Sentenza n. 54 del 2007

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SENTENZA N. 54

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Franco                             BILE                                      Presidente

-      Giovanni Maria               FLICK                                      Giudice

-      Francesco                        AMIRANTE                                 "

-      Ugo                                 DE SIERVO                                 "

-      Romano                           VACCARELLA                           "

-      Paolo                               MADDALENA                            "

-      Alfio                                FINOCCHIARO                          "

-      Alfonso                           QUARANTA                               "

-      Franco                             GALLO                                        "

-      Luigi                                MAZZELLA                                "

-      Gaetano                           SILVESTRI                                  "

-      Sabino                             CASSESE                                     "

-      Maria Rita                       SAULLE                                       "

-      Giuseppe                         TESAURO                                    "

-      Paolo Maria                     NAPOLITANO                            "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 24, commi 2, 4, 5, 6, 7 e 8, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366), promosso dal Tribunale di Tivoli, nel procedimento civile vertente tra A. M. G. e il Centro di Sanità s.r.l., con ordinanza del 23 giugno 2004, iscritta al n. 536 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2005.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 gennaio 2007 il Giudice relatore Francesco Amirante.

Ritenuto in fatto

1.— Nel corso di un giudizio di impugnazione, previa sospensione in via cautelare, di due delibere assembleari di una società a responsabilità limitata proposto da alcuni soci di minoranza, il Tribunale di Tivoli, con ordinanza del 23 giugno 2004, ha sollevato, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 24, commi 2, 4, 5, 6, 7 e 8, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366).

Espone il Tribunale che il giudice designato per la trattazione dell’istanza cautelare di sospensione, dopo aver sentito in contraddittorio l’amministratore unico ed i componenti del collegio sindacale, ha respinto l’istanza medesima, ritenendo operativa la clausola compromissoria prevista dal nuovo statuto della società, secondo la quale è attribuito agli arbitri anche il potere di decidere sull’impugnazione delle delibere assembleari e, di conseguenza, di esercitare il relativo potere cautelare di sospensione. Il giudice ha quindi invitato le parti a precisare le conclusioni, rimettendo la causa al collegio affinché fosse decisa con il rito abbreviato.

Il Tribunale remittente, in sede collegiale, dichiara di condividere la valutazione del giudice designato circa l’effettiva possibilità di decidere la controversia col rito abbreviato, poiché l’istanza di sospensione delle delibere assembleari è stata presentata dopo la notifica dell’atto di citazione ma prima dell’emissione del decreto di fissazione dell’udienza previsto dall’art. 12 del d.lgs. n. 5 del 2003; ciò sia per l’esistenza della menzionata clausola compromissoria, sia per la natura documentale della causa che non necessita di altra attività istruttoria.

Per dare conto della rilevanza della questione, il giudice a quo precisa, inoltre, che la clausola compromissoria, contenuta nello statuto della società convenuta, deve ritenersi pienamente valida, in quanto l’art. 35 del d.lgs. n. 5 del 2003 toglie ogni dubbio circa l’effettiva possibilità di affidare al giudizio arbitrale anche le controversie relative all’invalidità delle delibere assembleari; gli stessi attori, d’altra parte, successivamente alla notifica dell’atto di citazione e della menzionata istanza di sospensione, hanno provveduto a notificare atto di accesso agli arbitri, con richiesta di nomina degli stessi e formulazione dei relativi quesiti. Da tanto consegue, secondo il remittente, che la causa è matura per la decisione e che può essere decisa, appunto, col rito previsto dall’art. 24 del d.lgs. n. 5 del 2003.

