SENTENZA N. 72
ANNO 1957
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente
Prof. TOMASO PERASSI
Prof. GASPARE AMBROSINI
Prof. ERNESTO BATTAGLINI
Dott. MARIO COSATTI
Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. MARIO BRACCI
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Dott. ANTONIO MANCA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del D.P.R. 16 settembre 1951, n. 1022, in riferimento alle norme contenute negli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione e nell'art. 2 della legge 12 maggio 1950, n. 230, promosso con ordinanza 4 aprile 1956 del Tribunale di Cosenza nella causa civile vertente tra Cosentino Giuseppe e l'Opera valorizzazione Sila, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 155 del 23 giugno 1956 ed iscritta al n. 197 del Registro ordinanze 1956.
Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 27 marzo 1957 la relazione del Giudice Giovanni Cassandro;
uditi l'avv. Rodolfo Grimaldi ed il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò.
Ritenuto in fatto
1. - Il Tribunale di Cosenza ha ritenuto che la illegittimità del D.P.R. 16 settembre 1951, n. 1022, dedotta da Giuseppe Cosentino sul fondamento che l'espropriazione avrebbe colpito terreni in quantità superiore a quella consentita dall'art. 2 della legge 12 maggio 1950, n. 230, si risolvesse in una questione di legittimità costituzionale, e pertanto con ordinanza 4-18 aprile 1956 ha sospeso il giudizio e trasmesso gli atti a questa Corte.
L'ordinanza, notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, all'Avvocatura dello Stato di Catanzaro, nonché ai Presidenti del Senato e della Camera, é stata pubblicata, per disposizione del Presidente della Corte costituzionale, nella Gazzetta Ufficiale del 23 giugno 1956, ma, prima ancora di questa data, l'Opera per la valorizzazione della Sila, rappresentata e difesa dall'Avvocatura dello Stato, ha depositato l'11 maggio 1956 nella cancelleria della Corte le sue deduzioni, chiedendo che la Corte dichiari:
a) l'improponibilità o quanto meno l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata nel corso del giudizio;
b) subordinatamente la piena legittimità del decreto legislativo delegato sopra ricordato.
2. - Il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, é intervenuto nel presente giudizio, depositando le sue deduzioni l'11 maggio 1956.
In queste deduzioni l'Avvocatura dello Stato ha riproposto l'eccezione preliminare d'improponibilità della questione di legittimità costituzionale per la sua natura di questione principale e non incidentale.
Più particolarmente e nel merito, l'Avvocatura dello Stato ha sostenuto che il limite di rispetto dei 300 ettari, contenuto nell'art. 2 della c. d. legge Sila, non deve essere considerato come assoluto e inderogabile, ma soltanto come un principio direttivo da attuare con una certa discrezionalità, tanto più che il breve termine di sei mesi dall'entrata in vigore della legge, assegnato per la compilazione dei piani di esproprio, non consente troppo minuziosi accertamenti.
3. - Il Cosentino, rappresentato e difeso dall'avv. Grimaldi, nelle deduzioni, depositate il 12 luglio 1956, sostiene che il limite di rispetto dei 300 ettari costituisce per il Governo un canone inderogabile nell'esercizio della delega e che, in conseguenza, il D.P.R. 16 settembre 1951, n. 1022, sarebbe affetto da illegittimità costituzionale per la parte riguardante la estensione di terreno eccedente il limite di 300 ettari.
4. - L'Avvocatura dello Stato, in una memoria depositata il 14 marzo 1957, ha ribadito le proprie tesi, insistendo soprattutto sull'improponibilità ed inammissibilità della questione di legittimità costituzionale. Per parte sua il Cosentino, con memoria depositata il 14 marzo di quest'anno, illustra la propria tesi nel merito della controversia e respinge l'eccezione di improponibilità sollevata dall'Avvocatura dello Stato.
5. - Nella discussione orale del 28 marzo 1957, le parti hanno illustrato le tesi e gli argomenti svolti negli scritti e nelle memorie difensive.
Considerato in diritto
1. - La Corte con la sentenza n. 59 del 13 maggio 1957 ha già respinto l'eccezione di improponibilità della questione di legittimità costituzionale dei decreti delegati di esproprio, sollevata dall'Avvocatura dello Stato, ritenendo infondata la tesi che essa coincida con l'oggetto principale del giudizio nel quale é sorta. I motivi largamente svolti nella ricordata sentenza valgono anche nei confronti del D.P.R. 16 settembre 1951, n. 1022, e ad essi si intende fare riferimento.
