SENTENZA N. 173
ANNO 1986
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Livio PALADIN, Presidente
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL’ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma tredicesimo, della legge 29 maggio 1982 n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica); dell'art. 19 della legge 23 aprile 1981 n. 155 (Adeguamento delle strutture e delle procedure per la liquidazione urgente delle pensioni e per i trattamenti di disoccupazione e misure urgenti in materia previdenziale e pensionistica); dell'art. 27, commi terzo e quarto, della legge 3 giugno 1975 n. 160 (Norme per il miglioramento dei trattamenti pensionistici e per il collegamento alla dinamica salariale); degli artt. 14, sesto comma, e 19 della legge 30 aprile 1969 n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale) e successive modificazioni; dell'art. 5, quarto comma, del d.P.R. 27 aprile 1968 n. 488 (Aumento e nuovo sistema di calcolo delle pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria) e delle tabelle A e B allegate al r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636 e successive modificazioni, promossi con ordinanze emesse il 3 aprile 1979 dal Pretore di Palermo, il 18 aprile 1979 dal Pretore di Milano, il 12 febbraio 1980 dal Pretore di Brescia, il 2 luglio 1980 dal Pretore di Voghera, il 13 luglio 1981 ed il 24 giugno 1981 dal Pretore di Milano (n. 2 ordd.), l'11 dicembre 1981 dalla Corte di cassazione, il 20 febbraio 1982 dal Pretore di Modena, il 28 aprile 1983 dal Tribunale di Pescara, il 18 febbraio 1983 dal Pretore di Torino, il 26 ottobre 1984 dal Pretore di Udine, il 23 aprile 1985 dal Pretore di Cagliari, iscritte rispettivamente ai nn. 431 e 569 del registro ordinanze 1979, ai nn. 317 e 724 del registro ordinanze 1980, ai nn. 187, 188, 604 e 882 del registro ordinanze 1982, al n. 557 del registro ordinanze 1983, ai nn. 819 e 1375 del registro ordinanze 1984, al n. 499 del registro ordinanze 1985 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 203, 265 del 1979, 180,338 del 1980, 248 del 1982,46,128 e 342 del 1983,307 del 1984,107 bis e 293 bis del 1985; Visti gli atti di costituzione di Galeotti Ettore, di Garagnani Augusto ed altri, di Nolli Adelio ed altri, di Bernuzzi Pietro, di Roncaglia Germano, di Ciattoni Francesco ed altri e dell'I.N.P.S. nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udito nell'udienza pubblica del 18 marzo 1986 il Giudice relatore Francesco Greco;
uditi gli avv.ti Matteo Dell'Olio per Galeotti, Nolli, Tagliagambe, Lopes Perera, Senti Radivoj; Walter e Marco Prosperetti per Pelli; Pasquale Vario per l'I.N.P.S.; l'Avvocato dello Stato Nicola Bronzini per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
- - Con dodici ordinanze emesse da diversi giudici ordinari in altrettanti procedimenti promossi da pensionati iscritti al regime dell'assicurazione generale obbligatoria al fine di ottenere l'accertamento del proprio diritto ad una pensione, di vecchiaia o di anzianità, ragguagliata all'intero importo della retribuzione percepita in costanza del rapporto di lavoro, é stata sollevata la questione di legittimità costituzionale del divieto, vigente in quel regime, di prendere in considerazione, per la quantificazione del trattamento pensionistico liquidato con il sistema cosiddetto retributivo, le quote di retribuzione eccedenti un determinato limite massimo.
La questione viene variamente prospettata, ma tutti i giudici remittenti ne hanno ritenuto in re ipsa la rilevanza, in ragione del contenuto della pretesa azionata davanti a loro, dopo essere stata respinta dall'istituto assicuratore, che aveva motivato il provvedimento negativo invocando appunto il suddetto divieto.
1.1 - Il Pretore di Palermo (ordinanza emessa il 3 aprile 1979; R.O. n. 431/79), individuata la norma di previsione nell'art. 27 della legge 3 giugno 1975 n. 160, ne prospetta il possibile contrasto con l'art. 3 Cost., osservando che essa riserva un trattamento irrazionalmente deteriore ai pensionati soggetti al menzionato regime assicurativo generale rispetto ad altri, iscritti a fondi speciali di previdenza gestiti dall'I.N.P.S., quali, in particolare, quelli per i telefonici e per gli elettrici.
Invero, pur essendo la pensione soggetta, nell'un regime, come negli altri, a norme che seguono analoghi schemi, anche in punto di adeguamento alla dinamica salariale, soltanto per la prima categoria di pensionati e non per la seconda é preclusa la possibilità di valutare come utili, a fini pensionistici, le quote di retribuzione eccedenti un prefissato limite massimo, sicché difettano sufficienti ragioni giustificative di tale disparità di trattamento.
1.2 - Il Pretore di Milano (ordinanza emessa il 18 aprile 1979; R.O. n. 569/79), oltre il citato art. 27 della legge n. 160/75 (e particolarmente, il terzo comma) censura anche altre norme anteriori dal cui coacervo emerge la predeterminazione del massimale di retribuzione pensionabile e cioé l'art. 14, comma sesto, della legge 30 aprile 1969 n. 153, l'art. 5 del d.P.R. 27 aprile 1968 n. 488 e la tabella A allegata al r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636 come successivamente modificata, in relazione agli artt. 3, 36, 38 e 53 Cost..
Premesso che, alla stregua di tale normativa, non possono essere prese in considerazione, al fine della liquidazione della pensione di vecchiaia in forma "retributiva", le quote di retribuzione eccedenti il limite massimo della penultima classe tabellare aumentato del cinque per cento; che, a detto fine, va fatto riferimento alla tabella vigente alla data di decorrenza della pensione; e che la tabella contenuta nel d.P.R. n. 488 del 1968, fino all'epoca di causa, non era stata più aggiornata, il giudice a quo ipotizza il contrasto della normativa stessa con i menzionati parametri di riferimento:
- a) quanto all'art. 3 Cost.: perché l'esclusione di una cospicua parte della retribuzione dal calcolo della pensione discrimina, da un lato, arbitrariamente gli assicurati soggetti al regime generale rispetto agli iscritti a fondi speciali, come già rilevato dal Pretore di Palermo con l'ordinanza di cui sopra; e, dall'altro lato, crea una disparità di trattamento anche soltanto nell'ambito dei primi, distinguendo gli uni dagli altri esclusivamente sulla base di qualità personali e sociali;
- b) quanto all'art. 36 Cost.: perché il diritto del lavoratore ad un equo trattamento economico va inteso in senso ampio; dovendosi, invero, secondo l'insegnamento di questa Corte (sentt. nn. 176 e 24/75) configurare la pensione come retribuzione differita, la suddetta esclusione compromette il necessario rapporto di proporzionalità che, attraverso la retribuzione, deve legare anche la pensione alla qualità e quantità del lavoro prestato;
- c) quanto all'art. 38 Cost.: perché il diritto del lavoratore di vedersi garantiti, per il caso di vecchiaia, mezzi adeguati alle sue esigenze di vita, non può risultare avulso dalla considerazione dei livelli retributivi conseguiti nel corso della attività lavorativa;
- d) quanto, infine, all'art. 53 Cost.: perché la non utilizzazione, a favore del pensionato, dei contributi effettivamente versati sulle quote di retribuzione eccedenti il massimale pensionabile si risolve in un prelievo fiscale senza che sia assicurata alcuna proporzionalità del medesimo con la capacità contributiva dei soggetti interessati.
1.3. - La medesima questione, in termini del tutto identici a quelli testé riferiti, é stata ulteriormente sollevata dai Pretori di Brescia (12 febbraio 1980; R.O. n. 317/80) che però, come oggetto della censura, menziona, in aggiunta alle citate norme, anche la tabella B allegata al r.d.l. n. 636/39, come successivamente modificata; di Voghera (2 luglio 1980; R.O. n. 724/80); dallo stesso Pretore di Milano con altre due ordinanze emesse rispettivamente il 13 luglio 1981 (R.O. n. 187/ 82; estensiva, a sua volta, della censura alla citata tabella B e contenente, inoltre, sebbene sempre in riferimento ai medesimi parametri costituzionali, l'indicazione di un sopravvenuto vizio di illegittimità della normativa impugnata, riconoscibile nella mancata previsione di meccanismi di adeguamento del massimale alla dinamica salariale) ed il 24 giugno 1981 (R.O. n. 188/82); dal Tribunale di Pescara (28 aprile 1983; R.O. n. 557/83); dai Pretori di Torino (con ordinanza emessa il 18 febbraio 1983 - R.O. n. 819/84 - , anch'essa contenente l'aggiuntivo riferimento alla ripetuta tabella B) e di Cagliari (23 aprile 1985; R.O. n. 499/85) il quale ultimo, tuttavia, pur motivando la propria censura con considerazioni che non si discostano da quelle svolte dagli altri giudici remittenti, la riferisce all'art. 19 della legge 23 aprile 1981 n. 155 che ha elevato a lire 18.500.000 il massimale di retribuzione pensionabile e che é individuato come applicabile nel giudizio a quo in considerazione della decorrenza (successiva al 31 dicembre 1980) della pensione di anzianità la cui riliquidazione si pretende dall'assicurato.
1.4. - La Corte di Cassazione (con ordinanza emessa l'11 dicembre 1981; R.O. n. 604/82) ha riferito la censura al solo art. 14, comma sesto, della legge 30 aprile 1969 n. 153, quale norma regolatrice del caso di specie, ritenendola in contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost..