Ciò posto, il Tribunale di Tivoli osserva che la questione di legittimità costituzionale appare non manifestamente infondata, in quanto il nuovo istituto del giudizio abbreviato di cui all’art. 24 del d.lgs. n. 5 del 2003 non può considerarsi compreso nella delega contenuta nell’art. 12, comma 2, lettera d), della legge 3 ottobre 2001, n. 366. Tale disposizione, infatti, prevede la creazione di un «giudizio sommario non cautelare, improntato a particolare celerità ma con il rispetto del principio del contraddittorio, che conduca alla emanazione di un provvedimento esecutivo anche se privo di efficacia di giudicato»; e questa delega non può che riferirsi al procedimento sommario di cognizione regolato dall’art. 19 del d.lgs. n. 5 del 2003, il quale si conclude, appunto, con un’ordinanza di condanna di per sé inidonea a passare in giudicato. L’istituto di cui al censurato art. 24, invece, si configura pacificamente, secondo il giudice a quo, come un giudizio a cognizione piena, destinato a concludersi con una sentenza, pronunciata a norma dell’art. 281-sexies del codice di procedura civile, idonea a passare in giudicato e a determinare «una stabilità di effetti incompatibile con un procedimento sommario».

Una volta escluso, perciò, che l’art. 12, comma 2, lettera d), della legge n. 366 del 2001 possa costituire la norma di delegazione idonea a regolare il rito abbreviato, detta delega, secondo il Tribunale di Tivoli, non potrebbe che rinvenirsi nella lettera a) del medesimo art. 12, comma 2, che però si limita a prevedere «la concentrazione del procedimento e la riduzione dei termini processuali». Siffatta norma, tuttavia, in considerazione del suo contenuto generale, finalizzato alla sola indicazione degli obiettivi da raggiungere, non pare al remittente improntata a principi e criteri direttivi «sufficientemente determinati per giustificare l’introduzione nel settore civile di un istituto rivoluzionario quale il giudizio abbreviato, diffuso solo in epoca recente nel giudizio amministrativo». Non si giustificherebbe, infatti, «la trasformazione di un procedimento cautelare in un giudizio a cognizione piena anche se con forme e tempi ristretti rispetto a quelli ordinari», poiché la delega non contiene neppure la previsione di quello che è ritenuto il presupposto fondamentale del giudizio abbreviato, ossia «la connessione con una domanda cautelare presentata prima dell’emanazione del decreto di fissazione di udienza».

Ne conseguirebbe, in tal modo, il totale arbitrio del legislatore delegato nella regolazione dell’istituto che, così come disciplinato, sarebbe in contrasto con gli invocati parametri costituzionali.

2.–– E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata.

Rileva, innanzitutto, l’Avvocatura che è improprio il richiamo all’art. 77 Cost., in quanto la censura del Tribunale deduce il vizio di eccesso di delega, sicché non può prospettarsi alcun profilo di assenza di delega.

Quanto al merito della censura, l’interveniente osserva che l’art. 24 del d.lgs. n. 5 del 2003 non introduce affatto una novità nel nostro sistema processuale: se per «procedimenti semplificati» si intendono, infatti, i procedimenti «definibili allo stato degli atti», è chiaro che il sistema già conosce situazioni nelle quali è possibile decidere con efficacia di giudicato i procedimenti che non necessitano di alcuna istruttoria, come prevede il rito del lavoro e come prevedeva, dopo la riforma del 1950, l’art. 187, primo comma, del codice di procedura civile.

L’effettiva novità del rito risiederebbe, invece, nella possibilità per il giudice di definire il giudizio allo stato degli atti anche in caso di effettiva deduzione di mezzi di prova; ciò, peraltro, troverebbe una sua ragionevole spiegazione nella necessità che il giudice motivi tale opzione decisoria, la quale si inserisce in un rito di «estrema specializzazione», applicato a controversie per lo più di natura documentale. Al giudice, del resto, non è consentito sindacare l’opportunità delle scelte legislative, tanto più che l’art. 12, comma 2, lettera a), della legge n. 366 del 2001 autorizzava il legislatore ad introdurre strumenti per l’ulteriore concentrazione del processo societario, con relativa riduzione dei termini processuali.

