ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente
- Guido NEPPI MODONA Giudice
- Annibale MARINI “
- Franco BILE “
- Giovanni Maria FLICK “
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Alfio FINOCCHIARO “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 7, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), promossi con ordinanze del 26 marzo 2004 dal Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia, del 27 gennaio (tre ordinanze) e del 26 marzo 2004 dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria - sezione staccata di Reggio Calabria, rispettivamente iscritte ai numeri 522, 542, 622, 625 e 710 del registro ordinanze del 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 23, 24, 28 e 37, prima serie speciale, dell’anno 2004.
Visti gli atti di costituzione di Anna Di Bartolomeo, dell’Azienda ospedaliera “S. Maria della Misericordia” di Udine e della Regione Calabria, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 20 aprile 2005 il Giudice relatore Romano Vaccarella.
Ritenuto che, nel corso di un giudizio amministrativo, promosso da Anna Di Bartolomeo nei confronti dell’Azienda ospedaliera “S. Maria della Misericordia” di Udine, per ottenere l’accertamento di crediti retributivi derivanti da un rapporto di pubblico impiego cessato il 3 dicembre 1997, il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia, con ordinanza del 26 marzo 2004 (n. 522 r.o. del 2004), ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 24, 76 e 77 della Costituzione, dell’art. 69, comma 7, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), nella parte in cui stabilisce il termine di decadenza del 15 settembre 2000 per la proposizione, davanti al giudice amministrativo, delle controversie riguardanti rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (con esclusione dei rapporti non “privatizzati”), purché relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore alla data del 30 giugno 1998, in quanto tale norma: a) viola la norma delegante, che non consentiva l’introduzione di un termine decadenziale; b) rende più gravoso, per meri motivi organizzativi, al pubblico dipendente far valere i propri diritti patrimoniali, se sorti prima del 30 giugno 1998; c) detta una disciplina irragionevolmente differenziata e vessatoria per i dipendenti i cui diritti sono sorti prima di quella data rispetto agli altri dipendenti;
che il giudice a quo riferisce in punto di fatto che la ricorrente ha introdotto il giudizio con ricorso notificato il 13 settembre 2000, ma depositato nella segreteria dell’adito tribunale il 10 ottobre 2000 e che lo stesso giudice, nel medesimo giudizio, con ordinanza del 31 agosto 2001, ha già sollevato analoga questione di legittimità costituzionale dell’art. 45, comma 17, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), questione che è stata dichiarata manifestamente inammissibile dalla Corte costituzionale, con ordinanza n. 184 del 2002, essendo stata la norma denunciata abrogata dal d.lgs. n. 165 del 2001 (entrato in vigore prima della pronuncia dell’ordinanza di rimessione) e riformulata nell’art. 69, comma 7, del medesimo decreto legislativo, senza che il giudice rimettente avesse «svolto alcuna argomentazione circa la perdurante applicabilità della disposizione abrogata ai fini della definizione del giudizio dinanzi a lui pendente»;
che, in ordine alla rilevanza della questione, il giudice rimettente osserva che la controversia al suo esame riguarda crediti maturati prima del 30 giugno 1998, essendo il rapporto di lavoro della ricorrente cessato il 3 dicembre 1997, ma che la controversia medesima deve ritenersi proposta dopo la scadenza del termine del 15 settembre 2000, in quanto, secondo consolidata giurisprudenza amministrativa, il giudizio amministrativo si instaura non già con la notificazione del ricorso, bensì solo con il deposito (nella specie, avvenuto il 10 ottobre 2000) nella segreteria del tribunale del ricorso notificato, giacché solo con tale deposito il giudice è investito del giudizio e si costituisce, quindi, il rapporto processuale;
