ANNO 1964
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
Prof. MICHELE FRAGALI
Prof. COSTANTINO MORTATI
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
Dott. GIUSEPPE VERZÌ
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 77 del R. D. 30 dicembre 1923, n. 3270, contenente la legge tributaria sulle successioni, promosso con ordinanza emessa il 31 ottobre 1963 dal Tribunale di Bari nel procedimento civile vertente tra Rossi Emilia e Rossi Maria Gaetana, iscritta al n. 69 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 126 del 23 maggio 1964.
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Rossi Emilia;
udita nell'udienza pubblica del 21 ottobre 1964 la relazione del Giudice Michele Fragali;
udito l'avv. Francesco Silvestri, per Rossi Emilia.
Ritenuto in fatto
1. - Pronunziando in un processo civile vertente tra Rossi Emilia e Rossi Maria Gaetana, il Tribunale di Bari, in accoglimento di una eccezione proposta da quest'ultima, ha sollevato dubbi sulla legittimità dell'art. 77 del R. D. 30 dicembre 1923, n. 3270, contenente la legge tributaria sulle successioni, nella parte in cui si dispone che, decorsi i termini per il pagamento dell'imposta ivi prevista, l'erede, il legatario, il tutore, il curatore, l'amministratore, il sequestratario e l'esecutore testamentario non possono agire in giudizio senza provare che il pagamento é stato eseguito o che la successione é esente da tassazione ai sensi dell'art. 17 del R. D. predetto.
Il Tribunale ha rilevato che la norma predetta potrebbe ritenersi in contrasto con i principi affermati negli artt. 3 e 24 della Costituzione, perché crea un ostacolo di ordine economico, il quale, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impedisce il pieno sviluppo della persona umana e perché viola la norma costituzionale secondo la quale tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti.
L'ordinanza, emessa il 31 ottobre 1963, é stata notificata ai procuratori delle parti il 22, il 26 e 27 novembre 1963, e al Presidente del Consiglio dei Ministri il 23 dicembre 1963; é stata comunicata ai Presidenti delle due Camere il 12 dicembre 1963. É stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 126 del 23 maggio 1964.
2. - É comparsa in giudizio soltanto la signora Emilia Rossi, la quale, nelle deduzioni depositate il 10 giugno 1964, ha ribadito le ragioni proposte dal Tribunale.
Ha affermato, a tal fine, che la disposizione denunciata, in quanto determina una improcedibilità dell'azione, é equivalente a quella dell'art. 95 dello stesso decreto, per cui non sono ammessi in giudizio ricorsi di opposizione o istanze contro l'ingiunzione di pagamento o la liquidazione di tasse e pene pecuniarie, salvo il caso che la opposizione sia proposta contro la richiesta di tassa suppletiva. Questa seconda norma sancisce il principio del solve et repete; come questa, afferma che non può agirsi in giudizio se non si sia pagata l'imposta di successione, e si risolve nella disapplicazione del precetto costituzionale che garantisce al cittadino la possibilità dell'accertamento giudiziario del proprio diritto. Non si può distinguere fra procedibilità dell'azione e sospensione del processo, perché questo non potrebbe essere riattivato se la parte non é abbiente.
Ha rilevato inoltre che il caso é diverso da quello deciso dalla Corte con sentenza 4 aprile 1963, n. 45, in merito ad una analoga norma della legge sul registro. In tale sentenza si affermò che questa norma non impedisce la tutela giurisdizionale di un diritto fondato su una scrittura non registrata perché, non ottemperando all'obbligo di registrazione, la parte dispone della funzione probatoria o documentale che la scrittura era chiamata a svolgere, sulla base di una valutazione di convenienza compiuta come in ogni caso in cui la legge assoggetta ad oneri l'esercizio del diritto; invece la norma oggi denunziata, secondo la Rossi, non consente alla parte alcuna alternativa e una qualsiasi possibilità di scelta per la tutela del diritto offeso. La citata sentenza della Corte rilevò che non si poteva far valere il principio della eguaglianza, né per consentire alla parte di trarre vantaggio dalla sua attuale condizione patrimoniale di non abbienza, né per continuare a sottrarsi all'adempimento di una obbligazione che avrebbe dovuto soddisfare già prima del giudizio; nel caso in esame, l'obbligazione si é maturata nel corso del giudizio, e la parte non si vuole sottrarre all'obbligo del pagamento della imposta, ma, con l'accertamento del suo diritto, che fa sorgere la sua obbligazione tributaria, vuole essere posta in condizione di assolvervi. A rimuovere gli effetti della sospensione occorrerebbe, nel caso di non abbiente privo del possesso dei beni ereditari, che questi fossero escussi direttamente dal fisco e da esso alienati in tutto o in parte; il che equivarrebbe a rendere improduttivo di effetti l'accertamento del diritto, perché esso si domanderebbe quando più non potrebbero far parte dell'asse ereditario quei beni che del diritto erano oggetto.
