun riferimento ai diritti conseguenti alla risoluzione del rapporto di impiego. Con riguardo all'art. 36 della Costituzione, si deduce che, derogando alla normativa sull'ausiliaria di cui all'art. 46 della legge 10 maggio 1989, n. 212, si verrebbe a determinare un'ingiustificata decurtazione dell'indennità stessa e ad alterare, per il personale di cui trattasi, il raccordo tra la misura dell'indennità di ausiliaria ed il trattamento di attività dei pari grado in servizio, con violazione anche dei principi di razionalità, buon andamento ed imparzialità dell'amministrazione (art. 97 della Costituzione). Infine – ad avviso dei giudici a quibus – sarebbe vulnerato l'art. 3 della Costituzione, perché la disposizione censurata discriminerebbe ingiustificatamente personale in identica posizione (ausiliaria) sulla base di un elemento accidentale e cioè di trovarsi in servizio quali richiamati alla data del 1° settembre 1995.

2.— I due giudizi, avendo ad oggetto questioni tra loro connesse perché riguardanti la medesima disposizione impugnata, possono essere riuniti per essere decisi con una unica sentenza.

3.— La questione non è fondata.

Va premessa l'evidente considerazione che, in materia di delega legislativa, quanto più i principi ed i criteri direttivi impartiti dal legislatore delegante sono analitici e dettagliati, tanto più ridotti risultano i margini di discrezionalità lasciati al legislatore delegato e viceversa. In proposito costituisce costante orientamento di questa Corte quello secondo cui, per valutare di volta in volta se il legislatore delegato abbia ecceduto i più o meno ampi margini di scelta, occorre soprattutto individuare la ratio della delega, cioè le ragioni e le finalità che, nel complesso dei criteri direttivi impartiti, hanno ispirato il legislatore delegante, e verificare poi se la norma delegata sia ad esse rispondente (cfr., tra le tante, sentenze nn. 355 e 237 del 1993, n. 4 del 1992, ordinanza n. 21 del 1988).

Ora dall'esame dei lavori parlamentari della legge delega n. 216 del 1992 emerge con evidenza la sua ratio, e cioè “l'intento di realizzare una parità di trattamento, a parità di funzioni, …” tra tutti gli appartenenti alle forze di polizia. Questo intendimento si è tradotto, nella specie, nell'art. 3, comma 1, della legge n. 216 del 1992 che delega il Governo ad emanare “decreti legislativi contenenti le necessarie modificazioni agli ordinamenti del personale indicato nell'art. 2, comma 1, per il riordino delle carriere, delle attribuzioni e dei trattamenti economici, allo scopo di conseguire una disciplina omogenea …”.

L'uso di espressioni letterali di così vasto ambito e la ratio ispiratrice della delega non possono non giustificare un intervento del legislatore delegato notevolmente discrezionale, come appunto si è realizzato con il decreto legislativo n. 198 del 1995.

4.— Venendo in particolare all'esame della disposizione censurata, che si riferisce espressamente al personale in ausiliaria, occorre ricordare anzitutto, come ha già affermato questa Corte (sentenza n. 183 del 1997), che “nell'attuale ordinamento militare l'età di cessazione dal servizio non è parificata a quella degli altri funzionari pubblici e non è la stessa per tutti, essendo differenziata in relazione a due specifici fattori: il grado raggiunto ed il tipo di corpo nel quale si è inseriti. Globalmente può dirsi che gli ufficiali vengono collocati in posizione di ausiliaria (situazione che segue alla cessazione dal servizio, ma che non è ancora pensionamento vero e proprio) in un'età inferiore a quella prevista per il pensionamento degli altri pubblici dipendenti; ciò per l'evidente necessità di mantenere fino alla cessazione dal servizio un certo grado di prestanza fisica, indispensabile per l'assolvimento delle funzioni militari”. Ciò è stato detto per gli ufficiali, ma lo stesso vale anche per i sottufficiali e graduati.