che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice rimettente rileva che l’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998 – il quale stabiliva che «le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore» alla data del 30 giugno 1998 «restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e debbono essere proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000» – è stato abrogato dall’art. 72, comma 1, lettera bb), del d.lgs. n. 165 del 2001 ed è stato sostituito dall’art. 69, comma 7, del medesimo decreto legislativo, a norma del quale «sono attribuite al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie di cui all’articolo 63 del presente decreto, relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998. Le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000»;
che tale norma non ha sostanzialmente innovato quella previgente, ma ne ha riprodotto il contenuto precettivo – sia pure con una diversa formulazione giustificata dalla circostanza che al momento dell’emanazione del d.lgs. n. 165 del 2001 era già stata superata la data del 15 settembre 2000 – confermando per le controversie relative a diritti maturati prima del 30 giugno 1998, il termine del 15 settembre 2000 non quale limite alla persistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ma quale termine di decadenza per la proponibilità della domanda giudiziale, com’è ormai “diritto vivente” nella giurisprudenza sia delle sezioni unite della Corte di cassazione sia del Consiglio di Stato;
che la prospettata interpretazione è avallata dalla considerazione che il d.lgs. n. 165 del 2001 è stato emanato in attuazione della delega contenuta nell’art. 1, comma 8, della legge 24 novembre 2000, n. 340 (Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1999), con la quale al Governo è stato conferito il potere di «emanare un testo unico per il riordino delle norme, diverse da quelle del codice civile e delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, che regolano i rapporti di lavoro dei dipendenti di cui all’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29», ossia dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni “contrattualizzati”, «apportando le modifiche necessarie per il migliore coordinamento delle diverse disposizioni»;
che, con tale delega, è stata demandata all’esecutivo un’attività meramente compilativa, con facoltà di apportare modifiche alle disposizioni in vigore solo a fini di coordinamento, vale a dire modifiche non sostanziali, tra le quali vi è, appunto, quella meramente lessicale recata dall’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001;
che, pertanto, nei riguardi dell’art. 69 del d.lgs. n. 165 del 2001 si pongono gli stessi dubbi di legittimità costituzionale già sollevati per l’analoga disposizione dell’art. 45 del d.lgs. n. 80 del 1998;
che il decreto legislativo n. 165 del 2001 – emanato, come si legge nel preambolo, «vista la legge 15 marzo 1997, n. 59» (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa) – deve, quanto al suo contenuto, ritenersi adottato «in esecuzione della citata legge delega», ed in particolare dell’art. 11, comma 4, lettera g), della legge n. 59 del 1997, che abilitava l’esecutivo a «devolvere, entro il 30 giugno 1998, al giudice ordinario […] tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni […] prevedendo: misure organizzative e processuali anche di carattere generale atte a prevenire disfunzioni dovute al sovraccarico del contenzioso»;
che, ad avviso del giudice rimettente, il legislatore delegato, con l’art. 69, comma 7 del d.lgs. n. 165 del 2001, nell’attuazione della legge delega, ha violato gli artt. 76 e 77, primo comma, Cost., in quanto le previste «misure organizzative e processuali anche di carattere generale atte a prevenire disfunzioni dovute al sovraccarico del contenzioso» sarebbero dovute servire a fronteggiare il notevole aumento di carico di lavoro del giudice ordinario (non di quello amministrativo), in conseguenza della estensione della sua giurisdizione alle controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni;
che non trova, perciò, supporto nella legge delega la disposizione dell’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, la quale, comminando la decadenza dall’azione per le pretese creditorie dei pubblici dipendenti attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore al 30 giugno 1998, mira a sgravare non già il giudice ordinario, bensì il giudice amministrativo, alla cui giurisdizione esclusiva le relative controversie rimangono attribuite;
