CONSULTA ONLINE
ANNO 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 88, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), promosso dalla Commissione tributaria regionale di Venezia nel procedimento vertente tra l’Agenzia delle entrate - direzione provinciale di Padova e Haier (Italy) Appliances spa, con ordinanza del 16 novembre 2016, iscritta al n. 54 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 2017. Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell’8 novembre 2017 il Giudice relatore Daria de Pretis.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 16 novembre 2016, la Commissione tributaria regionale di Venezia ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 88, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, recante «Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi» (di seguito: TUIR), in riferimento agli artt. 3 e 53, primo comma, della Costituzione. La questione è sorta nel corso di un giudizio d’appello promosso dall’Agenzia delle entrate - direzione provinciale di Padova avverso la sentenza con la quale la Commissione tributaria provinciale di Padova, accogliendo il ricorso presentato da Haier (Italy) Appliances spa (di seguito: Haier Italy), ha annullato un avviso di accertamento relativo all’anno 2010 in materia di imposta sul reddito delle società e di imposta regionale sulle attività produttive.
Il giudice a quo descrive la controversia nei seguenti termini.
Haier Italy fa parte di un gruppo controllato da una società holding con sede all’estero. Con l’avviso di accertamento impugnato, l’Agenzia delle entrate ha sottoposto a tassazione la somma di 6.283.671 euro, erogata a Haier Italy nel 2010 da altre società che appartengono al suo stesso gruppo, ma non sono sue socie. I versamenti risultano iscritti nel bilancio di Haier Italy come “debiti verso altri finanziatori”. Dall’analisi della contabilità è emerso che analoghe operazioni sono state effettuate in altri anni e che parte delle somme è servita per coprire le perdite di esercizio della società stessa, la cui gestione è costantemente negativa. Alla copertura delle perdite è corrisposta la rinuncia parziale ai crediti, mentre i residui importi sono rimasti iscritti a bilancio tra i debiti a breve termine. Haier Italy non ha mai restituito, nemmeno in parte, i finanziamenti ricevuti nel corso del tempo.
Secondo l’Agenzia delle entrate, non si tratterebbe di somme date a mutuo con obbligo di restituzione, ma di ricavi tassabili quali «contributi in denaro […] in base a contratto», ai sensi dell’art. 85, comma 1, lettera g), del TUIR.
La sentenza di primo grado ha disatteso questa impostazione sulla considerazione che i contributi ex art. 85, comma 1, lettera g), del TUIR sono solo quelli percepiti in base a contratti a prestazioni corrispettive, non ricorrenti nel caso di specie, e che i versamenti delle società consorelle sono da assimilare a quelli «[…] fatti a fondo perduto o in conto capitale alle società […] dai propri soci», che, in base all’art. 88, comma 4, del TUIR, non costituiscono sopravvenienze attive tassabili.
2.– Secondo il giudice a quo, l’interpretazione data dal giudice di primo grado all’art. 85, comma 1, lettera g), del TUIR, è condivisibile, cosicché i versamenti dovrebbero essere qualificati come sopravvenienze attive ai sensi del successivo art. 88 del TUIR. Esse tuttavia non dovrebbero essere tassate in base a un’interpretazione «estensiva» del comma 4 dello stesso art. 88, trattandosi di versamenti fatti da società appartenenti al medesimo gruppo. Il gruppo di società si configurerebbe come un’unitaria struttura d’impresa, alla quale corrisponde una pluralità di società coordinate e dirette dalla capogruppo, con la conseguenza che i contributi erogati dalle società appartenenti allo stesso gruppo al fine di coprire il passivo di un’altra società del gruppo sarebbero orientati al medesimo obiettivo che muove i soci a versare denaro a fondo perduto o in conto capitale alla società. In entrambi i casi, i contributi sarebbero privi del carattere della liberalità e svolgerebbero la diversa funzione di fornire e mantenere le risorse patrimoniali della società, in un’ottica di continuità dell’attività sociale.
Nel senso del superamento del limite applicativo dell’art. 88, comma 4, del TUIR, che esenta da tassazione solo i versamenti fatti dai soci, deporrebbero i numerosi indici normativi dell’ordinamento civile e di quello tributario (in tema di finanziamento infra-gruppo, di redazione del bilancio consolidato, di circolazione endo-gruppo delle partecipazioni azionarie, di marchi d’impresa, di disciplina della concorrenza) che riconoscono in capo alle società del gruppo un interesse conformato alla logica di una strategia imprenditoriale unitaria, per il perseguimento di obiettivi comuni.
