SENTENZA
N. 117
ANNO
2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME
DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI
Presidente
- Aldo CAROSI
Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto
Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
- Francesco VIGANÒ ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale
dell’art. 1, commi 4, lettere a), b), e c), 8, 10 e 30, della legge
della Regione Campania 31 marzo 2017, n. 10 (Misure per l’efficientamento
dell’azione amministrativa e l’attuazione degli obiettivi fissati dal DEFR 2017
- Collegato alla stabilità regionale per il 2017), promosso con ricorso
del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 30 maggio-8 giugno
2017, depositato in cancelleria il 6 giugno 2017, iscritto al n. 42 del
registro ricorsi 2017 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.
27, prima serie speciale, dell’anno 2017.
Visto l’atto di costituzione della Regione
Campania;
udito nell’udienza
pubblica del 17 aprile 2018 il Giudice relatore Aldo Carosi;
uditi l’avvocato dello
Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri e
l’avvocato Almerina Bove per la Regione Campania.
Ritenuto
in fatto
1.‒
Con ricorso notificato il 30 maggio-8 giugno 2017 e depositato il successivo 6
giugno (reg. ric. n. 42 del 2017), il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 4, lettere a), b) e
c), 8, 10 e 30 della legge della Regione Campania 31 marzo 2017, n. 10 (Misure
per l’efficientamento dell’azione amministrativa e
l’attuazione degli obiettivi fissati dal DEFR 2017 - Collegato alla stabilità
regionale per il 2017).
1.1.−
L’art. 1, comma 10, della legge reg. Campania n. 10 del 2017 violerebbe gli artt. 81, terzo comma,
117, secondo comma,
lettera e) – in materia di perequazione delle risorse finanziarie
– e 120,
secondo comma, della Costituzione, in tema di poteri sostitutivi, in
relazione all’art.
2, comma 95, della legge 23 dicembre 2009, n. 191,
recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello stesso (legge finanziaria 2010)».
Premesso
il contenuto del comma 10 ‒ che stabilisce che «[n]elle more
dell’attivazione del nuovo Policlinico Universitario di Caserta, al fine di
incrementare i LEA della Provincia di Caserta, l’ASL e
l’Università degli Studi della Campania "Luigi Vanvitelli”, stipulano apposita
convenzione volta a consentire l’utilizzo di spazi ospedalieri, per
l’incremento di prestazioni aggiuntive a quelle già erogate» ‒ il
Presidente del Consiglio dei ministri evidenzia che la menzionata disposizione
determinerebbe un incremento dei livelli essenziali di assistenza nella
Provincia di Caserta, in contrasto con l’art. 2, comma 95, della legge n. 191
del 2009, che vieterebbe alle Regioni sottoposte al piano di rientro di
adottare provvedimenti nuovi che possano ostacolarne l’attuazione.
L’incremento delle prestazioni aggiuntive,
stabilito dalla norma in esame, determinerebbe, difatti, maggiori
oneri a carico del Servizio sanitario regionale, in contrasto con la cornice
programmatoria e finanziaria del Piano di rientro regionale, con conseguente
violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost., in base al quale ogni legge che importi oneri
maggiori provvede ai mezzi per farvi fronte; dell’art. 117,
secondo comma, lettera e), Cost., in materia di
perequazione delle risorse finanziarie e dell’art. 120, secondo comma, Cost., in tema di poteri sostitutivi.
Il
ricorrente rammenta che questa Corte ha più volte affermato che la disciplina
dei piani di rientro dai deficit di bilancio in materia sanitaria sarebbe
riconducibile alla potestà legislativa concorrente ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., e che quanto stabilito dall’art.
2, comma 95, della legge n. 191 del 2009, costituirebbe principio fondamentale
di coordinamento della finanza pubblica (è citata la sentenza n. 266 del
2016).
