Ordinanza n. 184 del 2002

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ORDINANZA N. 184

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Massimo VARI, Presidente

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 45, comma 17, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), promosso con ordinanza emessa il 19 luglio 2001 dal Tribunale amministrativo per il Friuli-Venezia Giulia, iscritta al n. 881 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2001.

Visti l’atto di costituzione della parte privata del giudizio principale e dell’Azienda ospedaliera S. Maria della Misericordia, nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 12 marzo 2002 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;

uditi gli avvocati Luciano Di Pasquale per la parte privata del giudizio principale, Umberto Di Giovanni per l’Azienda ospedaliera S. Maria della Misericordia e l’avvocato dello Stato Ignazio F. Caramazza per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che, nel corso di un giudizio avente ad oggetto la domanda di una dipendente di un’Azienda ospedaliera volta ad ottenere il riconoscimento del proprio diritto alla restitutio in integrum con l’obbligo della corresponsione di tutti gli emolumenti dovuti e della ricostruzione del rapporto, cessato nel 1997, in base alla normativa succedutasi nel tempo, o, in via subordinata, al risarcimento del danno in forma specifica ovvero, in ulteriore subordine, al risarcimento del danno per equivalente, il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia, con ordinanza in data 19 luglio 2001, ha sollevato, in riferimento agli articoli 76, 77, primo comma, 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 45, comma 17, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59);

che la disposizione censurata stabilisce che "sono attribuite al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie di cui all’articolo 68 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, come modificato dal presente decreto, relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998. Le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e debbono essere proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000";

che il remittente premette che, essendo il ricorso stato notificato il 13 settembre e depositato il 10 ottobre 1998, si sarebbe verificata la decadenza prevista dall’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998, in quanto i giudizi amministrativi, a differenza di quelli civili, iniziano non con la vocatio in ius, ma con la vocatio iudicis, che si verifica con il deposito del ricorso nella segreteria del giudice adito;

che il giudice a quo precisa altresì che la formulazione della disposizione censurata non consentirebbe neanche di prendere in considerazione l’interpretazione, talora prospettata, secondo la quale i ricorsi proposti dopo il 15 settembre 2000 potrebbero essere esaminati dal giudice ordinario, sicchè, la conseguenza della inosservanza del termine per adire il giudice amministrativo comporterebbe l’estinzione del diritto di agire dinanzi a qualsiasi giudice; da qui la rilevanza della questione;

che, quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo deduce, in primo luogo, il contrasto tra la disposizione censurata e gli artt. 76 e 77, comma primo, Cost., in quanto, mentre l’art. 11, comma 4, lettera g), della legge 15 marzo 1997, n. 59, indicava, quale criterio direttivo per l’esercizio della delega, quello di "devolvere, entro il 30 giugno 1998, al giudice ordinario tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni […] prevedendo misure organizzative e processuali anche di carattere generale atte a prevenire disfunzioni dovute al sovraccarico del contenzioso […] prevedendo altresì un regime processuale transitorio per i procedimenti pendenti", il legislatore delegato non si sarebbe attenuto a tale criterio, avendo adottato una disposizione che, eccedendo dall’ambito della delega, sembrerebbe finalizzata non a fronteggiare le esigenze del giudice ordinario in vista della devoluzione ad esso delle controversie in materia di pubblico impiego, quanto piuttosto a considerare le esigenze del giudice amministrativo, nella giurisdizione esclusiva del quale rientrano le controversie relative a periodi del rapporto di lavoro anteriori al 30 giugno 1998;

che la medesima disposizione contrasterebbe, ad avviso del remittente, anche con l’art. 24 della Costituzione, in quanto il trasferimento della giurisdizione dall’uno all’altro giudice avrebbe dato luogo ad una ingiustificata compressione del diritto di difesa dei dipendenti pubblici, i quali non potrebbero più far valere i propri diritti notificando il ricorso nel termine di prescrizione di cinque anni e depositandolo entro trenta giorni dall’ultima notifica nella segreteria del giudice adito, ma sarebbero esposti alla decadenza dal diritto di agire in giudizio, pur esercitato tempestivamente attraverso la notifica entro il 15 settembre, solo perchè la norma in questione stabilisce, per ragioni organizzative, un limite temporale per il deposito;

che, prosegue il remittente, alla compressione del diritto di agire in giudizio si accompagnerebbe anche una ingiustificata disparità di trattamento in danno dei dipendenti che debbano far valere diritti relativi a periodi del rapporto di lavoro anteriori al 30 giugno 1998, per i quali soltanto sarebbe previsto un termine di decadenza, mentre per tutti gli altri dipendenti pubblici che debbono agire dinanzi al giudice ordinario ovvero dinanzi al giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 2, comma 4, del d.lgs. n. 29 del 1993, varrebbero gli ordinari termini di prescrizione;

che si é costituita la parte privata del giudizio principale, contestando innanzitutto le argomentazioni del TAR in ordine all’intervenuta decadenza per essere stato il ricorso depositato dopo il 15 settembre 2000, dal momento che nell’ordinamento non si rinverrebbe alcuna disposizione che, stabilendo un termine di decadenza per l’esercizio in giudizio di diritti o interessi, imponga che entro il medesimo termine di decadenza debba essere effettuata, non solo la notifica del ricorso, ma anche il deposito dello stesso;

