ORDINANZA N. 203
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo MADDALENA Presidente
- Alfio FINOCCHIARO Giudice
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
- Giuseppe FRIGO “
- Alessandro CRISCUOLO “
- Paolo GROSSI “
- Giorgio LATTANZI “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della lettera b) del numero 1) della nota II-bis dell’art. 1 della Parte Prima della Tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro) – quale richiamata dal numero 21) della Parte II della Tabella A allegata al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto) –, promosso con ordinanza depositata il 16 febbraio 2010 dalla Commissione tributaria provinciale di Milano nel giudizio vertente tra Maria Ricco Galluzzo e l’Agenzia delle entrate, ufficio di Milano 6, iscritta al n. 343 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell’11 maggio 2011 il Giudice relatore Franco Gallo.
Ritenuto che, con ordinanza pronunciata il 20 novembre 2009 e depositata il 16 febbraio 2010, la Commissione tributaria provinciale di Milano – nel corso di un giudizio promosso da una contribuente nei confronti dell’ufficio di Milano 6 dell’Agenzia delle entrate avverso un avviso di liquidazione ed irrogazione di sanzioni, con il quale era stata disconosciuta l’applicabilità dell’aliquota agevolata dell’IVA, pari al 4 per cento, per l’acquisto, nel 2006, della prima casa – ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione ed ai princípi di ragionevolezza, razionalità e non contraddizione, questione di legittimità della lettera b) del numero 1) della nota II-bis dell’art. 1 della Parte Prima della Tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro) [rectius: quale richiamata dal primo periodo del numero 21) della Parte II della Tabella A allegata al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), relativo all’applicazione dell’aliquota ridotta al 4 per cento dell’IVA];
che in base alla disposizione denunciata, ai fini dell’applicazione delle cosiddette agevolazioni fiscali per la prima casa «agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione non di lusso e agli atti traslativi o costitutivi della nuda proprietà, dell’usufrutto, dell’uso e dell’abitazione relativi alle stesse, devono ricorrere le seguenti condizioni: [omissis] b) che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare»;
che, secondo quanto riferito, in punto di fatto, dal giudice rimettente: a) la contribuente, nel 2003, aveva acquistato, senza fruire delle agevolazioni fiscali di cui alla disposizione denunciata, la proprietà di un appartamento, successivamente concesso in comodato al figlio maggiorenne con contratto registrato nel gennaio 2006; b) la medesima contribuente, con atto stipulato il 9 febbraio 2006 e registrato il 7 marzo successivo, aveva acquistato la proprietà di un altro appartamento sito nello stesso territorio comunale, chiedendo l’applicazione delle agevolazioni per la prima casa e dichiarando, a tal fine, di non possedere altra casa di abitazione nello stesso Comune; c) l’Agenzia delle entrate, ritenendo mendace la dichiarazione, aveva considerato la contribuente decaduta dall’agevolazione e, di conseguenza, le aveva richiesto con l’atto impugnato il pagamento sia dell’imposta, nella misura ordinaria, sia delle sanzioni, in base a quanto previsto dal numero 4) della citata nota II-bis, in forza del quale, «In caso di dichiarazione mendace», se si tratta «di cessioni soggette all’imposta sul valore aggiunto, l’ufficio dell’Agenzia delle entrate […] deve recuperare nei confronti degli acquirenti la differenza tra l’imposta calcolata in base all’aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall’applicazione dell’aliquota agevolata, nonché irrogare la sanzione amministrativa, pari al 30 per cento della differenza medesima» [rectius: numero 4) come richiamato dal secondo periodo del numero 21) della Parte II della Tabella A allegata al d.P.R. n. 633 del 1972, relativo all’aliquota dell’IVA nella misura agevolata del 4 per cento applicabile in caso di acquisto di case di abitazione non di lusso, per il quale «In caso di dichiarazione mendace nell’atto di acquisto […], si applicano le disposizioni indicate nella predetta nota» II-bis]; d) la contribuente aveva impugnato l’atto impositivo deducendo, tra l’altro, che della lettera b) del numero 1) della nota II-bis occorreva dare una interpretazione «sostanziale e non formale», tenuto conto che l’immobile acquistato nel 2003 era inidoneo a consentire la convivenza della madre con il figlio trentenne;
