SENTENZA N. 62
ANNO 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, (recte: 2) del decreto-legge 27 dicembre 1989, n. 413 (Disposizioni urgenti in materia di trattamento economico dei dirigenti dello Stato e delle categorie ad essi equiparate, nonchè in materia di pubblico impiego), convertito in legge 28 febbraio 1990, n. 37, dell’art. 2 (recte: 5) del decreto-legge 24 novembre 1990, n. 344 (Corresponsione ai pubblici dipendenti di acconti sui miglioramenti economici relativi al periodo contrattuale 1988–1990, nonchè disposizioni urgenti in materia di pubblico impiego), convertito in legge, con modifiche, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 gennaio 1991, n. 21, e degli artt. 2, 3 e 4 del decreto-legge 7 gennaio 1992, n. 5 (Autorizzazione di spesa per la perequazione del trattamento economico dei sottufficiali dell’arma dei Carabinieri in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 277 del 3 – 12 giugno 1991 e all’esecuzione di giudicati, nonchè perequazione dei trattamenti economici relativi al personale delle corrispondenti categorie delle altre forze di polizia), convertito in legge, con modifiche, dall’art. 1 della legge 6 marzo 1992, n. 216, promosso con ordinanza emessa il 24 giugno 1997 dalla Corte dei conti sul ricorso proposto Droghini Roberto contro il Ministero della difesa, iscritta al n. 867 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53, prima serie speciale, dell’anno 1997.
Visti l’atto di costituzione di Droghini Roberto nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 26 gennaio 1999 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;
uditi l’avv. Filippo de Jorio per Droghini Roberto e l’Avvocato dello Stato Luigi Mazzella per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.— Nel corso del giudizio promosso dal colonnello Roberto Droghini, collocato a riposo in data 15 marzo 1983, per la riliquidazione del proprio trattamento pensionistico sulla base degli aumenti retributivi corrisposti a favore del personale dirigenziale in servizio, la Corte dei conti, Sezione seconda centrale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, del decreto-legge 27 dicembre 1989, n. 413 (Disposizioni urgenti in materia di trattamento economico dei dirigenti dello Stato e delle categorie ad essi equiparate, nonchè in materia di pubblico impiego), convertito in legge 28 febbraio 1990, n. 37, dell’art. 2 del decreto-legge 24 novembre 1990, n. 344 (Corresponsione ai pubblici dipendenti di acconti sui miglioramenti economici relativi al periodo contrattuale 1988–1990, nonchè disposizioni urgenti in materia di pubblico impiego), convertito in legge, con modifiche, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 gennaio 1991, n. 21, e degli artt. 2, 3 e 4 del decreto-legge 7 gennaio 1992, n. 5 (Autorizzazione di spesa per la perequazione del trattamento economico dei sottufficiali dell’arma dei Carabinieri in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 277 del 3 – 12 giugno 1991 e all’esecuzione di giudicati, nonchè perequazione dei trattamenti economici relativi al personale delle corrispondenti categorie delle altre forze di polizia), convertito in legge, con modifiche, dall’art. 1 della legge 6 marzo 1992, n. 216.
Il giudice a quo premette che una questione analoga alla presente é stata dichiarata inammissibile con la sentenza n. 178 del 1995; tale pronuncia, peraltro, essendo fondata sulla genericità della prospettazione (erano impugnati i testi integrali dei tre decreti-legge), non può avere alcun effetto preclusivo in sede odierna, ove le norme sono puntualmente indicate.
Ciò posto la Corte rimettente sottolinea che, in conseguenza dei miglioramenti economici introdotti dalle norme impugnate per gli stipendi dei dipendenti in servizio, si é venuta a creare in danno dei pensionati una sperequazione così grave da essere in tutto assimilabile a quella corretta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 1 del 1991.
Tenuto conto della natura di retribuzione differita che la giurisprudenza costituzionale riconosce alla pensione, questa deve essere in grado, secondo l’art. 36 Cost., di assicurare all’ex dipendente ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa; e ciò é possibile solo se sussiste una ragionevole corrispondenza tra gli incrementi stipendiali e quelli pensionistici. D’altra parte, secondo quanto ribadito dalle sentenze nn. 42 e 226 del 1993 di questa Corte, la proporzionalità e l’adeguatezza del trattamento di quiescenza devono esistere non solo al momento della cessazione dal servizio, ma anche in seguito.
Nel caso in esame, invece, l’obiettivo di perequazione delle pensioni contenuto nel decreto-legge 16 settembre 1987, n. 379, convertito in legge 14 novembre 1987, n. 468 é stato totalmente vanificato dalle norme oggi sospettate di incostituzionalità, le quali hanno incrementato le retribuzioni rispettivamente del 15%, del 15% e del 9%, determinando così una divaricazione tra queste e le pensioni di circa il 47%. Pur essendo indubbio che il legislatore gode di ampia discrezionalità nella fissazione dei rapporti tra incrementi stipendiali ed incrementi pensionistici, é paradossale che due dirigenti di pari grado, con identica attività di servizio, vengano a ricevere trattamenti di quiescenza sensibilmente diversi sulla base del solo fattore temporale, con sicuro danno per il dipendente più anziano, che solitamente é anche quello con maggiori necessità.
Il giudice rimettente, quindi, conclude chiedendo che le norme impugnate vengano dichiarate costituzionalmente illegittime nella parte in cui non prevedono l’estensione dei benefici ivi contemplati al personale già collocato a riposo.
2.— Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si é costituito il colonnello Droghini, chiedendo l’accoglimento della questione.