Avvenuta la presentazione della denuncia di successione e conseguentemente individuati i beni assoggettabili ad imposta, che é il caso in esame, resta esclusa, secondo la Rossi, la possibilità di evasione dall'obbligazione relativa; la quale peraltro resta garantita dal privilegio di cui all'art. 68 della legge.
3. - Nella memoria difensiva, depositata il 1 ottobre 1964, la Rossi ha confermato la sua convinzione di illegittimità costituzionale per la norma denunziata.
Rilevato che la Corte di cassazione, con sentenza n. 1332 del 1961, ha statuito che la norma predetta costituisce una applicazione del principio del solve et repete, ha soggiunto che é necessario raffrontare all'esigenza del rispetto dei diritti civili, di cui fa parte il diritto di agire e di difendere in giudizio, tutte le norme che determinano una improcedibilità dell'azione. Ha osservato che le ragioni che militano per l'affermazione della illegittimità costituzionale dell'art. 6, secondo comma, della legge n. 2248, all. E, del 1865, già accolte da questa Corte nella sentenza 31 marzo 1961, n. 21, e confermate nella successiva sentenza 22 dicembre 1961, n. 79, a proposito dell'art. 149 della legge del registro, dell'art. 52 della legge sull'i.g.e. e dell'art. 24 della legge doganale, depongono anche contro la legittimità della norma impugnata. Essa si rivela esosa, perché intesa, non già alla percezione del tributo, assicurata dall'individuazione dei beni e dei titolari di essi e per giunta garantiti da privilegio, ma all'immediatezza di detta percezione, perché nega al non abbiente la possibilità di far valere il proprio diritto. Nel caso in cui l'esistenza di questo diritto é, non solo evidente, ma documentata, la parte si trova esposta alla preclusione della sua iniziativa processuale per effetto di un interesse fiscale che non trova garanzia costituzionale prevalente su quello alla tutela giurisdizionale; il diritto a tale tutela non é infatti posto in relazione con l'adempimento del dovere di concorrere alle spese pubbliche, mentre la norma denunciata lo subordina a tale adempimento, che potrebbe essere assicurato da sanzioni di diversa natura. L'obbligo previsto dalla norma in esame ha lo scopo precipuo di facilitare l'esplicazione dell'attività amministrativa diretta alla ricerca e alla constatazione del presupposto del tributo, in modo da impedire o reprimere evasioni di tributi; ma, eseguita, come nella specie, la denuncia, il fisco trova garanzia nel privilegio che esso ha su tutti i beni facenti parte del compendio successorio.
La Corte costituzionale ha ammesso che l'interesse dello Stato alla percezione dei tributi possa essere attuato nel processo civile entro determinati limiti, i quali consistono in una stretta e razionale relazione di quell'interesse con il processo, nella configurazione dell'obbligo di soddisfare l'interesse stesso con modalità di esercizio dell'azione: nella specie, secondo la Rossi, la individuazione, fatta mercé la denunzia, non solo dei cespiti sui quali ricade il tributo, ma anche dei titolari di essi e il concretamento del privilegio dello Stato sui beni ereditari realizza l'interesse pubblico su ricordato. Non si impedisce, nella specie, di far valere documenti a sostegno delle proprie ragioni, ma si fa valere la pretesa dello Stato mediante una improcedibilità dell'azione, come per il solve et repete; la si fa valere anche rispetto al non abbiente e a colui che non é in possesso dei beni ereditari, creandosi disparità fra soggetti e soggetti.