che, sotto altro profilo, la previsione di un termine decadenziale importa, in violazione dell’art. 24 Cost., compressione del diritto di difesa dei pubblici dipendenti, i cui diritti patrimoniali siano maturati anteriormente al 30 giugno 1998, poiché costoro, che normalmente sarebbero esposti al solo termine di prescrizione quinquennale, debbono far valere i loro diritti in giudizio entro il 15 settembre 2000, pena la perdita dei diritti medesimi, senza che simile comminatoria sia giustificata dalla riorganizzazione del riparto di giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo;
che, sotto altro profilo ancora, l’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 «introduce […] anche un’irragionevole discriminazione fra soggetti che agiscono per la tutela delle stesse posizioni soggettive», rendendo più gravosa la tutela giurisdizionale per i dipendenti titolari di diritti maturati entro il 30 giugno 1998 rispetto a tutti gli altri dipendenti delle pubbliche amministrazioni;
che, ritualmente costituitasi, la ricorrente Anna Di Bartolomeo contesta preliminarmente la rilevanza della questione di legittimità costituzionale, osservando che il termine di decadenza, stabilito dall’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, deve ritenersi rispettato – contrariamente a quanto sostenuto dal giudice rimettente – se il ricorso introduttivo viene notificato, come è accaduto nella specie, entro la data fissata, senza che occorra che esso venga anche depositato nella segreteria del tribunale amministrativo regionale non oltre la data medesima;
che, secondo la deducente, l’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 va correttamente inteso nel senso che, per le questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore alla data del 30 giugno 1998, rimane ferma l’attribuzione al giudice amministrativo delle controversie promosse entro il 15 settembre 2000, mentre quelle non promosse entro tale data sono devolute al giudice ordinario;
che, nel merito, la deducente osserva che, ove la norma denunciata sia interpretata nel senso propugnato dal giudice rimettente, la questione medesima sarebbe fondata, in quanto la disposizione dell’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998 – poi sostituita dall’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 – sarebbe viziata da eccesso di delega, perché con la legge n. 59 del 1997 al Governo non era stato conferito il potere di limitare nel tempo l’esercizio dei diritti dei soli dipendenti pubblici, nei cui confronti la giurisdizione è stata trasferita al giudice ordinario, «trasformando la prescrizione dei loro diritti in decadenza», e perché l’imposizione di un termine di decadenza «non può ritenersi misura organizzativa processuale, ma criptica modifica sostanziale del diritto e della possibilità di esercitarlo»;
che, quanto alle censure relative agli artt. 3 e 24 Cost., la deducente osserva che la norma denunciata comporta una ingiustificabile e irrazionale disparità di trattamento fra i dipendenti i cui rapporti di impiego sono stati trasferiti alla giurisdizione del giudice ordinario e quelli i cui rapporti sono, invece, rimasti attribuiti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, prevedendosi solo per i primi il termine di decadenza del 15 settembre 2000 e così conculcandosi il loro diritto di difesa;
che, ritualmente costituitasi, la resistente Azienda ospedaliera “S. Maria della Misericordia”, ha eccepito la inammissibilità della questione, sull’assunto che l’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 va inteso nel senso che, dopo la scadenza del termine del 15 settembre 2000, è fatta salva la facoltà per il pubblico dipendente di far valere le proprie pretese patrimoniali davanti al giudice ordinario;
che, intervenuto nel giudizio a mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri, ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile, in quanto l’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 (come pure l’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998) sarebbe suscettibile di un’interpretazione costituzionalmente orientata, nel senso che il termine del 15 settembre 2000 non costituisce un termine di decadenza sostanziale, ma il limite temporale della giurisdizione del giudice amministrativo, oltre il quale le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore al 30 giugno 1998 sono devolute al giudice ordinario;