L’Avvocatura dello Stato, poi, si sofferma ad analizzare la norma di delega di cui al menzionato art. 12, osservando che essa contiene tutti gli elementi richiesti dall’art. 76 della Costituzione. Mediante ampi richiami alla giurisprudenza di questa Corte circa i rapporti tra le leggi di delegazione e i poteri del legislatore delegato, l’Avvocatura nota che rientra «nella fisiologia delle relazioni tra principi e criteri direttivi e norma delegata la circostanza che i primi non prevedano la concreta disciplina della materia». Allo stesso modo, questa Corte ha riconosciuto che la delimitazione dell’area della delega può validamente avvenire col ricorso a concetti come “clausole generali”, “ridefinizione”, “riordino” e “razionalizzazione”, sicché l’art. 12 sopra citato appare contenere, alla luce di siffatta ricostruzione, principi e criteri direttivi più che sufficienti per giustificare un istituto come quello del giudizio abbreviato.

Considerato in diritto

1.— Nel corso di un giudizio di impugnazione – previa sospensione in via cautelare – di due delibere assembleari di una società a responsabilità limitata, il Tribunale di Tivoli in composizione collegiale ha sollevato, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 24, commi 2, 4, 5, 6, 7 e 8, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366).

Il Tribunale riferisce che il giudice designato per la trattazione dell’istanza cautelare di sospensione, dopo aver sentito in contraddittorio l’amministratore unico e i componenti del collegio sindacale, sul rilievo che l’esistenza della clausola compromissoria, contenuta nello statuto della società, affidava agli arbitri anche il provvedimento cautelare, ha respinto la relativa istanza e rimesso la causa al collegio in applicazione dei commi 4 e 5 del menzionato art. 24, ritenendola matura per la decisione sia per l’esistenza di siffatta clausola, sia per il suo carattere documentale.

Il collegio condivideva l’opinione del giudice designato a provvedere sulla cautela riguardo all’applicabilità delle disposizioni relative al giudizio abbreviato.

Sulla base di tali premesse in punto di rilevanza, il Tribunale ha sollevato la questione suindicata, osservando che le disposizioni del decreto delegato aventi ad oggetto il giudizio abbreviato non sono sorrette da adeguata delega.

Riguardo alla non manifesta infondatezza, il Tribunale rileva, infatti, che la delega di cui all’art. 12, comma 2, lettera d), della legge n. 366 del 2001 contrariamente a quanto esposto nella relazione del Governo che accompagna il decreto delegato, non può riferirsi al giudizio abbreviato, perché in siffatta disposizione si prevede l’introduzione di un giudizio a cognizione sommaria definito con provvedimento inidoneo ad acquistare autorità di cosa giudicata, caratteristiche estranee al giudizio abbreviato e proprie, invece, del procedimento sommario di cognizione disciplinato dall’art. 19 del d.lgs. n. 5 del 2003.

Ad avviso del remittente, neppure la disposizione contenuta nella lettera a) dello stesso comma può sorreggere le disposizioni del decreto delegato applicabili nel giudizio a quo, in quanto essa prevede la concentrazione delle udienze e l’abbreviazione dei termini e non la configurazione di un nuovo tipo di giudizio, qual è quello disciplinato dalle disposizioni censurate, definito “abbreviato” dal legislatore.

2.— In via preliminare, si osserva che il remittente pone la questione di legittimità costituzionale soltanto con riguardo alle indicate disposizioni del decreto legislativo n. 5 del 2003. Infatti, le espressioni contenute nella prima parte dell’ordinanza – con le quali si afferma che non si ravvisa «una delega rispondente ai requisiti costituzionali nell’art. 12, comma 2, lettera d) della legge delega 3 ottobre 2001, n. 366, richiamato sul punto nella relazione governativa, né nell’art. 12, comma 2, lettera a) della stessa legge, costituente l’unica altra disposizione della legge delega invocabile ai fini della copertura del decreto legislativo delegato in materia di giudizio abbreviato» – vanno intese non come una censura autonoma di illegittimità delle disposizioni della legge di delega, perché inidonee per assoluta genericità a giustificare qualsiasi norma delegata, quanto piuttosto come rilievo della loro non attinenza al giudizio abbreviato.