Premesso che, ai fini della tutela costituzionale, la pensione di anzianità - sulla cui quantificazione verteva il giudizio a quo - può equipararsi a quella di vecchiaia, la Corte ha così argomentato:
- a) non esiste un principio costituzionale che imponga al legislatore ordinario di garantire il pensionamento dell'intera retribuzione, talché questo può discrezionalmente fissare un qualsiasi rapporto fra l'entità della retribuzione stessa e quella della pensione liquidata con il sistema retributivo, purché il conseguente trattamento previdenziale rimanga adeguato alle esigenze di vita dell'assicurato;
- b) la vigenza di discipline diversificate impedisce ogni utile raffronto - per verificare il rispetto del principio costituzionale di uguaglianza - fra la posizione dei pensionati soggetti al regime assicurativo generale e quella degli iscritti a regimi speciali, nei quali non é previsto un massimale di retribuzione pensionabile;
- c) la circostanza che l'assicurato non ottiene alcun beneficio dai contributi afferenti alla parte di retribuzione non pensionabile non implica violazione dell'art. 53 Cost., ma si giustifica col principio di mutualità che é a fondamento del sistema assicurativo;
- d) nondimeno, il divieto di considerare come utili, a fini pensionistici, le quote di retribuzione eccedenti il massimale risulta in contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost. perché:
1) la mancata previsione di un meccanismo di indicizzazione di detto massimale, in presenza delle rilevanti proporzioni assunte dalla svalutazione monetaria, ha determinato il progressivo allontanamento dai presupposti di fatto sui quali si fondava l'iniziale valutazione di congruità della tabella allegata al d.P.R. n. 488/68, con il sostanziale effetto di annullare, per vaste categorie di pensionati, il valore della correlazione, a quell'epoca esistente, fra retribuzione e pensione;
2) donde anche l'ulteriore conseguenza dell'appiattimento dei trattamenti pensionistici, nel rapporto fra minimi e massimi, e dell'accorpamento, ad un unico livello, di fasce retributive e di anzianità contributive profondamente diverse, con correlativa disparità di trattamento fra pensionati, a seconda della data di decorrenza della pensione.
1.5. - La questione di legittimità costituzionale delle norme che fissano il massimale di retribuzione pensionabile viene sollevata anche dal Pretore di Modena (ordinanza emessa il 20 settembre 1982; R.O. n. 882/82) per ragioni analoghe nella sostanza a quelle fin qui esaminate, ma prospettate in termini più articolati e con precisazioni particolari. La censura é, in via generale, riferita all'art. 5, quarto comma, del d.P.R. 27 aprile 1968 n. 488; all'art. 14, quinto comma, della legge 30 aprile 1969 n. 153, nel testo sostituito dall'art. 26 della legge 3 giugno 1975 n. 160; all'art. 27, commi terzo e quarto, della stessa legge 3 giugno 1975 n. 160, individuate come norme applicabili al caso di specie e ritenute in contrasto con gli artt. 3,36,38 e 53 Cost., per la parte in cui escludevano, fino al 31 dicembre 1980, la rilevanza, ai fini della liquidazione dei trattamenti pensionistici col sistema retributivo o secondo quello contributivo, delle retribuzioni o dei contributi ad esse afferenti, per la parte che fosse superiore alla penultima classe retributiva, maggiorata del 5%, fissata con l'art. 4 del d.P.R. n. 488/68 e risultante dalle tabelle A e B allegate allo stesso provvedimento legislativo.
Ai già ricordati profili di contrasto di tale normativa con i parametri costituzionali testé richiamati e cioé alle ragioni di illegittimità già fatte proprie dagli altri giudici con le esposte ordinanze, il Pretore di Modena aggiunge anche, per quanto concerne la dedotta violazione dell'art. 3 Cost. il profilo della disparità di trattamento esistente fra pensionati soggetti al regime assicurativo generale I.V.S. e la generalità dei pubblici dipendenti il cui trattamento di quiescenza é commisurato all'ultima retribuzione, senza predeterminazione di alcun massimale.
In merito ai motivi di contrasto con l'art. 53 Cost. precisa, poi, che rispetto ad essi non assume rilievo determinante il principio di solidarietà sociale o di mutualità. Questo può trovare attuazione reperendo le necessarie risorse finanziarie o attraverso lo strumento del prelievo fiscale, ma, in tal caso rispettando l'ugualmente fondamentale principio di proporzionalità del carico tributario alle capacità contributive di ciascuno, non già nel modo surrettizio che caratterizza la privazione, in danno del lavoratore, dei benefici connessi alla contribuzione effettuata relativamente alle quote di retribuzione eccedenti il massimale; ovvero adeguando opportunamente il minimale contributivo alle esigenze degli istituti assicurativi erogatori delle prestazioni, ma senza impedire ad alcuno il godimento dei frutti dei contributi effettivamente versati.
Ulteriori precisazioni sono fornite anche con riguardo alla assunta violazione dell'art. 38 Cost., osservandosi che le esigenze vitali garantite da tali norme non sono solo quelle minime attinenti alla mera (ancorché dignitosa) sussistenza ma anche quelle più ampie, correlate alla posizione sociale ed economica conquistata da ciascuno con il proprio lavoro.
Prospetta, infine, il Pretore la possibilità che all'eventuale accoglimento dell'eccezione sollevata principaliter nei termini di cui sopra faccia seguito, ex art. 27 legge 11 marzo 1953 n. 87, la declaratoria di illegittimità costituzionale del sesto comma dell'art. 14 della legge 30 aprile 1969 n. 153, nella sua formulazione originaria, che aveva stabilito limitativamente la misura della retribuzione pensionabile fino all'entrata in vigore della legge n. 160/75, nonché dell'art. 19 della più recente legge 23 aprile 1981 n. 155 che, pur avendo elevato a lire 18.500.000 la misura del massimale, ha, tuttavia, ribadito la limitata rilevanza della retribuzione pensionabile.
In via subordinata, per l'ipotesi del mancato accoglimento dell'eccezione principale, il giudice a quo solleva l'ulteriore questione di legittimità costituzionale dell'art. 19 della legge 30 aprile 1969 n. 153, nella parte in cui non prevede la perequazione automatica della retribuzione pensionabile massima, pari alla penultima classe retributiva di cui alle tabelle A e B allegate al d.P.R. 27 aprile 1968 n. 488, maggiorata del 5 %; nonché degli artt. 5, quarto comma, del d.P.R. n.488/68; 14, sesto comma, della legge 30 aprile 1969 n. 153 nel testo originario e quinto comma dello stesso art. 14 nel testo novellato dalla legge 3 giugno 1975 n. 160; 27, commi terzo e quarto, della medesima legge n. 160/75, nella parte in cui disponevano che non fosse presa in considerazione, agli effetti della liquidazione delle pensioni, la retribuzione o la contribuzione ad essa afferente, che fosse eccedente quella indicata come la retribuzione pensionabile massima e non escludevano, invece, agli stessi effetti, soltanto la retribuzione superiore al limite risultante dalla perequazione automatica annuale di quella che era la retribuzione pensionabile dell'anno precedente.
Nel merito di tale questione subordinata, il giudice a quo rileva che, mutatis mutandis, i profili di illegittimità costituzionali possano individuarsi con riferimento ai medesimi parametri indicati a proposito di quella principale e con affermazione di analoghe considerazioni.
Per gli aspetti specifici osserva, inoltre, che la mancata previsione di meccanismi perequativi idonei a conservare nel tempo il valore reale del massimale pensionabile originariamente fissato ha prodotto un grave pregiudizio per i titolari di redditi di lavoro più elevati i quali hanno visto crescere sempre di più la parte del loro trattamento economico utilizzabile a fini pensionistici. Ne é derivata, con conseguente appiattimento verso il basso dei trattamenti pensionistici in rapporto all'entità di quelli retributivi, una mortificazione della professionalità dei lavoratori più alacri e capaci e cioé di un bene costituzionalmente garantito, per quanto concerne il diritto ad una retribuzione congrua sia immediata (art. 36 Cost.) che differita (art. 38 Cost.).
Inoltre, i profili di disparità di trattamento, di cui é, per se stessa, fonte la predeterminazione di un massimale di retribuzione pensionabile, sono stati aggravati dall'evolversi della legislazione in materia. Lo stesso legislatore ha riconosciuto la necessità di adeguamento di quel massimale, prima elevandolo con l'art. 19 della legge n. 155/81 e poi prevedendone l'indicizzazione (art. 3, comma tredicesimo, della legge 29 maggio 1982 n. 297) con le modalità stabilite per la perequazione automatica delle prestazioni a carico del fondo pensioni per i lavoratori dipendenti. Le norme sopravvenute operano però rispettivamente ed esclusivamente a favore dei pensionati con trattamento decorrente dall'1 gennaio 1981 e dall'1 gennaio 1983, sicché, lungi dal risultare riparatrici di anteatte discriminazioni, ulteriormente creano, fra pensionati pur appartenenti alla medesima categoria, disparità di trattamento in ragione del solo fatto della decorrenza del trattamento pensionistico.
La rilevanza di tale questione é prospettata osservando che la declaratoria di illegittimità, nei sensi di cui sopra, delle norme impugnate implicherebbe la possibilità di accoglimento della domanda introduttiva del giudizio a quo, sia pur non attraverso l'eliminazione del limite retributivo fissato nel 1968 ed ancora vigente alla data di liquidazione della pensione oggetto di tale domanda (1 maggio 1980), bensì per effetto della progressiva elevazione del medesimo, operabile con i citati meccanismi perequativi a decorrere dall'1 gennaio 1970, vale a dire dalla stessa data di applicazione della perequazione automatica delle pensioni prevista dall'art. 19 della legge n. 153/69.
