Ordinanza n. 590/2000

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ORDINANZA N. 590

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Carlo MEZZANOTTE

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 55, quarto comma, della legge 4 novembre 1965, n. 1213 (Nuovo ordinamento dei provvedimenti in favore della cinematografia), come modificato dall’art. 12 del decreto-legge 14 gennaio 1994, n. 26 (Interventi urgenti in favore del cinema), convertito in legge 1° marzo 1994, n. 153 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 gennaio 1994, n. 26, recante interventi urgenti in favore del cinema), promossi con due ordinanze emesse il 3 marzo 2000 dal Tribunale di Roma, 7ª sezione civile, nei procedimenti civili vertenti tra TV Internazionale S.p.A. e il Garante per la radiodiffusione e l’editoria, iscritte ai nn. 389 e 390 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 13 dicembre 2000 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti.

Ritenuto che il Tribunale di Roma, 7ª sezione civile, in composizione monocratica, con due ordinanze emesse in altrettanti giudizi il 3 marzo 2000, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 55, quarto comma, della legge 4 novembre 1965, n. 1213 (Nuovo ordinamento dei provvedimenti in favore della cinematografia), in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione;

che i giudizi a quibus hanno ad oggetto le opposizioni avverso due ordinanze-ingiunzioni, con le quali il Garante per la radiodiffusione e l'editoria ha irrogato nei confronti di una società che gestisce un'impresa audiovisiva sanzioni amministrative pecuniarie per avere trasmesso sette film anteriormente al decorso del termine di ventiquattro mesi dalla loro prima uscita nelle sale cinematografiche italiane;

che le ordinanze di rimessione, di contenuto sostanzialmente coincidente, premettono che la questione sollevata sarebbe rilevante, in quanto in entrambi i giudizi gli accordi per la cessione dei diritti televisivi sulle opere trasmesse dall'opponente, stipulati in deroga al termine di cui all'art. 55, primo comma, della legge n. 1213 del 1965, non risultano sottoscritti anche dalle associazioni maggiormente rappresentative delle categorie interessate, così come dispone la norma impugnata;

che, ad avviso dei rimettenti, l’art. 55, quarto comma, della legge n. 1213 del 1965 - nel testo modificato dall'art. 12 del decreto-legge 14 gennaio 1994, n. 26 (Interventi urgenti in favore del cinema), convertito con modificazioni nella legge 1° marzo 1994, n. 153 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 gennaio 1994, n. 26, recante Interventi urgenti in favore del cinema) -, nella parte in cui prevede la possibilità di derogare al divieto di sfruttamento da parte delle emittenti televisive delle opere filmiche anteriormente al decorso del termine previsto dal primo comma attraverso accordi tra i titolari dei diritti di produzione e distribuzione delle opere filmiche, le imprese audiovisive e le associazioni maggiormente rappresentative delle categorie interessate e i rappresentanti delle imprese audiovisive, si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 41 della Costituzione;

che, secondo i giudici a quibus, la norma impugnata sarebbe irragionevole, in quanto dispone che le associazioni maggiormente rappresentative delle categorie interessate sono «parte necessaria degli accordi di cessione dei diritti in deroga ai termini legislativamente stabiliti», ma non identifica quali siano le categorie interessate; non precisa quali siano e come debbano essere identificate dette associazioni; non stabilisce quali siano le modalità ed i contenuti del loro intervento nella procedura negoziale e, in tal modo, introdurrebbe «un vincolo vuoto, privo di contenuto oggettivo e soggettivo, in relazione ai suindicati accordi in deroga», a causa della «mancata previsione di qualsiasi criterio di determinazione dei parametri soggettivi ed oggettivi di tale coinvolgimento», che renderebbe la norma censurata inadeguata rispetto allo scopo avuto di mira dal legislatore;

che inoltre, ad avviso dei rimettenti, anche se può ritenersi giustificata una disciplina della materia finalizzata a realizzare il controllo e l’indirizzo della libertà di iniziativa economica nel mercato televisivo e cinematografico, l'eccessiva genericità della norma impugnata violerebbe anche la libertà di iniziativa economica delle imprese audiovisive e dei titolari dei diritti di produzione e distribuzione cinematografica;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in entrambi i giudizi, con distinti atti di contenuto pressoché identico, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata;