Ancora preliminarmente, si rileva che la relazione del Governo al decreto legislativo, con la quale s’individua nella lettera d) del comma 2 dell’art. 12 della legge n. 366 del 2001 la norma di conferimento della delega esercitata per introdurre le disposizioni sul giudizio abbreviato, non può valere ad escludere che un’idonea delega possa essere rinvenuta in altre disposizioni del medesimo articolo, dal momento che questo viene richiamato per intero nel preambolo del decreto legislativo.

3.— La questione, così precisata, non è fondata.

Secondo i principi più volte affermati da questa Corte, il sindacato di costituzionalità sulla delega legislativa postula che il giudizio di conformità della norma delegata alla norma delegante si esplichi attraverso il confronto tra due processi ermeneutici paralleli: l’uno relativo alle norme che determinano l’oggetto, i principi e i criteri direttivi indicati dalla delega, tenendo conto del complesso di norme in cui si collocano e delle ragioni e finalità poste a fondamento della legge di delegazione; l’altro relativo alle norme introdotte dal legislatore delegato (v., ex plurimis e tra le più recenti, sentenze n. 125 e n. 199 del 2003).

Ciò premesso, si rileva anzitutto che le disposizioni impugnate hanno un duplice oggetto. Da un lato, esse contengono la disciplina del procedimento cautelare in corso di causa, autonomamente considerato (art. 24, commi 2 e 8); dall’altro regolano i rapporti tra il procedimento cautelare ed il giudizio di merito e l’accelerazione di questo ad iniziativa del giudice della cautela, introducendo così il giudizio abbreviato.

Tali disposizioni sono censurate dal remittente per la parte in cui riguardano siffatto giudizio, perché introducono nell’ordinamento un nuovo tipo di procedimento non previsto nelle disposizioni della legge di delega, ma non anche in quanto prevedono e regolano il procedimento cautelare in corso di causa.

Compiute tali precisazioni, si osserva che il giudizio abbreviato, così come configurato e definito dalle disposizioni censurate, presenta tre caratteristiche fondamentali. Esso presuppone l’esistenza di un’istanza cautelare in pendenza del procedimento di merito e l’accelerazione di questo per iniziativa del giudice della cautela, non avendo nessuna delle parti ancora presentato l’istanza di fissazione dell’udienza; è giudizio a cognizione piena e non sommaria; si conclude con una sentenza, provvedimento idoneo ad acquistare autorità di cosa giudicata. Siffatti rilievi inducono a condividere l’opinione del remittente, conforme a quella della dottrina, e a dissentire dalla relazione governativa, nel senso di escludere che la delega possa rinvenirsi nella lettera d) del comma 2 dell’art. 12 della legge n. 366 del 2001, disposizione che prevede un procedimento a cognizione sommaria destinato a concludersi con provvedimento inidoneo a passare in giudicato, istituto poi regolato dall’art. 19 del decreto delegato.

Questo rilievo tuttavia non esaurisce lo scrutinio, che va condotto, come prospetta lo stesso remittente, anche in relazione alla lettera a) dello stesso comma 2 dell’art. 12 citato. Tale disposizione dev’essere interpretata nell’ambito del contesto normativo in cui s’inserisce e delle finalità della delega. Come si è detto, questa Corte ha, infatti, affermato che il sindacato di costituzionalità sulla delega legislativa postula, secondo la costante giurisprudenza sugli artt. 76 e 77 Cost., un processo interpretativo relativo all’oggetto, ai principi ed ai criteri direttivi della delega, «tenendo conto del complessivo contesto di norme in cui si collocano e delle ragioni e finalità poste a fondamento della legge di delegazione» (sentenze n. 163 e n. 425 del 2000, n. 125 del 2003 e, più di recente, n. 280 del 2004).

