SENTENZA N. 85
ANNO 2020
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Marta
CARTABIA;
Giudici: Aldo CAROSI, Mario
Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni
AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nei giudizi di
legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 1, lettera a), del decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a
lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e
2004/18/CE), e dell’art. 186-bis, quinto e sesto comma, del regio
decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato
preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta
amministrativa), come introdotto dall’art. 33, comma 1, lettera h), del
decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese),
convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, promossi
complessivamente dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con due
ordinanze del 29 ottobre 2018 e dal Consiglio di Stato, sezione quinta, con
ordinanza del 12 giugno 2019, iscritte, rispettivamente, ai numeri 40, 41 e 150
del registro ordinanze 2019 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica numeri 12 e 40, prima serie speciale, dell’anno 2019.
Visti gli atti di
costituzione della Guerrato spa, in proprio e quale
mandataria del raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) costituito con la Ciclat società cooperativa e, quanto al giudizio promosso
con l’ordinanza iscritta al n. 41 del reg. ord. 2019,
anche con la Miorelli Service spa, della Dussmann Service srl, in proprio
e quale mandataria del RTI costituito con la Siram
spa, della Apleona HSG spa, già Bilfinger
Sielv Facility Management
spa, in proprio e quale mandataria designata del RTI costituendo con la Markas srl, la Vivaldi &
Cardino spa, il Gruppo Servizi Associati spa con Socio Unico e la Iscot Italia spa, della Itinera
spa, in proprio e quale mandataria del RTI costituito con la Monaco spa, della
Carena spa Impresa di Costruzioni, in proprio e quale mandataria del RTI
costituito con la ILESP srl, e dell’Anas spa, nonché
gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito il Giudice
relatore Daria de Pretis nell’udienza del 22 aprile
2020 svolta, ai sensi del decreto della Presidente della Corte del 24 marzo
2020, punto 1) lettera c), senza discussione orale, su conformi istanze delle
parti, pervenute in data 14, 15 e 16 aprile 2020;
deliberato nella camera
di consiglio del 22 aprile 2020.
1.– Con ordinanza del
29 ottobre 2018, iscritta al n. 40 del reg. ord.
2019, il Tribunale regionale amministrativo per il Lazio ha sollevato questioni
di legittimità costituzionale del «combinato disposto» degli artt. 38, comma 1,
lettera a), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei
contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle
direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) e 186-bis, quinto e sesto comma, del regio
decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato
preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta
amministrativa), come introdotto dall’art. 33, comma 1, lettera h), del
decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese),
convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, «laddove
consente la partecipazione alle gare pubbliche alle [i]mprese
singole, se sottoposte a concordato con continuità aziendale, e ai
[r]aggruppamenti temporanei di [i]mprese, ove vi sia
sottoposta una mandante, ma la vieta ai [r]aggruppamenti temporanei di [i]mprese, nel caso in cui sia la mandataria assoggettata a
tale procedura», in riferimento agli artt. 3, 41 e 117, secondo comma,
lettera a), della Costituzione.
Le questioni sono sorte
nel corso di un giudizio promosso dalla Guerrato spa,
in proprio e quale mandataria del raggruppamento temporaneo di imprese (RTI)
costituito con la Ciclat società cooperativa, per
l’annullamento del provvedimento con cui la Consip
spa ha escluso tale RTI dalla procedura per l’affidamento di alcuni lotti dei
«servizi integrati, gestionali ed operativi, da eseguirsi negli istituti e
luoghi di cultura pubblici individuati dall’art. 101 del D.Lgs. n. 42/2004», e per il conseguente risarcimento
del danno. Con motivi aggiunti la medesima ricorrente ha impugnato anche il
provvedimento con cui la Consip spa ha deliberato di
escutere le garanzie prestate dal RTI per concorrere alla gara.
La stazione appaltante
ha disposto l’esclusione sull’assunto che durante l’iter di svolgimento della
gara si sarebbe verificato, in capo alla Guerrato
spa, il requisito generale negativo previsto all’art. 38, comma 1, lettera a),
del d.lgs. n. 163 del 2006, ai sensi del quale «[s]ono
esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento» i soggetti «che si
trovano in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato
preventivo, salvo il caso di cui all’articolo 186-bis del regio decreto 16
marzo 1942, n. 267, o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la
dichiarazione di una di tali situazioni». Poiché la stessa impresa, mandataria
del RTI, è stata ammessa dal Tribunale ordinario di Rovigo, con decreto del 2
maggio 2018, alla procedura di concordato preventivo con continuità aziendale,
troverebbe applicazione l’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare,
ai sensi del quale «[...] l’impresa in concordato può concorrere anche riunita
in raggruppamento temporaneo di imprese, purché non rivesta la qualità di
mandataria e sempre che le altre imprese aderenti al raggruppamento non siano
assoggettate ad una procedura concorsuale».
Per quello che qui
rileva, la ricorrente nel processo principale ha lamentato la violazione
dell’art. 38, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 163 del 2006 e dell’art.
186-bis della legge fallimentare, sostenendo che le cause di esclusione dalla
partecipazione alla gara previste in tali disposizioni non varrebbero per le
imprese che, in bonis al momento della presentazione
dell’offerta, sono sottoposte a concordato preventivo con continuità aziendale
solo nel corso della procedura di affidamento, in particolare ove quest’ultima
si sia lungamente protratta nel tempo, come sarebbe avvenuto nel caso concreto.
1.1.– Quanto alla
rilevanza, il rimettente osserva che alla fattispecie dedotta nel giudizio
principale, relativa a un bando di gara pubblicato il 5 agosto 2015, si
dovrebbe applicare ratione temporis
l’art. 38, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 163 del 2006, nonostante esso sia
stato abrogato dall’art. 216, comma 1, del decreto legislativo 18 aprile 2016,
n. 50 (Codice dei contratti pubblici), secondo cui le disposizioni del nuovo
codice dei contratti pubblici si applicano «alle procedure e ai contratti per i
quali i bandi e gli avvisi con cui si indice la procedura di scelta del
contraente siano pubblicati successivamente alla data della sua entrata in
vigore» (id est, successivamente al 19 aprile 2016). Inoltre, secondo la
giurisprudenza amministrativa i requisiti di partecipazione dovrebbero essere
posseduti sia al momento della presentazione della domanda, sia per tutta la
durata della procedura, cosicché non assumerebbero rilievo la sopravvenienza
della causa di esclusione nel corso della gara e la lunga durata di
quest’ultima.
Il rimettente osserva, altresì,
che il «combinato disposto» del citato art. 38, comma 1, lettera a), e
dell’art. 186-bis, quinto e sesto comma, della legge fallimentare condurrebbe
inevitabilmente a escludere dalla gara il RTI di cui la Guerrato
spa è mandataria. La deroga introdotta dall’art. 186-bis citato alla regola
generale che vieta la partecipazione alla gara dei soggetti sottoposti a
procedure concorsuali sarebbe infatti circoscritta alle due sole ipotesi
dell’impresa singola e dell’impresa aderente a un RTI in qualità di mandante,
cosicché la regola generale tornerebbe a operare se in concordato preventivo
con continuità aziendale si trovi l’impresa mandataria di un RTI. Né sarebbe
possibile una diversa interpretazione delle disposizioni censurate, deponendo
in tal senso anche la loro interpretazione ad opera del Consiglio di Stato.
1.2.– Quanto alla non
manifesta infondatezza, sarebbe violato in primo luogo l’art. 3 Cost., in
quanto l’esclusione dell’impresa mandataria di un RTI, oltre a non essere
imposta da norme "stringenti” del diritto dell’Unione europea, sarebbe
incongrua, irragionevole e ingiustificata, valendo per tutte le altre ipotesi
indicate, diverse solo per il modulo partecipativo alla gara, la stessa
esigenza diretta a favorire il superamento della crisi d’impresa, che
giustifica la deroga al generale divieto di partecipazione alle gare pubbliche
per le imprese sottoposte a procedure concorsuali.
Dopo avere descritto la
ratio e la disciplina del concordato preventivo con continuità aziendale, il
rimettente osserva che l’impresa singola risponde da sola e in toto
dell’esecuzione del contratto, mentre l’offerta di un RTI è presentata da una
pluralità di imprese, tutte responsabili dell’esecuzione per la parte di
propria competenza, essendo la mandataria solidalmente responsabile nei soli
RTI verticali, in cui le prestazioni principali gravano sulla mandataria e
quelle secondarie sulle mandanti. La partecipazione alla gara della mandataria
sottoposta a concordato preventivo con continuità aziendale non causerebbe dunque
alla stazione appaltante un pregiudizio né un rischio maggiori rispetto a
quelli in ipotesi prodotti dalla partecipazione di un’impresa singola.
Si dovrebbe poi
considerare che la stazione appaltante sceglie il contraente sulla base di
parametri indicati ex ante, mediante l’indifferenziata valutazione dell’offerta
presentata da un’impresa singola o da più imprese riunite in RTI.
Inoltre, per il caso di
fallimento dell’impresa mandataria dichiarato nel corso del rapporto
contrattuale, lo stesso d.lgs. n. 163 del 2006 appresterebbe un importante
rimedio a favore della stazione appaltante, stabilendo, al comma 18 dell’art.
37, che la stessa «[...] può proseguire il rapporto di appalto con altro
operatore economico che sia costituito mandatario [...] purché abbia i
requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da
eseguire». Il rimedio sarebbe esperibile anche se venisse sottoposta a
fallimento, in corso di contratto, un’impresa mandataria di RTI già in
concordato preventivo con continuità aziendale, sicché nemmeno sotto questo
profilo una previsione restrittiva come quella contenuta all’art. 186-bis,
sesto comma, della legge fallimentare sarebbe ragionevole.
1.2.1.–
In secondo luogo, sarebbero violati gli artt. 41 e 117, secondo comma, lettera
a), Cost., in quanto l’irragionevole esclusione dell’impresa mandataria di un
RTI comporterebbe un’ingiustificata limitazione della libertà di iniziativa
economica e la lesione del principio della concorrenza, costituente un
«principio cardine dell’Unione europea» cui «la massima partecipazione alle
gare è funzionale».
1.3.–
L’irragionevolezza delle disposizioni censurate sarebbe confermata
dall’evoluzione normativa nella materia, che, pur essendosi tradotta in
previsioni non applicabili nel giudizio a quo, esprimerebbe una scelta del
legislatore in linea con la soluzione auspicata dal rimettente. L’art. 80,
comma 5, lettera b), del d.lgs. n. 50 del 2016 prevede infatti che sia escluso
dalla partecipazione alle procedure di appalto l’operatore economico che «si
trovi in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo,
salvo il caso di concordato con continuità aziendale, o nei cui riguardi sia in
corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni». Superando
la tecnica del rinvio all’art. 186-bis della legge fallimentare e regolando
compiutamente le cause di esclusione degli operatori economici dalla
partecipazione alle procedure di affidamento, la disposizione introdurrebbe
così una deroga valida in tutti i casi di concordato preventivo con continuità
aziendale, senza distinguere tra operatori che concorrono singolarmente o
riuniti in RTI oppure tra le posizioni rivestite dalle imprese aderenti al
raggruppamento.
Un’ulteriore conferma
si ricaverebbe dalla previsione dell’art. 110, comma 3, del d.lgs. n. 50 del
2016, secondo cui «l’impresa ammessa al concordato con continuità aziendale, su
autorizzazione del giudice delegato», può: «a) partecipare a procedure di
affidamento di concessioni e appalti di lavori, forniture e servizi ovvero
essere affidatario di subappalto», ovvero: «b) eseguire i contratti già
stipulati dall’impresa fallita o ammessa al concordato con continuità
aziendale».
Le richiamate
disposizioni del nuovo codice dei contratti prevarrebbero, per l’inequivocità del dato letterale e per il loro carattere
speciale, su quelle dell’art. 186-bis della legge fallimentare. Se ne dovrebbe
desumere l’evidente irragionevolezza dell’anteriore disciplina sfavorevole alle
imprese mandatarie di un RTI, giacché la pur ampia discrezionalità del
legislatore nel regolare la materia non giustificherebbe una così radicale
diversità nel tempo del trattamento normativo, né in ragione delle
caratteristiche del concordato preventivo con continuità aziendale, rimaste immutate,
né in ragione delle garanzie da assicurare alle stazioni appaltanti.
1.4.–
Con atto depositato il 2 aprile 2019 si è costituita in giudizio la Guerrato spa, in proprio e nella qualità di mandataria del
RTI costituito con la Ciclat società cooperativa,
parte del processo principale, che ha concluso per la fondatezza delle
questioni.
L’art. 186-bis, sesto
comma, della legge fallimentare sarebbe irragionevole, in primo luogo, per
l’ingiustificata disparità di trattamento tra le imprese singole e quelle
riunite in un RTI, ove sottoposte a concordato preventivo con continuità
aziendale, in quanto consentirebbe la partecipazione alle gare delle seconde
solo se rivestono il ruolo di mandanti. La disparità di trattamento non sarebbe
fondata su «peculiari e oggettive ragioni insite negli interessi della stazione
appaltante o della massa dei creditori».
In secondo luogo,
l’irragionevolezza deriverebbe dalla illogica disparità di trattamento «tra le
due fasi di una commessa pubblica», posto che il concordato preventivo della
mandataria che sopravvenisse solo nel corso della fase esecutiva non
comporterebbe alcun divieto di prosecuzione del rapporto. Le esigenze di tutela
della stazione appaltante sarebbero infatti le stesse in entrambe le fasi.