che, ad avviso della difesa erariale, la questione sarebbe irrilevante, poiché il suo eventuale accoglimento non renderebbe validi gli accordi di cessione dei diritti di sfruttamento televisivo e, quindi, non determinerebbe il venire meno del presupposto per l'applicazione delle sanzioni;

che, secondo l’interveniente, la questione, nel merito, sarebbe infondata, in quanto il legislatore potrebbe emanare norme “generali”, il cui contenuto va identificato facendo ricorso ai consueti canoni ermeneutici ed alla prassi applicativa, mentre il riferimento alle categorie interessate ed alle associazioni maggiormente rappresentative non renderebbe generico ed indeterminato il vincolo in esame, trattandosi di concetti appartenenti da tempo al lessico giuridico corrente e di applicazione diffusa nel diritto sindacale.

Considerato che i giudizi hanno ad oggetto la stessa norma, in riferimento agli stessi parametri, sicché essi vanno riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia;

che entrambi i giudici impugnano, in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, l’art. 55, quarto comma, della legge n. 1213 del 1965 -nel testo modificato dall'art. 12 del decreto-legge n. 26 del 1994, convertito con modificazioni nella legge n. 153 del 1994- nella parte in cui, nel prevedere la possibilità di derogare al divieto di sfruttamento da parte delle emittenti televisive delle opere filmiche -anteriormente al decorso del termine previsto dal primo comma- attraverso accordi stipulati tra i titolari dei diritti di produzione e distribuzione delle opere filmiche, le imprese audiovisive e i rappresentanti delle imprese audiovisive, dispone che a detti accordi debbano partecipare anche le associazioni maggiormente rappresentative delle categorie interessate;

che, anteriormente alle ordinanze di rimessione – entrambe emesse il 3 marzo 2000 - l’art. 2 della legge 30 aprile 1998, n. 122 ha espressamente abrogato la norma impugnata (comma 7), stabilendo inoltre che, <<con regolamento da emanarsi ai sensi dell'art. 17, comma 2, della l. 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dell'autorità di Governo competente in materia di spettacolo, fatte salve le competenze dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (...) di concerto con il Ministro delle comunicazioni, sono disciplinate le modalità di sfruttamento dei film italiani e stranieri da parte delle emittenti televisive>> (comma 8);

che successivamente, ma sempre in data anteriore ai provvedimenti di rimessione, la delibera 16 marzo 1999 dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ha altresì disposto che «lo sfruttamento televisivo delle opere cinematografiche avviene esclusivamente nel rispetto dei periodi eventualmente concordati tra l'emittente ed i titolari dei diritti» (art. 6);

che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, qualora anteriormente alla proposizione della questione di costituzionalità la norma impugnata sia stata abrogata e sia intervenuta una nuova disciplina della materia, il giudice rimettente ha l’onere di specificare in modo rigoroso i motivi della perdurante rilevanza della questione (tra le più recenti, ordinanze n. 28 del 2000; n. 213 del 1999; n. 162 del 1999);

che il Tribunale di Roma non ha invece assolto siffatto onere, in quanto entrambe le ordinanze di rimessione non contengono nessun riferimento e nessuna valutazione in ordine all’eventuale incidenza sulla questione proposta della abrogazione espressa della norma sottoposta all’esame di costituzionalità e dell’introduzione di una nuova disciplina;

che, pertanto, deve essere dichiarata la manifesta inammissibilità della questione.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 55, quarto comma, della legge 4 novembre 1965, n. 1213 (Nuovo ordinamento dei provvedimenti in favore della cinematografia), come modificato dall’art. 12 del decreto-legge 14 gennaio 1994, n. 26 (Interventi urgenti in favore del cinema), convertito in legge 1° marzo 1994, n. 153 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 gennaio 1994, n. 26, recante interventi urgenti in favore del cinema), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, dal Tribunale di Roma, 7ª sezione civile, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 2000.

Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore

Depositata in cancelleria il 29 dicembre 2000.