Ora, non v’è dubbio che la delega abbia la principale finalità di accelerare i tempi della giustizia civile mediante norme che «…siano dirette ad assicurare una più rapida ed efficace definizione di procedimenti» in alcune materie, fra le quali il diritto societario (art. 12, comma 1, alinea e lettera a, della legge n. 366 del 2001).

Il remittente sostiene che, per il perseguimento dello scopo indicato, la legge delega non prevedeva la configurazione di un nuovo tipo di procedimento, dando così per accertato ciò che occorre dimostrare, e cioè che le disposizioni censurate introducono un nuovo tipo di procedimento.

A tale proposito è opportuno premettere che, anche in tema di questioni di legittimità costituzionale concernenti deleghe legislative, deve essere privilegiata, tra quelle ipotizzabili, una lettura delle norme conforme a Costituzione (sentenza n. 292 del 2000). Sulla base di tali considerazioni, si osserva anzitutto che l’iniziativa del giudice della cautela, consistente nell’invito rivolto alle parti a precisare le conclusioni e nella rimessione della causa al collegio, finalizzata in via principale alla più rapida emissione di un provvedimento sul merito, presuppone la pendenza del giudizio di merito; in secondo luogo, si rileva che, qualora l’opinione del giudice designato per il procedimento cautelare sia condivisa dal collegio, questo si pronuncia, appunto, a cognizione piena, emettendo una sentenza idonea ad acquistare l’autorità della cosa giudicata.

Siffatte previsioni normative, unitamente al rilievo che in ogni caso possono essere adottati provvedimenti cautelari idonei ad assicurare gli effetti della decisione sul merito, consentono di affermare che esse non configurano un tipo autonomo di procedimento, quanto piuttosto una modalità di svolgimento del giudizio di merito, diretta alla realizzazione delle finalità della delega, senza trascurare gli scopi della cautela, in ottemperanza alla menzionata prescrizione del comma 1 dell’art. 12 della legge n. 366 del 2001, secondo cui le norme emesse dal Governo in esecuzione della delega avrebbero dovuto assicurare una più rapida ed efficace definizione «di procedimenti».

A conforto di tale opinione si può rilevare, anzitutto, che l’espressione «giudizio abbreviato» ricorre soltanto nella rubrica dell’articolo oggetto della censura e mai nel suo testo normativo; in secondo luogo, che la previsione di un’iniziativa dell’organo presso il quale il processo si trova – fondata sul rilievo che non sono necessarie ulteriori attività per poter giungere alla decisione della causa e diretta, quindi, a non procrastinarla – è tutt’altro che nuova nell’ordinamento e si annovera, viceversa, fra i tradizionali poteri del giudice (quello, in particolare, di ritenere la causa matura per la decisione), senza che detta iniziativa possa essere ritenuta come sostanza di un “tipo” di procedimento. Il fatto, poi, che il giudice possa avviare la causa alla decisione di merito nell’ambito di un procedimento cautelare non è, di per sé, indice di violazione della delega, in quanto l’obiettivo è sempre quello della maggiore rapidità del procedimento, peraltro già pendente.

Le norme delegate oggetto delle censure possono essere, quindi, ritenute conformi al criterio direttivo della concentrazione del procedimento.

In considerazione di quanto detto sull’effettivo contenuto normativo delle disposizioni censurate e alla luce degli enunciati principi in tema di scrutinio di costituzionalità sul procedimento di delega legislativa, si può affermare che, nel caso in esame, i precetti di cui agli artt. 76 e 77 Cost non sono stati violati, ancorché in via generale sia auspicabile una maggiore specificazione nella determinazione dei principi e criteri direttivi da parte del legislatore delegante affinché non sia alterato l’assetto costituzionale delle fonti.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 24, commi 2, 4, 5, 6, 7 e 8, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366), sollevata, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, dal Tribunale di Tivoli con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 23 febbraio 2007.