All'accoglimento di tale eccezione subordinata, potrebbe, ad avviso del giudice a quo, accompagnarsi la declaratoria di illegittimità costituzionale conseguenziale dell'art. 19 della legge 23 aprile 1981 n. 155, in quanto determinativo di un massimale di retribuzione pensionabile largamente inferiore a quello ricavabile in applicazione dei meccanismi suddetti, la cui operatività, poi, assorbirebbe, superandolo, il disposto dell'art. 3, tredicesimo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297.
1.6 - Infine, il Pretore di Udine (con ordinanza emessa il 26 ottobre 1984; R.O. n. 1375/84), in considerazione della normativa applicabile alla data di decorrenza della pensione la cui riliquidazione costituisce oggetto del giudizio a quo, censura:
- a) l'art. 19 della legge 23 aprile 1981 n. 155, nella parte in cui non adegua alla svalutazione monetaria per l'anno 1982 il massimale di retribuzione pensionabile fissato in lire 18.500.000. Precisa che detta disposizione viola gli artt.:
1) 3 Cost.: in quanto accomuna in un medesimo trattamento pensionati le cui posizioni si diversificano a cagione della intervenuta diminuzione del potere di acquisto della moneta;
2) 38 Cost.: in quanto tale diminuzione altera il rapporto pensione retribuzione originariamente concepito come idoneo a salvaguardare esigenze utili del pensionato;
- b) Ìart. 3, tredicesimo comma, della legge 29 maggio 1982 n. 297. Precisa al riguardo che la norma:
1) nella parte in cui limita al periodo successivo all'1 gennaio 1983 l'indicizzazione del massimale di retribuzione pensionabile, viola l'art. 3 Cost. in quanto arbitrariamente discrimina fra i pensionati ammessi a tale beneficio e quelli che, invece, ne sono esclusi soltanto ratione temporis;
2) nella parte in cui non ancora all'adeguamento del massimale, avvenuto in virtù di tale indicizzazione, le pensioni in godimento al momento dell'adeguamento stesso, viola:
2.1 l'art. 38 Cost. per le stesse ragioni indicate in riferimento alla censura concernente l'art. 19 della legge n. 155/ 1981.
2.2 l'art. 3 Cost., in quanto la mancata previsione di detto ancoraggio implica discriminazione, a fini pensionistici, fra lavoratori che possono vantare identici livelli retributivi, rispetto ai quali non opera, però, ugualmente la decurtazione conseguente all'applicazione del massimale: il lavoratore che abbia potuto fruire dei benefici della indicizzazione di questo può altresì conseguire un trattamento pensionistico più elevato di quello garantito a chi dagli stessi benefici é stato invece escluso, senza che gli sia consentito di ottenere la riliquidazione del trattamento stesso, in relazione al nuovo livello del massimale, ancora non eccedente l'importo della retribuzione annua goduta al momento del pensionamento.
- - Tutte le sopra menzionate ordinanze, ritualmente notificate e comunicate, sono state pubblicate, nell'ordine, con la Gazzetta Ufficiale n. 203 del 25 luglio 1979; n. 265 del 26 settembre 1979; n. 180 del 2 luglio 1980; n. 338 del 10 dicembre 1980; n. 248 dell'8 settembre 1982 (due ordinanze del Pretore di Milano); n. 342 del 14 dicembre 1983; n. 307 del 7 novembre 1984; n. 293 bis del 13 dicembre 1985; n. 46 del 16 febbraio 1983; n. 128 dell'11 maggio 1983; n. 107 bis dell'8 maggio 1985.
- - Nei giudizi susseguenti alle ordinanze sopra menzionate si é costituito l'I.N.P.S.. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, per il tramite dell'Avvocatura dello Stato, fatta eccezione per il giudizio introdotto con l'ordinanza del Pretore di Cagliari (R.O. n. 499/85). Infine, nei giudizi promossi dai Pretori di Palermo (R.O. n. 431/79), di Milano (R.O. n. 569/79), di Voghera (R.O. n. 724/80), di Modena (R.O. n. 882/82) e dal Tribunale di Pescara (R.O. n. 557/83) si sono costituite le parti attrici dei procedimenti a quibus.
3.1 - I vari atti depositati dalla difesa di queste ultime sostanzialmente recepiscono, a fini adesivi, le argomentazioni svolte dai giudici remittenti, sottolineandone l'una o l'altra. In particolare si insiste sui profili discriminatori della censurata normativa nei rapporti fra pensionati soggetti al regime assicurativo generale e pensionati iscritti a Fondi speciali e non solamente a quelli per i telefonici e gli elettrici, espressamente menzionati dal Pretore di Palermo come termine di riferimento, ma anche a quelli per i daziari (artt. 9 e 10 legge 24 maggio 1976 n. 370), per gli esattoriali (artt. 13 e 23 legge 2 aprile 1958 n. 377), per i gasisti (artt. 9 e 17 legge 6 dicembre 1971 n. 1084), per gli autoferrotramvieri (artt. 5 e 17 legge 29 ottobre 1971 n. 889), per la gente dell'aria (artt. 13 e 24 legge 13 luglio 1965 n. 859, modif. dall'art. 1 della legge 30 luglio 1973 n. 484), per i marittimi, ivi compresi quelli appartenenti alla gestione speciale della Cassa Marinara (artt. 5, 15, 16 e artt. 61, 65, 66 legge 27 luglio 1967 n. 658).
Ugualmente si lamenta che la previsione di un massimale di retribuzione pensionabile discrimina anche fra i soli pensionati del regime generale, dando luogo ad un trattamento legislativo diseguale in ragione unicamente della maggiore o minore lucratività del lavoro subordinato e, quindi, di condizioni personali e sociali; si sottolinea il progressivo aggravamento delle suddette diseguaglianze, dovuto alla concomitanza della svalutazione monetaria e della mancata previsione di meccanismi di indicizzazione del medesimo fino all'entrata in vigore della legge n. 297/82; si insiste sui principi allermati da questa Corte con le sentenze nn. 24 e 176/75 per desumerne la necessità che il trattamento pensionistico, in quanto retribuzione differita, obbedisca alla regola della congruità posta dall'art. 36 Cost. e che, conseguentemente, il criterio della sufficienza del trattamento stesso, ai sensi dell'art. 38 Cost., sia applicato senza prescindere dall'integrale considerazione dell'entità della retribuzione conseguita nel corso dell'età lavorativa; si ribadisce che la non utilizzazione dei contributi versati sulle quote di retribuzione eccedenti il massimale costituisce un'illegittima forma di prelievo fiscale.
3.2 - L'Avvocatura dello Stato insiste per la declaratoria di infondatezza della questione. Osserva che questa, preliminarmente, deve essere ridotta al solo problema della conformità o non della disciplina del massimale di retribuzione pensionabile agli artt. 3 e 38 Cost., apparendo del tutto inconferente il richiamo agli artt. 36 e 53 Cost.: al primo, perché rispetto ad esso l'art. 38 assume il valore di disposizione speciale "il cui esame assorbe quello dei profili sia dell'art. 35 sia dell'art. 36" (Corte Cost. nn. 10/70 e 128/73); al secondo perché la circostanza del versamento di contributi assicurativi su di una parte della retribuzione non utilizzata per la quantificazione del trattamento pensionistico non involge alcun problema di imposizione fiscale e del rispetto del principio di uguaglianza contributiva, ma trova fondamento nel diverso principio di solidarietà sociale, posto a fondamento del sistema assicurativo generale.
Si rileva poi che il diverso trattamento riservato, in materia di massimale pensionabile, ai pensionati iscritti al "regime generale previdenziale" rispetto a quelli iscritti a "regimi speciali" sostitutivi o integrativi del primo appare ragionevolmente giustificato dalla diversità ravvisabile fra l'uno e gli altri: questi caratterizzati dal collegamento del trattamento all'entità dei contributi versati; quello, invece distinto dal fine, di interesse generale, di assicurare ad ogni cittadino bisognoso (per età, invalidità ecc...) i mezzi necessari per il godimento effettivo dei suoi diritti civili e politici e perciò necessariamente fondato sul già cennato principio di solidarietà e necessitante del rilevante apporto finanziario dello Stato.
In esso, la previsione di un limite massimo di retribuzione pensionabile é direttamente correlabile, alla stregua di tali finalità, con quella concernente l'erogazione di un trattamento minimo, in un contesto di equilibri indispensabili per il conseguimento delle finalità stesse.
E come per la determinazione dell'ammontare minimo si é ritenuto (sent. n. 263/76) che le relative valutazioni sono rimesse all'incensurabile discrezionalità del legislatore il quale, se é tenuto a salvaguardare le esigenze vitali dei cittadini, non può neanche prescindere dalla considerazione di effettive disponibilìtà finanziarie; così va ritenuto anche che per la determinazione dell'ammontare massimo, dovendosi ravvisare nella sola osservanza di questo criterio di ragionevole equilibrio fra soddisfazione di aspettative degli interessi ed entità dei mezzi a ciò destinabili, un limite alla suddetta discrezionalità. Resta invece ininfluente che il massimale risulti più o meno prossimo all'entità della retribuzione effettiva o che sia salvaguardato dalla svalutazione monetaria attraverso opportuni meccanismi di indicizzazione: una volta fatte salve quelle finalità di interesse generale che permeano l'intero sistema assicurativo generale, la stessa osservanza di un criterio di progressivo miglioramento dei trattamenti appartiene alla sfera delle valutazioni discrezionali del legislatore che mostra, peraltro, di non esservi insensibile, come é reso palese dalle pur recenti disposizioni in tema di aumento e di perequazione automatica del massimale.
3.3 - Considerazioni non dissimili svolge anche l'I.N.P.S., nei suoi atti difensivi, per sostenere l'infondatezza della questione.