Inoltre,
le funzioni del Commissario ad acta, nominato dal Governo e come definite dal
mandato conferitogli, «devono restare, fino all’esaurimento dei compiti
commissariali, al riparo da ogni interferenza degli organi regionali ‒
anche qualora questi agissero per via legislativa ‒ pena la violazione
dell’art. 120, secondo comma, Cost. (ex plurimis, sentenze n. 227 del
2015, n. 278
e n. 110 del
2014, n. 228,
n. 219, n. 180 e n. 28 del 2013
e già n. 78 del
2011)» (sentenza
n. 266 del 2016).
Ne
deriverebbe, pertanto, l’illegittimità costituzionale della disposizione
impugnata, in quanto interferisce con i poteri affidati al Commissario ad acta
dal Governo e con le attività svolte nell’attuazione del piano di rientro del
disavanzo sanitario e costituisce menomazione delle sue specifiche
attribuzioni.
La
conclusione secondo la quale le funzioni amministrative del Commissario
dovrebbero essere messe al riparo da ogni interferenza degli organi regionali
sarebbe legittimata, secondo la predetta giurisprudenza, dal fatto che l’azione
del Commissario ad acta sopraggiungerebbe all’esito della persistente inerzia
degli organi collegiali e che l’esercizio del potere sostitutivo sarebbe
imposto dalla necessità di assicurare la tutela dell’unità economica della
Repubblica e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti un diritto
fondamentale, qual è quello alla salute.
Tale
interferenza sussisterebbe anche in presenza di interventi non previsti dal
piano di rientro e che possono aggravare il disavanzo sanitario regionale o con
l’introduzione di livelli di assistenza aggiuntivi non contemplati nel piano (è
citata la sentenza
n. 104 del 2013).
1.2.−
Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, inoltre, il comma 30 del
medesimo art. 1 della legge reg. Campania n. 10 del 2017 ‒ il quale, al
dichiarato fine di tutelare e conservare le acque superficiali e sotterranee
esistenti sul territorio regionale destinate al consumo umano, vieta la
prospezione, la ricerca, l’estrazione e lo stoccaggio di idrocarburi liquidi e
gassosi, nonché la realizzazione delle relative infrastrutture tecnologiche
nelle aree di affioramento di rocce carbonatiche, così come perimetrate ed evidenziate
nella cartografia idrogeologica del Piano di Gestione delle Acque del Distretto
Idrografico dell’Appenino Meridionale ‒ che inciderebbe nelle materie
«produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e «governo del
territorio» di competenza concorrente, in violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione, in particolare, all’art.
6 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).
Nell’ambito di tali materie, difatti, lo Stato
e la Regione eserciterebbero le proprie funzioni attraverso lo strumento
dell’intesa in senso forte, in conformità al principio di leale collaborazione.
Al contrario, il divieto unilaterale imposto dal legislatore regionale
contrasterebbe con il suddetto principio «che impone il rispetto, caso per
caso, di una procedura articolata, tale da assicurare lo svolgimento di
reiterate trattative» (è citata la sentenza n. 117 del
2013), mentre la proibizione in esame equivarrebbe ad una «preventiva e
generalizzata previsione legislativa di diniego di intesa» vanificando la
bilateralità della relativa procedura (viene ancora citata la sentenza n. 114 del
2017 e sono inoltre richiamate le sentenze n. 39 del
2013, n. 179
del 2012, n.
33 del 2011, n.
121 del 2010 e n. 24 del 2007).
Peraltro,
il ricorrente evidenzia che la disposizione prenderebbe in considerazione
attività ontologicamente diverse tra loro, dal momento che, a differenza di
quelle relative ad attività di estrazione e stoccaggio, le attività di
prospezione e ricerca non comportano alterazioni dell’ambiente e, di
conseguenza, non interferirebbero in alcun modo con la dichiarata finalità di
tutelare e conservare le acque superficiali e sotterranee esistenti nelle aree
di affioramento di rocce carbonatiche. Dette attività sarebbero comunque
soggette alla valutazione di impatto ambientale, ai sensi del d.lgs. n. 152 del
2006 e, nel caso avessero implicazioni ambientali negative sulle aree di
affioramento di rocce carbonatiche, non potrebbero ottenere, per ciò stesso, un
giudizio positivo di compatibilità ambientale.