che, inoltre, rileva la difesa della parte privata, il remittente non si sarebbe prospettato il problema della applicabilità, nel caso di specie, della sospensione feriale dei termini, che avrebbe comportato la tempestività del deposito dovendosi aggiungere al termine del 15 settembre i quarantacinque giorni della sospensione feriale;

che, prosegue la parte privata, ove non si dovesse ritenere che la disposizione censurata non esclude la possibilità di proporre, dopo il 15 settembre 2000, le domande relative a periodi del rapporto di impiego anteriori al 30 giugno 1998, dinanzi al giudice ordinario, la disposizione stessa sarebbe costituzionalmente illegittima in riferimento a tutti i parametri indicati nell’ordinanza di rimessione;

che in particolare, con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 76 Cost., la scelta del legislatore delegato all’evidenza non rientrerebbe nei limiti della delega, dal momento che la possibilità di dettare norme transitorie in ordine ai giudizi pendenti, contemplata nell’art. 11, comma 4, lettera g), della legge n. 59 del 1997, si riferirebbe solo ai giudizi di cui agli artt. 33 e 34 del d.lgs. n. 80 del 1998;

che tuttavia, conclude la parte privata, una pronuncia di illegittimità potrebbe essere evitata se si ritenesse che la formulazione dell’art. 45, comma 17, non sia preclusiva dell’azione dinanzi al giudice ordinario oltre il 15 settembre 2000, come del resto sembrerebbe potersi desumere dal fatto che il d.lgs. 31 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), nell’abrogare, tra l’altro, l’art. 45, comma 17, ne ha riprodotto il contenuto all’art. 69, comma 7, apportando ad esso una modificazione del seguente tenore: "le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data (30 giugno 1998) restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000";

che si é costituita nel presente giudizio anche l’Azienda ospedaliera S. Maria della Misericordia, eccependo, in primo luogo, l’inammissibilità della questione, dal momento che lo stesso remittente avrebbe prospettato l’eventualità che la disposizione censurata potrebbe interpretarsi nel senso che la stessa non sia preclusiva della possibilità che i ricorsi proposti dopo il 15 settembre 2000 possano essere esaminati dal giudice ordinario;

che, ad avviso della difesa dell’Azienda ospedaliera, la questione sarebbe comunque infondata, in quanto la ratio del criterio direttivo contenuto nell’art. 11, comma 4, lettera g), della legge n. 59 del 1997 non sarebbe quella individuata dal remittente, e consistente nella esigenza di evitare il sovraccarico di lavoro per il giudice ordinario, bensì quella di definire tempi e modalità di passaggio dalla giurisdizione amministrativa a quella ordinaria dando subito vita ai nuovi assetti di distribuzione del carico di lavoro tra giudice ordinario e giudice amministrativo ed evitando così un periodo transitorio troppo lungo;

che, quanto alla dedotta violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione, la parte privata rileva che la garanzia del diritto di difesa non potrebbe impedire l’imposizione all’esercizio di facoltà o poteri di limitazioni temporali, al fine di accelerare il corso della giustizia, e che il diritto di difesa sarebbe diversamente modulabile dal legislatore, il quale può disciplinarne l’esercizio secondo valutazioni discrezionali, con l’unico limite della irrazionalità delle scelte, certamente non superato nel caso di specie, posto che proprio la individuazione di un termine per la proposizione delle domande al giudice amministrativo risponderebbe ad esigenze di certezza e di semplificazione, impedendo il protrarsi di una situazione che imporrebbe ai dipendenti pubblici di adire due giudici diversi per la tutela dei propri diritti;

che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata: la disposizione censurata, abrogata dall’art. 72, comma 1, lettera bb), del d.lgs. 31 marzo 2001, n. 165, ma riprodotta dall’art. 69, comma 7, del medesimo d.lgs., si limiterebbe infatti ad operare una mera ripartizione di giurisdizione tra giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro e giudice amministrativo, utilizzando lo strumento della decadenza legato a un determinato limite temporale, pienamente compatibile con i principî costituzionali.

Considerato che il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia, con ordinanza emessa il 19 luglio 2001, dubita della legittimità costituzionale dell’articolo 45, comma 17, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80;

che il d.lgs. 31 marzo 2001, n. 165, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 9 maggio 2001, Supplemento ordinario n. 112/L, ed entrato in vigore il successivo 24 maggio, ha, all’art. 72, comma 1, lettera bb), disposto l’abrogazione del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, ad eccezione degli articoli da 33 a 42 e 45, comma 18, e che, all’art. 69, comma 7, ha riprodotto la disposizione contenuta nell’art. 45, comma 17, del citato d.lgs. n. 80 del 1998, modificandone la formulazione;

che il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia, nel sollevare la questione di legittimità costituzionale oggetto del presente giudizio, ha omesso di prendere in esame l’effetto dell’intervenuta abrogazione della disposizione censurata e della contestuale riformulazione della stessa ad opera dell’art. 69, comma 7, del citato d.lgs. n. 165 del 2001, e non ha quindi svolto alcuna argomentazione circa la perdurante applicabilità della disposizione abrogata ai fini della definizione del giudizio dinanzi a lui pendente;

che pertanto, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile (ordinanze n. 148 e n. 28 del 2001; n. 590 del 2000; n. 162 del 1999).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 45, comma 17, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, 76 e 77, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 maggio 2002.

Massimo VARI, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2002.