A tal fine, si fa, in particolare, osservare che anche la Corte di cassazione, con la stessa ordinanza di rimessione della questione, ha tuttavia escluso la possibilità di istituire un tale raffronto fra il trattamento riservato ai pensionati del regime generale e quello proprio degli iscritti a fondi speciali; ha negato la sussistenza di un principio costituzionale che imponga la conservazione a fini pensionistici dell'intero ammontare della retribuzione; ed ha, infine, riconosciuto che la penalizzazione, ai medesimi fini, delle retribuzioni più elevate é legittimata dall'osservanza di un principio di solidarietà sociale.
Con più specifico riguardo al problema del congelamento del così detto "tetto pensionabile" - sollevato, invece, anche dalla Corte di cassazione - si sottolinea, poi, il rilievo da attribuire all'introduzione, con l'art. 10 della legge n. 160/ 75, del meccanismo perequativo automatico differenziato: questo risulta più favorevole proprio per le pensioni di importo superiore ai trattamenti minimi per le quali é stato previsto un doppio incremento (in misura percentuale ed in misura fissa) tale da garantire non solo la costante adeguatezza ai bisogni essenziali della vita ma anche un più stretto nesso di relazione e proporzionalità con la retribuzione e la contribuzione da cui quei trattamenti derivano, pur nel contemperamento di tale esigenza con l'obiettivo primario del finanziamento delle gestioni previdenziali mediante un sacrificio parziale delle categorie di pensionati a reddito retributivo più elevato. A questo mezzo di adeguamento delle pensioni di importo più elevato non può, dunque, non riconoscersi anche la funzione di un coerente strumento di raccordo fra la normativa contenente la determinazione fissa del massimale e quella che, al fine di un progressivo miglioramento dei trattamenti, ha dapprima previsto l'aumento del massimale stesso e poi la sua indicizzazione, posto che, medio tempore, anche ai percettori di retribuzioni più elevate si é consentito di conservare, nei limiti della compatibilità generale, lo stesso tenore di vita.
Più in generale, si osserva che la previsione di un massimale di retribuzione pensionabile ha anche la necessaria funzione di evitare che sul sistema previdenziale generale - per vasta parte legato al pubblico finanziamento - si ripercuotano gli effetti distorti di discriminazioni retributive, non sempre giustificabili, fra i vari settori della vita lavorativa; la rimozione del massimale determinerebbe conseguenze ingiustamente espropriative per la generalità dei lavoratori poiché, essendo dimostrato che, quando nell'ambito di una medesima gestione previdenziale coesistono fasce di trattamento di importo molto differenziato, le pensioni più elevate assorbono per il proprio finanziamento una quota di contribuzione proporzionalmente più elevata, si verificherebbe un fenomeno di mutualità alla rovescia, in cui i lavoratori con retribuzione mediobassa finanziano i trattamenti pensionistici dei lavoratori con remunerazioni più elevate.
Si ribadisce che, in un sistema composito a finanziamento significativamente pubblico, il contributo assicurativo del singolo non soddisfa esclusivamente un interesse personale del soggetto lavoratore e che la possibilità di assicurare a quest'ultimo, dopo il pensionamento, un livello di vita pari a quello garantitogli dal reddito di lavoro costituisce soltanto un traguardo ottimale di cui i tempi ed i modi sono lasciati alla discrezionale valutazione del legislatore (Corte Cost. nn. 26/80; 146 e 213/72; 119/81 ecc.).
Nell'imminenza dell'udienza sono state presentate memorie.
Le parti private dei giudizi di cui alle ordinanze dei Pretori di Palermo e di Milano hanno rilevato che la perequazione automatica delle pensioni non ha eliminato la disparità di trattamento derivante, per i pensionati assicurati secondo il regime ordinario, dalla mancata previsione dei meccanismi di indicizzazione del massimale di retribuzione pensionabile e che detta disparità é stata aggravata dalla norma che ha aumentato il massimale con effetto dall'1 gennaio 1981 discriminando così i pensionati che hanno avuto la pensione con decorrenza anteriore; hanno ribadito che sussiste disparità tra essi, dirigenti di aziende commerciali, ed i dirigenti di aziende industriali, i liberi professionisti, gli avvocati, i procuratori, gli ingegneri e gli architetti, nonché i pubblici dipendenti e gli iscritti alle gestioni speciali dell'I.N.P.S.; ed, inoltre, che essi hanno subìto la maggiore falcidia del massimale avendo retribuzioni più elevate di quelle degli altri lavoratori il cui sacrificio ha trovato compenso nella stabilità di cui essi godevano, a differenza dei deducenti. Hanno insistito sulla opportunità di un ricorso allo strumento tributario anziché al principio solidaristico, mentre affermano che, per l'adeguamento della pensione alle esigenze di vita ai sensi dell'art. 38 Cost., si deve tener conto anche della condizione sociale ed economica conseguita durante la vita lavorativa.
Ed, infine, hanno sottolineato che la rilevanza, ai fini della determinazione della pensione, dei trattamenti retributivi raggiunti durante il rapporto di lavoro, é stata già riconosciuta da questa Corte con sentenza n. 302/83.
La difesa delle parti private dei giudizi promossi dai Pretori di Voghera, di Modena e dal Tribunale di Pescara ha ribadito che sussiste disparità di trattamento con i pensionati assicurati con regimi speciali; che la discrezionalità del legislatore in materia previdenziale non può essere esercitata in maniera che risulti impedita la realizzazione dei mezzi adeguati di cui all'art. 38 Cost.; il che avviene con la censurata disciplina del massimale di retribuzione pensionabile; che é mancata la previsione di meccanismi di indicizzazione del massimale pensionabile.
La difesa degli assicurati Ciattoni e Pelli, parti private del giudizio promosso dal Tribunale di Pescara, ha insistito sulla loro situazione di maggiori sacrificati quali dirigenti di aziende commerciali; sull'appiattimento operato nei loro confronti, simile ad una imposizione fiscale; sulla mancanza di adeguati meccanismi di indicizzazione del massimale e sulla omessa considerazione dell'intera retribuzione nella fase di determinazione della base pensionabile (richiamo alla sent. n. 302/83).
L'I.N.P.S., dopo avere richiamato la peculiarità del rapporto assicurativo previdenziale delle gestioni speciali (peculiari posizioni giuridiche del rapporto di lavoro, entità dei contributi, autofinanziamento delle gestioni stesse in una visione di mutualità di gruppo 0 categoriale - sentt. nn. 144/84; 28/ 84; 44/85), ha rilevato che il regime assicurativo generale non é fondato su un sistema di capitalizzazione pura (proporzionalità tra contribuzione e trattamento) ma corretto per esigenze di solidarietà generale; che tra queste correzioni vi é l'operatività del Fondo sociale a totale carico dello Stato in base al quale lo Stato eroga a suo carico le prime 12.000 lire di pensione per 13 mensilità, poi si aggiungono i trattamenti minimi e le relative integrazioni dovute in presenza di contribuzioni minime e l'accreditamento di contribuzioni figurative; che in questi vantaggi si rinvengono le giustificazioni della fissazione di un tetto retributivo utile a pensione e la destinazione della contribuzione in eccedenza a sopperire alle necessità del funzionamento globale del sistema; che trattasi di conseguenze della inapplicazione delle logiche privatistiche e della necessità di assicurare finalità generali che trascendono gli interessi dei singoli (sent. n. 19/86).
Ha ribadito che il congelamento del tetto pensionabile dal maggio 1968 al dicembre 1980 é dovuto a necessità finanziarie generali della collettività nazionale in quanto nello stesso periodo sono stati introdotti miglioramenti delle pensioni elevate dal 65 al 74% e poi all'80%; ai nuovi più favorevoli criteri di determinazione della pensione; all'introduzione della perequazione automatica; all'aumento delle pensioni contributive; all'aumento dei trattamenti minimi. Onde la necessità finanziaria del concorso delle categorie di pensionati del regime generale economicamente più dotate in uno spirito solidaristico, non escludendosi, però, una successiva possibilità, nel quadro delle compatibilità generali, del progressivo aumento anche del massimale di retribuzione pensionabile (leggi nn. 155/81; 297/82; 140/85).
Considerato in diritto
- - Le questioni proposte con le dodici ordinanze in esame possono essere decise con un'unica sentenza perché strettamente connesse.
- - Il Pretore di Palermo (R.O. n. 431/79) dubita della legittimità costituzionale dell'art. 27, legge 3 giugno 1975 n. 160 nella parte in cui prevede limiti di retribuzione pensionabile.
Ha premesso che, a suo parere, era manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale per violazione:
- a) dell'art. 36 Cost., in quanto nessuna norma costituzionale garantisce la proporzionalità tra la pensione di vecchiaia e la retribuzione precedente e perché ai trattamenti previdenziali non possono estendersi i princìpi portati dall'art. 36 Cost. i quali, invece, sono validi per l'indennità e per i trattamenti di quiescenza, siccome forme di retribuzione differita;
- b) dell'art. 38 Cost. in quanto, nel corso del tempo, il limite massimo della pensione si collega alla dinamica salariale;
- c) dell'art. 53 Cost. in quanto i contributi non utilizzati ai fini della liquidazione della pensione concorrono ad alimentare il sistema complessivo delle assicurazioni gestite dall'I.N.P.S. secondo un criterio di mutualità conforme al detto articolo;
- d) dell'art. 3 Cost. per il profilo della disparità di trattamento tra lavoratori a seconda che percepiscano retribuzioni inferiori o superiori al limite stabilito dalla norma denunciata, perché la differenza di regime é giustificata dalla diversità delle condizioni economiche degli uni e degli altri; tra lavoratori che godono da tempo della pensione di vecchiaia e lavoratori che iniziano a percepirla da oggi in un ammontare base inferiore all'importo raggiunto dai primi per effetto del collegamento con la dinamica salariale in quanto tale situazione equivale ad un progressivo abbassamento del limite massimo di retribuzione pensionabile disposto dal legislatore con la salvezza dei diritti quesiti secondo un apprezzamento politico costituzionalmente legittimo perché non risulta violato il limite massimo dell'adeguatezza della pensione alle esigenze di vita del lavoratore.