che, quanto al denunciato vizio di eccesso di delega, l’Avvocatura sostiene che – poiché la ratio della norma denunciata sta nel contemperamento di due contrapposte esigenze: da un lato, di subordinare il “passaggio” delle controversie di pubblico impiego dal giudice amministrativo al giudice ordinario alla decorrenza di un periodo transitorio, al fine di evitare un immediato e generalizzato sovraccarico del contenzioso davanti al giudice ordinario e, dall’altro, di delimitare il periodo transitorio, al fine di evitare che le controversie rimaste attribuite al giudice amministrativo «potessero rimanere devolute ad infinitum (in forza, ad esempio, di una pluralità indefinita di atti interruttivi della prescrizione) al giudice ormai non più munito, in linea generale, di competenza giurisdizionale» in materia – il previsto termine di decadenza per la proposizione delle controversie davanti al giudice amministrativo costituisce soluzione ottimale e perfettamente ragionevole per contemperare le opposte esigenze in armonia con il dettato della legge delega;
che, quanto alla sospettata violazione degli artt. 3 e 24 Cost., la difesa erariale osserva che un termine decadenziale di oltre due anni non confligge con la giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo la quale l’art. 24 Cost. non esige che la tutela dei diritti ed interessi sia regolata dal legislatore ordinario con uniformità di requisiti ed effetti, né vieta che l’esercizio di tale tutela sia sottoposto a termini di decadenza o di prescrizione, nei limiti in cui tale regolamentazione non risulti manifestamente irragionevole o non imponga oneri tali da compromettere irreparabilmente la tutela stessa (sentenze n. 87 del 1962, n. 113 del 1963, n. 47 del 1964, n. 100 del 1964, n. 85 del 1968, n. 77 del 1974, n. 406 del 1993, n. 461 del 1997, n. 210 del 1998);
che, quanto alla censura di irragionevolezza, la difesa erariale ne eccepisce l’inammissibilità, perché prospettata in via meramente ipotetica, senza alcuna attinenza con la controversia all’esame del giudice a quo, e, comunque, la manifesta infondatezza, in quanto, rientrando nella discrezionalità del legislatore modificare i criteri di riparto di giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo, non può considerarsi irragionevole una disciplina transitoria, con la quale sia fissato un termine oltre il quale una certa controversia non possa più essere portata davanti a un giudice, ma debba essere conosciuta dall’altro;
che, nel corso di quattro giudizi amministrativi, promossi da altrettanti pubblici dipendenti nei confronti delle rispettive pubbliche amministrazioni datrici di lavoro, per ottenere l’accertamento di crediti retributivi maturati in periodi anteriori al 30 giugno 1998, il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria - sezione staccata di Reggio Calabria, con distinte ordinanze del 27 gennaio 2004 (numeri 542, 622 e 625 r.o. del 2004) e del 26 marzo 2004 (n. 710 r.o. del 2004), di pressoché identica motivazione, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, 113 e 76 Cost., dell’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, limitatamente all’inciso «solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000»;
che il giudice a quo premette, in punto di fatto, che le controversie sono state proposte dopo la scadenza del termine di decadenza del 15 settembre 2000, in quanto i ricorsi introduttivi sono stati depositati nella segreteria dell’adito tribunale dopo tale data, precisando che solo in una delle quattro controversie (e precisamente quella promossa da Nicola Rogolino nei confronti dell’Azienda ospedaliera “Bianchi - Melacrino - Morelli” di Reggio Calabria, di cui all’ordinanza di rimessione n. 625 r.o. del 2004) il ricorso introduttivo è stato non solo depositato, ma anche notificato in data successiva al 15 settembre 2000;
