Sentenza n. 91 del 1964
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SENTENZA N. 91

ANNO 1964

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 250, terzo comma, del T. U. delle leggi sulle imposte dirette approvato con D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, promosso con ordinanza emessa il 26 ottobre 1963 dal Pretore di Sampierdarena nel procedimento civile vertente tra Volino Mario e Gaggin Carlo, iscritta al n. 2 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 34 dell'8 febbraio 1964.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 21 ottobre 1964 la relazione del Giudice Michele Fragali;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Il Pretore di Sampierdarena, decidendo nel procedimento civile vertente fra Mario Volino e Carlo Gaggin, in accoglimento di un'eccezione del primo, ha rimesso a questa Corte la decisione sulla legittimità costituzionale dell'art. 250, terzo comma, del D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, che approva il T. U. delle leggi sulle imposte dirette, per cui chiunque vanti un credito produttivo di ricchezza mobile di categoria A non può esercitare o proseguire le azioni giudiziarie che gli competono, se non dimostra di averne fatto dichiarazione all'Amministrazione finanziaria.

L'attore aveva rilevato che la norma predetta é in contrasto con gli artt. 24, comma primo, 101, comma secondo, e 104, comma primo, della Costituzione.

Secondo l'attore essa, "per un fatto che riguarda la pubblica Amministrazione", nega al giudice il suo potere-dovere giurisdizionale e alla parte il diritto all'accertamento giurisdizionale e fa venire meno l'autonomia del potere giudiziario che viene assoggettato al potere esecutivo. Soggiungeva l'attore che la pubblica Amministrazione ha poteri e mezzi suoi per accertamenti fiscali di carattere preventivo e definitivo, potendo procedere al diretto esame degli atti; e, per quel fine, non deve servirsi del giudice e farlo divenire strumento o mezzo di controllo fiscale.

Il Pretore ha ritenuto che la eccezione non fosse manifestamente infondata e che essa fosse rilevante.

L'ordinanza, emessa il 26 ottobre 1963, é stata notificata alle parti private il 30 ottobre e il 7 dicembre 1963, al Presidente del Consiglio dei Ministri il 5 novembre 1963; é stata comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento il 30 ottobre 1963 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica dell'8 febbraio 1964, n. 34.

Nessuna delle parti private é comparsa in questa sede; ed il 4 dicembre 1963 é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri.

2. - Nelle deduzioni di intervento il Presidente del Consiglio obietta, quanto al richiamo degli artt. 101 e 104 della Costituzione, che l'obbligo fatto al giudice di sospendere il giudizio qualora il creditore non abbia denunciato il credito, non crea interferenze del potere esecutivo sul potere giudiziario, essendo l'indipendenza del giudice garantita nella formazione del giudizio e nell'organizzazione della sua funzione.

Per ciò che concerne il riferimento all'art. 24 della Costituzione, rilevato che la condizione di procedibilità che si reputa illegittima, corrisponde, sul piano sostanziale, ad un obbligo che investe il soggetto indipendentemente dalla instaurazione del giudizio, il Presidente del Consiglio si rifà alle sentenze di questa Corte, che hanno ritenuto la competenza della legge ordinaria, entro certi limiti e in relazione a determinate esigenze, a regolare discrezionalmente la tutela giurisdizionale e a determinare oneri o sanzioni patrimoniali a carico delle parti quale condizione per la valida costituzione o per la valida prosecuzione del rapporto processuale. Viene altresì rilevato che questa Corte, con la sentenza 4 aprile 1963, n. 45, ha specificatamente ritenuto che fosse legittimo l'analogo onere imposto, a tutela dell'interesse generale alla riscossione dei tributi, dall'art. 28 del D.P.R. 25 giugno 1953, n. 492, per l'imposta di bollo, e dall'art. 108 del R. D. 30 dicembre 1923, n. 3269, per l'imposta di registro.

3. - Con memoria depositata l'8 ottobre 1964, e all'udienza del successivo 21 ottobre 1964, il Presidente del Consiglio ha ripetuto le deduzioni proposte nell'atto di intervento.

 

Considerato in diritto

 

1. - La Corte ritiene non fondato che non si accordi con gli artt. 101, comma secondo, e 104, comma primo, della Costituzione, la norma dell'art. 250, comma terzo, del D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, recante approvazione del T. U. delle leggi sulle imposte dirette, la quale subordina alla denuncia fiscale l'esercizio dell'azione giudiziaria a tutela di un credito produttivo di reddito di ricchezza mobile di categoria A.

Ovviamente inesatto é anzitutto l'assunto, sostenuto nella ordinanza di rimessione, che, osservando una norma di legge la quale protegge l'interesse della pubblica Amministrazione, il giudice viene assoggettato all'autorità del potere esecutivo.

Non é esatto nemmeno che l'imposizione di un onere processuale di natura fiscale fa del giudice un organo dell'Amministrazione tributaria e lede quindi l'indipendenza della Magistratura. L'indipendenza é garantita dalla Costituzione all'organizzazione giudiziaria nel suo complesso (sentenza 16 aprile 1959, n. 22); e questa non perde la sua autonomia solo perché la legge determina una modalità di esercizio dell'azione al fine di rispettare un interesse dell'Amministrazione tributaria. Il giudice, quando l'onere non é osservato, sospende il processo in obbedienza ad una norma che gliene attribuisce il potere in quanto giudice, e quindi per una autorità che la legge gli conferisce nel quadro della funzione che egli svolge come organo della tutela giurisdizionale, non nell'esercizio di una funzione spettante a quell'Amministrazione. Nella legge in esame v'e tanto riguardo all'indipendenza del giudice che nessuna sanzione penale a carico di lui é prevista per il caso in cui omette di sospendere di provvedere sulle domande della parte, essendo una pena pecuniaria statuita soltanto per il cancelliere che riceve documenti ed atti relativi al processo senza accertarsi dell'adempimento dell'onere.

2. - Non é fondato neanche l'assunto che la norma nega alla parte il diritto all'accertamento giurisdizionale.

La Corte ha già deciso che il determinare concrete modalità di esercizio della tutela giudiziaria lede la garanzia apprestata dall'art. 24, comma primo, della Costituzione, soltanto ove risulti difficoltà o impossibilità nell'esplicazione del diritto (sentenze 27 giugno 1963, n. 113, e 4 giugno 1964, n. 47).

L'onere di una denunzia fiscale come quella di cui si discute ha per oggetto una formalità di facile compimento, non sottoposta a condizioni di solennità, anche se esige completezza di dati subiettivi ed obiettivi ai fini di un idoneo accertamento del tributo.

L'onere non é poi irrazionalmente imposto, avuto riguardo al fatto che si riferisce al credito fatto valere in giudizio; e deve ancora una volta rilevarsi che l'interesse alla riscossione dei tributi é protetto dalla Costituzione all'art. 53, sullo stesso piano di ogni diritto individuale, tanto vero che si impone di soddisfarne le esigenze pure nel conflitto con l'interesse alla inviolabilità del domicilio (art. 14, comma terzo), non meno fondamentale del diritto alla tutela giurisdizionale (sentenza 4 aprile 1963, n. 45).

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 250, comma terzo, del D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, che approva il T. U. delle leggi sulle imposte dirette, proposta

dal Pretore di Sampierdarena con ordinanza 26 ottobre 1963, in riferimento agli artt. 24, comma primo, 101, comma secondo, e 104, comma primo, della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 novembre 1964.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 26 novembre 1964.