SENTENZA N. 45
ANNO 1963
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 85, 106, 108, 118, 121 e 122 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, che approva la legge sul registro; degli artt. 1 e 3 del R.D. 13 gennaio 1936, n. 2313; dell'art. 7 del R.D. 15 novembre 1937, n. 1924, all. B; dell'art. 2 della legge 3 dicembre 1942, n. 1548, contenente norme relative al bollo o alla registrazione degli atti e documenti prodotti dalle parti nei procedimenti civili, promossi con le seguenti ordinanze:
1) 5 dicembre 1961 del Pretore di Firenze nel procedimento civile promosso da Agostini Luciano contro Malquori Ugo, iscritta al n. 9 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51 del 24 febbraio 1962;
2) 9 maggio 1962 del Pretore di Cuneo nel procedimento civile promosso da Aimar Bartolomeo contro Lamberto Giuseppe, iscritta al n. 112 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 164 del 30 giugno 1962.
Visti l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e gli atti di costituzione in giudizio di Agostini Luciano e di Malquori Ugo;
udita nell'udienza pubblica del 23 gennaio 1963 la relazione del Giudice Michele Fragali;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Il Pretore di Firenze, con ordinanza 5 dicembre 1961, denunziava a questa Corte l'illegittimità costituzionale degli articoli 106, 108, 118, comma primo, nn. 2 e 3, comma secondo e comma terzo del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, che approva la legge sul registro (modificati con il R.D. 13 gennaio 1936, n. 2313, e con l'art. 7 del R.D. 15 novembre 1937, n. 1924, all. B) e dell'art. 2 della legge 3 dicembre 1942, n. 1548, contenente norme relative al bollo e alla registrazione degli atti e documenti prodotti dalle parti nei procedimenti civili.
Analogamente provvedeva il Pretore di Cuneo, con ordinanza 9 maggio 1962, riguardo agli artt. 85, 106, 108, 118, 121 e 122 della citata legge sul registro, agli artt. 1 e 3 del predetto R.D. 13 gennaio 1936, n. 2312 (rectius: n. 2313), all'art. 7 del ricordato R.D. 15 novembre 1937, n. 1924, all. B, e all'art. 2 della già richiamata legge 3 dicembre 1942, n. 1548.
Il Pretore di Firenze rilevava che il sistema risultante dalle leggi considerate nella sua ordinanza, imponendo al giudice di esaminare gli atti e i documenti prodotti soltanto dopo che si é assolto all'obbligazione fiscale connessa alla registrazione, non solo subordina il diritto di difesa al soddisfacimento di esigenze completamente estranee alla tutela giurisdizionale, ma compromette la realizzazione di questa tutela, e crea disuguaglianze fra cittadini, in dipendenza della diversa possibilità economica di far fronte alle obbligazioni fiscali.
Anche il Pretore di Cuneo affermava il concetto che le disposizioni della legge sull'imposta di registro indicate nella sua ordinanza formano ostacolo e limite alla tutela giurisdizionale; rilevava altresì che l'interesse fiscale non trova garanzia poziore rispetto al diritto a quella tutela.
2. - Le ordinanze suddette sono state rispettivamente notificate in data 18 dicembre 1961 e 25 maggio 1962, comunicate in data 9 dicembre 1961 e 18 maggio 1962 e pubblicate nelle (gazzette Ufficiali della Repubblica n. 51 del 24 febbraio 1962 e n. 164 del 30 giugno 1962.
Nel procedimento promosso dal Pretore di Firenze si sono costituiti Malquori Ugo e Agostini Luciano. intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri. Sono state presentate deduzioni e memorie.