Ha, invece, ritenuto la non manifesta infondatezza per la violazione dell'art. 3 Cost. perché risulterebbe sancita una disparità di trattamento tra lavoratori dipendenti, per i quali vige il suddetto limite, ed altre categorie di lavoratori dipendenti da privati o da enti pubblici economici (per es. gli addetti ai pubblici servizi di telefonia in concessione, dipendenti E.N.E.L. e di altre aziende elettriche in genere) per i quali non é previsto alcun tetto pensionabile.
- - I Pretori di Milano (R.O. nn. 569/79 e 188/82), di Voghera (R.O. n. 724/80), il Tribunale di Pescara (R.O. n. 557/83) censurano, oltre l'art. 27, terzo comma, della detta legge n. 160 del 1975, anche l'art. 14, sesto comma, legge n. 153/69 e l'art. 5 del d.P.R. 27 aprile 1968 n. 488 e la tabella A allegata al r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636 e successive modificazioni.
I Pretori di Milano (R.O. n. 187/82), di Brescia (R.O. n. 317/80), di Torino (R.O. n. 819/84) impugnano, oltre le suddette norme, anche la tabella B allegata al r.d.l. n. 636 del 1939 in quanto esclude fino al 30 dicembre 1980, dai trattamenti pensionistici, le retribuzioni ed i contributi ad essa afferenti, per la parte eccedente la penultima classe retributiva maggiorata del 5%, fissata con l'art. 4 del d.P.R. n. 488/68 e risultante dalle citate tabelle.
- - Il Pretore di Cagliari, trattandosi nel giudizio a quo di pensione successiva all'1 gennaio 1980, ha prospettato il dubbio della legittimità costituzionale anche dell'art. 19 della legge 23 aprile 1981 n. 155 che ha elevato a lire 18.500.000 il massimale di retribuzione pensionabile.
- - Tutti i giudici a quo hanno rilevato la violazione dell'art. 3 Cost. per l'irrazionale disparità di trattamento effettuata solo per diverse condizioni personali o sociali all'interno della stessa categoria di pensionati, soggetti al regime dell'assicurazione generale obbligatoria, nonché tra questi ultimi e gli iscritti ai fondi speciali I.N.P.S. ed i dipendenti pubblici per i quali non vige alcun massimale di retribuzione pensionabile.
Hanno inoltre rilevato, con la sola eccezione del Pretore di Palermo, la violazione:
- a) dell'art. 36 Cost. in quanto, sussistendo il diritto del lavoratore ad un equo trattamento da intendersi in senso ampio ed essendo la pensione configurabile come retribuzione differita, risulta compromesso il rapporto di proporzionalità con la quantità e qualità del lavoro prestato;
- b) dell'art. 38, secondo comma, Cost. in quanto il diritto del lavoratore alla garanzia dei mezzi adeguati alle esigenze di vita per il caso di vecchiaia risulta avulso dalla considerazione del livello retributivo conseguito nel corso dell'attività lavorativa;
- c) dell'art. 53 Cost. in quanto la non utilizzazione, a favore del pensionato, dei contributi da lui versati sulle quote di retribuzione eccedenti il massimale pensionabile si risolve in un prelievo fiscale senza che sia assicurata alcuna proporzionalità tra il medesimo e la capacità contributiva degli interessati.
7.1. - Il Pretore di Modena (R.O. n. 882/82) ha impugnato l'art. 5 del d.P.R. 27 aprile 1968 n. 488; l'art. 14, quinto comma, legge 30 aprile 1969 n. 153 nel testo sostituito con l'art. 26 della legge 3 giugno 1975 n. 160; l'art. 27, commi terzo e quarto, della stessa legge 3 giugno 1975 n. 160, norme tutte che fissano limiti alla retribuzione pensionabile.
Ha aggiunto che la stessa Corte costituzionale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953 n. 87, potrebbe dichiarare di ufficio la illegittimità costituzionale dell'art. 14, sesto comma, legge 30 aprile 1969 n. 153 nel testo originario, che, fino all'entrata in vigore della legge n. 160 del 1975, ha stabilito i limiti della retribuzione pensionabile e dell'art. 19 legge 23 aprile 1981 n. 155 che, a partire dal 1 gennaio 1981, ha determinato il tetto pensionabile nella misura di lire 18.500.000.
Ha prospettato la violazione:
- a) dell'art. 3 Cost. per la disparità di trattamento che si verifica in ogni caso per la maggiore o minore lucratività del lavoro subordinato prestato e, quindi, per condizioni personali e sociali, tra gli iscritti all'assicurazione generale obbligatoria rispetto agli iscritti ai fondi speciali di previdenza ed ai pubblici dipendenti per i quali non vige alcun tetto pensionabile; tra gli iscritti all'assicurazione generale obbligatoria che hanno una pensione commisurata alla massima retribuzione media triennale percepita in misura pari o inferiore al limite ed altri iscritti che subiscono l'esclusione di una parte della retribuzione dal calcolo del trattamento pensionistico che ad essi compete;
- b) dell'art. 36 Cost. in quanto la pensionabilità di una parte soltanto della retribuzione fa venir meno il rapporto proporzionale con la quantità e qualità del lavoro prestato che, invece, dovrebbe mantenersi trattandosi di retribuzione differita (Corte Cost., sentt. nn. 24/75 e 176/75);
- c) dell'art. 38, secondo comma, Cost. in quanto non risultano tutelate le esigenze di vita del pensionato le quali ineriscono alla posizione sociale ed economica che ciascuno ha raggiunto con il proprio lavoro, onde la necessità che la pensione sia rapportata all'intero ammontare dei contributi versati ed a tutta la retribuzione raggiunta affinché sia mantenuto un tenore di vita adeguato a quello raggiunto nel periodo di attività lavorativa;
- d) dell'art. 53 Cost. perché l'adempimento dei doveri di solidarietà sociale deve avvenire mediante il prelievo fiscale proporzionato alla capacità contributiva, mentre il lavoratore per il quale non vengono conteggiati tutti i contributi versati é costretto a subìre, oltre al pagamento delle imposte sui redditi di lavoro, un prelievo fiscale aggiuntivo eccedente quello giustificato dal collegamento dell'imposizione tributaria con la capacità contributiva del soggetto; la discrezionalità del legislatore non può giustificare la violazione del principio costituzionale; il principio mutualistico e la solidarietà a favore dei lavoratori meno meritevoli o meno fortunati devono trovare attuazione mediante la fissazione del cd. minimale contributivo via via aggiornato e la determinazione anche progressiva dei contributi dovuti dalla generalità degli assicurati e non invece gravare solo su una parte di essi mediante la inutilizzazione dei contributi versati e la privazione della pensione ad essi corrispondente.
7.2 - Lo stesso Pretore, in via subordinata al mancato riconoscimento della fondatezza della suddetta questione, ha ritenuto di dover sollevare di ufficio la questione di legittimità costituzionale dell'art. 19 legge n. 153/69 per il mancato adeguamento automatico dell'importo massimo di retribuzione pensionabile da prendersi a base dell'ammontare iniziale delle pensioni il quale ha comportato un grave pregiudizio per i redditi di lavoro più elevati che hanno subìto la perdita del rilievo della remunerazione da essi conseguita nonostante il versamento dei contributi.
Ha rilevato che il conseguente appiattimento verso il basso dei trattamenti pensionistici, ha comportato la mortificazione della professionalità dei lavoratori più capaci e qualificati; che, invece, un meccanismo di adeguamento automatico della retribuzione massima pensionabile al minore valore della moneta, come quello adottato nel 1969 per le pensioni, avrebbe mantenuto l'uguaglianza tra i lavoratori iscritti all'assicurazione generale obbligatoria; che la situazione non é stata sanata dall'art. 3, tredicesimo comma, della legge n. 297 del 1982 perché esso ha disposto, solo a partire dall'1 gennaio 1983, l'adeguamento annuale del nuovo limite retributivo fissato dall'art. 19 della legge n. 155 del 1981 senza efficacia retroattiva e, quindi, non riparatoria della incongruità e della irrazionalità della precedente disciplina; onde, stante la illegittima esclusione di tutti i pensionati di epoca anteriore all'1 gennaio 1981 a iniziare dal 1970, la illegittimità costituzionale delle norme denunciate per violazione degli artt. 3, primo comma, 36, primo comma, 38, secondo comma e 53, primo comma, Cost..
- - Il Pretore di Udine (R.O. n. 1375/84) ha censurato l'art. 19 della legge 23 aprile 1981 n. 155 nella parte in cui non prevede l'adeguamento alla svalutazione monetaria per l'anno 1982 del massimale di retribuzione pensionabile fissato in lire 18.500.000 per violazione:
- a) dell'art. 3 Cost. in quanto risultano accomunati in un medesimo trattamento pensionati con posizioni diversificate per l'intervenuta diminuzione del potere di acquisto della moneta;
- b) dell'art. 38 Cost. in quanto siffatta diminuzione altera il rapporto pensione/retribuzione originariamente concepito come idoneo a salvaguardare esigenze utili del pensionato.