che il medesimo rimettente afferma, in punto di non manifesta infondatezza della questione, che il titolare di diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di una casa per la quale non abbia fruito delle suddette agevolazioni fiscali, ove successivamente acquisti un’altra casa di abitazione e vi trasferisca la propria residenza, viene irragionevolmente trattato in modo diverso, a seconda che l’abitazione successivamente acquistata sia ubicata nello stesso Comune o in un Comune diverso;
che infatti – prosegue il giudice a quo – l’acquisto della prima casa viene considerato quale circostanza ostativa all’applicazione delle agevolazioni per l’acquisto della seconda casa solo nel caso in cui entrambe le abitazioni siano situate nello stesso territorio comunale (come stabilisce la denunciata lettera b del numero 1 della nota II-bis) e non anche nel caso in cui dette abitazioni siano ubicate in Comuni diversi (come si ricava dalla lettera c dello stesso numero 1 della nota II-bis);
che, quanto alla rilevanza della sollevata questione, il rimettente afferma che la disposizione denunciata, dato il suo tenore letterale, non può essere diversamente interpretata e deve essere necessariamente applicata per la definizione della controversia;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la sollevata questione sia dichiarata inammissibile od infondata;
che l’inammissibilità è eccepita sotto il profilo della insufficiente motivazione sulla rilevanza e della carente motivazione sulla non manifesta infondatezza, in quanto, per l’Avvocatura generale dello Stato, il rimettente avrebbe omesso di fornire adeguate argomentazioni in ordine: a) alla fondatezza delle ragioni dell’atto impositivo, il quale è basato sull’applicazione del numero 4) della nota II-bis dell’art. 1 della Tariffa, Parte Prima, del d.P.R. n. 131 del 1986, e cioè in ordine alla mendacità della dichiarazione resa dal contribuente nell’atto di acquisto della casa; b) all’idoneità in concreto della casa precedentemente acquistata dalla contribuente a soddisfare le sue esigenze abitative (per dimensioni, distanza dal luogo di lavoro o di studio, condizioni di salute o di validità fisica, e simili), tenuto conto del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il possesso di un alloggio inidoneo a sopperire ai bisogni abitativi non ostacola l’applicazione delle agevolazioni nel caso di acquisto di un secondo alloggio (vengono citate le sentenze della Corte di cassazione n. 6476 del 1996; n. 10925, n. 19738 e n. 24128 del 2003; n. 1007 del 2010); c) alle ragioni della affermata violazione dell’art. 53 Cost.;
che l’infondatezza della questione è affermata dall’Avvocatura generale sul rilievo che le situazioni poste a raffronto dal rimettente sono «radicalmente diverse» e sono disciplinate in modo non irragionevole, perché: a) in tema di agevolazioni fiscali, i limiti dell’ampia discrezionalità riservata al legislatore «vanno individuati esclusivamente nella “palese arbitrarietà od irrazionalità”» (come affermato dalla Corte costituzionale nell’ordinanza n. 46 del 2009, che richiama le sentenze n. 346 del 2003 e n. 431 del 1997, nonché le ordinanze n. 124 del 2006 e n. 275 del 2005); b) non può ritenersi arbitraria od irrazionale la scelta del legislatore di consentire un solo acquisto agevolato della casa di abitazione nell’àmbito dell’intero territorio nazionale, attribuendo il beneficio fiscale esclusivamente per l’acquisto di un immobile nel luogo di residenza o di lavoro del contribuente e «lasciando irrilevante la circostanza che questi sia già proprietario nel resto del territorio nazionale di altro immobile […] se non in termini di insussistenza della condizione di novità del godimento del beneficio».