Il citato art. 186-bis,
sesto comma, sarebbe poi irragionevole anche per la sovrapposizione di
giurisdizioni contrastanti sulla medesima fattispecie, in quanto finirebbe per
demandare al giudice amministrativo – per il tramite del controllo
giurisdizionale degli atti dell’amministrazione aggiudicatrice – il sindacato
sul provvedimento del giudice fallimentare che ha autorizzato la partecipazione
alla gara dell’impresa in concordato preventivo, valutandone la compatibilità
con gli interessi dei creditori e la sostenibilità finanziaria. Tale
sovrapposizione potrebbe comportare esiti diametralmente opposti, con «evidenti
influssi deteriori» sulle sorti delle procedure concorsuali.
È lamentata inoltre
l’irragionevole mancanza di una disciplina che, regolando le fattispecie in cui
lo stato di concordato preventivo sopravviene alla presentazione dell’offerta,
permetta all’incolpevole operatore economico di adeguarsi al precetto normativo
sull’automatica esclusione dalla gara senza incorrere in conseguenze
pregiudizievoli, quali l’escussione delle garanzie prestate a titolo di
cauzione provvisoria e la segnalazione all’Autorità nazionale anticorruzione
(ANAC).
La disposizione
censurata sarebbe infine ulteriormente irragionevole, sotto un profilo connesso
al precedente, nella parte in cui consente di sanzionare l’operatore economico
con l’esclusione dalla gara e con le altre gravose conseguenze appena indicate
indipendentemente dalla sua volontà e in assenza di una condotta fraudolenta o
anche solo contraria a divieti normativi.
1.5.–
Con atto depositato il 9 aprile 2019 è intervenuto in giudizio il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, che ha concluso per la non fondatezza delle questioni.
La denunciata disparità
di trattamento normativo sarebbe giustificata dal regime dei controlli gravanti
sull’impresa in concordato preventivo, rispetto al quale risulterebbe
«difficilmente declinabile» il modello organizzativo del RTI, che prevede in
capo all’impresa mandataria la rappresentanza esclusiva dei mandanti nei
confronti della stazione appaltante per tutta la durata del rapporto. Sia nei
rapporti interni al raggruppamento, che nei rapporti esterni con la stazione
appaltante, la vigilanza del commissario giudiziale e la necessità che i
singoli atti dell’impresa mandataria in concordato preventivo siano autorizzati
dal tribunale renderebbero lo svolgimento del rapporto, gestito da un
rappresentante "sotto tutela”, certamente più complicato e tale da minare «il
paradigma costituzionale di un’azione amministrativa celere ed efficiente».
La vigilanza esercitata
sulla sola impresa mandataria dagli organi della procedura concorsuale non
consentirebbe di realizzare l’effetto utile, per la stazione appaltante, di
sottoporre a verifica anche gli atti gestori degli altri soggetti riuniti nel
RTI e obbligati all’esecuzione dell’appalto. L’eventuale espunzione
dall’ordinamento della disposizione censurata potrebbe, da un lato,
compromettere il rapporto sussistente tra il fine pubblico perseguito dalla
stazione appaltante e l’effettività del controllo sugli operatori obbligati ad
adempiere alle obbligazioni contrattuale e, dall’altro lato, rendere
impossibile la valutazione concreta della possibilità per la mandataria di
continuare la propria attività senza l’ausilio delle imprese mandanti in bonis. Diversa sarebbe invece l’ipotesi dell’ammissione al
concordato preventivo con continuità aziendale di un altro operatore economico,
in quanto la vigilanza potrebbe in tal caso essere esercitata in modo da
garantire, per la stazione appaltante, «maggiori certezze» sulla capacità di
adempiere dell’appaltatore. La diversità delle situazioni messe a confronto
giustificherebbe, pertanto, l’adozione di una differente disciplina, in
ossequio al principio di uguaglianza sostanziale.
Non sussisterebbe
neppure l’irragionevolezza derivante dalla possibilità di sostituire l’impresa
mandataria assoggettata a una procedura concorsuale diversa dal concordato
preventivo, prevista all’art. 37, comma 19, del d.lgs. n. 163 del 2006, in
quanto tale disposizione si applicherebbe solo alla fase esecutiva del
contratto e non a quella della partecipazione alla gara.
Quanto alla violazione
dell’art. 117, primo comma, lettera a), Cost., l’esclusione dalla gara di un
operatore economico ammesso al concordato preventivo non contrasterebbe con il
diritto europeo, né tantomeno con i principi cardine cui esso si ispira, come
ritenuto dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (è citata la sentenza 28
marzo 2019, in causa C-101/18, Idi srl).
Infine, nemmeno la
sopravvenuta disciplina della materia, evocata dal giudice a quo, deporrebbe in
senso favorevole all’accoglimento delle questioni. L’impianto normativo
contestato risulterebbe confermato dai più recenti sviluppi della stessa disciplina,
visto che il decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi
d’impresa e dell’insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155),
modificando l’art. 80, comma 5, del d.lgs. n. 50 del 2016, ne avrebbe attuato
il coordinamento, mancante nel testo anteriore, con le disposizioni della legge
fallimentare. La nuova formulazione della lettera b) del comma 5, infatti, nel
ribadire che l’operatore economico in stato di concordato preventivo, o nei cui
confronti sia in corso un procedimento per la dichiarazione di tale situazione,
è escluso dalla partecipazione alle procedure d’appalto, mantiene fermo «quanto
previsto dall’articolo 95 del codice della crisi di impresa e dell’insolvenza
adottato in attuazione della delega di cui all’articolo 1 della legge 19
ottobre 2017, n. 155». Il richiamato art. 95 del codice della crisi d’impresa e
dell’insolvenza, a sua volta, stabilisce che «l’impresa in concordato può
concorrere anche riunita in raggruppamento temporaneo di imprese, purché non rivesta
la qualità di mandataria e sempre che nessuna delle altre imprese aderenti al
raggruppamento sia assoggettata ad una procedura concorsuale», così ribadendo
la causa di esclusione già prevista al censurato art. 186-bis, sesto comma,
della legge fallimentare.
1.6. – La Guerrato spa ha depositato il 30 marzo 2020 una memoria
illustrativa, nella quale replica alle deduzioni difensive del Presidente del
Consiglio dei ministri, rilevando il carattere meramente assertivo della tesi
che pretende di desumere le ragioni giustificative della denunciata disparità
di trattamento dal regime di controlli e di vigilanza, nonché di
responsabilità, cui è sottoposta l’impresa in concordato preventivo, regime che
in realtà in nulla la differenzierebbe dall’impresa che concorre singolarmente
e dalle mandanti di un RTI.
A tale fine, essa
richiama le argomentazioni svolte dal Consiglio di Stato, sezione quinta,
nell’ordinanza iscritta al n. 150 del reg. ord. 2019,
che sarebbero pertinenti anche nel giudizio che la riguarda, sebbene riferite a
fattispecie soggetta al nuovo codice dei contratti pubblici.
1.7.–
Con istanza pervenuta il 14 aprile 2020 la Guerrato
spa e il Presidente del Consiglio dei ministri hanno chiesto congiuntamente che
la questione venga decisa in camera di consiglio senza discussione orale, sulla
base degli atti depositati, secondo quanto previsto nel decreto della
Presidente della Corte costituzionale del 24 marzo 2020, punto 1), lettera c).
2.– Con coeva ordinanza
di identico contenuto, iscritta al n. 41 del reg. ord.
2019, il Tribunale regionale amministrativo per il Lazio, sezione seconda, ha
sollevato analoghe questioni di legittimità costituzionale del «combinato
disposto» degli artt. 38, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 163 del 2006 e
186-bis, quinto e sesto comma, della legge fallimentare, lamentando sotto gli
stessi profili la violazione dei medesimi parametri (artt. 3, 41 e 117, secondo comma,
lettera a, Cost.).
Le questioni sono sorte
nel corso di un giudizio promosso sempre dalla Guerrato
spa, in proprio e quale mandataria del RTI costituito con la Ciclat società cooperativa e la Miorelli
Service spa, per l’annullamento del provvedimento con cui la Consip spa ha escluso tale RTI dalla gara indetta con bando
pubblicato il 22 marzo 2014 per l’affidamento di alcuni lotti dei «servizi
integrati, gestionali ed operativi, da eseguirsi negli immobili, adibiti
prevalentemente ad uso ufficio, in uso a qualsiasi titolo alle Pubbliche
Amministrazioni, nonché negli immobili in uso a qualsiasi titolo alle Istituzioni
Universitarie Pubbliche ed agli Enti ed Istituti di ricerca», e per il
conseguente risarcimento del danno. Con motivi aggiunti, la medesima ricorrente
ha impugnato il successivo provvedimento con cui la stessa Consip
spa ha deliberato di escutere le garanzie prestate dal RTI per concorrere alla
gara.
Anche in tale
fattispecie, la stazione appaltante ha escluso il RTI sull’assunto che durante
lo svolgimento della gara sarebbe venuto meno, in capo alla Guerrato
spa, il requisito generale di partecipazione, posto che tale impresa mandataria
era stata ammessa alla procedura di concordato preventivo con continuità
aziendale. Analoghi sono, altresì, i motivi qui rilevanti posti a fondamento
del ricorso introduttivo del processo principale.
2.1.–
Con atto depositato il 2 aprile 2019 si è costituita in giudizio la Guerrato spa, in proprio e nella qualità di mandataria del
RTI costituito con la Ciclat società cooperativa e la
Miorelli Service spa, parte del processo principale,
che ha concluso per la fondatezza delle questioni, per ragioni identiche a
quelle esposte nel giudizio promosso con ordinanza iscritta al n. 40 del reg. ord. 2019.
2.2.–
Con atto depositato il 9 aprile 2019 si è costituita Apleona
HSG spa (già Bilfinger Sielv
Facility Management spa), in proprio e nella qualità
di mandataria designata del RTI costituendo con la Markas
srl, la Vivaldi & Cardino spa, il Gruppo Servizi
Associati spa con socio unico e la Iscot Italia spa,
parte del processo principale, che ha concluso per la non fondatezza delle
questioni. Tale raggruppamento ha partecipato alla procedura di gara e si è
collocato al secondo posto in relazione a un lotto.
Secondo Apleona HSG spa, il divieto di cui all’art. 186-bis, sesto
comma, della legge fallimentare risponderebbe a una precisa scelta del
legislatore, diretta a tutelare l’interesse pubblico al corretto e puntuale
adempimento delle prestazioni oggetto di affidamento, con il fine di evitare
che la stazione appaltante contratti con soggetti inaffidabili sotto il profilo
tecnico e finanziario.
Le ragioni del divieto
sarebbero da ricercare nella particolare rilevanza del ruolo rivestito dalla
mandataria all’interno di un RTI, quale obbligata solidale nei confronti della
stazione appaltante e rappresentante esclusiva, anche processuale, delle
imprese mandanti, ai sensi dell’art. 37 del d.lgs. n. 163 del 2006.
La diversa disciplina
dettata dall’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare per la
mandataria e per la mandante avrebbe lo scopo di contemperare l’interesse al
risanamento dell’impresa ammessa al concordato preventivo con l’interesse della
stazione appaltante alla corretta e completa esecuzione del contratto. Per
questo essa non sarebbe dunque né irragionevole, né ingiustificata.
Anche altre disposizioni,
in diversi settori dell’ordinamento, collegano alle vicende patologiche
dell’impresa partecipante a una procedura di gara trattamenti normativi
differenziati per la mandataria di un RTI, ispirati alla stessa ratio sottesa
all’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare. Così l’art. 95, comma
1, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi
antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia
di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto
2010, n. 136), in materia di misure interdittive
antimafia, stabilisce che «[s]e taluna delle situazioni da cui emerge un
tentativo di infiltrazione mafiosa [...] interessa un’impresa diversa da quella
mandataria che partecipa ad un’associazione o raggruppamento temporaneo di
imprese, le cause di divieto o di sospensione [...] non operano nei confronti
delle altre imprese partecipanti quando la predetta impresa sia estromessa o
sostituita anteriormente alla stipulazione del contratto».
La violazione del
principio di uguaglianza non sarebbe configurabile anche perché la norma
assunta dal rimettente a tertium comparationis,
contenuta nell’art. 186-bis della legge fallimentare, là dove consente
eccezionalmente a un’impresa ammessa al concordato preventivo con continuità
aziendale di partecipare alla gara, derogherebbe alla regola generale di
esclusione del concorrente soggetto a una procedura concorsuale, stabilita
dall’art. 38, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 163 del 2006, e in quanto
norma derogatoria non potrebbe dunque, secondo la giurisprudenza
costituzionale, essere estesa ad altri casi (è citata la sentenza n. 231 del
2009).
La scelta legislativa
non si porrebbe nemmeno in contrasto con il diritto dell’Unione europea,
apparendo essa compatibile con i precetti di cui all’art. 45, paragrafo 2,
lettere a) e b), della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, che
rimettono agli Stati membri il potere discrezionale di determinare le
condizioni di applicabilità delle cause di esclusione dalle pubbliche gare
delle imprese soggette a procedure concorsuali.
Neppure sarebbe
pertinente il richiamo all’art. 37 del d.lgs. n. 163 del 2006, sulla
prosecuzione del rapporto contrattuale mediante la sostituzione con un altro
operatore economico dell’impresa mandataria sottoposta a fallimento. La
disposizione riguarda la fase di esecuzione del contratto, rispetto alla quale
prevarrebbe l’interesse pubblico al completamento dell’appalto, mentre nella
fase di partecipazione alla gara prevarrebbe l’interesse della stazione
appaltante a contrattare con un soggetto che garantisce solidità e affidabilità,
come affermato dalla giurisprudenza amministrativa rispetto alla citata
disciplina delle misure interdittive antimafia.