Ha impugnato poi l'art. 3, tredicesimo comma, della legge 29 maggio 1982 n. 297 nella parte in cui limita al periodo successivo all'1 gennaio 1983 l'indicizzazione del massimale di retribuzione pensionabile per violazione dell'art. 3 Cost. in quanto arbitrariamente discrimina fra i pensionati ammessi al beneficio e quelli esclusi "ratione temporis"; nonché nella parte in cui esclude dall'adeguamento del massimale avvenuto in virtù della prevista indicizzazione, le pensioni in godimento al momento dell'adeguamento per violazione:
- a) dell'art. 38 Cost. in quanto la diminuzione altera il rapporto retribuzione/pensione originariamente concepito come idoneo a salvaguardare le esigenze del pensionato;
- b) dell'art. 3 Cost. in quanto la mancata previsione dell'adeguamento discrimina, ai fini pensionistici, fra lavoratori che possono vantare identici livelli retributivi rispetto ai quali non opera egualmente la decurtazione conseguente all'applicazione del massimale.
- - La Corte di Cassazione (R.O. n. 604/82) ha impugnato solo l'art. 14, sesto comma, della legge n. 153 del 1969.
Ha premesso che non esiste un principio costituzionale che imponga di garantire il pensionamento dell'intera retribuzione al legislatore ordinario il quale, invece, é libero di fissare il rapporto tra pensione e retribuzione purché la pensione sia adeguata alle esigenze di vita dell'assicurato; che non può essere effettuato alcun raffronto tra pensionati secondo il regime ordinario e pensionati secondo regimi speciali; che la mancanza dei benefici derivanti dai contributi afferenti alla parte di retribuzione non pensionabile non implica violazione dell'art. 53 Cost. ma trova giustificazione nel principio di solidarietà.
Ha ritenuto, invece, che la mancata considerazione da parte della norma censurata, ai fini pensionistici, delle quote di retribuzione eccedenti il massimale contrasta con gli artt. 3 e 38 Cost. in quanto la mancata previsione di un meccanismo di indicizzazione del detto massimale ed il progressivo allontanamento dai presupposti di fatto sui quali si fondava la valutazione di congruità effettuata dalla tabella allegata al d.P.R. n. 488 del 1968, per effetto della svalutazione monetaria ha causato, per vaste categorie di pensionati, l'annullamento del valore della correlazione, esistente all'epoca del pensionamento, tra retribuzione e pensione; l'appiattimento dei trattamenti pensionistici nel rapporto tra massimi e minimi; l'accorpamento ad un unico livello di fasce retributive e di anzianità contributive profondamente diverse con correlativa disparità di trattamento fra pensionati secondo la data di decorrenza della pensione.
- - Le questioni sollevate non sono fondate; anzitutto quelle sub 1, 2,3,4,5,7.1, per le quali il dubbio di illegittimità costituzionale ha per oggetto le norme che hanno fissato, direttamente o indirettamente, il massimale retributivo pensionabile (il cd. "tetto pensionabile"), in riferimento alla penultima classe della tabella in vigore all'atto del pensionamento con un aumento del 5% (art. 5 d.P.R. 27 aprile 1968 n. 488; art. 14 legge 30 aprile 1969 n. 153 e artt. 26 e 27 legge 3 giugno 1975 n. 160, che pure ha corretto il meccanismo di determinazione della retribuzione con utilizzazione della media aritmetica delle retribuzioni corrispondenti a tre gruppi che hanno fornito le retribuzioni più elevate).
Non sussiste la denunciata disparità di trattamento della categoria cui appartengono i ricorrenti (ex dirigenti di aziende di commercio), cioé dei pensionati già dipendenti da imprenditori privati, soggetti al regime generale ordinario di assicurazione e previdenza, né rispetto ai dipendenti di enti pubblici economici o dello Stato, per i quali non vi é limite all'ammontare della retribuzione pensionabile né rispetto ad appartenenti ad altre categorie di lavoratori subordinati dipendenti per cui vigono gestioni speciali o fondi speciali.
All'uopo si é precisato che i dirigenti di aziende industriali hanno tetti più ragionevoli (lire 17.641.000 per il 1974; lire 21.677.000 per il 1978; lire 29.900.000 per il 1981), riferentisi insieme alla retribuzione pensionabile ed alla retribuzione imponibile (art. 2, lett. a, legge n. 914/53 e successive modificazioni); che sussiste un tetto pensionabile più elevato per gli avvocati ed i procuratori (artt. 2 e 10 legge n. 576 del 1980); per i dottori commercialisti (artt. 2 e 10 legge n. 21 del 1986) con parallela riduzione delle aliquote contributive pensionistiche; che per i dipendenti statali, parastatali, di enti locali, per gli appartenenti a gestioni speciali, non é previsto un tetto pensionabile, mentre altre categorie godono anche di stabilità d'impiego.
Ora, per quanto riguarda gli impiegati dello Stato, pur sussistendo la tendenza ad una parificazione del loro rapporto di impiego o di lavoro con quello privato, permangono tuttora aspetti di differenziazione che giustificano la diversità dei rispettivi regimi previdenziali.
Il rapporto di lavoro delle altre categorie ha anch'esso peculiarità che giustificano le particolarità previdenziali, per es. per l'entità delle contribuzioni, per l'autofinanziamento delle rispettive gestioni in una visione di mutualità di gruppo o categoriale (Corte Cost., sentt. nn. 28 e 144 del 1984; ord. n. 44/85).
Una spiccata diversità sussiste tra i regimi speciali ed il regime ordinario generale, essendo gli uni collegati all'entità dei contributi versati e l'altro contraddistinto dal criterio della solidarietà sociale e dall'apporto finanziario dello Stato, dalla cumulabilità della pensione con la retribuzione, dalla riliquidazione della pensione in forma retributiva, dalla concessione di supplementi per l'attività prestata successivamente al pensionamento, dall'esistenza di pensioni minime, delle pensioni sociali, delle pensioni di invalidità, dalla differenziazione di contribuzioni derivante dalla diversità dei rapporti (lavoratori subordinati di varie categorie: commercio, industria, agricoltura, lavoratori autonomi, commercianti, artigiani ecc.).
Per quanto allo stato sussiste la tendenza ad attuare una omogeneizzazione del regime previdenziale ed una parificazione delle categorie, la realizzazione definitiva e completa di essa é affidata alla discrezionalità del legislatore trattandosi di scelte di politica sociale ed economica.
La differenziazione dei trattamenti trova, ora, un'adeguata e non irrazionale giustificazione specie nella diversità delle masse retributive e contributive e nei ragionevoli motivi oggettivi e soggettivi innanzi indicati.
Sulla dedotta violazione degli articoli 36 e 38 Cost. conseguente alla mancanza di proporzione con la qualità e quantità di lavoro, da richiedersi anche per la pensione in quanto retribuzione differita, ed alla mancata assicurazione della tutela delle esigenze di vita dei pensionati, attesa la non rispondenza della pensione alla retribuzione ed al tenore di vita conseguito durante l'attività lavorativa, questa Corte ribadisce (sentt. nn. 26/80 e 349/85) che dai suddetti articoli deriva una particolare protezione del lavoratore nel senso che il suo trattamento di quiescenza, al pari della retribuzione percepita in costanza del rapporto di lavoro, del quale lo stato di pensionamento costituisce un prolungamento ai fini previdenziali, deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e deve, in ogni caso, assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia mezzi adeguati alle esigenze di vita per una esistenza libera e dignitosa; che la proporzionalità e l'adeguatezza devono sussistere non solo al momento del collocamento a riposo ma vanno costantemente assicurati anche nel prosieguo, in relazione al mutamento del potere di acquisto della moneta.
L'attuazione dei surrichiamati principi non comporta, però, la necessaria ed integrale coincidenza tra la pensione e l'ultima retribuzione, né un costante adeguamento al mutevole potere di acquisto della moneta, specie per effetto della svalutazione monetaria, ma sussiste una sfera di discrezionalità riservata al legislatore per l'attuazione graduale dei detti precetti.
Per quanto riguarda più specificamente l'art. 38 Cost., questa Corte ha già ritenuto che detta norma assorbe, per alcuni profili, sia l'art. 35 Cost. che l'art. 36 Cost., che esprimono un criterio generale di adeguatezza e di sufficienza della retribuzione in genere (Corte Cost., sent. n. 213 del 1972).
Tanto premesso, va affermato anzitutto che le esigenze di vita che il costituente ha inteso assicurare non devono essere identificate esclusivamente con riferimento a singoli casi concreti, cioé secondo criteri soggettivi e contingenti ma secondo valutazioni generali ed oggettive.
Va ribadito, poi, che mezzi adeguati alle esigenze di vita da assicurare non sono solo quelli che soddisfano i bisogni elementari e vitali ma anche quelli che siano idonei a realizzare le esigenze relative al tenore di vita conseguito dallo stesso lavoratore in rapporto al reddito ed alla posizione sociale raggiunta in seno alla categoria di appartenenza per effetto dell'attività lavorativa svolta, con conseguente possibile determinazione di prestazioni previdenziali quantitativamente diversificate.
Ma anche la valutazione delle dette esigenze e la predisposizione dei mezzi idonei sono affidate alla discrezionalità del legislatore cui compete la scelta relativa al tempo ed alle modalità di attuazione.
All'uopo il legislatore ha considerato la massa contributiva del reddito fruito ed accumulato durante la vita lavorativa, assoggettato a contribuzione, e la massa retributiva, le effettive disponibilità finanziarie delle diverse gestioni e le esigenze del graduale sviluppo del sistema previdenziale anche nell'interesse delle categorie meno ricche e meno fortunate e pur bisognevoli di tutela adeguata ed, infine, le coperture del bilancio statale sul quale ha fatto ricadere l'onere di integrare e ripianare il deficit degli enti previdenziali.