che il tribunale rimettente afferma, per tutte e quattro le controversie in discorso, la propria giurisdizione, aderendo all’orientamento delle sezioni unite della Corte di cassazione, secondo cui la data 15 settembre 2000 è fissata dall’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 non quale mero limite alla persistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ma quale termine di decadenza per la proponibilità della domanda giudiziale;
che, quanto alla rilevanza della questione, il Tribunale osserva che, in applicazione della norma denunciata, dovrebbe dichiararsi l’estinzione per decadenza delle pretese azionate, essendo stati i ricorsi proposti dopo il 15 settembre 2000;
che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo sospetta di incostituzionalità la norma denunciata per violazione, in primo luogo, dell’art. 3 Cost., poiché introduce una ingiustificata disparità di trattamento fra i dipendenti pubblici, cui è imposto il termine di decadenza del 15 settembre 2000 per la proposizione delle domande relative a diritti maturati entro il 30 giugno 1998, e i dipendenti privati, per i quali valgono gli ordinari termini di prescrizione;
che la norma denunciata – ad avviso del giudice rimettente – si pone inoltre in contrasto con gli artt. 24 e 113 Cost., in quanto, da un lato, rende oltremodo difficoltosa la tutela giurisdizionale del pubblico dipendente, specie con riferimento a situazioni in cui i presupposti necessari per una tutela giurisdizionale si completino e si consolidino in epoca successiva al 30 giugno 1998, e in quanto, dall’altro lato e in generale, l’imposizione di un termine di decadenza così ristretto non trova giustificazione in alcun generale interesse dell’ordinamento;
che, ancora, la norma denunciata contrasterebbe con l’art. 76 Cost., in quanto la legge di delega n. 59 del 1997, «ai cui contenuti deve riportarsi anche il d.lgs. n. 165 del 2001», demandava al Governo di adottare «misure organizzative e processuali anche di carattere generale atte a prevenire disfunzioni dovute al sovraccarico del contenzioso» –art. 11, comma 4, lettera g) –, e l’imposizione di un termine di decadenza per agire dinanzi al giudice amministrativo non costituisce misura processuale (e, comunque, avrebbe potuto riferirsi solo alle controversie trasferite al giudice ordinario, non anche a quelle rimaste al giudice amministrativo);
che, intervenuto nei quattro giudizi a mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto, con atti di identico contenuto, che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata, sulla base di argomentazioni del tutto analoghe a quelle svolte nell’atto di intervento nel giudizio promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia (n. 522 r.o. del 2004);
che si è ritualmente costituita nel giudizio, di cui all’ordinanza di rimessione n. 710 r.o. del 2004, la resistente Regione Calabria, la quale ha concluso per l’infondatezza della questione, in quanto tra le «misure organizzative e processuali», che il Governo era stato abilitato ad adottare, ben potevano rientrare sia la conservazione della giurisdizione amministrativa per le controversie attinenti al periodo anteriore al 30 giugno 1998, sia la fissazione di un termine di decadenza per la proposizione di tali controversie, volto ad evitare il «sovraccarico del contenzioso» non solo per le controversie trasferite al giudice ordinario, ma anche per quelle rimaste al giudice amministrativo;
che, richiamata una recente sentenza del Consiglio di Stato che ha ritenuto manifestamente infondata la questione dell’eccesso di delega, la Regione Calabria osserva che la questione sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 Cost., è inammissibile, in quanto, una volta acclarato che la norma censurata costituisce corretta attuazione della legge di delega, la questione avrebbe dovuto coinvolgere anche il criterio direttivo stabilito dalla stessa legge di delega, non essendo censurato il modo in cui il legislatore delegato ha esercitato la delega, ma la stessa previsione della decadenza sostanziale;
che, successivamente, la Di Bartolomeo e l’Azienda ospedaliera “S. Maria della Misericordia” nel giudizio n. 522 del 2004, e la Regione Calabria nel giudizio n. 710 del 2004, hanno depositato memorie nelle quali illustrano ulteriormente le conclusioni di cui ai rispettivi atti di costituzione in giudizio.