3. - Il Presidente del Consiglio obietta che le norme sulle quali verte il dubbio posto alla Corte costituzionale istituiscono obbligazioni accessorie a quella di imposta e quindi di essenza identica alla natura dell'obbligazione principale. Si riferiscono ad obblighi che il contribuente avrebbe dovuto soddisfare prima dell'instaurazione del giudizio; e l'adempimento dei medesimi non costituisce un presupposto sostanziale dell'azione, bensì é requisito per l'esercizio dell'attività giurisdizionale. L'inosservanza non produce l'improcedibilità della domanda e nemmeno la negazione della tutela giurisdizionale, o un difetto di giurisdizione, come nel caso del solve et repete; né vi é nullità del procedimento o della sentenza se il giudice viola il divieto, accadendo soltanto che egli soggiace alla sanzione prevista dalla legge. La sospensione processuale, che il divieto determina, si aggiunge a quelle previste nell'art. 295 del Cod. proc. civile, con la sola differenza che l'istanza giudiziaria può essere validamente riproposta anche dopo il decorso del termine di cui all'art. 297 dello stesso Codice; né l'art. 24 della Costituzione esclude che la tutela giurisdizionale possa subordinarsi a modalità e limitazioni che concernono l'esercizio concreto della facoltà di agire e di difendersi in giudizio, in correlazione alla disciplina che si vuol dare al singolo rapporto o alla particolare materia. Non può apparire nemmeno illogico che la legge chiami a collaborare all'accertamento del tributo alcune categorie di persone che svolgono attività aventi relazione con gli elementi di fatto ai quali si ricollega la nascita del rapporto tributario, allo scopo di agevolare l'accertamento del tributo ed evitarne l'evasione.
La registrazione dei contratti scritti e la denuncia di alcuni contratti verbali non sono previste esclusivamente per fini fiscali. La registrazione accerta la legale esistenza degli atti ed imprime alle scritture la data certa di fronte ai terzi, e la mancanza di registrazione non toglie all'atto efficacia probatoria fra le parti. L'atto non registrato ha una inefficacia soltanto esterna, che é di carattere sostanziale; e discende certamente da questa inefficacia il divieto della cui illegittimità costituzionale la Corte é chiamata a giudicare, che, riguardando tutti coloro che la legge prevede possano venire in contatto con l'atto, concerne ogni sfera in cui questo può farsi valere, non semplicemente la sfera processuale. La quale viene incisa, come riflesso o conseguenza di una inefficacia di ordine generale, non per una preclusione alla tutela giurisdizionale, che può conseguirsi ugualmente se la parte, ad esempio, deferisca un giuramento, o se la controparte riconosca la pretesa, o se il giudice riconosca fondata una eccezione di decadenza o di prescrizione, oppure ritenga che alla base dei suoi provvedimenti non debba porsi esclusivamente l'atto registrato, ma sul terreno della prova, perché il divieto riguarda soltanto l'atto necessario ai fini della sentenza, e restringe il modo di formazione del convincimento del giudice, al pari delle norme che pongono limiti di valore all'ammissibilità della prova testimoniale o esigono per un atto la forma pubblica.
Quanto all'assunto della violazione del principio di eguaglianza, il Presidente del Consiglio obietta che l'imposta di registro riguarda rapporti che rivelano di per se stessi una capacità contributiva, e quindi praticamente non si riflette su cittadini non abbienti; per costoro, del resto, v'é la possibilità dell'ammissione al beneficio del gratuito patrocinio, che consente la prenotazione a debito anche delle imposte di registro e di bollo.