L’interpretazione estensiva dell’art. 88, comma 4, del TUIR sarebbe tuttavia esclusa da un precedente della Corte di cassazione (quinta sezione civile, sentenza 29 ottobre 2014, n. 22917), sul presupposto della «natura eccezionale e pertanto di stretta interpretazione» della previsione, «stante la diversa soggettività che caratterizza le distinte società appartenenti ad un medesimo gruppo», sia pure nella consapevolezza «del ritardo del legislatore nazionale nell’opera di adeguamento al fenomeno dei gruppi societari».
Secondo il rimettente, l’interpretazione offerta dalla Suprema corte (di cui «prende atto») contrasta con gli artt. 3 e 53, primo comma, Cost., in quanto ne conseguirebbe una ingiustificata disparità di trattamento di situazioni meritevoli di una disciplina comune. Sarebbero irragionevolmente discriminate le contribuzioni a fondo perduto o in conto capitale eseguite da soggetti che, sebbene non soci della società beneficiaria né possessori di strumenti finanziari similari alle azioni, sono allo stesso modo cointeressati all’attività della beneficiaria stessa, in quanto appartenenti al medesimo gruppo. Inoltre, l’assoggettamento della società a tassazione non risponderebbe, in questi casi, «ai criteri della capacità contributiva».
3.– Con atto depositato nella cancelleria di questa Corte il 9 maggio 2017, è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità e comunque per la manifesta infondatezza della questione.
In riferimento all’art. 53 Cost., la questione sarebbe in primo luogo inammissibile per difetto assoluto di motivazione sulla non manifesta infondatezza.
Nel merito, si profilerebbe in ogni caso la manifesta infondatezza, poiché la qualificazione dei versamenti come ricavi sembra coerente con il principio di capacità contributiva, trattandosi di somme che concorrono, quali componenti positivi, alla formazione del reddito della società.
Con riguardo all’art. 3 Cost., il contrasto lamentato dal giudice a quo sarebbe escluso per la diversa natura dei versamenti dei soci rispetto a quelli di altri soggetti, in quanto solo i primi sarebbero qualificabili come conferimenti e non come ricavi. Questa conclusione deriverebbe anche dalla lettura integrata dell’art. 88, comma 4, con altre disposizioni del TUIR sul regime fiscale dei rapporti tra i soci e la società (gli artt. 46, 47, comma 5, 94, comma 6, e 101, comma 7), dalla quale sembra emergere come la norma censurata, inserendosi coerentemente in tale regime, tuteli l’interesse economico diretto del socio alla continuità dell’attività sociale, nell’aspettativa di futuri dividendi o di altri simili proventi, compresi quelli derivanti dalla cessione della partecipazione sociale. Un analogo interesse non sarebbe invece individuabile nel caso dei versamenti di somme o delle rinunce a crediti da parte di società che non siano socie della beneficiaria, ancorché appartengano allo stesso gruppo.
Infine, non avrebbero particolare rilievo le norme del codice civile sul fenomeno dei gruppi societari, ben potendo il regime fiscale derogare alla disciplina civilistica, la quale non determina comunque il completo superamento dell’autonomia soggettiva delle singole società appartenenti al gruppo.
4.– Nel corso del giudizio, con nota depositata in cancelleria l’11 maggio 2017, la Commissione tributaria regionale di Venezia ha trasmesso a questa Corte copia dell’accordo conciliativo del 16 marzo 2017, con cui le parti del processo principale hanno posto fine alla controversia ai sensi dell’art. 48 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nonché copia della quietanza di pagamento della prima rata delle somme dovute dalla contribuente sulla base della conciliazione.
Considerato in diritto
1.– La Commissione tributaria regionale di Venezia dubita della legittimità costituzionale dell’art. 88, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, recante «Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi» (di seguito: TUIR), in riferimento agli artt. 3 e 53, primo comma, della Costituzione.
La questione è sorta nel corso di un giudizio d’appello promosso dall’Agenzia delle entrate - direzione provinciale di Padova avverso la sentenza con la quale la Commissione tributaria provinciale di Padova, accogliendo il ricorso presentato da Haier (Italy) Appliances spa (di seguito: Haier Italy), aveva annullato un avviso di accertamento relativo all’anno 2010 in materia di imposta sul reddito delle società e di imposta regionale sulle attività produttive. L’Agenzia delle entrate aveva sottoposto a tassazione somme erogate a Haier Italy da altre società che appartengono al suo stesso gruppo, ma non sono sue socie, ritenendo che non si sarebbe trattato di somme date a mutuo con obbligo di restituzione, come risulta dal bilancio di Haier Italy, ma di ricavi tassabili quali «contributi in denaro […] in base a contratto», ai sensi dell’art. 85, comma 1, lettera g), del TUIR.
La sentenza di primo grado aveva disatteso questa impostazione sulla considerazione che i contributi ex art. 85, comma 1, lettera g), del TUIR sono solo quelli percepiti in base a contratti a prestazioni corrispettive, non ricorrenti nel caso di specie, e che i versamenti delle società consorelle sono da assimilare a quelli fatti a fondo perduto o in conto capitale alle società dai propri soci, i quali, in base all’art. 88, comma 4, del TUIR, non costituiscono sopravvenienze attive tassabili.