Considerato che la Commissione tributaria provinciale di Milano dubita – in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione ed ai princípi di ragionevolezza, razionalità e non contraddizione – della legittimità della lettera b) del numero 1) della nota II-bis dell’art. 1 della Parte Prima della Tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro) [rectius: quale richiamata dal primo periodo del numero 21) della Parte II della Tabella A allegata al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), relativo all’applicazione dell’aliquota ridotta al 4 per cento dell’IVA];
che in base alla disposizione denunciata, al fine dell’applicazione delle cosiddette agevolazioni fiscali “per la prima casa”, da essa prevista, «agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione non di lusso e agli atti traslativi o costitutivi della nuda proprietà, dell’usufrutto, dell’uso e dell’abitazione relativi alle stesse, devono ricorrere le seguenti condizioni: […] b) che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare»;
che, per il rimettente, tale disposizione si pone in contrasto con gli evocati parametri, perché, per il caso in cui il possidente (inteso come titolare di diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione) di una casa di abitazione, in riferimento alla quale non abbia fruito di agevolazioni fiscali, acquisti successivamente un’altra abitazione e vi trasferisca la propria residenza, prevede una irragionevole diversità di trattamento a seconda che la nuova abitazione sia ubicata nello stesso Comune (come nella fattispecie oggetto del giudizio a quo) o in un Comune diverso;
che infatti, in base alla denunciata normativa, la possidenza di una casa costituisce circostanza ostativa all’applicazione delle suddette agevolazioni fiscali solo nell’ipotesi di immobili siti nello stesso territorio comunale;
che la questione – come eccepito dall’Avvocatura generale dello Stato – è manifestamente inammissibile;
che, quanto all’evocato art. 53 Cost., l’inammissibilità discende dal difetto assoluto di motivazione sulla non manifesta infondatezza, perché il rimettente si è limitato ad indicare il suddetto articolo della Costituzione;
che, quanto agli altri parametri, l’inammissibilità discende dalla incompleta descrizione della fattispecie oggetto del giudizio principale e, quindi, dalla insufficiente motivazione sulla rilevanza;
che al riguardo va osservato che, secondo quanto riferito dal giudice rimettente, la contribuente invoca una interpretazione «sostanziale e non formale» della denunciata lettera b) del numero 1) della nota II-bis, assumendo che l’impedimento alle agevolazioni fiscali potrebbe derivare solo dalla concreta “disponibilità” di un’altra casa di abitazione (in particolare, la contribuente deduce, nel ricorso introduttivo, l’inidoneità della prima casa a consentire la sua convivenza con il figlio trentenne);
che, pur in presenza delle suddette deduzioni difensive della parte, il rimettente: a) non chiarisce se la casa di abitazione di cui la contribuente è proprietaria sin dal 2003 risulti in concreto idonea a soddisfare le esigenze abitative dell’interessata; b) non considera che, in base all’interpretazione costituzionalmente orientata prospettata da alcune pronunce della Corte di cassazione, la disposizione denunciata – nel testo applicabile ratione temporis alla controversia, introdotto dall’art. 3, comma 131, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, e con il quale l’espressione «fabbricato idoneo ad abitazione» è stata sostituita con quella «casa di abitazione» – va intesa nel senso che la possidenza di una casa di abitazione costituisce ostacolo alla fruizione delle agevolazioni fiscali per il successivo acquisto di un’altra casa ubicata nello stesso Comune soltanto se la prima delle due case sia già idonea a soddisfare le esigenze abitative dell’interessato (Corte di cassazione, ordinanza n. 100 del 2010 e sentenza n. 18128 del 2009); c) conseguentemente, non precisa se la dichiarazione resa dalla contribuente nel 2006, al momento dell’acquisto della seconda casa, di non possedere altra casa di abitazione nello stesso territorio comunale (nel senso, sopra visto, di altra casa idonea a soddisfare le esigenze abitative dell’interessata) debba considerarsi mendace e, perciò, integri il presupposto della «dichiarazione mendace» sul quale è espressamente basato l’avviso di liquidazione ed irrogazione di sanzioni impugnato nel giudizio a quo;
che la riscontrata inammissibilità della questione impedisce di rilevarne la manifesta infondatezza, derivante dal fatto che le agevolazioni in esame rispondono alla ragionevole ratio di favorire l’acquisto di un’abitazione nel luogo di residenza o di lavoro a vantaggio di chi, nello stesso luogo, non abbia la possidenza di un’altra casa di abitazione obiettivamente idonea a soddisfare le sue esigenze.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale della lettera b) del numero 1) della nota II-bis dell’art. 1 della Parte Prima della Tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), quale richiamata dal primo periodo del numero 21) della Parte II della Tabella A allegata al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione ed ai princípi di ragionevolezza, razionalità e non contraddizione, dalla Commissione tributaria provinciale di Milano con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 giugno 2011.
F.to:
Paolo MADDALENA, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2011.