Nella articolata memoria la parte privata fa propri i passaggi logici dell’ordinanza di rimessione, sottolineando la palese irrazionalità di una normativa che, obliterando il contenuto delle sentenze n. 1 del 1991 e n. 501 del 1988 della Corte costituzionale, crea notevolissime differenze tra pensionati e lavoratori in servizio, oltre che tra pensionati e pensionati, sulla base del solo dato temporale (c.d. pensioni d’annata). D’altra parte la giurisprudenza costituzionale ha ribadito in subiecta materia i principi della proporzionalità e della necessità del continuo adeguamento dei trattamenti di quiescenza a quelli dei dipendenti in servizio, esigendo che vi sia sempre quella ragionevole corrispondenza che, pur non traducendosi in assoluta identità, garantisce pur sempre che siano rispettati i parametri di cui agli artt. 36 e 38 della Carta fondamentale.
3.— Nel giudizio é intervenuto anche il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile ovvero infondata.
La difesa erariale osserva che la normativa da scrutinare é immune dai lamentati vizi, poichè il legislatore ha il potere di disporre precisi limiti temporali per l’applicabilità delle norme nuove, tanto più che il tempo é un fondamentale elemento di diversificazione delle situazioni giuridiche.
Considerato in diritto
1.— La Corte dei conti, Sezione seconda centrale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, del decreto-legge 27 dicembre 1989, n. 413 (Disposizioni urgenti in materia di trattamento economico dei dirigenti dello Stato e delle categorie ad essi equiparate, nonchè in materia di pubblico impiego), convertito in legge 28 febbraio 1990, n. 37, dell’art. 2 del decreto-legge 24 novembre 1990, n. 344 (Corresponsione ai pubblici dipendenti di acconti sui miglioramenti economici relativi al periodo contrattuale 1988–1990, nonchè disposizioni urgenti in materia di pubblico impiego), convertito in legge, con modifiche, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 gennaio 1991, n. 21, e degli artt. 2, 3 e 4 del decreto-legge 7 gennaio 1992, n. 5 (Autorizzazione di spesa per la perequazione del trattamento economico dei sottufficiali dell’arma dei Carabinieri in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 277 del 3 – 12 giugno 1991 e all’esecuzione di giudicati, nonchè perequazione dei trattamenti economici relativi al personale delle corrispondenti categorie delle altre forze di polizia), convertito in legge, con modifiche, dall’art. 1 della legge 6 marzo 1992, n. 216.
2.— Va preliminarmente osservato che il giudice a quo, volendo sottoporre allo scrutinio di questa Corte le norme che hanno disposto incrementi degli stipendi, ha invece indicato articoli diversi da quelli che specificamente prevedono detti aumenti stipendiali (e cioé più esattamente: l’art. 1, comma 2, del decreto-legge 27 dicembre 1989, n. 413, convertito in legge 28 febbraio 1990, n. 37, e l’art. 5 del decreto-legge 24 novembre 1990, n. 344, convertito in legge, con modifiche, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 gennaio 1991, n. 21). Tuttavia, la questione delineata in termini sostanziali sufficientemente chiari nell’ordinanza di rimessione, può essere ugualmente decisa, previa correzione di detto errore.
3.— Nel merito la questione non é fondata.
Le norme impugnate si limitano, secondo quanto rilevato dallo stesso giudice a quo, a disporre incrementi degli stipendi per il personale dirigenziale in servizio, senza che vi sia alcuna previsione riguardante il personale in quiescenza. Tale omissione legislativa, osserva l’ordinanza di rimessione, non rispettando l’esigenza del necessario costante adeguamento della dinamica pensionistica a quella stipendiale, avrebbe determinato una eccessiva divaricazione tra gli emolumenti percepiti dal personale in servizio e quelli dei colleghi di pari grado collocati a riposo in data antecedente all’entrata in vigore delle norme contestate. Si chiede pertanto nel dispositivo la declaratoria di incostituzionalità delle disposizioni relative agli aumenti stipendiali "nella parte in cui non prevedono l’estensione dei benefici da essi contemplati al personale collocato in quiescenza".
4.–– Nei termini della questione, così come impostata dall’ordinanza, é decisivo rilevare in questa sede che la costante giurisprudenza di questa Corte (v. le sentenze n. 409 del 1995, n. 226 e n. 42 del 1993, n. 119 del 1991, n. 20 del 1991 e n. 173 del 1986) ha sempre ribadito – contrariamente a quanto prospetta il giudice rimettente – che non vi é un principio costituzionale che imponga l’automatico adeguamento delle pensioni agli stipendi.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto-legge 27 dicembre 1989, n. 413 (Disposizioni urgenti in materia di trattamento economico dei dirigenti dello Stato e delle categorie ad essi equiparate, nonchè in materia di pubblico impiego), convertito in legge 28 febbraio 1990, n. 37, dell’art. 5 del decreto-legge 24 novembre 1990, n. 344 (Corresponsione ai pubblici dipendenti di acconti sui miglioramenti economici relativi al periodo contrattuale 1988–1990, nonchè disposizioni urgenti in materia di pubblico impiego), convertito in legge, con modifiche, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 gennaio 1991, n. 21, e degli artt. 2, 3 e 4 del decreto-legge 7 gennaio 1992, n. 5 (Autorizzazione di spesa per la perequazione del trattamento economico dei sottufficiali dell’arma dei Carabinieri in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 277 del 3 – 12 giugno 1991 e all’esecuzione di giudicati, nonchè perequazione dei trattamenti economici relativi al personale delle corrispondenti categorie delle altre forze di polizia), convertito in legge, con modifiche, dall’art. 1 della legge 6 marzo 1992, n. 216, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, dalla Corte dei conti, Sezione seconda centrale, con l’ordinanza di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 febbraio 1999.
Presidente Renato GRANATA
Redattore Fernando SANTOSUOSSO
Depositata in cancelleria il 5 marzo 1999.