La
disposizione censurata, infine, comporterebbe «il diniego implicito ex lege» dell’intesa regionale, già considerato illegittimo da
questa Corte in relazione ad analoghe disposizioni in quanto: contrastavano con
la normativa nazionale di riferimento; impedivano, di fatto, il rilascio della
prescritta intesa da parte della Regione precludendo alle amministrazioni
statali l’esercizio dell’azione amministrativa di loro competenza; violavano il
principio di leale collaborazione (sono citate le sentenze n. 119 del
2010 e n.
282 del 2009, aventi ad oggetto la realizzazione di impianti eolici e n. 331 del 2010,
in materia di impianti nucleari).
Più in
generale, questa Corte avrebbe affermato che in nessun caso la Regione potrebbe
utilizzare «la potestà legislativa allo scopo di rendere inapplicabile nel
proprio territorio una legge dello Stato che ritenga costituzionalmente
illegittima, se non addirittura dannosa o inopportuna» (sono citate le sentenze n. 331 del
2010 e n.
198 del 2004).
La natura
concorrente della potestà legislativa in questione dimostrerebbe, inoltre, come
già affermato da questa Corte, la ragionevolezza di una scelta legislativa che
preveda l’intesa tra Stato e Regioni interessate per le «determinazioni
inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi» (sono
richiamate le sentenze
n. 117 del 2013, n. 124 del 2010
e n. 282 del
2009). Inoltre l’art. 1, commi 7, lettera n), e 8, lettera b), numero 2,
della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché
delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di
energia), che individuano nell’intesa lo strumento collaborativo, sono stati
ritenuti principi fondamentali in materia (sono citate le sentenze n.117 del
2013, n. 124
del 2010, n.
282 del 2009 e n. 383 del 2005).
Analogamente, sarebbero afferenti alla
medesima materia di potestà legislativa concorrente anche l’art. 29, comma 2,
lettera g), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di
funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali,
in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), che riserva allo
Stato funzioni amministrative e autorizzatorie in
materia di impianti costituenti parte della rete energetica nazionale (sono
citate le sentenze
n. 313 del 2010 [recte:
331 del 2010] e n. 383 del 2005)
e la disciplina relativa ai procedimenti di autorizzazione di infrastrutture
lineari energetiche contenuta nel decreto legislativo 27 dicembre 2004, n. 330
(Integrazioni al D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, in materia di espropriazione per
la realizzazione di infrastrutture lineari energetiche).
Dette
norme avrebbero ridefinito in modo unitario i procedimenti di autorizzazione
delle maggiori infrastrutture lineari energetiche in considerazione della
necessità di riconoscere un ruolo fondamentale agli organi statali
nell’esercizio delle corrispondenti funzioni amministrative (è richiamata la sentenza n. 6 del
2004). La competenza legislativa statale in questi casi sarebbe dunque
effetto della "chiamata in sussidiarietà” e la previsione di forme di
collaborazione e coordinamento con le autonomie ne sarebbe conseguenza
fondamentale. Il necessario coinvolgimento delle Regioni di volta in volta
interessate sarebbe pertanto assicurato mediante l’intesa in senso "forte”, che
garantirebbe a queste ultime una adeguata partecipazione.
1.3.−
Anche l’art. 1, comma 4, lettere a), b) e c), della medesima legge regionale
campana, che modifica il comma 237-quater dell’art. 1 della legge della Regione
Campania 15 marzo 2011, n. 4, recante «Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale 2011 e pluriennale 2011-2013 della Regione Campania (Legge
finanziaria regionale 2011», è impugnato per violazione del riparto di
competenze in materia di tutela della salute
(art. 117, terzo comma, Cost.), e 120, secondo comma, Cost.