Il soddisfacimento dell'obbligo del pagamento, sostiene la Rossi, in tutti i giudizi di natura successoria, é strettamente legato all'esito del giudizio: oggettivamente, per quanto riguarda la esistenza o meno dei cespiti, soggettivamente, per quanto riguarda il sorgere dell'obbligazione nei confronti del soggetto che agisce in giudizio deducendo la qualità ereditaria.
E, fino a quando non é intervenuta la pronunzia, non sussiste la situazione illecita, considerata dalla Corte nella sentenza n. 45 del 1963, di chi vuol trarre vantaggio dalla propria condizione patrimoniale per continuare a sottrarsi ad una obbligazione che si sarebbe dovuta soddisfare già prima del giudizio.
4. - All'udienza del 21 successivo, la parte ha illustrato le considerazioni già svolte.
Considerato in diritto
1. - L'ordinanza del Tribunale contesta la legittimità dell'art. 77 del R. D. 30 dicembre 1923, n. 3270, contenente la legge tributaria sulle successioni, soltanto in quanto, ove non sussistano casi di esenzione dalla imposta, fa carico alla parte di dimostrarne l'avvenuto pagamento quando deduce in giudizio posizioni ereditarie ed é scaduto il termine stabilito o concordato per l'adempimento dell'obbligazione tributaria. Non é in discussione cioè la legittimità dell'onere di denunciare la successione, pure imposto dal predetto articolo; ed esso pertanto deve rimanere fuori dall'esame della Corte.
Fuori di detto esame deve inoltre rimanere la questione della legittimità costituzionale degli artt. da 77 a 83 del decreto predetto nella parte in cui, in ipotesi diverse dall'azione giudiziaria e nelle condizioni stesse previste per essa, determina un onere identico a quello che l'ordinanza ritiene non conforme alla Costituzione.
Rientra invece nell'oggetto dell'odierno processo la deduzione, nell'ordinanza, dell'illegittimità dell'obbligo del giudice di sospendere il procedimento ove non sia assolto l'onere suddetto, per quanto nel suo dispositivo non si richiami espressamente l'art. 78 della suddetta legge, che é la fonte di quell'obbligo: altre volte la Corte ha deciso che l'ordinanza del giudice a quo va considerata nel suo complesso.
2. - La Corte ritiene che le questioni proposte siano fondate, in relazione all'art. 24 della Costituzione.
Sentenze precedenti hanno affermato che non viola il diritto alla tutela giurisdizionale l'imposizione di oneri fiscali che siano razionalmente collegati alla pretesa dedotta in giudizio, e siano di tal natura da costituire un regolamento delle modalità di esercizio dell'azione giudiziaria che non renda difficile o impossibile l'esperimento (27 giugno 1963, n. 113; 4 giugno 1964, n. 47). Nel concorso di quelle circostanze l'onere é stimolo legittimo all'adempimento degli obblighi tributari ed é un modo di tutela dell'interesse generale alla riscossione dei tributi, compatibile con la regola di inviolabilità della protezione giudiziaria (sentenza 4 aprile 1963, n. 45; 19 novembre 1964, n. 91).
Senonché l'onere cui si riferisce la ordinanza del Tribunale di Bari é di quelli che comprimono eccessivamente il diritto all'azione.
3. - Quando la Corte dichiarava non fondata l'analoga questione di illegittimità proposta in relazione a leggi sulle imposte di bollo e di registro, aveva all'esame ipotesi di tributi riguardanti il documento probatorio della pretesa fatta valere in giudizio; in modo che l'onere di soddisfarli incideva, non sull'azione, ma sulla disponibilità di mezzi probatori e, nel caso di scrittura richiesta ad substantiam, sulla disponibilità della situazione sostanziale (4 aprile 1963, n. 45).