Infine, non si
potrebbero trarre argomenti nel senso della fondatezza delle questioni dalle
sopravvenute disposizioni del nuovo codice dei contratti pubblici di cui al
d.lgs. n. 50 del 2016, di rango pari a quelle censurate e dichiaratamente non
applicabili nel giudizio principale. L’ampia discrezionalità del legislatore
nel disciplinare la materia, riconosciuta anche dal rimettente, non
consentirebbe di censurare un modello normativo come quello in esame, che mira
a raggiungere un punto di equilibrio tra le contrapposte esigenze della libertà
di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost., da un lato, e del buon
andamento, dell’efficienza e dell’economicità dell’azione amministrativa di cui
all’art. 97 Cost., dall’altro.
2.3.–
Con atto depositato il 9 aprile 2019 si è costituita in giudizio anche la Dussmann Service srl, in proprio
e nella qualità di mandataria del RTI costituito con la Siram
spa, parte del processo principale, che ha concluso per la non fondatezza delle
questioni. Tale raggruppamento ha partecipato alla procedura di gara e si è
collocato al secondo posto in relazione a un diverso lotto del medesimo
appalto.
A suo avviso, proprio
il diverso modulo partecipativo alla gara giustificherebbe, contrariamente a
quanto afferma il rimettente, la scelta legislativa di differenziare l’ipotesi
in cui l’impresa assume la veste di "capogruppo mandataria” all’interno di un
RTI. Essa si troverebbe infatti in una posizione assolutamente peculiare, che
determina a suo carico l’assunzione di una responsabilità non limitata
all’esecuzione delle prestazioni di competenza. Ai sensi dell’art. 37 del
d.lgs. n. 163 del 2006, la mandataria risponde sempre e comunque in solido nei
confronti della stazione appaltante ed è titolare della rappresentanza
esclusiva, anche processuale, delle imprese mandanti «per tutte le operazioni e
gli atti di qualsiasi natura dipendenti dall’appalto, anche dopo il collaudo o
atto equivalente, fino all’estinzione di ogni rapporto».
Si tratterebbe di un
ruolo non conciliabile con lo stato di crisi dell’impresa, che sarebbe
aggravato dagli oneri e dagli adempimenti che lo status di mandataria impone
nella gestione dei contratti pubblici, nonché dalla responsabilità che essa
assume, come visto, per gli eventuali inadempimenti delle imprese mandanti.
Tale peculiare
condizione dell’impresa ammessa al concordato preventivo e la sua ridotta
capacità finanziaria imporrebbero il rispetto di particolari cautele, tradotte
dal legislatore nel divieto di assumere la veste di capogruppo mandataria. La
scelta legislativa sarebbe frutto di un complesso bilanciamento degli interessi
pubblici e privati coinvolti nel procedimento, identificati nella promozione
della continuità aziendale ai fini del risanamento delle imprese, nella
garanzia della massa dei creditori e nella tutela della corretta esecuzione
dell’appalto.
La diversità di
disciplina tra l’impresa singola e la mandataria di un RTI, censurata dal
giudice a quo, sarebbe dunque giustificata dalla diversità delle situazioni
poste a confronto. L’impresa singola ammessa al concordato preventivo con
continuità aziendale risponde della sola attività svolta direttamente, in
relazione alla quale l’ordinamento appresta, a tutela della stazione
appaltante, le garanzie previste dall’art. 186-bis, quinto comma, della legge
fallimentare, mentre l’impresa mandataria partecipa alla gara nell’ambito di
una compagine plurisoggettiva, assumendo la responsabilità anche per le
attività che devono svolgere le altre imprese aderenti al raggruppamento. Tanto
più il diverso trattamento normativo appare ragionevole nella fattispecie
dedotta nel giudizio a quo, che riguarda un raggruppamento verticale, in cui la
responsabilità delle imprese mandanti è limitata all’esecuzione delle
prestazioni di rispettiva competenza, mentre la capogruppo mandataria ha la
responsabilità solidale nei confronti della stazione appaltante.
Non sussisterebbe
neppure la violazione degli altri parametri evocati dal rimettente. Il
principio di concorrenza non determinerebbe per l’amministrazione l’obbligo di
avvalersi di imprese in crisi e la scelta legislativa risulterebbe fondata,
come visto, su un ragionevole bilanciamento degli opposti interessi pubblici e
privati coinvolti nella materia.
Nessun rilievo potrebbe
ascriversi infine alla disciplina contenuta nel nuovo codice degli appalti
pubblici di cui al d.lgs. n. 50 del 2016, pacificamente non applicabile nel
giudizio a quo e in ogni caso interpretata dalla giurisprudenza amministrativa
anche in senso difforme a quello fatto proprio dal rimettente.
2.4.–
Con atto depositato il 9 aprile 2019 è intervenuto in giudizio il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, che ha concluso per la non fondatezza delle questioni sulla scorta
delle stesse considerazioni esposte nell’atto di intervento nel giudizio
promosso con l’ordinanza iscritta al n. 40 del reg. ord.
2019.
2.5.–
La Guerrato spa ha depositato il 27 marzo 2020 una
memoria illustrativa di contenuto identico a quella presentata nel giudizio
promosso con l’ordinanza iscritta al n. 40 del reg. ord.
2019, ribadendo le già formulate conclusioni.
2.6.– Nella memoria
illustrativa pervenuta il 1° aprile 2020, per mezzo di posta elettronica
certificata, la Dussmann Service srl
ha richiamato le ragioni di infondatezza delle questioni dedotte nell’atto di
costituzione, concernenti la posizione assolutamente peculiare assunta
dall’impresa mandataria di un RTI, sia per il regime della sua responsabilità
nei confronti della stazione appaltante, sia per la titolarità della
rappresentanza esclusiva, anche processuale, delle imprese mandanti «per tutte
le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dall’appalto, anche
dopo il collaudo o atto equivalente, fino all’estinzione di ogni rapporto».
La diversità della
disciplina sarebbe giustificata, nell’ipotesi della soggezione della mandataria
a concordato preventivo con continuità aziendale, sia dalla difficoltà per
un’impresa sottoposta al regime di tutela di svolgere utilmente e celermente i
complessi e gravosi compiti gestori che spettano alla mandataria, sia dal
regime di responsabilità connesso a tale funzione, posto che l’impresa che per
legge deve essere garantita da terzi non potrebbe essere a propria volta,
sempre per legge, responsabile in solido (con funzione sostanzialmente di
garanzia) dell’esecuzione non solo della propria quota di obbligazioni ma di
tutto l’oggetto dell’appalto.
Le situazioni messe a
confronto non sarebbero dunque omogenee e ciò escluderebbe la violazione del
principio di uguaglianza. Inoltre, la partecipazione alle pubbliche gare delle
imprese in concordato preventivo con continuità aziendale, in forma individuale
o quali mandanti in un RTI, costituirebbe un’eccezione al principio generale di
esclusione di chi è soggetto a procedure concorsuali, sicché non si potrebbe
neppure parlare di un tertium comparationis
rispetto al quale la disciplina denunciata avrebbe carattere
ingiustificatamente derogatorio.
La normativa
sopravvenuta, valorizzata dal rimettente, non deporrebbe in senso favorevole
all’accoglimento delle questioni, anche perché il testo in vigore dell’art. 80,
comma 5, lettera b), del d.lgs. n. 50 del 2016 riproduce il rinvio espresso
all’art. 186-bis della legge fallimentare, confermando la ragionevolezza della
scelta operata dal legislatore. Alla stessa conclusione dovrebbe pervenirsi
osservando che nel d.lgs. n. 14 del 2019 è riprodotta una disposizione identica
a quella dell’art. 186-bis della legge fallimentare.
Quanto alle deduzioni
svolte nell’atto di costituzione della Guerrato spa,
si ribadisce che le situazioni messe a confronto dal rimettente sarebbero
diverse, anche per l’evidente ampliamento del rischio per l’impresa connesso al
ruolo della mandataria, che deve garantire la corretta esecuzione dell’appalto
anche per le mandanti e che è il punto di riferimento ineludibile per la
stazione appaltante. Né si comprende quale parametro costituzionale sarebbe
violato per il fatto che le norme censurate consentirebbero la sovrapposizione
del sindacato del giudice ordinario in sede fallimentare e del giudice
amministrativo in sede di impugnazione degli atti dell’amministrazione. Infine,
la lamentata mancanza di una disciplina in grado di regolare le situazioni
sopravvenute e di permettere all’operatore di adeguarsi al precetto normativo
senza conseguenze pregiudizievoli non costituirebbe un profilo di
costituzionalità soggetto al sindacato della Corte.
2.7.–
Anche Apleona HSG spa ha fatto pervenire una memoria
illustrativa il 1° aprile 2020, nella quale ripropone le argomentazioni svolte
nell’atto di costituzione e insiste per l’infondatezza delle questioni.
2.8.–
Con istanze pervenute il 14 e il 15 aprile 2020, la Guerrato
spa e la Dussmann Service srl
hanno chiesto che la questione venga decisa in camera di consiglio senza
discussione orale, sulla base degli atti depositati, secondo quanto previsto
nel citato decreto del 24 marzo 2020, punto 1), lettera c).
Analoghe richieste con
contestuale istanza di rimessione in termini sono state presentate il 16 aprile
2020 dalla Apleona HSG spa e dal Presidente del
Consiglio dei ministri.
3.– Con ordinanza del
12 giugno 2019, iscritta al n. 150 del reg. ord.
2019, il Consiglio di Stato, sezione quinta, ha sollevato questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 186-bis, sesto comma, della legge
fallimentare, nella parte in cui esclude dalla partecipazione a procedure di
affidamento di contratti pubblici l’impresa in concordato preventivo con
continuità aziendale che rivesta la qualità di mandataria di un RTI, in
riferimento agli artt.
3, 41 e 97 Cost.
Le questioni sono sorte
nel corso di un giudizio d’appello promosso dalla Itinera
spa, in proprio e quale mandataria del RTI costituito con la Monaco spa,
avverso la sentenza pronunciata il 3 aprile 2019 dal Tribunale amministrativo
regionale per la Toscana. Con tale sentenza il TAR aveva respinto il ricorso
presentato dalla stessa Itinera spa per
l’annullamento dell’aggiudicazione a un diverso RTI, di cui è mandataria Carena
spa Impresa di costruzioni, dell’appalto relativo ai lavori di realizzazione di
un tronco stradale.
Per quello che qui
rileva, il provvedimento di aggiudicazione è stato impugnato per violazione dell’art.
186-bis, sesto comma, della legge fallimentare, sull’assunto che la stazione
appaltante Anas spa avrebbe illegittimamente ammesso la Itinera
spa alla gara nonostante la medesima, quale mandataria del RTI risultato
aggiudicatario dell’appalto, si trovasse in stato di concordato preventivo con
continuità aziendale.
Il TAR aveva respinto
il ricorso ritenendo che il citato art. 186-bis, sesto comma, fosse stato
implicitamente abrogato dal sopravvenuto art. 80, comma 5, lettera b), cod.
contratti pubblici, che, escludendo dalle gare pubbliche chi è sottoposto a
procedure concorsuali salvo il caso del concordato preventivo con continuità
aziendale, non rinvia all’art. 186-bis della legge fallimentare e all’eccezione
in esso prevista per l’impresa mandataria di un RTI. Ciò che determinerebbe il
superamento dell’eccezione prevista in quest’ultima disposizione e l’ammissione
alla partecipazione alle gare di tutte le imprese in concordato preventivo con
continuità aziendale, anche mandatarie di RTI.
L’appellante nel
processo principale ha censurato in parte qua la sentenza di primo grado
osservando che le anzidette disposizioni non sarebbero tra loro incompatibili,
in quanto l’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare disciplina la
situazione peculiare dell’impresa mandataria di un RTI che si trova in stato di
concordato preventivo con continuità aziendale, rispetto alla quale non
opererebbe la deroga all’esclusione dalle gare prevista all’art. 80, comma 5,
lettera b), cod. contratti pubblici per le imprese che si trovano nel medesimo
stato. In tale situazione, dunque, sarebbe di nuovo applicabile la regola
generale, prevista anch’essa al citato art. 80, comma 5, lettera b), secondo
cui l’operatore economico sottoposto a fallimento o che si trovi in stato di
liquidazione coatta o di concordato preventivo è escluso dalla partecipazione
alle procedure di affidamento dei contratti pubblici.
3.1.–
Dopo avere respinto la preliminare eccezione di irricevibilità del ricorso
introduttivo del giudizio di primo grado riproposta in appello dalle parti
resistenti, il Consiglio di Stato motiva sulla rilevanza delle questioni
osservando innanzitutto che, contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, l’art.
186-bis, sesto comma, della legge fallimentare non sarebbe stato implicitamente
abrogato dall’art. 80, comma 5, lettera b), cod. contratti pubblici. Tra le due
norme esisterebbe infatti un rapporto di specialità: il citato art. 80, comma
5, lettera b), stabilirebbe la regola generale di esclusione dalle gare degli
operatori economici in stato di fallimento, liquidazione coatta e concordato
preventivo, con una deroga, anch’essa generale, per coloro che si trovano in
stato di concordato preventivo con continuità aziendale; l’art. 186-bis, sesto
comma, della legge fallimentare disciplinerebbe invece il caso specifico
dell’impresa in concordato preventivo con continuità aziendale riunita in RTI,
subordinando la sua partecipazione alla gara alla duplice condizione che non
rivesta la qualità di mandataria e che al RTI non aderiscano imprese sottoposte
a procedure concorsuali.