Considerato che sia il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia (ordinanza n. 522 r.o. del 2004) sia il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria - sezione staccata di Reggio Calabria (ordinanze numeri 542, 622, 625, 710 r.o. del 2004) dubitano della legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 7, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), nella parte in cui – riproducendo sostanzialmente l’art. 45, comma 17, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59) – stabilisce il termine di decadenza del 15 settembre 2000 per la proposizione, davanti al giudice amministrativo, delle controversie riguardanti rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (con esclusione dei rapporti non “privatizzati”), purché relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore alla data del 30 giugno 1998, in riferimento: a) all’art. 76 Cost., per avere travalicato i limiti della delega, conferita con la legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), la quale non consentiva l’introduzione di un termine decadenziale; b) all’art. 24 Cost., in quanto rende più gravoso, per meri motivi organizzativi, al pubblico dipendente far valere i propri diritti patrimoniali, se sorti prima del 30 giugno 1998; c) all’art. 3 Cost., in quanto detta una disciplina irragionevolmente differenziata e vessatoria per i pubblici dipendenti i cui diritti sono sorti prima del 30 giugno 1998 rispetto agli altri pubblici dipendenti (TAR per il Friuli-Venezia Giulia) ovvero rispetto ai dipendenti privati (TAR per la Calabria);
che le questioni sollevate dai due Tribunali – pur se divergenti nell’individuazione del tertium comparationis, quanto al punto c), e pur se la prima ordinanza indica quale parametro costituzionale ulteriore l’art. 77, primo comma, Cost., quanto al punto a), e le altre ordinanze indicano anche l’art. 113 Cost., quanto al punto b) – sono sostanzialmente identiche, e, pertanto, devono essere riuniti i relativi giudizi;
che correttamente entrambi i Tribunali rimettenti individuano nell’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 la norma da sottoporre al sindacato di legittimità costituzionale (come da ordinanza n. 184 del 2002 di questa Corte), e ciò anche relativamente al parametro dell’art. 76 Cost., in quanto la norma censurata è stata emanata in attuazione di una delega – art. 1, comma 8, della legge 24 novembre 2000, n. 340 (Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1999) – che conferiva al Governo il potere di «emanare un testo unico per il riordino» delle norme sul rapporto di lavoro “contrattualizzato” dei pubblici dipendenti, con facoltà di apportare «le modifiche necessarie per il migliore coordinamento delle diverse disposizioni», e, pertanto, apportando modifiche puramente lessicali – dettate dall’esigenza di far riferimento ad un termine (15 settembre 2000), “futuro” nella norma sostituenda, e “passato” in quella sostitutiva (cfr. ordinanza n. 214 del 2004) – a quanto previsto dall’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998;
che, conseguentemente, anche l’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 – così come, in precedenza, l’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998 – è suscettibile di sindacato, quale norma delegata ed in riferimento all’art. 76 Cost., avendo riguardo al principio direttivo di cui all’art. 11, comma 4, lettera g), della legge delega n. 59 del 1997;
che deve ribadirsi (cfr. ordinanza n. 214 del 2004), in via preliminare, l’inaccettabilità della tesi secondo la quale il termine del 15 settembre 2000 si configurerebbe come di confine tra la giurisdizione del giudice amministrativo e quella del giudice ordinario, essendo viceversa evidente per la formulazione della norma ed assolutamente dominante nella giurisprudenza sia delle Sezioni unite della Corte di cassazione sia del Consiglio di Stato l’interpretazione secondo la quale tale termine – come previsto sia dall’abrogato art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998, sia dall’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 – deve ritenersi di decadenza per l’esercizio del diritto di azione;
che le questioni sollevate dall’ordinanza (n. 522 r.o. del 2004) del Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia e da tre ordinanze (numeri 542, 622 e 710 r.o. del 2004) del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria sono manifestamente inammissibili, essendo palesemente irrilevante nei giudizi a quibus la previsione di un termine di decadenza, fissato nel 15 settembre 2000, per la proposizione di controversie introdotte con ricorsi – riferiscono i Tribunali rimettenti – notificati anteriormente a detto termine, pur se depositati in data ad esso successiva;