Secondo il rimettente, l’interpretazione data dal giudice di primo grado all’art. 85, comma 1, lettera g), del TUIR, è condivisibile, ma i versamenti delle società appartenenti allo stesso gruppo dovrebbero essere qualificati come sopravvenienze attive ai sensi dell’art. 88 del TUIR, per la natura eccezionale della previsione del comma 4 dello stesso art. 88, che non consentirebbe la sua interpretazione estensiva. Da qui il contrasto con gli artt. 3 e 53, primo comma, Cost., in quanto la norma introdurrebbe un’ingiustificata disparità di trattamento di situazioni meritevoli di una disciplina comune. Sarebbero irragionevolmente discriminate le contribuzioni a fondo perduto o in conto capitale eseguite da soggetti che, sebbene non soci della società beneficiaria, né possessori di strumenti finanziari similari alle azioni, sono cointeressati all’attività della beneficiaria stessa, in quanto appartenenti al medesimo gruppo societario. L’assoggettamento della società a tassazione non si conformerebbe inoltre, in questi casi, «ai criteri della capacità contributiva».
2.– L’intervenuta conciliazione fra le parti del processo principale – comunicata a questa Corte dalla Commissione tributaria regionale di Venezia con la trasmissione di copia dell’accordo conciliativo del 16 marzo 2017 – dovrebbe condurre a una pronuncia di cessazione della materia del contendere nel giudizio a quo, ex art. 48, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413).
La definizione della controversia, tuttavia, non è idonea a produrre effetti sul giudizio costituzionale. Per costante orientamento di questa Corte, il giudizio incidentale di costituzionalità è autonomo rispetto al giudizio a quo, nel senso che non risente delle vicende di fatto successive all’ordinanza di rimessione che concernono il rapporto dedotto nel processo principale, come previsto dall’art. 18 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. Pertanto, la rilevanza della questione deve essere valutata alla luce delle circostanze sussistenti al momento dell’ordinanza di rimessione, senza che assumano rilievo eventi sopravvenuti (ex plurimis, sentenze n. 242 e n. 162 del 2014, n. 120 del 2013, n. 274 e n. 42 del 2011), tra i quali sono comprese anche la definizione stragiudiziale della controversia o comunque la cessazione, per qualsiasi causa, del giudizio rimasto sospeso davanti al giudice a quo (ex plurimis, sentenze n. 442 del 2008, n. 367 del 1991, e n. 88 del 1986; ordinanze n. 154 del 2013 e n. 110 del 2000).
3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio, ha eccepito l’inammissibilità della questione riferita all’art. 53, primo comma, Cost., per mancanza di motivazione delle relative censure.
L’eccezione non è fondata.
Nonostante il rimettente dedichi alla violazione di tale parametro solo un cenno fugace, osservando che «[a]l tempo stesso, la tassazione della società destinataria della contribuzione non appare più in ogni aspetto rispondente ai criteri della capacità contributiva», il riferimento al principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost. può essere considerato specificazione settoriale del generale principio di eguaglianza (sentenza n. 223 del 2012), con la conseguenza che si possono ritenere riferite anche a questa censura le ragioni esposte con riguardo alla denunciata violazione dell’art. 3 Cost. (sentenza n. 153 del 2017).
4.– Nel merito, la questione non è fondata.
Si deve premettere che è corretto il presupposto interpretativo da cui muove il rimettente, della natura eccezionale della norma censurata e della sua inapplicabilità, dunque, al di fuori dei casi in essa espressamente previsti. L’art. 88, comma 4, del TUIR, prevedendo la descritta esenzione fiscale, introduce una disposizione di favore, giacché è indubbio che, in sua mancanza, i versamenti dei soci a fondo perduto o in conto capitale dovrebbero essere considerati sopravvenienze attive, in quanto componenti positivi del reddito delle società.
Alla luce della costante giurisprudenza di legittimità, di cui è espressione il precedente invocato dal giudice a quo (Corte di cassazione, quinta sezione civile, sentenza 29 ottobre 2014, n. 22917), ogni disposizione fiscale di favore, in quanto recante benefici, agevolazioni o esenzioni, è di stretta interpretazione, anche in ragione della sua natura eccezionale, la quale implica che essa non può trovare applicazione fuori delle ipotesi espressamente previste dalla legge.