La norma in esame invece non opera né sulla disponibilità della situazione sostanziale, perché il titolo successorio, se esiste, rimane nella sfera dell'erede o del legatario per quanto non lo si possa far valere, né sulla disponibilità della prova di quel titolo, perché l'imposta riguarda il trasferimento mortis causa, non la dimostrazione della sua esistenza.
La legge opera sull'azione perché impedisce di esperire anche i diritti successori sulla cui prova ed esistenza non sorge contestazione; e impedisce tale esperimento senza permettere scelte di convenienza quando l'imposta di successione é di ammontare superiore al valore del diritto singolo per cui si invoca la protezione giudiziaria. L'eccessività della restrizione apportata a questa protezione sta in tale possibilità di sicura sproporzione fra l'obbligo tributario e il diritto sostanziale per il quale si vuole adire o si é adito il giudice; a parte che, in tali casi, si ha altresì una parziale mancanza di correlazione fra quell'obbligo e il diritto, perché si fa carico di soddisfare un tributo che solo in parte alla pretesa dedotta specificatamente pertiene.
Vi é inoltre da aver presente che, ove si agisca in giudizio per far accertare il titolo ereditario contestato, l'obbligo di corrispondere, ciò non pertanto, l'imposta di successione, crea una situazione simile a quella che era costituita dalla regola del solve et repete, perché costringe al pagamento di un tributo prima ancora che si accerti in modo definitivo il titolo in base al quale esso potrebbe esigersi. Ed anzi si può dire che si delinea una situazione di maggiore inasprimento posto che, essendo ancora incerta la materia imponibile, che nel caso dell'imposta di successione non é mai oggetto di accertamento preventivo da parte degli uffici tributari, la liquidazione del tributo che tali uffici predispongono non é nemmeno assistita da una presunzione di legittimità: si fonda soltanto su una denunzia della parte accompagnata da una dichiarazione di pendenza di un giudizio, e quindi su una mera manifestazione di opinione circa la esistenza del titolo successorio e circa l'entità del compendio ereditario, non su una confessione della obbligazione tributaria. La limitazione del diritto di agire apparirà ancora più grave ove si consideri che l'Amministrazione finanziaria ha privilegio su tutti i beni ereditari (art. 68 della legge); in modo che l'azione che l'erede o il legatario promuove allegando il proprio titolo, é anche d'interesse della Amministrazione, perché riporta completamente nella sfera del debitore dell'imposta quel bene che in atto sfugge al privilegio o rende possibile il recupero di crediti il cui adempimento potrebbe essere indirizzato direttamente nella sfera della medesima Amministrazione, ove essa provvedesse all'esperimento dei mezzi posti dall'ordinamento a sua disposizione per l'attuazione del privilegio.
4. - Non é stata denunciata l'illegittimità degli artt. 79 e 80 della legge predetta nella parte in cui sanzionano, con l'obbligo di pagare anche l'imposta, l'inosservanza dell'onere previsto nell'art. 77 per l'esercizio dell'azione giudiziaria.
La sanzione é evidentemente una conseguenza dell'imposizione dell'onere di provare il pagamento della tassa, la dilazione o l'esenzione; venuto meno questo onere agli effetti dell'azione giudiziaria, viene meno la corrispondente sanzione, e pertanto gli articoli predetti debbono essere dichiarati illegittimi con riferimento ad essa, per quanto concerne l'esperimento di quella azione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 77, 78, 79 e 80 del R. D. 30 dicembre 1923, n. 3270, contenente la legge tributaria sulle successioni, nella parte in cui dispongono che le persone ivi indicate, quando fosse scaduto il termine per il pagamento della tassa, o quel termine scadesse nel corso del procedimento, non possono agire in giudizio o proseguirlo senza aver dato la prova dell'avvenuto pagamento, della ottenuta dilazione o della esenzione, e nella parte in cui sanzionano, con l'obbligo di corrispondere l'importo delle tasse e delle sopratasse, l'inosservanza di quello di richiedere la prova suddetta.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 dicembre 1964.
Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO.
Depositata in Cancelleria il 7 dicembre 1964.