Il rimettente osserva
inoltre che l’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare si
applicherebbe anche dopo la pronuncia del decreto di omologazione del
concordato preventivo. L’art. 181 della legge fallimentare, secondo cui la
procedura di concordato preventivo «si chiude» con tale pronuncia, nulla
disponendo per il periodo successivo all’omologazione, non consentirebbe di
sostenere la contraria tesi del pieno riacquisto della capacità contrattuale in
capo all’imprenditore già in concordato preventivo. Per il periodo successivo,
l’art. 136 della stessa legge fallimentare riconoscerebbe comunque al giudice
delegato, al curatore e al comitato dei creditori ampi poteri di intervento e
la distinzione operata dall’art. 80, comma 5, lettera b), tra l’operatore
economico «in stato di concordato preventivo» e quello che abbia «in corso un
procedimento per la dichiarazione» di tale situazione lascerebbe comprendere
che il primo è quello già ammesso al concordato.
Sempre sulla rilevanza,
il giudice a quo afferma infine che il secondo motivo di gravame – con il quale
si deduce che Carena spa Impresa di costruzioni non avrebbe potuto partecipare
alla gara in mancanza di autorizzazione rilasciata dal tribunale fallimentare
in sede di omologazione del concordato preventivo – sarebbe inammissibile,
stante il divieto dei nova in appello ex art. 104, comma 1, dell’Allegato 1
(Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n.
104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante
delega al governo per il riordino del processo amministrativo).
Il giudizio non
potrebbe dunque essere definito senza applicare il censurato art. 186-bis,
sesto comma, della legge fallimentare, ciò che condurrebbe ad accogliere
l’appello e a confermare l’esclusione dalla procedura di gara del
raggruppamento la cui mandataria è in concordato preventivo.
3.1.1.–
Quanto alla non manifesta infondatezza, la norma censurata violerebbe
innanzitutto l’art. 3 Cost., per l’irragionevolezza della scelta del
legislatore.
La questione è
sollevata sotto tre distinti profili.
3.1.2.–
L’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare introdurrebbe
un’irragionevole disparità di trattamento "esterna” fra l’impresa che riveste
la qualità di mandataria di un RTI e l’impresa che, trovandosi nella stessa
situazione di concordato preventivo con continuità aziendale, partecipa come
singola offerente oppure come mandataria di un consorzio ordinario di
concorrenti di cui all’art. 45, comma 2, lettera e), del d.lgs. n. 50 del 2016.
La ratio della
disciplina che consente all’impresa in concordato preventivo con continuità
aziendale di partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici,
pur con le cautele previste dal quarto e quinto comma dell’art. 186-bis della
legge fallimentare e dal comma 3 dell’art. 110 del d.lgs. n. 50 del 2016,
sarebbe di favorire la percezione di ricavi da commesse pubbliche per superare
lo stato di crisi. La differente disciplina riservata all’impresa mandataria di
un RTI rispetto all’impresa che concorre uti singula non sarebbe pertanto ragionevole, valendo anche per
la prima la medesima ratio.
Il diverso trattamento
non sarebbe giustificato dalla qualità di rappresentante esclusiva delle imprese
mandanti assunta dalla mandataria di un RTI nei confronti della stazione
appaltante ai sensi dell’art. 48, comma 15, del d.lgs. n. 50 del 2016:
anch’essa, infatti, contratterebbe con la stazione appaltante come un operatore
economico che partecipa singolarmente, con la sola differenza che gli effetti
dei suoi atti si riverberano nella sfera giuridica delle mandanti.
Un diverso trattamento
non sarebbe giustificato nemmeno dal regime di responsabilità solidale
dell’impresa mandataria nei confronti della stazione appaltante, del
subappaltatore o dei fornitori ex art. 48, comma 5, del d.lgs. n. 50 del 2016,
in quanto tale regime, efficace anche per le mandanti, sarebbe «identico a
quello dell’impresa che abbia stipulato il contratto singolarmente», risolvendosi
nell’obbligo di eseguire per intero la prestazione dedotta in contratto o di
risarcire l’intero danno da inadempimento. Si tratterebbe anzi di un regime di
responsabilità contrattuale più favorevole per la stazione appaltante, come
sempre accade quando il creditore può contare sulla solidarietà nel lato
passivo delle obbligazioni.
Un’analoga
irragionevole disparità di trattamento sussisterebbe poi rispetto all’impresa
mandataria in concordato preventivo con continuità aziendale nell’ambito di un
consorzio ordinario di concorrenti di cui all’art. 45, comma 2, lettera e), del
d.lgs. n. 50 del 2016, per la quale varrebbe la disciplina generale e non
opererebbe il divieto di partecipazione ex art. 186-bis, sesto comma, della
legge fallimentare.
3.1.3.–
Un’ulteriore irragionevole disparità di trattamento – questa volta "interna”
alla disposizione censurata – sarebbe individuabile fra l’impresa mandataria e
l’impresa mandante di un RTI, che entrambe si trovino in concordato preventivo
con continuità aziendale. A parità di condizioni, la seconda può concorrere
infatti alla procedura di affidamento, sempre che non vi siano altre imprese
aderenti assoggettate a procedura concorsuale. Il conferimento della
rappresentanza esclusiva, anche processuale, alla mandataria non sarebbe
decisiva in senso contrario, in quanto ai sensi dell’art. 48, comma 15, del
d.lgs. n. 50 del 2016 «[l]a stazione appaltante, tuttavia, può far valere
direttamente le responsabilità facenti capo ai mandanti».
3.1.4.– L’art. 186-bis,
sesto comma, della legge fallimentare, contrasterebbe poi con il principio di
ragionevolezza "intrinseca”, per l’incongruenza della scelta del legislatore
rispetto all’obiettivo di tutelare i creditori dell’impresa in concordato
preventivo, posto che l’esclusione assoluta dalla partecipazione alle procedure
di affidamento dei contratti pubblici – e la conseguente sottrazione al giudice
della procedura concorsuale della «valutazione comparata tra commessa da
affidare e stato dell’impresa» – negherebbe all’impresa mandataria di un RTI
«la chance di ottenere un flusso di denaro utile al superamento dello stato di
crisi».
3.1.5.–
Ad avviso del rimettente, la norma censurata si porrebbe altresì in contrasto
con l’art. 41 Cost. Essa infatti limiterebbe l’autonomia contrattuale
dell’impresa in concordato preventivo con continuità aziendale, anziché
favorirne il libero dispiegarsi, in conformità all’utilità sociale, per
l’acquisizione di clienti di sicura affidabilità, quali i soggetti pubblici.
3.1.6.–
Infine, sarebbe violato l’art. 97 Cost., per contrasto con il principio di buon
andamento dell’amministrazione, in quanto la norma censurata limiterebbe
ingiustificatamente il potere delle pubbliche amministrazioni di scegliere il
contraente più qualificato e capace.
3.2.–
Con atto depositato il 22 ottobre 2019 si è costituita in giudizio la Itinera spa, in proprio e nella qualità di mandataria del
RTI costituito con Monaco spa, parte del processo principale, che ha concluso
per l’inammissibilità e comunque per la non fondatezza delle questioni.
Dopo avere riferito che
nelle more del presente giudizio la Carena spa Impresa di costruzioni,
mandataria del RTI aggiudicatario della gara, è stata dichiarata fallita dal
Tribunale ordinario di Genova per inadempimento del piano concordatario, essa
ha eccepito in via preliminare l’inammissibilità delle questioni per difetto di
motivazione sulla rilevanza.
La stazione appaltante
sarebbe partita dall’erroneo presupposto dell’intervenuta chiusura del
concordato preventivo a seguito del decreto di omologazione e avrebbe così
omesso di verificare in concreto la sussistenza o meno delle condizioni di
applicabilità dell’eccezionale deroga al divieto di partecipazione alle gare
delle imprese sottoposte a procedure concorsuali posta dall’art. 186-bis, sesto
comma, della legge fallimentare. Di conseguenza, il giudice a quo, muovendo
invece dalla condivisibile tesi per cui lo stato di concordato preventivo non
si chiude con l’omologazione ma con il decreto che accerta l’adempimento del
piano concordatario, avrebbe dovuto esporre le ragioni che lo hanno indotto a
valutare nel merito la sussistenza delle anzidette condizioni di applicabilità
anziché annullare senz’altro l’aggiudicazione lasciando alla stazione
appaltante tale valutazione «in sede di rinnovazione del segmento
procedimentale illegittimo», ai sensi dell’art. 34, comma 2, cod. proc. amm., secondo cui «in
nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi
non ancora esauriti».
Nel merito, osserva che
il giudice a quo, pur avendo colto la ratio dell’art. 186-bis della legge
fallimentare, là dove introduce per le imprese in concordato preventivo con
continuità aziendale un’eccezione al generale divieto di partecipazione alle
gare di coloro che sono sottoposti a una procedura concorsuale, posto dal
codice dei contratti pubblici, non si sarebbe avveduto della ratio della norma
che, limitando tale eccezione, preclude la partecipazione dell’impresa
mandataria di un RTI, ai sensi del sesto comma dello stesso art. 186-bis.
Il fine della tutela
dei creditori dell’impresa in concordato, che, secondo il rimettente, il
legislatore avrebbe inteso raggiungere «prim’ancora che quello della garanzia
dell’impegno assunto dal raggruppamento nei confronti della stazione
appaltante», non rappresenterebbe l’unico scopo perseguito della disposizione
censurata, la cui ratio differenziatrice troverebbe
giustificazione nella prevalente esigenza di proteggere la realizzazione
dell’opera dai rischi connessi all’instabilità finanziaria dell’impresa
capogruppo, quale responsabile generale dell’adempimento. Inoltre, la
disposizione proteggerebbe la funzionalità del RTI, che non potrebbe essere
guidato da un’impresa «la cui capacità decisionale e la cui posizione sono
soggette a regole particolari e a una sorta di tutela pubblica» ad opera degli
organi della procedura.
La medesima ratio
sussisterebbe anche ragionando nell’esclusiva ottica della tutela dei creditori
dell’impresa in concordato, in quanto il ruolo di mandataria implica
l’assunzione di obbligazioni aggiuntive rispetto alle imprese mandanti che
hanno assunto l’impegno di eseguire lavori scorporabili o prestazioni
secondarie di servizi, come ammetterebbe lo stesso giudice a quo.
La diversità delle
posizioni della mandataria e delle imprese mandanti si desumerebbe anche dalla
disciplina della fase di esecuzione del contratto che prevede la possibilità di
continuare il rapporto nel caso di fallimento della mandataria, purché ciò
avvenga attraverso la sua sostituzione con un altro operatore economico avente
i requisiti necessari (art. 48, comma 17, del d.lgs. n. 50 del 2016).
Non avrebbe «senso», ad
avviso della parte, comparare la situazione della mandataria con quella
dell’impresa in concordato preventivo che, concorrendo singolarmente, potrebbe
assumere le stesse obbligazioni, trattandosi di situazione estranea alla logica
della disciplina del RTI.
La mancanza di un
analogo divieto per l’impresa mandataria di un consorzio ordinario ex art. 45,
comma 2, lettera e), del d.lgs. n. 50 del 2016 non sarebbe decisiva in senso
contrario, in quanto tale mancanza potrebbe porre, semmai, un problema di
legittimità di questa disciplina, senza considerare che l’omogeneità delle due
fattispecie indurrebbe a estendere applicativamente la disposizione censurata
al consorzio ordinario.
L’interesse pubblico al
corretto svolgimento degli appalti e alla realizzazione di opere di pubblica
utilità sarebbe compreso nella nozione di «utilità sociale» che giustifica la
limitazione della libertà di iniziativa economica, sicché neppure sussisterebbe
la violazione dell’art. 41 Cost.
Infine, la disposizione
censurata, lungi dal rappresentare un’eccezione nel sistema, si salderebbe al
generale divieto di partecipazione delle imprese soggette a procedure concorsuali,
onde non potrebbe ritenersi pregiudicato l’interesse pubblico alla selezione
della miglior offerta, in violazione dell’art. 97 Cost. D’altra parte, seguendo
la prospettiva del rimettente, si dovrebbe ritenere contraria a tale parametro
tutta la disciplina che condiziona la partecipazione delle imprese alle gare a
stringenti requisiti, «talvolta ben meno correlati alle esigenze di regolare
andamento dell’azione amministrativa» rispetto a quelli che vengono in rilievo
in questa sede.
3.3.– Con atto
depositato il 17 ottobre 2019 si è costituita in giudizio l’Anas spa, parte del
processo principale, che ha concluso per la fondatezza delle questioni,
rimettendosi in via preliminare alla valutazione di questa Corte in ordine
all’eventuale inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza,
sull’assunto, disatteso dal rimettente, che il censurato art. 186-bis, sesto
comma, della legge fallimentare sarebbe stato implicitamente abrogato, per
incompatibilità, dal sopravvenuto art. 80, comma 5, lettera b), del d.lgs. n.
50 del 2016.
Nel merito, l’Anas spa
aderisce alle censure avanzate dal rimettente.
Quanto alla violazione
dell’art. 3 Cost. per irragionevolezza "esterna”, osserva che impedire
all’impresa in concordato preventivo con continuità aziendale di rivestire il
ruolo di mandataria di un RTI, consentendole invece di concorrere alla gara in
forma singola, sarebbe irragionevole in quanto il codice dei contratti pubblici
e, prim’ancora, «le Direttive comunitarie» non ammetterebbero discriminazioni tra
diverse forme di partecipazione (singola o associata) di operatori economici,
in applicazione del generale principio di neutralità della veste formale
dell’imprenditore. In questa prospettiva, la preclusione introdotta dalla norma
censurata ostacolerebbe la piena affermazione dei principi europei di libertà
di stabilimento e di libera prestazione dei servizi. Sarebbe contraddetta anche
la ratio dell’istituto del RTI, che è quella di accrescere la competitività
delle imprese e di assicurare una più competente esecuzione delle opere,
consentendo allo stesso tempo alla stazione appaltante di avere un unico
interlocutore e di restare almeno parzialmente indifferente alle vicende
interne del raggruppamento, come se avesse quale controparte un unico soggetto
e non una pluralità di imprese. La sintesi tra le contrapposte esigenze della
stazione appaltante di avere un interlocutore unico e delle imprese di
conservare la propria autonomia si compendierebbe nel contratto di mandato con
rappresentanza, sicché il divieto posto dall’art. 186-bis, sesto comma, della
legge fallimentare non si giustificherebbe nemmeno facendo riferimento al
collegamento negoziale tra contratto d’appalto e contratto di mandato.