4. - Il Malquori nega che l'amministrazione della giustizia possa venire subordinata all'esazione di un tributo non riflettente di necessità lo svolgimento del processo; del quale la parte potrebbe anche non essere debitrice, o al cui pagamento questa potrebbe non essere in condizioni economiche di provvedere, fors'anche in conseguenza del torto subito. Nega altresì che al magistrato e ai patroni si possa proibire, con la minaccia di sanzioni pecuniarie, di tener conto di prove giuridicamente valide, nel caso che non fosse soddisfatta la relativa imposta di registro; si favorirebbe con ciò una soluzione ingiusta delle contese e ne resterebbe danneggiato anche il fisco, il quale, mediante il divieto di produrre il documento, sostanzialmente si priva di ogni possibilità di perseguire gli evasori, ed invece mediante l'eliminazione del divieto, potrebbe meglio difendersi dall'evasione, essendo la parte indotta a produrre documenti non registrati dalla persuasione che il relativo onere fiscale ricadrebbe sul soccombente. Il Malquori osserva inoltre che il divieto di cui si tratta favorisce le inadempienze contrattuali, suggerite proprio dalla convinzione che la controparte non può chiedere l'accertamento dell'obbligazione, essendo nell'impossibilità economica di registrare il documento che ne dimostra l'assunzione; rileva che il divieto colpisce anche colui il quale, pur intendendo valersi del documento, non é debitore della imposta (che é il caso della controversia in cui é parte il Malquori), e agevola la possibilità di dare al rapporto controverso un'impostazione giuridica diversa da quella che potrebbe ricevere a seguito dell'esibizione del documento. Le norme denunciate, condizionando l'attività giurisdizionale alle esigenze della pubblica Amministrazione, contrastano con il principio fondamentale dell'assoluta superiorità ed indipendenza della giustizia, ed elevano i giudici e gli avvocati ad agenti fiscali, con piena mortificazione della funzione giurisdizionale e di quella defensionale. A parte l'osservare che quelle norme restringono il diritto della difesa, é certo che, se pure, in linea teorica, esse non escludono la validità di un procedimento condotto ed esaurito sulla base di documenti non registrati, resta sempre il fatto che, imponendo la sospensione del processo, creano un effetto pratico di improcedibilità, se la parte che é tenuta al pagamento del tributo é in uno stato di inferiorità economica. L'Agostini rileva che il Pretore di Firenze non ha dimostrato la necessità del documento non registrato ai fini della sua decisione; e nel merito si richiama alla legge sul gratuito patrocinio che consente la prenotazione a debito delle imposte di registro.
5. - All'udienza del 23 gennaio 1963 il Presidente del Consiglio dei Ministri ha ribadito il proprio punto di vista.
Considerato in diritto
1. - I due procedimenti possono essere riuniti, vertendo entrambi su una stessa questione di legittimità costituzionale.
2. - Per quanto concerne la censura mossa al giudizio di rilevanza compiuto dal Pretore di Firenze, si osserva che la ordinanza di questo Pretore afferma esplicitamente che, ai fini della decisione conclusiva della causa, non si potrebbe prescindere dal prendere in esame la scrittura privata 15 giugno 1959, posta dal convenuto a sostegno delle sue difese, esibita in copia fotografica e soggetta a registrazione.
Questa motivazione giustifica sufficientemente il carattere determinante della questione di legittimità costituzionale sul giudizio di merito, implicando un giudizio di irrilevanza di ogni altra ragione contraria.
3. - Non é esatto che gli obblighi e gli oneri posti dalle norme denunciate impediscono la tutela giurisdizionale del diritto fondato su una scrittura non registrata. Non ottemperando all'obbligo di registrazione, la parte dispone della funzione probatoria documentale che la scrittura era chiamata a svolgere, sulla base di una valutazione di convenienza compiuta come in ogni caso in cui la legge assoggetta ad oneri l'esercizio di un diritto. Le norme operano, non sull'azione, ma sulla disponibilità dei mezzi probatori; e, nel caso in cui la scrittura é richiesta ad substantiam, agiscono sulla disponibilità della situazione sostanziale.
L'alternativa cui costringe la legge sul registro si spiega a tutela dell'interesse generale alla riscossione dei tributi, che é condizione di vita per la comunità, perché rende possibile il regolare funzionamento dei servizi statali. Tale interesse é protetto dalla Costituzione (art. 53) sullo stesso piano di ogni diritto individuale; tanto vero che le sue esigenze vanno soddisfatte anche nel conflitto con quello all'inviolabilità del domicilio (art. 14, comma terzo), non meno resistente e fondamentale.