4.1.– Questa Corte si è trovata più volte a vagliare la legittimità costituzionale di disposizioni che prevedono agevolazioni, benefici ed esenzioni fiscali e, in questo contesto, ha affermato che «norme di tale tipo, aventi carattere eccezionale e derogatorio, costituiscono esercizio di un potere discrezionale del legislatore, censurabile solo per la sua eventuale palese arbitrarietà o irrazionalità (sentenza n. 292 del 1987; ordinanza n. 174 del 2001); con la conseguenza che la Corte stessa non può estenderne l’ambito di applicazione, se non quando lo esiga la ratio dei benefici medesimi (sentenze n. 6 del 2014, n. 275 del 2005, n. 27 del 2001, n. 431 del 1997 e n. 86 del 1985; ordinanze n. 103 del 2012, n. 203 del 2011, n. 144 del 2009 e n. 10 del 1999)» (sentenza n. 177 del 2017; nello stesso senso, sentenze n. 242 e n. 153 del 2017, n. 111 del 2016).
È dunque necessario verificare se la ratio del beneficio fiscale previsto dalla norma censurata possa essere ugualmente riferita anche all’ipotesi dei versamenti fatti, senza obbligo di restituzione, a una società da un’altra società appartenente allo stesso gruppo che non sia socia della prima.
I versamenti a fondo perduto o in conto capitale effettuati dai soci hanno la funzione di dotare la società di mezzi patrimoniali integrativi e sono assistiti da una causa simile a quella del “capitale di rischio” propria dei conferimenti. Sotto il profilo fiscale, questa assimilazione comporta che, all’aumento del patrimonio netto della società e alla sua irrilevanza reddituale ex art. 88, comma 4, si contrappongano simmetricamente, per il socio, l’aumento del costo di partecipazione, corrispondente al costo dei conferimenti, e la non deducibilità dal reddito dell’importo versato ex artt. 94, comma 6, e 101, comma 7, del TUIR. La patrimonializzazione della società è dunque fiscalmente agevolata in quanto il legislatore equipara in questo caso, ai fini dell’imposta sui redditi, gli interessi sottesi ai versamenti dei soci a quelli sottostanti ai conferimenti, riconducendoli entrambi al rapporto sociale.
La descritta ragione dell’agevolazione non può essere estesa al caso dei versamenti effettuati da società dello stesso gruppo.
Se è vero che questi apporti, ordinariamente compiuti a favore di società appartenenti allo stesso gruppo in adempimento di direttive impartite dalla capogruppo, possono essere diretti a soddisfare un interesse economico della società disponente, e precisamente a consentirle di conseguire i vantaggi complessivi derivanti dall’appartenenza al gruppo, tale interesse mediato e indiretto non è assimilabile a quello, immediato e diretto, perseguito dal socio con il versamento alla società di appartenenza. Il versamento delle società consorelle, infatti, potendo trovare ragione, non nel rapporto sociale, ma nell’appartenenza al gruppo, non realizza finalità equiparabili a quelle proprie del conferimento del socio nella società beneficiaria, che, come visto, giustificano l’esenzione fiscale.
In questo diverso contesto, inoltre, l’intervento additivo richiesto dal giudice a quo finirebbe per determinare un’ingiustificata asimmetria fiscale, giacché all’irrilevanza, sotto il profilo reddituale della ricevente, dei versamenti effettuati a suo favore non corrisponderebbe più, sul versante della società erogante, l’indeducibilità delle somme dal suo reddito, di cui esse continuerebbero a costituire invece componenti negativi soggetti a deduzione, con la conseguenza che l’ampliamento dell’esenzione fiscale rischierebbe di generare un “salto di imposta”. Né, del resto, la descritta asimmetria potrebbe essere superata estendendo a queste ipotesi le norme che imputano ad aumento dei costi di partecipazione i versamenti dei soci a fondo perduto o in conto capitale, dal momento che, nel caso di versamenti fra società, mancherebbe il presupposto della partecipazione al capitale della società beneficiaria.
Da quanto esposto emerge dunque, innanzitutto, la diversità delle situazioni messe a confronto – la quale, tenuto conto della descritta ratio del beneficio in esame, esclude l’irragionevolezza del loro diverso trattamento giuridico – e si delineano inoltre le discutibili conseguenze della prospettata estensione del regime agevolativo.
In conclusione, il regime fiscale differenziato che il legislatore ha discrezionalmente ritenuto di riservare alle due categorie di versamenti senza obbligo di restituzione, escludendo dal novero delle sopravvenienze attive solo quelli effettuati dai soci a fondo perduto o in conto capitale (nonché, per identità di ratio, gli apporti dei possessori di strumenti partecipativi), non si traduce in una disciplina irragionevole e non impone l’estensione del suo ambito applicativo nel senso auspicato dal rimettente.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 88, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), sollevata dalla Commissione tributaria regionale di Venezia, in riferimento agli artt. 3 e 53, primo comma, della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 novembre 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Daria de PRETIS, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 13 dicembre 2017.