Alle medesime
conclusioni condurrebbe il confronto con la situazione dell’impresa mandataria
di un consorzio ordinario, che non soggiace alla stessa preclusione, pur
sussistendo tra i due modelli partecipativi alla gara un’evidente affinità.
Entrambi sarebbero infatti caratterizzati dall’essere un’aggregazione occasionale
di imprese per un’unica gara e differirebbero solo per il regime di
rappresentanza nei confronti della stazione appaltante, che nel consorzio
spetta agli organi consortili cui è statutariamente attribuita.
Quanto alla mancanza di
ragionevolezza "interna”, con specifico riguardo alle posizioni della
mandataria e delle imprese mandanti, la censurata preclusione gravante sulla
prima non potrebbe essere giustificata facendo riferimento a un diverso regime
di responsabilità nei confronti della stazione appaltante, posto che tutte le
imprese raggruppate sarebbero sottoposte allo stesso regime, senza sostanziali
differenze. Un diverso trattamento avrebbe ragione d’essere se fosse motivato
dall’esigenza di tutelare la stazione appaltante da eventuali ricadute negative
connesse alla responsabilità solidale che vincola mandataria e mandanti, ma
anche tale profilo non condurrebbe a una diversa conclusione, posto che nel
caso di RTI orizzontale la solidarietà si estenderebbe a tutti gli operatori
economici raggruppati, mentre nel RTI verticale ciascuna impresa che abbia
assunto parti scorporabili dell’opera o prestazioni secondarie di servizi
risponderebbe comunque individualmente, «ferma la responsabilità della
capogruppo». Il regime di responsabilità proprio delle imprese riunite in RTI,
dunque, non solo non aggraverebbe la posizione dell’appaltatore rispetto
all’aggiudicazione dell’appalto in forma singola, «ma, per certi aspetti, la attenu[erebbe]».
Si dovrebbe giungere
alle stesse conclusioni avendo riguardo alla responsabilità solidale delle
imprese partecipanti al RTI nei confronti dei subappaltatori e fornitori: la
posizione dell’impresa mandataria sarebbe «neutra», posto che la stessa impresa
avrebbe assunto una piena responsabilità nei confronti degli stessi soggetti se
avesse partecipato in forma singola.
Quanto
all’irragionevolezza "intrinseca”, correttamente il giudice a quo avrebbe
rilevato che la disposizione censurata contrasterebbe con il suo obiettivo di
tutelare i creditori dell’impresa in concordato preventivo con continuità
aziendale, impedendo di ottenere un flusso di denaro utile al superamento della
crisi d’impresa.
La stessa
irragionevolezza si configurerebbe anche avendo riguardo al favor
legislativo per il ricorso alle procedure di concordato preventivo come
strumento di composizione della crisi finalizzato a favorire la conservazione
di valori aziendali.
Quanto alle violazioni
degli artt. 41 e 97 Cost., la parte ribadisce e sviluppa le considerazioni
svolte sul punto dal giudice a quo.
3.4.–
Con atto depositato il 14 ottobre 2019 si è costituita in giudizio anche la
Carena spa Impresa di costruzioni, in proprio e nella qualità di mandataria del
RTI costituito con la ILESP srl, parte del processo
principale, che ha concluso per l’irrilevanza delle questioni e, in subordine,
per la loro fondatezza nel merito.
Sull’eccezione
preliminare di irrilevanza delle questioni osserva che, contrariamente a quanto
affermato dal rimettente, l’art. 186-bis, sesto comma, della legge
fallimentare, sarebbe stato abrogato implicitamente dall’art. 80, comma 5,
lettera b), del d.lgs. n. 50 del 2016; e, in subordine, che lo stesso art.
186-bis, sesto comma, non si applicherebbe al caso in cui il concordato
preventivo con continuità aziendale dell’impresa mandataria di un RTI si fosse
chiuso, prim’ancora della presentazione dell’offerta, a seguito del decreto di
omologazione, con il conseguente riacquisto della piena capacità contrattuale
in capo all’operatore economico rientrato in bonis,
come si sarebbe verificato nella fattispecie dedotta nel giudizio a quo.
Sotto questo secondo
profilo, le ragioni addotte dal giudice a quo, sulla permanenza in capo agli
organi della procedura di «ampi poteri di intervento» anche dopo l’omologazione
del concordato preventivo, muoverebbero da un’erronea ricostruzione del quadro
normativo. Nella fase esecutiva del piano concordatario, infatti, il giudice
delegato non avrebbe poteri autorizzatori e il suo
ruolo si limiterebbe al controllo, tramite il commissario giudiziale,
dell’attività gestoria svolta dagli amministratori
della società.
Il giudice a quo
avrebbe inoltre errato nel ritenere che l’operatore economico «in stato di
concordato», di cui all’art. 80, comma 5, lettera b), del d.lgs. n. 50 del
2016, è quello che, già ammesso alla procedura ai sensi dell’art. 163 della
legge fallimentare, ha ottenuto il decreto di omologazione ai sensi del
successivo art. 181. Secondo una corretta interpretazione letterale e
sistematica della pertinente disciplina tale operatore economico sarebbe invece
quello ammesso alla procedura di concordato preventivo non ancora omologato,
mentre l’operatore con un «procedimento in corso», di cui sempre al citato art.
80, comma 5, lettera b), sarebbe quello che, avendo presentato il ricorso per
l’ammissione al concordato, ai sensi dell’art. 161, comma 6, della legge
fallimentare, è in attesa del decreto di ammissione.
Il richiamo del
rimettente alla necessità dell’autorizzazione del giudice delegato per
partecipare alla gara, di cui all’art. 110, comma 3, del d.lgs. n. 50 del 2016,
sarebbe poi contraddittorio, da un lato perché lo stesso rimettente afferma che
nel giudizio a quo la questione concernente l’autorizzazione è inammissibile e
inconferente, dall’altro lato perché la citata previsione disciplinerebbe la diversa
ipotesi dell’impresa ammessa al concordato preventivo con continuità aziendale,
nulla disponendo per l’ipotesi in cui il piano concordatario sia stato
omologato. In ogni caso, nella specie l’autorizzazione, estesa alla
partecipazione a tutte le gare d’appalto, sarebbe stata rilasciata dal
Tribunale di Genova in sede di omologazione dello specifico concordato
preventivo.
Nel merito, le
questioni dovrebbero essere accolte, previa riunione del giudizio con quelli
promossi dal TAR Lazio.
3.5.–
Con atto depositato il 22 ottobre 2019 è intervenuto in giudizio il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, che ha concluso per la non fondatezza delle questioni sulla scorta
delle stesse considerazioni esposte nell’atto di intervento nel giudizio
promosso con ordinanza iscritta al n. 40 reg. ord.
2019, con la precisazione che il coordinamento tra le previsioni dell’art.
186-bis, sesto comma, della legge fallimentare, e dell’art. 80 del d.lgs. n. 50
del 2016 si dovrebbe effettuare, come correttamente ritenuto dal giudice a quo,
in base al principio di specialità.
3.6.– La Itinera spa ha fatto pervenire il 1° aprile 2020, per mezzo
di posta elettronica certificata, una memoria illustrativa, nella quale chiede
preliminarmente che questa Corte restituisca gli atti al giudice a quo perché
valuti nuovamente la rilevanza delle questioni, sull’assunto che nel processo
principale sarebbe venuta meno la necessità di applicare la disposizione
censurata per definire il giudizio nel merito, essendosi verificati i
presupposti per una pronuncia in rito di cessazione della materia del
contendere. Le circostanze sopravvenute – ulteriori rispetto alla sentenza
dichiarativa del fallimento della Carena spa Impresa di costruzioni, già
menzionata nell’atto di costituzione – sarebbero costituite dalla revoca
dell’aggiudicazione dell’appalto al RTI in cui è mandataria la Carena spa
Impresa di costruzioni e dalla successiva aggiudicazione a favore del RTI
composto dalla stessa Itinera spa e dalla Monaco spa,
provvedimenti entrambi non impugnati. Ciò avrebbe comportato il «totale
soddisfacimento dell’interesse di Itinera spa, nuova
e incontestata aggiudicataria dell’appalto».
Pur dichiarandosi
consapevole che anche il venir meno del giudizio a quo non incide sul giudizio
costituzionale, ai sensi dell’art. 18 delle Norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale, la parte osserva che nella specie il
processo principale non sarebbe, né estinto, né interrotto, né sospeso per
causa diversa dalla pendenza dell’incidente di costituzionalità, sicché la
soluzione più appropriata, trattandosi di un mutamento che attiene alla
situazione sostanziale dedotta in giudizio, potrebbe consistere per l’appunto
nella restituzione degli atti al rimettente.
Nel resto, vengono
richiamati gli argomenti già svolti nei sensi dell’inammissibilità o
dell’infondatezza delle questioni.
3.7.–
Con istanza pervenuta il 15 aprile 2020 tutte le parti hanno congiuntamente
chiesto che la questione venga decisa in camera di consiglio senza discussione
orale, sulla base degli atti depositati, secondo quanto previsto nel citato
decreto del 24 marzo 2020, punto 1), lettera c).
L’Anas spa ha
contestualmente depositato brevi note con cui si oppone alla richiesta di
restituzione degli atti al giudice a quo e richiama, nel resto, le
argomentazioni e le conclusioni già svolte.
1.– Con due ordinanze
coeve e di contenuto sostanzialmente identico, iscritte ai numeri 40 e 41 del
reg. ord. 2019, il Tribunale amministrativo per il
Lazio dubita della legittimità costituzionale del «combinato disposto» degli
artt. 38, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163
(Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in
attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) e 186-bis, quinto e sesto
comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del
concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione
coatta amministrativa), in riferimento agli artt. 3, 41 e 117, secondo comma,
lettera a), della Costituzione.
Le questioni sono sorte
nel corso di due giudizi aventi analogo oggetto e promossi dalla stessa società
(la Guerrato spa), in proprio e quale mandataria di
un raggruppamento temporaneo di imprese (RTI). La ricorrente nei processi
principali ha chiesto l’annullamento dei provvedimenti di esclusione del
predetto RTI dalle procedure di affidamento di alcuni lotti di «servizi
integrati, gestionali ed operativi» e, con motivi aggiunti, l’annullamento
delle delibere di escussione delle garanzie prestate dal RTI al fine di
concorrere alle gare.
La stazione appaltante
ha disposto l’esclusione sull’assunto che durante l’iter di svolgimento delle
gare si sarebbe verificato in capo all’impresa mandataria del RTI il requisito
generale di esclusione previsto dall’art. 38, comma 1, lettera a), del d.lgs.
n. 163 del 2006, ai sensi del quale «[s]ono esclusi
dalla partecipazione alle procedure di affidamento» i soggetti «che si trovano in
stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, salvo il
caso di cui all’articolo 186-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, o nei
cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali
situazioni». Essendo infatti stata ammessa l’impresa mandataria alla procedura
di concordato preventivo con continuità aziendale, troverebbe applicazione il
richiamato art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare, ai sensi del
quale «l’impresa in concordato può concorrere anche riunita in raggruppamento
temporaneo di imprese, purché non rivesta la qualità di mandataria e sempre che
le altre imprese aderenti al raggruppamento non siano assoggettate ad una
procedura concorsuale».
1.1.– Quanto alla rilevanza,
il rimettente osserva che alle fattispecie dedotte nei giudizi principali si
dovrebbe applicare ratione temporis
l’art. 38, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 163 del 2006, ancorché abrogato
dal decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici),
in quanto quest’ultimo trova applicazione solo per le procedure e i contratti
banditi successivamente all’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti
pubblici, ai sensi del suo art. 216, comma 1.
Il «combinato disposto»
del citato art. 38, comma 1, lettera a), e dell’art. 186-bis, quinto e sesto
comma, della legge fallimentare condurrebbe così inevitabilmente a ritenere
legittima l’esclusione dalle gare del raggruppamento di imprese di cui la
ricorrente è mandataria. La deroga introdotta dall’art. 186-bis della legge
fallimentare alla regola generale che vieta la partecipazione alla gara dei
soggetti sottoposti a procedure concorsuali sarebbe infatti circoscritta alle
due sole ipotesi dell’impresa «singola» e dell’impresa aderente a un RTI in
qualità di mandante, con la conseguenza che la regola generale tornerebbe a
operare se, come nel caso di specie, l’impresa mandataria di un RTI si trova in
concordato preventivo con continuità aziendale. Né sarebbe possibile
interpretare diversamente le disposizioni censurate.
1.2.– Le norme
censurate, nel loro «combinato disposto», violerebbero innanzitutto l’art. 3
Cost., in quanto per le diverse ipotesi indicate (impresa «singola», impresa
mandante e impresa mandataria di un RTI), che differiscono tra loro solo per il
modulo partecipativo alla gara, varrebbe infatti la stessa esigenza di favorire
il superamento della crisi d’impresa, che giustifica la deroga al generale
divieto di partecipazione alle gare pubbliche per le imprese sottoposte a
procedure concorsuali.
Violerebbero inoltre
gli artt. 41 e 117, secondo comma, lettera a), Cost., in quanto l’irragionevole
esclusione dalle procedure di affidamento di contratti pubblici dell’impresa
mandataria di un RTI sottoposta a concordato preventivo con continuità
aziendale limiterebbe ingiustificatamente la libertà di iniziativa economica e
si porrebbe in contrasto con il principio della concorrenza, costituente un
«principio cardine dell’Unione europea», cui «la massima partecipazione alle
gare è funzionale».