La Costituzione non garantisce a tutti l'esercizio gratuito della tutela giurisdizionale, e non vieta di imporre prestazioni fiscali in stretta e razionale correlazione con il processo; sia che esse configurino vere e proprie tasse giudiziarie, sia che abbiano riguardo all'uso di documenti necessari alla pronunzia finale dei giudici. Le proibizioni che ne derivano secondo la legge sul registro intendono stimolare l'adempimento agli obblighi che questa determina; e non hanno alcun nesso con la regola del solve et repete, che la Corte ha ripetute volte dichiarato impeditiva della tutela giuridisdizionale.
Codesta regola assoggettava al pagamento del tributo che era oggetto dell'azione giudiziaria e quindi obbligava ad un pagamento che, essendo anticipato sull'accertamento dell'obbligo, avrebbe potuto poi risultare non dovuto: il solve et repete operava, pertanto, proprio quando si invocava la tutela del giudice per resistere alla pretesa alla quale doveva riferirsi il pagamento. La legge sul registro, invece, costringe a sospendere il processo, nel corso del quale é stata dedotta la scrittura non registrata, soltanto quando il giudice ha accertato che essa era od é soggetta alla registrazione e, a garanzia della immediata correlazione fra l'obbligo fiscale e la domanda o l'eccezione, quando ha constatato che su quella scrittura si fonda l'una o l'altra
4. - A sostegno dell'assunto dell'illegittimità delle norme denunciate, mal si oppone che esse non consentono ai non abbienti di invocare la tutela giurisdizionale del diritto o dell'eccezione fondata su scritture non registrate, in dispregio dell'art. 24, comma terzo, della Costituzione.
A non voler rilevare che la legge sul gratuito patrocinio (art. 42, n. 2) consente di registrare a debito le scritture soggette alla relativa formalità in caso d'uso, é irrazionale che, sotto il pretesto del rispetto del principio di eguaglianza, si consenta alla parte di trarre vantaggio dalla sua condizione patrimoniale attuale per continuare a sottrarsi all'adempimento di un'obbligazione che si sarebbe dovuta soddisfare già prima del giudizio: il principio di eguaglianza non è cioè invocabile per legittimare la persistenza in una situazione di illecito di chi assume di non essere in grado di rimuoverla.
Come bene osserva l'Avvocatura dello Stato, l'imponibile risultante dall'atto soggetto a registrazione rivela una concreta capacità contributiva dell'obbligato al tempo in cui l'atto fu formato; e la modificazione successiva di tale capacità non é invocabile a motivo di esonero dall'obbligo fiscale.
5. - Sono estranei al problema di legittimità costituzionale delle norme in esame tutti gli altri assunti proposti dalle ordinanze di rimessione e dalla parte comparsa: che le norme stesse riducono il giudice e il difensore ad organi di accertamento tributario, che dal sistema della legge sul registro risulterebbe un vantaggio per il litigante di malafede, che sia possibile salvaguardare altrimenti il credito fiscale, che sia inefficace il mezzo adoperato dalla legge per evitare l'evasione e via dicendo. Si denunciano, infatti, con tali rilievi soltanto inconvenienti o un uso non idoneo della discrezionalità legislativa; e la Corte può perciò astenersi dal discutere.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i procedimenti di cui alle ordinanze del Pretore di Firenze 5 dicembre 1961 e del Pretore di Cuneo 9 maggio 1962;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale relativa:
a) agli artt. 85, 106, 108, 118, 121 e 122 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, che approva la legge sul registro, modificati con il R.D. 23 gennaio 1936, n. 2313, e con l'art. 7 del R.D. 15 novembre 1937, n. 1924, all. B;
b) all'art. 2 della legge 3 dicembre 1942, n. 1548, contenente norme relative al bollo e alla registrazione degli atti e documenti prodotti dalle parti nei procedimenti civili;
in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 aprile 1963.
Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ.
Depositata in cancelleria il 9 aprile 1963.