che, per principio generale del processo, ribadito dalla legge disciplinatrice del processo amministrativo – art. 36 del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato), richiamato dall’art. 19 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali); artt. 21 e 23-bis, comma 7, della legge n. 1034 del 1971 –, la controversia deve ritenersi “proposta” e, conseguentemente, impedita ogni decadenza, con la notifica del ricorso, assumendo il deposito del ricorso rilevanza esclusivamente al fine della sua procedibilità (ovvero, in via transitoria ed eccezionale, per radicare l’originaria – ed eccezionale, dopo l’introduzione del doppio grado nel giudizio amministrativo – competenza del Consiglio di Stato rispetto a quella, sopravvenuta ed ordinaria, dei tribunali amministrativi regionali, come previsto dall’art. 38 della legge n. 1034 del 1971: cfr. Consiglio di Stato - adunanza plenaria 28 luglio 1980, n. 35);
che la questione sollevata dal Tribunale amministrativo della Calabria con ordinanza n. 625 del 2004 – rilevante per essere stato il ricorso notificato in data successiva al 15 settembre 2000 – è manifestamente infondata sotto tutti i profili dedotti;
che non sussiste alcuna violazione dell’art. 3 Cost., in quanto la disparità di trattamento tra i dipendenti privati e quelli pubblici, soggetti – relativamente ai diritti sorti anteriormente alla data del 30 giugno 1998 – ad un termine di decadenza, è ragionevolmente giustificata dall’esigenza di contenere gli effetti, temuti dal legislatore come pregiudizievoli per il regolare svolgimento dell’attività giurisdizionale, prodotti dal trasferimento della competenza giurisdizionale al giudice ordinario e dal temporaneo mantenimento di tale competenza in capo ai tribunali amministrativi, ed in quanto è ampia la discrezionalità del legislatore nell’operare le scelte più opportune – purché non manifestamente irragionevoli e arbitrarie – per disciplinare la successione di leggi processuali nel tempo (sentenza n. 400 del 1996; ordinanze n. 294 del 1998 e n. 490 del 2000);
che non sussiste nemmeno violazione degli artt. 24 e 113 Cost., dal momento che, da un lato, non è certamente ingiustificata – per quanto si è appena detto – la previsione di un termine di decadenza e, dall’altro lato, tale termine (di oltre ventisei mesi) non è certamente tale da rendere “oltremodo difficoltosa” la tutela giurisdizionale;
che non sussiste, infine, alcuna violazione dell’art. 76 Cost., dal momento che l’art. 11, comma 4, lettera g), della legge delega 15 marzo 1997, n. 59, conferiva al Governo il potere di «adottare misure organizzative e processuali anche di carattere generale atte a prevenire disfunzioni dovute al sovraccarico del contenzioso», in occasione del trasferimento della competenza giurisdizionale dai tribunali amministrativi regionali all’autorità giudiziaria ordinaria in materia di pubblico impiego e del contestuale trasferimento da quest’ultima ai primi della competenza giurisdizionale in materie attinenti ai servizi pubblici ed al governo del territorio;
che, in tema di rapporti tra legge di delega e decreto legislativo, questa Corte ha costantemente affermato che «il giudizio di conformità della norma delegata alla norma delegante si esplica attraverso il confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli, tenendo conto delle finalità che, attraverso i principi ed i criteri enunciati, la legge delega si prefigge con il complessivo contesto delle norme da essa poste e tenendo altresì conto che le norme delegate vanno interpretate nel significato compatibile con quei principi e criteri» (sentenze n. 425 del 2000, n. 15 del 1999), in quanto «la delega legislativa non fa venir meno ogni discrezionalità del legislatore delegato, che risulta più o meno ampia a seconda del grado di specificità dei principi e criteri direttivi fissati nella legge delega» (ordinanza n. 490 del 2000); sicché, «per valutare di volta in volta se il legislatore delegato abbia ecceduto tali – più o meno ampi – margini di discrezionalità, occorre individuare la ratio della delega, per verificare se la norma delegata sia ad essa rispondente» (sentenze n. 163 del 2000, n. 199 del 2003); e che la disposizione di cui all’art. 76 Cost. «non osta all’emanazione di norme che rappresentino un coerente sviluppo e, se del caso, anche un completamento delle scelte espresse dal legislatore», essendo escluso «che le funzioni del legislatore delegato siano limitate ad una mera “scansione linguistica” delle previsioni dettate dal delegante», ed «essendo consentito al primo di valutare le situazioni giuridiche da regolamentare e di effettuare le conseguenti scelte, nella fisiologica attività di “riempimento” che lega i due livelli normativi, rispettivamente della legge di delegazione e di quella delegata» (sentenze n. 199 del 2003 e n. 308 del 2002);