2.– Con ordinanza
iscritta al n. 150 del reg. ord. 2019, il Consiglio
di Stato, sezione quinta, dubita a sua volta della legittimità costituzionale
dell’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare, nella parte in cui
esclude dalle procedure di affidamento dei contratti pubblici l’impresa in
concordato preventivo con continuità aziendale che rivesta la qualità di
mandataria di un RTI, in riferimento agli artt. 3, 41 e 97 Cost.
Le questioni sono sorte
nel corso di un giudizio d’appello promosso dalla Itinera
spa, in proprio e quale mandataria di un RTI, avverso la sentenza con cui il
Tribunale amministrativo regionale per la Toscana aveva respinto il ricorso
presentato dalla stessa Itinera spa per
l’annullamento dell’aggiudicazione a un diverso RTI dell’appalto relativo ai
lavori di realizzazione di un tronco stradale.
Per quello che qui
rileva, la ricorrente, risultata seconda classificata, aveva impugnato
l’aggiudicazione per violazione dell’art. 186-bis, sesto comma, della legge
fallimentare, sull’assunto dell’illegittimità dell’ammissione alla gara del
raggruppamento affidatario, la cui mandataria era in concordato preventivo con
continuità aziendale.
Il giudice di primo
grado aveva respinto il ricorso ritenendo il citato art. 186-bis, sesto comma,
implicitamente abrogato dal sopravvenuto art. 80, comma 5, lettera b), del
d.lgs. n. 50 del 2016, che, nella versione originaria, esclude dalle gare
pubbliche chi è sottoposto a procedure concorsuali salvo il caso del concordato
preventivo con continuità aziendale, e non rinvia all’art. 186-bis della legge
fallimentare e all’eccezione in esso prevista per l’impresa mandataria di un
RTI. Non operando più la deroga prevista in quest’ultima disposizione
potrebbero essere ammesse alle gare tutte le imprese in concordato preventivo
con continuità aziendale, anche mandatarie di RTI.
2.1.– Quanto alla
rilevanza, il Consiglio di Stato ritiene innanzitutto che l’art. 186-bis, sesto
comma, della legge fallimentare non sia stato implicitamente abrogato dall’art.
80, comma 5, lettera b), del d.lgs. n. 50 del 2016, operando tra le due norme
un rapporto di specialità per cui la seconda fissa la regola generale di
esclusione degli operatori economici sottoposti a procedure concorsuali, con
una deroga, anch’essa generale, per coloro che si trovano in stato di
concordato preventivo con continuità aziendale; mentre la prima disciplina il
caso specifico dell’impresa in concordato preventivo con continuità aziendale
riunita in RTI.
L’art. 186-bis, sesto
comma, della legge fallimentare si applicherebbe inoltre anche dopo la
pronuncia del decreto di omologazione del concordato preventivo, non potendosi
trarre argomenti in senso contrario dalla disciplina contenuta nella legge
fallimentare.
2.2.–
La norma censurata violerebbe innanzi tutto l’art. 3 Cost.
La questione è
sollevata sotto tre distinti profili:
1) l’art. 186-bis,
sesto comma, della legge fallimentare introdurrebbe un’irragionevole disparità
di trattamento "esterna” fra l’impresa che riveste la qualità di mandataria di
un RTI e l’impresa che, nella stessa situazione di concordato preventivo con
continuità aziendale, partecipa come singola offerente oppure come mandataria
di un consorzio ordinario di concorrenti di cui all’art. 45, comma 2, lettera
e), del d.lgs. n. 50 del 2016;
2) un’ulteriore
irragionevole disparità di trattamento – questa volta "interna” alla
disposizione censurata – sarebbe individuabile fra l’impresa mandataria e
l’impresa mandante di un RTI che si trovino in concordato preventivo con continuità
aziendale. A parità di condizioni, la seconda può concorrere infatti alla
procedura di affidamento, sempre che non vi siano altre imprese aderenti
assoggettate a procedura concorsuale;
3) l’art. 186-bis,
sesto comma, della legge fallimentare contrasterebbe poi con il principio di
ragionevolezza "intrinseca”, per l’incongruenza della scelta operata dal
legislatore rispetto all’obiettivo di tutelare i creditori dell’impresa in
concordato preventivo, giacché l’esclusione assoluta dalla partecipazione alle
gare negherebbe all’impresa mandataria di un RTI «la chance di ottenere un
flusso di denaro utile al superamento dello stato di crisi».
2.3.–
L’art. 186-bis, sesto comma, si porrebbe altresì in contrasto con l’art. 41
Cost. perché limiterebbe l’autonomia contrattuale dell’impresa in concordato
preventivo con continuità aziendale, anziché favorirne «il libero dispiegarsi»,
in conformità all’utilità sociale, per l’acquisizione di clienti di sicura
affidabilità quali i soggetti pubblici.
Infine, sarebbe violato
l’art. 97 Cost., per contrasto con il principio di buon andamento
dell’amministrazione, in quanto la norma censurata limiterebbe
ingiustificatamente il potere delle pubbliche amministrazioni di scegliere il
contraente più qualificato e capace.
3.– I giudizi vanno
riuniti per essere definiti con un’unica pronuncia, vertendo su questioni in
gran parte coincidenti per oggetto e per motivi di censura, e vengono trattati
in camera di consiglio senza discussione orale, sulla base degli atti
depositati, secondo quanto previsto nel decreto della Presidente della Corte
costituzionale del 24 marzo 2020, punto 1), lettera c), in accoglimento delle
conformi richieste di tutte le parti, previa rimessione in termini di quelle
presentate tardivamente.
4.– Prima di esaminare
il merito vanno affrontati alcuni profili preliminari.
4.1.–
Quanto ai giudizi promossi con le ordinanze del TAR Lazio, è necessario in
primo luogo individuare correttamente l’oggetto delle questioni in rapporto
alle censure dedotte.
Come visto, il TAR
dubita della legittimità costituzionale del «combinato disposto» dell’art. 38,
comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 163 del 2006 e dell’art. 186-bis, quinto e
sesto comma, della legge fallimentare, sull’assunto che alle procedure
sottoposte alla sua cognizione siano applicabili ratione
temporis i requisiti di ordine generale per la
partecipazione alle gare previsti al citato art. 38, disposizione poi abrogata
dal nuovo codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 50 del 2016.
Il presupposto è
corretto quanto all’applicabilità del citato art. 38, comma 1, lettera a),
giacché i bandi di gara di cui si tratta risultano pubblicati, stando alle
ordinanze di rimessione, in date anteriori a quella di entrata in vigore del
d.lgs. n. 50 del 2016 (19 aprile 2016). Ai sensi dell’art. 216, comma 1, dello
stesso decreto legislativo, infatti, il nuovo codice dei contratti pubblici si
applica alle procedure e ai contratti per i quali i bandi con cui si indice la
gara sono pubblicati successivamente a tale data.
La norma ritenuta
lesiva, tuttavia, è quella risultante dal combinato disposto, oltre che del
citato art. 38, comma 1, lettera a), del solo sesto comma dell’art. 186-bis
della legge fallimentare, nella parte in cui esclude dalle gare l’impresa in
concordato di continuità mandataria di un RTI. La prima disposizione fa «salvo
il caso di cui all’articolo 186-bis» allo scopo di introdurre, a favore delle
imprese in concordato di continuità, una deroga alla regola generale di
esclusione dalle gare di chi è sottoposto a procedura concorsuale. Il rinvio
all’art. 186-bis comporta che siano applicati i limiti ivi previsti di
operatività della deroga, tra i quali rientra il caso dell’impresa mandataria
di un RTI. La caducazione di tale limite – che ove applicato importerebbe di
respingere i ricorsi nei processi principali – appare sufficiente a eliminare
il vulnus costituzionale lamentato dal giudice a quo, poiché farebbe ricadere
l’impresa mandataria nell’ambito di operatività della deroga che consente
all’imprenditore in concordato preventivo con continuità aziendale, in presenza
delle altre condizioni previste all’art. 186-bis, di partecipare alle gare.
Il quinto comma
dell’art. 186-bis, in tema di oneri documentali gravanti sull’impresa in
concordato che intenda partecipare alla gara, non deve dunque essere
necessariamente applicato per definire i giudizi a quibus,
in base alla prospettazione fornita dal rimettente. Ne consegue che le
questioni relative ad esso sono inammissibili per difetto di rilevanza.
4.1.1.–
Nei medesimi giudizi, il rimettente evoca tra i parametri l’art. 117, secondo
comma, lettera a), Cost., lamentando una violazione del principio della
concorrenza, quale «principio cardine dell’Unione europea» a cui «la massima
partecipazione alle gare [sarebbe] funzionale».
Il parametro evocato è
del tutto inconferente, in quanto la lettera a) del secondo comma dell’art. 117
Cost. attribuisce allo Stato la competenza esclusiva, tra l’altro, nella
materia dei «rapporti dello Stato con l’Unione europea», mentre la censura, pur
nella sua laconicità, non attiene al riparto di attribuzioni tra lo Stato e le
regioni. Le stesse conclusioni varrebbero anche ipotizzando che il giudice a
quo sia incorso in un refuso, intendendo riferirsi alla «tutela della
concorrenza», di cui alla lettera e) del secondo comma dell’art. 117 Cost.
La questione è dunque
inammissibile (sentenze
n. 198 del 2019, n. 63 del 2016,
n. 269 e n. 181 del 2014).
4.1.2.–
Parimenti inammissibili sono le censure prospettate da una parte costituita (la
Guerrato spa, ricorrente nei processi principali),
ulteriori rispetto a quelle formulate dal giudice a quo in riferimento all’art.
3 Cost. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, «non
possono essere presi in considerazione, oltre i limiti in queste fissate,
ulteriori questioni o profili di costituzionalità dedotti dalle parti, sia che
siano stati eccepiti ma non fatti propri dal giudice a quo, sia che siano
diretti ad ampliare o modificare successivamente il contenuto delle stesse
ordinanze (ex plurimis, sentenze n. 271 del
2011, n. 236
del 2009, n.
56 del 2009, n.
86 del 2008)» (sentenza n. 203 del
2016; nello stesso senso, sentenza n. 56 del
2015).
4.2.–
Profili di inammissibilità per irrilevanza sono stati prospettati anche nel
giudizio promosso con l’ordinanza del Consiglio di Stato.
4.2.1.– Una parte
costituita (la Carena spa Impresa di costruzioni) ha eccepito il difetto di
rilevanza delle questioni: in via principale perché, contrariamente a quanto
affermato dal rimettente, l’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare
sarebbe stato implicitamente abrogato dall’art. 80, comma 5, lettera b), del
d.lgs. n. 50 del 2016; in subordine, perché lo stesso art. 186-bis, sesto
comma, non si applicherebbe al caso in cui il concordato preventivo con
continuità aziendale dell’impresa mandataria di un RTI si sia chiuso prima
della presentazione dell’offerta, a seguito del decreto di omologazione ex art.
181 della legge fallimentare, che determinerebbe il riacquisto della piena
capacità contrattuale in capo all’operatore economico ritornato in bonis, come avvenuto nella fattispecie dedotta nel processo
principale.
Entrambe le eccezioni
sono infondate.
Secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte, «una questione di legittimità può ritenersi
validamente posta qualora il giudice a quo fornisca un’interpretazione non implausibile della disposizione contestata "che per una
valutazione compiuta in una fase meramente iniziale del processo, egli ritenga
di voler applicare nel giudizio principale e su cui nutra dubbi non arbitrari
di conformità a determinate norme costituzionali” (sentenza n. 51 del
2015)» (sentenza
n. 11 del 2018). È dunque sufficiente, ai fini della motivazione sulla
rilevanza, che il rimettente illustri in modo non implausibile
«le ragioni che giustificano l’applicazione della disposizione censurata e
determinano la pregiudizialità della questione sollevata rispetto alla
definizione del processo principale» (ex plurimis, sentenza n. 105 del
2018).
Risultano non implausibili, in primo luogo, le ragioni addotte dal
giudice a quo sulla permanente vigenza, nella parte censurata, dell’art.
186-bis, sesto comma, della legge fallimentare, che fanno leva, come visto,
sulla specialità della norma rispetto a quella, di carattere generale, dell’art.
80, comma 5, lettera a), del d.lgs. n. 50 del 2016.
Tali ragioni trovano
conforto negli univoci elementi offerti dall’evoluzione della normativa di
riferimento. Il testo attualmente in vigore dell’art. 80, comma 5, lettera b),
del d.lgs. n. 50 del 2016, sostituito dall’art. 1, comma 20, lettera o), numero
3), del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32 (Disposizioni urgenti per il
rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli
interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a
seguito di eventi sismici), convertito, con modificazioni, nella legge 14
giugno 2019, n. 55, prevede l’esclusione dalla partecipazione alla procedura
d’appalto dell’imprenditore che «sia stato sottoposto a fallimento o si trovi
in stato di liquidazione coatta o di concordato preventivo o [nei cui
confronti] sia in corso [...] un procedimento per la dichiarazione di una di
tali situazioni, fermo restando quanto previsto [...] dall’articolo 186-bis del
regio decreto 16 marzo 1942, n. 267».
Sebbene la
disposizione, in tale nuova formulazione, sia applicabile solo a partire dalla
sua entrata in vigore, è evidente che, rinviando di nuovo espressamente
all’art. 186-bis della legge fallimentare, il legislatore ha inteso rimediare a
quello che, nell’originaria versione dell’art. 80, comma 5, lettera b), del
d.lgs. n. 50 del 2016, appariva un mero difetto di coordinamento con la legge
fallimentare. Coordinamento mantenuto anche nella nuova modifica dello stesso
art. 80, comma 5, lettera b), del d.lgs. n. 50 del 2016 – introdotta dall’art.
372, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14
(Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in attuazione della legge 19
ottobre 2017, n. 155), la cui entrata in vigore, già fissata al 15 agosto 2020,
è stata recentemente differita al 1° settembre 2021 dall’art. 5, comma 1, del
decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23 (Misure urgenti in materia di accesso al
credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori
strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di
termini amministrativi e processuali), in corso di conversione – che
sostituisce il riferimento all’art. 186-bis della legge fallimentare con quello
all’art. 95 dello stesso codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, che al
comma 5 riproduce letteralmente il contenuto del sesto comma del citato art.
186-bis.
Anche la motivazione
sull’applicabilità della norma censurata all’ipotesi del concordato preventivo
omologato consente alla questione di superare il vaglio di ammissibilità,
poiché il giudice a quo ha argomentato non implausibilmente
in ordine alla permanenza in capo agli organi della procedura concorsuale,
anche dopo l’omologazione del concordato preventivo, di «ampi poteri di intervento»,
tali da giustificare una disciplina uniforme della partecipazione dell’impresa
in concordato di continuità alle gare pubbliche per tutte le fasi del
concordato preventivo e sino alla sua definitiva esecuzione.
4.2.2.–
L’inammissibilità delle questioni sollevate dal Consiglio di Stato, per difetto
di motivazione sulla rilevanza, è stata eccepita sotto un diverso profilo da
un’altra parte costituita nel giudizio costituzionale (la Itinera
spa, appellante nel processo principale).
A suo avviso, la stazione
appaltante, nell’aggiudicare l’appalto al raggruppamento capeggiato dalla
Carena spa Impresa di costruzioni, avrebbe erroneamente ritenuto che il decreto
di omologazione comporti la chiusura del concordato preventivo, omettendo così
di verificare in concreto la sussistenza delle condizioni di applicabilità
dell’eccezionale deroga al divieto di partecipazione alle gare delle imprese
sottoposte a procedure concorsuali posta dall’art. 186-bis, sesto comma, della
legge fallimentare. Di conseguenza il giudice a quo, muovendo dalla tesi
(condivisa dall’eccipiente) per cui lo stato di concordato preventivo non si
chiude con l’omologazione, ma con il decreto che accerta l’adempimento del
piano concordatario, avrebbe dovuto esporre le ragioni che lo hanno indotto a
valutare nel merito la sussistenza delle anzidette condizioni di applicabilità
anziché annullare senz’altro l’aggiudicazione lasciando alla stazione
appaltante tale valutazione «in sede di rinnovazione del segmento
procedimentale illegittimo», ai sensi dell’art. 34, comma 2, dell’Allegato 1
(Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n.
104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante
delega al governo per il riordino del processo amministrativo), secondo cui «in
nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi
non ancora esauriti».
Nemmeno questa
eccezione è fondata, poiché il giudice a quo ha dato conto in modo sufficiente
e non implausibile, come visto, della necessità di
applicare la norma censurata per definire il processo principale.
4.2.3.–
Nella memoria illustrativa, la Itinera spa chiede poi
che questa Corte restituisca gli atti al Consiglio di Stato perché valuti
nuovamente la rilevanza della questione, deducendo che nel giudizio a quo
sarebbe venuta meno la necessità di applicare la disposizione censurata per
definire il merito, essendosi verificati i presupposti per una pronuncia in
rito di cessazione della materia del contendere. Le circostanze sopravvenute
sarebbero la dichiarazione di fallimento della mandataria del RTI
aggiudicatario dell’appalto, la revoca dell’aggiudicazione e la successiva
aggiudicazione a favore del RTI di cui è mandataria la stessa Itinera spa, provvedimenti, questi ultimi, entrambi non
impugnati. Ciò avrebbe comportato il «totale soddisfacimento dell’interesse di Itinera spa, nuova e incontestata aggiudicataria
dell’appalto».
La richiesta di
restituzione degli atti non è fondata.
Per costante
giurisprudenza, «il giudizio incidentale di costituzionalità è autonomo
rispetto al giudizio a quo, nel senso che non risente delle vicende di fatto
successive all’ordinanza di rimessione che concernono il rapporto dedotto nel
processo principale, come previsto dall’art. 18 delle Norme integrative per i
giudizi davanti alla Corte costituzionale. Pertanto, la rilevanza della
questione deve essere valutata alla luce delle circostanze sussistenti al
momento dell’ordinanza di rimessione, senza che assumano rilievo eventi
sopravvenuti (ex plurimis, sentenze n. 242
e n. 162 del
2014, n. 120
del 2013, n.
274 e n. 42
del 2011)» (ex plurimis, sentenza n. 264 del
2017), tra i quali deve ritenersi compresa anche la cessazione, per
qualsiasi causa, della materia del contendere nel giudizio rimasto sospeso davanti
al rimettente.
5.– Nel merito, occorre
prendere le mosse dalle dedotte violazioni dell’art. 3 Cost.
Il TAR rimettente
lamenta la lesione del principio di uguaglianza per la irragionevole disparità
di trattamento fra l’impresa mandataria di un RTI, esclusa dalla partecipazione
alle gare, e l’impresa che concorra individualmente o che rivesta la qualità di
mandante, che invece può parteciparvi (alla condizione, quest’ultima, che non
vi siano altre imprese riunite sottoposte a procedure concorsuali).
Le censure poggiano
sull’assunto che per tutte le situazioni considerate, diverse tra loro solo per
il modulo partecipativo alla gara, varrebbe la stessa esigenza di favorire il
superamento della crisi d’impresa sottesa all’istituto del concordato preventivo
con continuità aziendale, in deroga al generale divieto di partecipazione alle
gare pubbliche per le imprese sottoposte a procedure concorsuali, e che non vi
sarebbe motivo di differenziare la posizione dell’impresa mandataria di un RTI
che non si presenterebbe, sotto questo profilo, diversa dalla altre.
Per quanto riguarda in
particolare il raffronto con l’impresa «singola», il rimettente osserva che
questa risponde da sola e in toto dell’esecuzione del contratto, mentre nel
caso di offerta presentata da una pluralità di imprese riunite in RTI tutte
sono responsabili dell’esecuzione per la parte di propria competenza e la
mandataria lo è inoltre solidalmente nei RTI verticali, in cui le prestazioni
principali gravano su di essa e quelle secondarie sulle mandanti. L’ipotesi
della partecipazione alla gara della mandataria sottoposta a concordato
preventivo con continuità aziendale non presenterebbe dunque per la stazione
appaltante pregiudizi o rischi maggiori rispetto all’ipotesi della
partecipazione di un’impresa singola.
Il Consiglio di Stato
solleva analoghi profili di illegittimità, prospettando: a) un’irragionevole
disparità di trattamento – "esterna” al censurato art. 186-bis, sesto comma –
fra l’impresa mandataria di un RTI e quella che partecipa individualmente
oppure come mandataria di un consorzio ordinario di concorrenti di cui all’art.
45, comma 2, lettera e), del d.lgs. n. 50 del 2016; b) un’ulteriore
irragionevole disparità di trattamento – questa volta "interna” alla
disposizione censurata – fra l’impresa mandataria e l’impresa mandante di un
RTI, che si trovino in concordato preventivo con continuità aziendale.
Il diverso trattamento
non sarebbe giustificato dalla qualità di rappresentante esclusiva del
raggruppamento assunta dalla mandataria nei confronti della stazione
appaltante. Anche la mandataria infatti conclude il contratto alla stessa
stregua di un operatore economico che partecipa singolarmente, con la sola
differenza che gli effetti dei suoi atti si riverberano nella sfera giuridica delle
mandanti. Il conferimento poi della rappresentanza esclusiva processuale non
sarebbe decisivo in senso contrario, in quanto ai sensi dell’art. 48, comma 15,
del d.lgs. n. 50 del 2016 la stazione appaltante può comunque «far valere
direttamente le responsabilità facenti capo ai mandanti».
Un diverso trattamento
non sarebbe giustificato neppure dal regime di responsabilità solidale
dell’impresa mandataria, in quanto tale regime, efficace anche per le mandanti,
sarebbe «identico a quello dell’impresa che abbia stipulato il contratto
singolarmente» e si risolverebbe nell’obbligo di eseguire per intero la
prestazione dedotta in contratto o di risarcire l’intero danno da
inadempimento. Si tratterebbe dunque di un regime di responsabilità
contrattuale addirittura più favorevole per la stazione appaltante, giacché il
creditore beneficerebbe della solidarietà fra i debitori.
A queste censure il
Consiglio di Stato aggiunge quella di irragionevolezza "intrinseca” della
disposizione della cui legittimità dubita per l’incongruenza della scelta
operata dal legislatore di precludere in modo assoluto la partecipazione alle
gare dell’impresa mandataria di un RTI rispetto all’obiettivo di tutela dei
creditori dell’impresa in concordato preventivo. Tale preclusione – che sottrae
al giudice della procedura concorsuale la «valutazione comparata tra commessa
da affidare e stato dell’impresa» – negherebbe «la chance di ottenere un flusso
di denaro utile al superamento dello stato di crisi».
5.1. Le questioni non
sono fondate.
La ratio della norma
censurata è individuabile nella finalità di tutelare l’interesse pubblico al
corretto e puntuale adempimento delle prestazioni oggetto del contratto. In
questa prospettiva, il divieto di cui all’art. 186-bis, sesto comma, della
legge fallimentare tende a scongiurare il rischio che la parte pubblica,
all’esito della procedura di affidamento, si trovi in una relazione
contrattuale con imprenditori non affidabili sotto il profilo economico e
finanziario.
Si tratta dunque della
stessa ratio che ispira la regola generale di esclusione dalle gare per
l’affidamento di appalti pubblici dell’imprenditore sottoposto a procedure
concorsuali, prevista prima all’art. 38, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 163
del 2006 e poi all’art. 80, comma 5, lettera b), del d.lgs. n. 50 del 2016. La
norma censurata, infatti, rende inapplicabile alla mandataria di un RTI la
deroga all’esclusione dalle gare operante in favore delle imprese in concordato
preventivo di continuità nel rispetto delle condizioni stabilite all’art.
186-bis della legge fallimentare.
In linea con la più
generale finalità dell’istituto di favorire il superamento dello stato di crisi
dell’azienda, la disciplina del concordato preventivo con continuità aziendale
si caratterizza per la previsione di stabilità dei contratti in essere con le
pubbliche amministrazioni, ex art. 186-bis, terzo comma, della legge
fallimentare, e, al contempo, per la possibilità che l’impresa partecipi alle
procedure di affidamento dei contratti pubblici. La deroga al divieto di
partecipare a gare pubbliche mira dunque a consentire eccezionalmente alle
imprese che si trovino in questa condizione di acquisire commesse pubbliche e
garantire così una migliore soddisfazione dei creditori.
In questo contesto la
norma censurata, escludendo dal beneficio la mandataria di un RTI, introduce
un’eccezione all’eccezione, e quindi ripristina, per il caso da essa
considerato, la ricordata regola generale in base alla quale chi è soggetto a
procedure concorsuali non può partecipare alle procedure per l’affidamento di
contratti pubblici.
Ciò chiarito, il
differente trattamento riservato all’impresa mandataria di un RTI in concordato
di continuità, rispetto alle varie ipotesi poste a raffronto con essa dai
giudici a quibus, trova giustificazione, nella
prospettiva del legislatore, nella diversa modalità della sua partecipazione
alla gara e, in caso di aggiudicazione, al rapporto contrattuale, rispetto alla
partecipazione dell’impresa che concorra rispettivamente in forma singola, o in
qualità di mandante di un RTI, o anche come mandataria di imprese che si
costituiranno in consorzio. E tale prospettiva non
comporta, come si vedrà, un irragionevole esercizio della discrezionalità
legislativa.
Anche a voler ammettere
che, dal punto di vista della tutela dell’interesse alla continuità aziendale,
il regime di ammissione alle gare delle diverse imprese che si trovino in
concordato non vari in ragione della particolare forma della loro
partecipazione, non vi è dubbio che la diversa modalità di partecipazione non è
indifferente dal punto di vista dell’interesse della stazione appaltante, per
la quale segnatamente la posizione dell’impresa mandataria di un RTI assume
rilievo e valore differenziato.
Pur non dando vita a un
autonomo soggetto giuridico, nondimeno un RTI presenta infatti una struttura
complessa, che va al di là delle singole individualità delle imprese
raggruppate e rispetto alla quale l’impresa mandataria rappresenta il punto di
riferimento della stazione appaltante per tutta la durata del rapporto
contrattuale. Dell’amministrazione appaltante essa costituisce infatti il
diretto interlocutore per conto di tutte le imprese riunite, quale loro
rappresentante esclusiva e quale garante, anche per conto delle mandanti, della
corretta esecuzione dell’appalto.
La mandataria, oltre a
rispondere in proprio delle prestazioni prevalenti o principali, è sempre
responsabile in solido nei confronti della stazione appaltante per l’esecuzione
di tutte le prestazioni previste dal bando di gara, anche quelle scorporabili o
secondarie di competenza delle mandanti. La partecipazione alla gara di una
mandataria in concordato preventivo con continuità aziendale potrebbe
costituire motivo di pregiudizio aggiuntivo per la stazione appaltante, che si
vedrebbe esposta al rischio del fallimento dell’unico debitore comunque
solidale. È appena il caso di osservare che da questo angolo visuale essa
costituirebbe un rischio maggiore anche per i creditori dell’impresa in
concordato, a fronte della sopravvenienza di crediti prededucibili sorti da
inadempimenti di soggetti diversi dal debitore.