Sicché può ritenersi che il legislatore, entro i confini della ragionevolezza, ha il potere di fissare discrezionalmente le misure ed i limiti anche in maniera differenziata per le diverse categorie rapportandoli al concreto momento storico ed economico; di determinare in concreto l'ammontare delle prestazioni e la variazione delle stesse sulla base di un contemperamento delle esigenze di tutti i lavoratori, che ne sono i beneficiari, e delle disponibilità finanziarie.
Sulla denunciata violazione dell'art. 53 Cost. per la riscontrata mancanza di utilizzazione, ai fini pensionistici, della parte di contribuzione eccedente il limite pensionabile, questa Corte, nel ritenere infondata la questione, rileva anzitutto la non pertinenza del richiamo a detto precetto costituzionale in quanto, come più volte affermato (da ultimo sent. n. 349 del 1985), quella contributiva previdenziale non é una imposizione tributaria vera e propria, di carattere generale, ma una prestazione patrimoniale diretta a contribuire esclusivamente agli oneri finanziari del regime previdenziale dei lavoratori.
Al prelievo in materia previdenziale (contributi) corrisponde un rapporto che si riconduce alla logica assicurativa, in cui, a fronte delle prestazioni effettuate, esistono controprestazioni.
Inoltre, il detto prelievo é anche giustificato dal principio generale secondo cui il costo di un fattore della produzione deve essere posto a carico del settore produttivo in cui opera per evidenti ragioni di corretto funzionamento di mercato (cfr. sent. n. 23/68).
Rileva, poi, la Corte che, con il d.P.R. n. 488 del 1968, é stata attuata una radicale riforma del regime previdenziale assicurativo, per cui si é abbandonato il sistema mutualistico e si é, invece, introdotto il sistema solidaristico.
Si sa che il primo é caratterizzato dalla divisione del rischio tra coloro che sono ad esso esposti e dalla conseguente riferibilità ad essi dei fini e degli oneri previdenziali conseguenti alla stessa divisione, nonché dalla proporzionalità tra contributi e prestazioni previdenziali private.
L'altro sistema, che, peraltro, fa perno sugli artt. 2 e 38 Cost., invece, é caratterizzato dalla riferibilità dei fini e degli oneri previdenziali ai princìpi della solidarietà secondo il modello della sicurezza sociale, sia pure operanti all'interno di ciascuna categoria di lavoratori, nonché dalla irrilevanza della proporzione tra contributi e prestazioni.
Le prestazioni sono considerate lo strumento per l'attuazione dei fini della previdenza in rapporto allo stato di bisogno ed alle esigenze di vita dell'assicurato nel senso innanzi specificato.
I contributi sono i mezzi finanziari della previdenza sociale e sono prelevati in parte dai datori di lavoro e dagli stessi lavoratori delle diverse categorie appunto per assicurare a tutti le prestazioni.
Il sistema, informato - si ribadisce - al modello della sicurezza sociale ed ai princìpi della solidarietà operanti nei confronti dei membri della collettività (sentt. nn. 132 e 133 del 1984), abbraccia tutte le manifestazioni della mutualità ed attua un principio di collaborazione per l'apprestamento dei mezzi di prevenzione e di difesa contro i rischi protetti (dell'invalidità, della vecchiaia, degli infortuni).
Il contributo non va a vantaggio del singolo che lo versa, ma di tutti i lavoratori e, peraltro, in proporzione del reddito che si consegue, sicché i lavoratori a redditi più alti concorrono anche alla copertura delle prestazioni a favore delle categorie con redditi più bassi (sent. n. 146/72).
Risulta superata la concezione più tradizionale della tutela previdenziale secondo la quale la pensione é il mero corrispettivo dei contributi versati dal lavoratore o per il lavoratore, sicché questi avrebbe sempre il diritto di percepirla nella misura corrispondente ai contributi versati.
L'adempimento dell'obbligo contributivo corrisponde alla soddisfazione di un interesse diverso e superiore a quello egoistico del singolo soggetto protetto e la realizzazione della tutela previdenziale corrisponde al perseguimento dell'interesse pubblico e, cioé, di tutta la collettività.
Tuttavia rimane innegabile che, per quanto i contributi servano per finalità che trascendono gli interessi di coloro che li versano ed abbiano carattere generale, essi danno sempre vita al diritto del lavoratore di conseguire le corrispondenti prestazioni previdenziali il che vuole significare che il legislatore, in ogni caso, non può violare il principio di proporzionalità che sorregge il sistema pensionistico e non tenere conto effettivamente delle contribuzioni dei prestatori di opera i quali non possono essere privati totalmente delle prestazioni.
In altri termini, il detto principio di proporzionalità deve essere inteso ragionevolmente nel senso, cioé, che il legislatore non può negare del tutto le prestazioni né ridurle ad un minimo assoluto ma deve assicurare, in ogni caso, le esigenze di vita del lavoratore.
Sembra opportuno anche rilevare che la legge 4 aprile 1952 n. 218, la quale ha commisurato le pensioni alle contribuzioni, ha istituito anche i trattamenti minimi pensionistici spettanti ai lavoratori a fronte di esigue contribuzioni (artt. 2 e 10), ed, inoltre, il fondo per l'adeguamento delle pensioni per finanziare le pensioni minime (d.P.R. n. 488/68, legge n. 153 del 30 aprile 1969) con contributi sui salari; quest'ultimo poi é stato soppresso e si é istituito il fondo sociale (art. 2 legge 21 luglio 1965 n. 903) alimentato dai contributi dei lavoratori e poi dall'1 gennaio 1976 (art. 31 legge n. 160/75) a totale carico dello Stato con pensione base a favore di tutti i lavoratori.
Né va trascurato di sottolineare che accanto ai trattamenti minimi via via integrati, vi sono anche le pensioni sociali, le pensioni di invalidità, mentre le pensioni di alcune categorie di lavoratori, specie degli autonomi, hanno di contro solo una minima contribuzione.
Si sono immessi via via nell'apparato previdenziale gruppi di lavoratori che non erano in grado di far valere un congruo numero di anni di contribuzione mentre concorrevano, a parità di obblighi, nella mutualità obbligatoria e, quindi, nella solidarietà previdenziale realizzata dai lavoratori che vantavano una maggior anzianità assicurativa e contributiva, provvedendo in gran parte o in tutto da soli all'autofinanziamento (legge n. 1047/57 per i coltivatori diretti; legge n. 463/59 per gli artigiani; legge n. 613/66 per i commercianti).
Comunque, a parte siffatte sfumature, il sistema di sicurezza sociale instaurato, non si é curato del solo interesse privato ma si é posto l'obiettivo di realizzare l'interesse pubblico generale, storicamente individuato non più alla stregua dell'ammontare delle contribuzioni versate ma dal rilievo attribuito alle istanze di politica sociale, quella cioé di garantire una maggiore giustizia sociale attraverso una più equa ridistribuzione del reddito all'interno del sistema pensionistico.
Il sistema ha abbandonato la logica chiusa della mutualità corporativa e la conseguente forma giuridica privatistica della copertura assicurativa ed ha mirato e mira ad allargare sempre di più l'area dei soggetti protetti.
Non trova, quindi, piena protezione l'interesse privato alla conservazione del reddito e del livello retributivo raggiunto in servizio.
Né vale obbiettare che si sarebbe dovuto separare l'assistenza dalla previdenza e fare ricorso al prelievo fiscale piuttosto che al sistema parziale del prelievo contributivo a favore, in genere, della collettività.
Trattasi di scelte di politica sociale ed economica fatte dal legislatore e non assolutamente arbitrarie.
Il legislatore, fra un sistema di solidarietà fondato esclusivamente sulla contribuzione offerta dal lavoratore dipendente (lavoratori attivi) ed un sistema di tipo fiscale alimentato da tutta la collettività dotata di capacità reddituale, ha optato per un sistema misto o intermedio.
Da una parte ha allargato i confini interni della solidarietà previdenziale mutualistica, snaturandola in una solidarietà tra settori dotati di differente e non comparabile capacità contributiva e dall'altro ha effettuato una manovra fiscale disponendo lo sgravio (fiscale) di una parte dei contributi previdenziali sopportati dalla produzione (cd. fiscalizzazione degli oneri sociali). Ha anche allargato il sistema di finanziamento passando al bilancio statale una parte dei costi conseguenti alla erogazione delle prestazioni e alla loro perequazione automatica attingendo dal prelievo fiscale ottenuto non con una imposta o tassa ad hoc di natura tipica ma con l'afflusso proveniente dalla imposizione diretta ed indiretta sulla generalità dei cittadini.
L'integrazione finanziaria del sistema pensionistico é derivata dall'intervento diretto dello Stato senza che si determinasse un aumento delle entrate proprie dell'apparato previdenziale.
Il sistema delle assicurazioni generali ordinarie, però, si é trovato nella necessità di chiedere un più forte aiuto alle categorie più ricche sforzando ancora di più la solidarietà intersettoriale mentre la situazione é andata aggravandosi con l'invecchiamento della popolazione e il mutato rapporto con la popolazione attiva che porta al prolungamento dei rapporti pensionistici.
D'altra parte si é avuto un aumento delle retribuzioni per sanare gli effetti dannosi dell'aumento del costo della vita per effetto della svalutazione monetaria e si é dato un più adeguato compenso della professionalità.
Di contro, per contenere il fenomeno inflattivo e instaurare un decorso deflattivo, si é instaurata una politica di contenimento della spesa pubblica e, per la realizzazione di una maggiore stabilizzazione economica, si é imposto un risanamento delle gestioni previdenziali per una loro maggiore autogestione.