che, alla luce di tali principî, deve affermarsi che il legislatore delegato ha fatto corretto uso del potere conferitogli dal Parlamento, allorché ha individuato nella decadenza dal diritto di azione una “misura processuale” idonea a conseguire l’obiettivo di evitare il “sovraccarico di lavoro” che, per i tribunali amministrativi regionali, si sarebbe determinato conservando temporaneamente la giurisdizione sul pubblico impiego ed acquisendo quella in materie correlate ai servizi pubblici ed al governo del territorio;
che la circostanza che il termine di decadenza produca, ove questa si verifichi, effetti sul diritto sostanziale non vale ad escluderne la natura di “misura processuale”, essendo tale locuzione manifestamente volta a designare – come è reso palese dalla genericità del termine “misura” – i più opportuni accorgimenti aventi quale effetto il contenimento del contenzioso;
che l’art.11, comma 4, lettera g), della legge delega n. 59 del 1997, infatti, vincolava il legislatore delegato esclusivamente «a devolvere, entro il 30 giugno 1998, al giudice ordinario» le controversie del pubblico impiego “contrattualizzato”, rimettendogli integralmente la scelta concreta del regime transitorio attraverso il quale «prevenire disfunzioni dovute al sovraccarico del contenzioso»;
che il legislatore delegato ha fatto ragionevole uso della discrezionalità insita nel potere legittimamente conferitogli dal Parlamento, preoccupandosi del “sovraccarico del contenzioso” presso il giudice ordinario, sia prevedendo strumenti processuali originali (ad esempio, art. 64 del d.lgs. n. 165 del 2001: cfr. sentenza n. 199 del 2003) sia evitando di gravarlo del contenzioso relativo a diritti sorti anteriormente alla data fissata dalla legge per la “devoluzione”, e preoccupandosi, altresì, del sovraccarico del contenzioso per i tribunali amministrativi – ai quali erano state contestualmente devolute materie (anche in termini eccedenti la delega: cfr. sentenze n. 292 del 2000 e n. 281 del 2004) relative ai pubblici servizi ed al governo del territorio – con il porre un termine finale, non vessatorio per i lavoratori interessati, per la proposizione di domande relative a diritti anteriormente sorti;
che, se è vero che ben avrebbe potuto il legislatore delegato attribuire al termine del 15 settembre 2000 la natura di semplice confine tra la (eccezionalmente prorogata) giurisdizione del giudice amministrativo e quella (divenuta “ordinaria”) del giudice civile, è anche vero che esso avrebbe in tal modo soltanto procrastinato (ma non evitato) per quest’ultimo il “sovraccarico del contenzioso”, investendolo anche, per la parte non fatta valere entro il 15 settembre 2000 davanti ai TAR, di controversie relative a diritti sorti anteriormente al 30 giugno 1998 (al quale proposito può rilevarsi come sia contraddittorio sostenere che la delega mirava a prevenire il sovraccarico del contenzioso presso il solo giudice ordinario ed auspicare che la decadenza dal diritto di azione venga meno per trasformarsi in mero confine tra le due giurisdizioni);
che, conseguentemente, la scelta della decadenza dal diritto di agire non solo è conforme al principio direttivo della delega, ma è anche la più rispettosa delle finalità indicate dal Parlamento, in quanto misura idonea a prevenire il temuto sovraccarico di entrambi i giudici investiti del contenzioso del pubblico impiego ed idonea, altresì, a realizzare tra di essi un ordinato riparto di tale contenzioso, con l’evitare che per la medesima concreta controversia fosse previsto il succedersi, nel tempo, della giurisdizione di un giudice a quella di un altro giudice.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 7, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), sollevate, in riferimento agli articoli 3, 24, 113, 76 e 77 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia e dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria - sezione staccata di Reggio Calabria, con le ordinanze numeri 522, 542, 622 e 710 r.o. del 2004;
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, 113 e 76 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria - sezione staccata di Reggio Calabria, con l’ordinanza n. 625 r.o. del 2004.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2005.
F.to:
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Romano VACCARELLA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 26 maggio 2005.