2. - La questione oggetto del presente giudizio si riduce tutta a stabilire l'interpretazione di quella parte dell'art. 2 della legge 12 maggio 1950, n. 230 (la c. d. legge Sila), che stabilisce: "... sono soggetti alla espropriazione i terreni di proprietà privata... i quali... appartengono a qualsiasi titolo, in comunione o pro indiviso, a singole persone o società che, al 15 novembre 1949, avevano più di 300 ettari". Ora alla Corte non pare dubbio che l'art. 2, nella parte richiamata, non soltanto stabilisce che nessuno il quale possegga terreni in misura inferiore ai 300 ettari, possa essere soggetto ad esproprio, ma anche che l'espropriazione deve arrestarsi davanti al limite dei 300 ettari. Tra le limitazioni quantitative, variamente determinate, che sono poste, nelle leggi di riforma fondiaria, all'attività espropriatrice dello Stato, v'é anche questa, particolare al territorio dove trova applicazione la legge 12 maggio 1950, n. 230, del rispetto assoluto della proprietà privata che non superi i 300 ettari. Ogni altra interpretazione dell'art. 2 urta contro il chiarissimo disposto della norma e rivela la sua arbitrarietà anche nelle conseguenze inique che comporterebbe, per la disparità di trattamento che subirebbero proprietari di terreni di estensione appena superiore ai 300 ettari e proprietari di terreni che si avvicinino da presso a questo limite o lo tocchino, senza superarlo: colpiti i primi dall'esproprio, al sicuro da questo i secondi.
Breve può essere la risposta agli argomenti che contro questa interpretazione sono stati avanzati dall'Avvocatura dello Stato. Il primo, secondo il quale quel limite dovrebbe essere inteso come un criterio direttivo o orientativo per il legislatore delegato che potrebbe, perciò, nella sua discrezionalità, non osservarlo, si fonda su una singolare interpretazione delle norme che regolano la delegazione legislativa, secondo la quale "tutte le condizioni poste nella legge di delega" sarebbero da ritenersi "equivalenti a principi o criteri direttivi", mentre, come si sa, niente vieta che vengano posti all'esercizio del potere legislativo delegato limiti precisi e rigorosi, per alcuni aspetti della delega, anzi, esplicitamente richiesti dalla norma costituzionale. Il secondo muove dalla considerazione che al legislatore delegato sarebbe mancata la possibilità di compiere con esattezza i piani particolareggiati di esproprio nel termine che gli fu imposto di sei mesi dall'entrata in vigore della legge, ed é argomento che mostra la sua inconsistenza sol che sia enunciato, perché dalla difficoltà di compiere l'opera non si può trarre la conseguenza che chi é delegato a compierla possa compierla contro le norme fissate dalla legge di delegazione. E lo stesso é da dire del terzo argomento secondo il quale il limite avrebbe potuto essere rispettato qualora il legislatore delegato avesse dovuto emanare uno solo, ma non, come deve fare, numerosi decreti di esproprio, perché é fin troppo evidente che quel limite stabilito a tutela della singola proprietà privata, non può essere travolto per il fatto che si doveva procedere alla espropriazione nei confronti di molti proprietari.
In conseguenza, il decreto 16 settembre 1951, n. 1022, nella parte nella quale ha disposto l'esproprio dei terreni di proprietà del Cosentino non rispettando il limite dell'art. 2 della legge 12 maggio 1950, n. 230, ha ecceduto dai confini della legge delega e deve per questa parte essere dichiarato costituzionalmente illegittimo.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
respinta l'eccezione pregiudiziale sollevata dall'Avvocatura dello Stato;
dichiara costituzionalmente illegittimo il D.P.R. 16 settembre 1951, n. 1022, per la parte in cui espropria terreni compresi nel limite di 300 ettari, in riferimento alle norme contenute negli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione e nell'art. 2 della legge 12 maggio 1950, n. 230.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 maggio 1957.
Gaetano AZZARITI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA.
Depositata in Cancelleria il 25 maggio 1957.