Sebbene nei
raggruppamenti di tipo orizzontale (in cui le prestazioni di tutte le imprese
riunite sono omogenee e si distinguono solo sul piano quantitativo) anche le
mandanti assumano una responsabilità solidale, tra esse e con la mandataria, il
ruolo della mandataria rimane comunque, in questo stesso tipo di RTI,
peculiare, in quanto il suo potere rappresentativo, anche processuale, agevola
la stazione appaltante che – pur non perdendo la facoltà di agire direttamente
nei confronti delle mandanti (ex art. 48, comma 15, del d.lgs. n. 50 del 2016)
– può limitarsi a rivolgersi direttamente ed esclusivamente alla mandataria per
far valere in ogni sede, non ultimo quella giudiziale, le ragioni derivanti
dall’esecuzione dell’intero contratto.
Le situazioni messe a
confronto dai rimettenti, anche se accomunate dal fatto che si riferiscono
sempre ad imprese sottoposte allo stesso tipo di procedura concorsuale, sono
dunque diverse, mancando in quelle assunte a tertia comparationis le peculiarietà che
connotano invece la posizione della mandataria in un RTI. Con la conseguenza
che la norma censurata non può ritenersi irragionevolmente discriminatoria.
Tali peculiarità non ricorrono,
né, come visto, nel caso delle mandanti di un RTI, né in quello dell’impresa
che, sempre in forza di un rapporto di mandato, stipuli il contratto in nome e
per conto delle mandanti prima della costituzione di un consorzio ordinario, ai
sensi dell’art. 48, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016. In questa ipotesi,
infatti, non opera il regime di responsabilità descritto per il raggruppamento,
né la capogruppo è legittimata ad agire per conto delle mandanti, in quanto è
il consorzio che, quale autonomo soggetto giuridico, risponde e agisce
attraverso i suoi organi in base alle previsioni dell’atto costitutivo.
A conclusioni non
diverse si deve pervenire anche per quanto riguarda l’impresa che concorre in
forma individuale. Se è vero che, come hanno rilevato i rimettenti, anch’essa è
tenuta, al pari della mandataria di un RTI, a eseguire per intero le
prestazioni a cui è obbligata, per di più senza l’ausilio delle altre imprese
riunite, la circostanza non è sufficiente a rendere omogenee le due fattispecie
e dunque costituzionalmente necessaria la parità del loro trattamento
normativo.
Occorre ricordare, a
questo proposito, il favor espresso dalla
legislazione per la partecipazione alle gare dei raggruppamenti temporanei di
imprese, che risponde sia a una logica pro-concorrenziale, giacché la
partecipazione in forma riunita consente alle imprese di concorrere a commesse
per le quali potrebbero non avere singolarmente i requisiti, sia all’interesse
della stazione appaltante alla migliore realizzazione dell’appalto, tramite la
valorizzazione delle risorse, dei requisiti tecnico-organizzativi e delle
capacità economico-finanziarie delle imprese riunite.
Ai vantaggi offerti da
tale formula organizzativa si contrappone, sul piano delle relazioni fra
stazione appaltante e soggetto esecutore, la complicazione connessa alla
descritta complessità strutturale del RTI, che, come visto, per un verso non dà
luogo a un nuovo soggetto giuridico diverso dalle singole imprese, ma per altro
verso le riunisce imputando a una di esse particolari funzioni di
rappresentanza, responsabilità, e più in generale di interlocuzione con
l’amministrazione per conto di tutte. Per queste ragioni, è innegabile che le
modalità di relazione della stazione appaltante con un RTI siano peculiari e
più complesse di quelle che essa potrebbe avere con un’impresa singola. Si
pensi soltanto ai particolari rischi che tale modalità organizzativa può
comportare in fase esecutiva, quando le esigenze di coordinamento delle
prestazioni – che nel caso dell’impresa singola sono risolte nell’ambito della
compagine aziendale – devono trovare soluzione nella relazione fra mandataria,
unico diretto interlocutore dell’amministrazione per tutta la fase esecutiva, e
imprese riunite, responsabili solo per le parti di rispettiva competenza.
Alle particolari
esigenze di razionalizzazione delle relazioni fra RTI e stazione appaltante
risponde la normativa che definisce il ruolo dell’impresa mandataria,
consentendo, da un lato, che tramite essa un RTI possa partecipare alle procedure
di affidamento in posizione paritaria rispetto a chi concorre in forme diverse,
e apprestando, dall’altro lato, alcune cautele specifiche a tutela della
stazione appaltante in relazione appunto al suo ruolo. In particolare,
l’esclusione della mandataria in concordato con continuità aziendale dalla
partecipazione alle gare – non prevista per l’impresa che concorre in forma
individuale – è diretta a evitare che la crisi dell’impresa mandataria,
conclamata dalla sua soggezione a concordato preventivo, metta in discussione
il rapporto con l’amministrazione appaltante in maniera che il legislatore,
nell’esercizio non irragionevole della sua discrezionalità, ha ritenuto non
tollerabile: da ciò la scelta legislativa di sottrarre questa ipotesi al regime
derogatorio.
Né l’irragionevolezza
dell’esclusione emerge, come deduce il TAR del Lazio, dal confronto con la
disposizione che, regolando il caso del fallimento della mandataria di un RTI
in corso di contratto, consente alla stazione appaltante di proseguire il
rapporto con un altro operatore economico che sia costituito mandatario, in
possesso dei requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o
forniture ancora da eseguire (art. 37, comma 18, del d.lgs. n. 163 del 2006;
art. 48, comma 17, del d.lgs. n. 50 del 2016). Se è vero che tale rimedio
potrebbe in astratto adattarsi al caso del fallimento della mandataria già
soggetta a concordato preventivo in continuità nella fase di partecipazione
alla gara, l’argomento non ha rilievo ai fini della verifica di ragionevolezza
della disposizione contestata, stante la diversa ratio della disciplina
evocata. Mentre infatti il divieto di partecipazione alla gara per la
mandataria in concordato di continuità è, come visto, funzionale all’interesse
della stazione appaltante a selezionare contraenti ragionevolmente affidabili
quanto a capacità di adempiere, la previsione della possibilità, in caso di
fallimento della mandataria, di proseguire il rapporto per il tramite di una
modificazione soggettiva del contratto è diretta a tutelare il diverso
interesse pubblico a conservare il rapporto in corso, onde permettere il
corretto svolgimento della prestazione sino alla sua completa esecuzione,
evitando il recesso. Non è dunque possibile trarre da quest’ultima previsione
alcuna conseguenza ai fini della valutazione della diversa disposizione sulla
partecipazione alla gara.
Quanto alle ulteriori
ragioni di pretesa irragionevolezza della censurata disparità di trattamento
che il rimettente desume dall’evoluzione della normativa in materia – e
segnatamente dal fatto che l’art. 80, comma 5, lettera b), del nuovo codice dei
contratti pubblici, non rinviando più all’art. 186-bis della legge
fallimentare, avrebbe superato il divieto di partecipazione alle gare della
mandataria in concordato preventivo in continuità – esse sono smentite dai
successivi sviluppi del quadro normativo che, come visto sopra (punto 4.2.1.),
offrono invece argomenti di segno opposto. Il nuovo testo dell’art. 80, comma
5, lettera b), come sostituito dall’art. 1, comma 20, lettera o), numero 3),
del d.l. n. 32 del 2019, conferma infatti in modo
testuale la permanente vigenza del divieto di partecipazione alle gare della
mandataria previsto dal sesto comma dell’art. 186-bis della legge fallimentare.
La rilevata diversità
fra l’ipotesi regolata dalla norma censurata e le fattispecie normative in
relazione alle quali i rimettenti lamentano un’irragionevole disparità di
trattamento esclude dunque che si possa ritenere violato il principio di
uguaglianza, posto che, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, tale
violazione sussiste qualora situazioni sostanzialmente identiche siano
disciplinate in modo ingiustificatamente diverso e non quando alla diversità di
disciplina corrispondano situazioni non assimilabili (ex plurimis:
sentenze n. 155
del 2014, n.
108 del 2006, n.
340 e n. 136
del 2004).
5.1.1.–
Resta da considerare infine il profilo della lamentata intrinseca
irragionevolezza della norma censurata.
Come già accennato, la
scelta in essa operata è il frutto del complesso bilanciamento operato dal
legislatore tra l’interesse della stazione appaltante al corretto e puntuale
adempimento della prestazione affidata nella particolare ipotesi del contratto
concluso con un RTI, e l’interesse al superamento della crisi dell’impresa in
concordato preventivo con continuità aziendale, da perseguire anche attraverso
la partecipazione dell’impresa stessa alle procedure di affidamento dei
contratti pubblici al fine della migliore soddisfazione dei creditori. Si tratta
dunque di una valutazione tipicamente rimessa alla discrezionalità del
legislatore, che resta libero di operarla nei limiti della non manifesta
irragionevolezza.
La scelta del
legislatore di far prevalere nella fattispecie il primo dei descritti interessi
– escludendo l’impresa mandataria di un RTI in concordato preventivo con
continuità aziendale dalla possibilità di partecipare alle gare pubbliche – può
essere considerata opinabile, giacché altre soluzioni avrebbero potuto
legittimamente essere adottate, ma non supera i limiti entro i quali la
discrezionalità legislativa si deve ritenere legittimamente esercitata. Essa si
ispira infatti pur sempre alla ratio sottesa alla regola generale di esclusione
dalle procedure di affidamento delle imprese sottoposte a procedure
concorsuali, e tale regola fa riespandere in
un’ipotesi nella quale lo stesso legislatore non irragionevolmente ha reputato
necessarie cautele aggiuntive a protezione degli interessi della stazione
appaltante.
Rientra a sua volta
nell’ambito della discrezionalità del legislatore la scelta, censurata dal
Consiglio di Stato, di vietare in modo assoluto la partecipazione alle gare
della mandataria di RTI in concordato preventivo in continuità aziendale,
anziché affidare il descritto bilanciamento alla valutazione caso per caso del
giudice del concordato preventivo, e ne costituisce anch’essa non arbitraria né
irrazionale espressione, tenuto conto del fatto che gli interessi da ponderare
e contemperare nella vicenda sarebbero ulteriori e diversi rispetto a quelli
dei creditori concordatari, che vengono in prevalente rilievo in sede
concorsuale.
5.2.–
I rimettenti lamentano anche la violazione dell’art. 41 Cost. Le censure sono
pressoché sovrapponibili: per il TAR l’irragionevolezza dell’esclusione dalle
gare dell’impresa mandataria comporterebbe un’ingiustificata limitazione della
libertà di iniziativa economica; per il Consiglio di Stato la denunciata
irragionevolezza limiterebbe l’autonomia contrattuale dell’impresa in
concordato preventivo con continuità aziendale, anziché favorirne «il libero
dispiegarsi», in conformità all’utilità sociale, per l’acquisizione di clienti
di sicura affidabilità, quali i soggetti pubblici.
Inoltre, secondo il
Consiglio di Stato sarebbe limitato ingiustificatamente anche il potere delle
pubbliche amministrazioni di scegliere il contraente più qualificato e capace,
con violazione del principio di buon andamento ex art. 97 Cost.
Quanto alla denunciata
violazione dell’art. 41 Cost., per costante giurisprudenza di questa Corte la
tutela costituzionale della sfera dell’autonomia privata non è assoluta, in
quanto «non è configurabile una lesione della libertà d’iniziativa economica
allorché l’apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio
corrisponda all’utilità sociale, come sancito dall’art. 41, secondo comma,
Cost., purché, per un verso, l’individuazione di quest’ultima non appaia
arbitraria e, per altro verso, gli interventi del legislatore non la perseguano
mediante misure palesemente incongrue (ex plurimis, sentenze n. 56 del
2015, n. 247
e n. 152 del
2010 e n.
167 del 2009)» (ex plurimis, sentenza n. 203 del
2016).
Alla luce di tali
criteri, le questioni non sono fondate.
L’utilità sociale come
limite all’esercizio della libertà di iniziativa economica va individuata,
infatti, nel descritto perseguimento dell’interesse pubblico al corretto e
puntuale adempimento delle prestazioni contrattuali, nel caso di specie
privilegiato dal legislatore che ha scelto di precludere le gare all’impresa
mandataria di un RTI in concordato preventivo con continuità aziendale. La
conformità di tale scelta alla regola generale di non ammissione delle imprese
soggette a procedure concorsuali ne esclude l’arbitrarietà e la palese
incongruità rispetto allo scopo perseguito.
Quanto alla violazione
dell’art. 97 Cost., le esposte considerazioni sulla ratio giustificativa della
norma ne dimostrano invece la coerenza con l’interesse della stazione
appaltante a scegliere il contraente più affidabile e capace di adempiere, in
piena conformità, anziché in contrasto, con il principio di buon andamento. Da
qui la non fondatezza anche di tale questione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art.
186-bis, quinto comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del
fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della
liquidazione coatta amministrativa), come introdotto dall’art. 33, comma 1,
lettera h), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la
crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012,
n. 134, sollevate dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, in
riferimento agli artt. 3, 41 e 117, secondo comma, lettera a), della
Costituzione, con le ordinanze indicate in epigrafe;
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 38, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.
163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in
attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) e dell’art. 186-bis, sesto
comma, della legge fallimentare, sollevate dal Tribunale amministrativo
regionale per il Lazio, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera a),
Cost., con le ordinanze indicate in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 38, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 163 del 2006 e dell’art.
186-bis, sesto comma, della legge fallimentare, sollevate dal Tribunale
amministrativo regionale per il Lazio, in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost.,
con le ordinanze indicate in epigrafe;
4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare, sollevate dal
Consiglio di Stato, sezione quinta, in riferimento agli artt. 3, 41 e 97 Cost.,
con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 aprile
2020.
F.to:
Marta CARTABIA,
Presidente
Daria de PRETIS,
Redattore
Roberto MILANA,
Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 7 maggio 2020.