E questi motivi economici, in definitiva, hanno suggerito l'imposizione del tetto pensionistico.
In tale situazione rimane sempre oggetto di una scelta di politica economico - sociale e, quindi, resta affidato alla discrezione del legislatore il ricorso al prelievo fiscale anziché al prelievo contributivo. In altri termini, si tratta di stabilire se convenga una più netta separazione tra assistenza e previdenza con il conseguente inquadramento nella prima della pensione sociale, dei trattamenti minimi, delle loro perequazioni ed integrazioni, delle integrazioni pensionistiche a favore di lavoratori con esigue contribuzioni ed il loro finanziamento a carico dello Stato con imposizioni fiscali a carico di tutti i cittadini, compresi i lavoratori, lasciando che la previdenza si autofinanzi con un impianto contributivo ed un costante apporto retribuzione - pensione; o se, invece, possa essere preferibile assicurare al lavoratore una pensione adeguata corrispondente ai contributi versati e rendere, nel contempo, possibile il ricorso ed altre forme integrative.
Le scelte, comunque, spettano al legislatore, sia pure con l'auspicio di una sollecita elaborazione di norme adeguate in materia di proporzione tra contributi, retribuzione e pensione.
- - Non sono nemmeno fondate le questioni della mancata perequazione ed indicizzazione del massimale pensionistico o della mancata previsione di altri idonei meccanismi di indicizzazione; del mancato adeguamento alla svalutazione monetaria per l'anno 1982, del nuovo massimale pensionabile di cui all'art. 19 legge n. 155/81 e della limitazione, al periodo successivo all'1 gennaio 1983, della indicizzazione del massimale di retribuzione pensionabile e dell'ingiustificata esclusione di alcune pensioni; dell'adeguamento del massimale secondo l'anno di decorrenza con il conseguente sospetto di illegittimità costituzionale degli artt. 19 legge n. 153/69; 19 legge n. 155/81; 3, tredicesimo comma, legge n. 297/82; per i profili di riferimento (artt. 3,36,38 e 53 Cost.
Si sono rilevati l'appiattimento dei trattamenti pensionistici rispetto a quelli retributivi che ha accomunato situazioni profondamente diverse tra loro; l'aggravamento della disparità di trattamento originata dalla predeterminazione di un massimale pensionistico per la non retroattività delle norme sancenti l'aumento del massimale e la sua perequazione ed indicizzazione (art. 3 Cost.); la compressione verso il basso del valore del massimale originariamente concepito come idoneo a salvaguardare le esigenze vitali di coloro che avevano conseguito determinati livelli retributivi; la conseguente mortificazione della professionalità dei lavoratori più capaci da garantirsi, invece, con una più congrua retribuzione sia immediata che differita (artt. 36 e 38 Cost.); l'aggravamento della disparità di trattamento tra pensionati aventi identici livelli retributivi decurtati, ai fini pensionistici, in misura maggiore o minore a seconda della data di decorrenza della pensione.
La Corte premette che il tetto stabilito nel 1968 (art. 3 d.P.R. n. 488/68) in lire 12.600.000 é stato mantenuto fermo fino al 1981; che con l'art. 19 della legge n. 155/81 é stato elevato a lire 18.500.000; che con l'art. 3, tredicesimo comma, legge n. 297/82 annualmente é stato adeguato con la disciplina della perequazione automatica e che é stato elevato a lire 32.000.000 dall'1 gennaio 1985 dall'art. 9 legge n. 140/ 85; dall'1 gennaio 1986 a lire 34.800.000 per effetto della indicizzazione (art. 9 legge n. 160/75 e art. 3, tredicesimo comma, legge n. 297/82).
Dall'1 gennaio 1969 all'1 gennaio 1976 sono intervenute variazioni nella percentuale massima di commisurazione della pensione alla retribuzione del 65% per le pensioni aventi decorrenza successiva al 30 aprile 1968; del 74% per le pensioni aventi decorrenza successiva al 31 dicembre 1968; dell'80% per le pensioni liquidate dopo il 31 dicembre 1975 (art. 11, commi primo e secondo, legge n. 153/69).
Con l'art. 19 legge n. 153/69, sono stati presi in considerazione gli effetti dell'inflazione disponendo la rivalutazione annuale delle pensioni in relazione all'indice di incremento del costo della vita.
Siccome detto meccanismo si era rivelato inadeguato, la legge n. 160 del 1975 ha introdotto nuovi meccanismi distinguendo tra pensioni al minimo e pensioni superiori al minimo.
Per le prime si é disposta la perequazione al costo della vita sulla base di quanto avveniva per i salari (cd. scala mobile; aumento in percentuale dell'aumento del costo della vita calcolato dall'lstat ai fini della scala mobile dei lavoratori dell'industria).
Per le altre é stato previsto un duplice criterio e cioé: un aumento in quota fissa commisurato ai punti di contingenza e un aumento percentuale pari alla differenza tra la percentuale di variazione del costo della vita.
E le relative norme sono state ritenute costituzionalmente legittime (sentt. n. 349/85 e n. 12/86).
Si é poi introdotto prima la semestralizzazione della perequazione automatica (legge 29 febbraio 1980 n. 33 di conversione del d.l. 30 dicembre 1979 n. 663), poi (art. 23 legge 30 marzo 1981 n. 119) la quadrimestralizzazione della scala mobile e infine la trimestralizzazione dall'1 gennaio 1983, (art. 3 legge 29 luglio 1982 n. 297) con beneficio delle pensioni superiori al minimo in base al numero dei punti di contingenza maturati per il periodo precedente calcolando il valore del punto in lire 1.910.
É stato, però, escluso il ricalcolo degli aumenti semestrali, quadrimestrali e trimestrali della quota di perequazione (art. 14 bis, quarto comma, legge n. 33/80; art. 23, quinto comma, legge n. 119/81; art. 3, quinto comma, legge n. 297/82).
Ai fini dell'aumento non si é tenuto conto dell'anno precedente la decorrenza della pensione perché lo scopo della legge é stato quello di integrare il valore delle retribuzioni percepite negli anni più lontani rispetto a quello di decorrenza della pensione anche perché, in quell'anno, erano avvenuti aumenti ordinari della retribuzione.
Nella liquidazione delle pensioni si é data rilevanza anche al coefficiente stabilito nella misura di due punti annuali in relazione all'anzianità contributiva.
Il legislatore ha operato con gradualità, secondo scelte di politica sociale ed economica e secondo le necessità economiche del bilancio.
Ha cercato di evitare tensioni sociali in momenti di grave crisi economica.
Ha incrementato di più le pensioni sociali e quelle minime; meno quelle più elevate.
Ha contenuto la diminuzione della redditività delle pensioni in dimensioni accettabili sia quantitative che temporali sostituendo a quello vigente sistemi più rispondenti alle esigenze vitali dei pensionati e, successivamente, ha provveduto a compensare, sia pure in parte, il mancato incremento patrimoniale verificatosi nei periodi di vigenza delle norme più restrittive che poi ha modificato, sostituendole, a seconda che si verificavano miglioramenti della situazione economica (per es. la legge n. 730/83 ha abolito dall'1 gennaio 1984 il sistema del 1975; la legge 15 aprile 1985 n. 140 ha provveduto per le gestioni speciali).
Le discipline più restrittive sono durate solo alcuni anni, sicché, anche per questo carattere contingente e temporaneo, si é portati ad escludere la fondatezza delle censure (sent. n. 349/85).
La cristallizzazione del tetto pensionabile rientra nelle finalità sociali perseguite, nel risanamento e ripianamento delle gestioni previdenziali a rilevante connotazione di solidarietà sociale, nella visione unitaria di politica economica generale che il legislatore valuta e gradua nell'esercizio insindacabile della sua discrezionalità; trova compensazione nei miglioramenti apportati ai trattamenti pensionistici e nella utilizzazione per questi solo delle retribuzioni degli anni più prossimi al pensionamento e, quindi, più elevate.
Per quanto riguarda più specificamente la definizione della sfera temporale di applicazione della disciplina dell'aumento e della indicizzazione del tetto pensionabile, questa Corte ha già ritenuto che non sussiste sconfinamento dal ragionevole uso della discrezione legislativa nel senso che i trattamenti esclusi restano, dal canto loro, assoggettati ad un sistema perequativo meno utile.
La gradualità delle riforme e delle discipline previdenziali, anche migliorative, giustifica questa diversa decorrenza; esse non si compiono uno actu e sempre nello stesso momento; ma esigono la dilazione nel tempo e la progressività temporale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi (ordd. nn. 431/79; 569/79; 317/80; 724/ 80; 187/82; 188/82; 604/82; 882/82; 557/83; 819/84; 1375/84; 449/85); dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5, quarto comma, del d.P.R. 27 aprile 1968 n. 488 e delle tabelle A e B allegate al r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636 e successive modificazioni; 14, sesto comma, nel testo originario e quinto comma, nel testo sostituito dall'art. 26 della legge 3 giugno 1975 n. 160 e 19 della legge 30 aprile 1969 n. 153; 27, commi terzo e quarto, della legge 3 giugno 1975 n. 160; 19 della legge 23 aprile 1981 n. 155; 3, tredicesimo comma, della legge 29 maggio 1982 n. 297, sollevate in riferimento agli artt. 3,36,38 e 53 Cost. dalla Corte di Cassazione, dal Tribunale di Pescara e dai Pretori di Palermo, Milano, Brescia, Voghera, Torino, Cagliari, Modena ed Udine, con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1986.
Livio PALADIN - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO – Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA
Depositata in cancelleria il 7 luglio 1986.