La posizione del militare in ausiliaria è certo caratterizzata anche da altre peculiarità: è eventuale (perché tale collocazione avviene solo se si è ancora in possesso dell'idoneità di servizio ed in mancanza di espressa rinunzia); è provvisoria, in quanto è dalla legge circoscritta ad un limitato periodo; determina la sospensione del rapporto di servizio, che tuttavia può riespandersi col richiamo, con tutte le conseguenze, anche economiche. Ai sensi dell'art. 12, comma 1, della legge n. 53 del 1989 si cristallizza l'anzianità del militare al momento del suo collocamento in ausiliaria, e si calcola l'ammontare dell'indennità spettante in aggiunta al trattamento di quiescenza, parametrandola sulla retribuzione del pari grado in servizio.

Orbene il decreto delegato n. 198 del 1995 venendo ad incidere sulla retribuzione dei pari grado in servizio ha dettato una disciplina circoscritta a quel personale posto in ausiliaria a far data dall'entrata in vigore del decreto suddetto (1° settembre 1995) e non al personale per il quale quel raccordo con la posizione del pari grado in servizio già si trovava cristallizzato per i profili suindicati all'atto del collocamento in ausiliaria. E ciò anche perché le innovazioni introdotte dalla legge delegata dovevano pur avere una data di inizio della loro efficacia.

5.— La disposizione impugnata non viola nemmeno gli ulteriori parametri degli artt. 36 e 97 della Costituzione.

Indubbiamente il legislatore ha operato un raccordo tra il personale in ausiliaria e quello dei pari grado in servizio ai fini della determinazione dell'indennità di cui si tratta (artt. 12 della legge n. 53 del 1989, e 46, primo comma, della legge n. 212 del 1983) e la disposizione censurata congela l'indennità di ausiliaria per il personale che si trova in detta posizione alla data del 31 agosto 1995. Ora, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la scelta in concreto dei meccanismi di perequazione è riservata al legislatore ordinario, chiamato ad operare il bilanciamento tra le varie esigenze nel quadro della politica economica generale e delle concrete disponibilità finanziarie. Questa complessiva valutazione va operata non nel senso di un doveroso costante allineamento, ma nel senso che il verificarsi di un macroscopico ed irragionevole scostamento è indice sintomatico della non idoneità del meccanismo in concreto prescelto a preservare la sufficienza dei trattamenti ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia mezzi adeguati alle esigenze di vita per una esistenza libera e dignitosa (sentenze n. 62 del 1999 e n. 226 del 1993).

6.— Infine, non sussiste la violazione del principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione sotto il profilo che la disposizione censurata discriminerebbe ingiustificatamente personale in identica posizione (ausiliaria) sulla base di un elemento accidentale e cioè di trovarsi in servizio alla data del 1° settembre 1995.

Anche tale censura va disattesa poiché questa Corte ha più volte ribadito (sentenze n. 177 del 1999, n. 311 del 1995 e n. 409 del 1988) che di per sé non può contrastare con il principio di uguaglianza un differenziato trattamento applicato alla stessa categoria di soggetti, ma in momenti diversi nel tempo, perché lo stesso fluire di questo può costituire un elemento diversificatore.

A maggior ragione non è ravvisabile una ingiustificata disparità di trattamento, nell'ambito del personale collocato in ausiliaria prima del 1° settembre 1995, tra coloro che sono rimasti in tale posizione e coloro che sono stati richiamati in servizio, essendo evidenti le notevoli differenze fra queste due posizioni.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art 53, comma 4, del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 198 (Attuazione dell'art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino dei ruoli e modifica delle norme di reclutamento, stato ed avanzamento del personale non direttivo e non dirigente dell'Arma dei carabinieri), sollevata, in riferimento agli artt. 76, 36, 97 e 3 della Costituzione, dalla Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la Regione Lazio – con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 aprile 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 27 aprile 2000.