Secondo
le menzionate disposizioni, il fabbisogno della rete ospedaliera andrebbe
soddisfatto prioritariamente tramite le strutture private provvisoriamente
accreditate, tenendo conto dell’organizzazione dei servizi ospedalieri di
diagnosi e cura offerta in regime di accreditamento provvisorio, con le
correlate prestazioni ospedaliere erogate nell’ambito delle specialità espresse
e riconosciute. In caso di sussistenza di ulteriore fabbisogno non destinato
alle strutture pubbliche, verificato agli esiti della definizione dei
procedimenti di accreditamento definitivo delle strutture sanitarie e sociosanitarie
secondo la predetta legge reg. Campania n. 4 del 2011, le strutture già
autorizzate ed in possesso dei requisiti tecnico-sanitari, nonché in possesso
degli ulteriori requisiti previsti per l’accreditamento istituzionale, possono
essere accreditate fino alla copertura del fabbisogno dei posti letto dando
priorità al raggiungimento della soglia dei 60 posti letto di cui al punto 2.5
dell’Allegato 1 al decreto del Ministro della salute 2 aprile 2015, n. 70
(Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali,
tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera).
Secondo
il ricorrente, l’organizzazione ospedaliera dovrebbe, invece, essere rapportata
ai fabbisogni attuali e delineata secondo quanto disposto dai vigenti
provvedimenti di riorganizzazione della rete ospedaliera regionale, adottati in
attuazione dei Programmi operativi 2016-2018 e non tramite le strutture private
accreditate in via provvisoria, come, invece, previsto nella norma regionale
impugnata che, dunque, contrasta con il citato d.m.
n. 70 del 2015 ed, in particolare con il punto 2.5. dell’Allegato 1.
La ratio
della disposizione di cui al menzionato punto 2.5 dell’Allegato 1 al d.m. citato sarebbe, difatti, quella di realizzare l’efficientamento della rete ospedaliera, attraverso un
processo che preveda il superamento della parcellizzazione delle strutture
erogatrici, il cui numero dovrebbe essere contenuto in rapporto ai bacini di
utenza, operando, se necessario, i ridimensionamenti utili a ricondurre le
strutture sanitarie entro un numero definito in base all’utenza.
Da quanto
precede deriverebbe l’illegittimità delle citate disposizioni, in quanto
interferiscono con i poteri del Commissario ad acta e con le attività svolte
nell’attuazione del piano di rientro del disavanzo sanitario e costituiscono
menomazione delle specifiche attribuzioni.
Anche in
tal caso, dunque, le funzioni amministrative del Commissario dovrebbero essere
messe al riparo da ogni interferenza degli organi regionali, dal momento che
l’azione del Commissario ad acta sopraggiungerebbe all’esito della persistente
inerzia degli organi collegiali e che l’esercizio del potere sostitutivo
sarebbe imposto dalla necessità di assicurare la tutela dell’unità economica
della Repubblica e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti un
diritto fondamentale, qual è quello alla salute.
1.4.−
Infine, l’art. 1, comma 8, della legge reg. Campania n. 10 del 2017 ‒ che
prevede che, su istanza dei laboratori di analisi che hanno già aderito ad una
aggregazione nell’ambito del riassetto della rete, la competente Azienda
sanitaria locale (ASL), acquisito il parere del Commissario ad acta, può
prorogare i termini per gli adempimenti intermedi previsti dai decreti del
suddetto Commissario, fissando, altresì, il termine finale per il conseguimento
della soglia minima di 200.000 prestazioni per anno al 30 giugno 2018 ‒
sarebbe parimenti lesivo dell’art. 117, terzo comma,
in materia di tutela della salute e dell’art. 120, secondo comma,
Cost., in riferimento all’art.
1, comma 796, della legge n. 296 del 2006.
Secondo
il ricorrente, la previsione di tale proroga sarebbe «generica», essendo il
differimento del termine integralmente rimesso alla ASL, sia per quanto attiene
all’an, sia per quanto attiene al quantum, e non
sarebbe coerente con i piani di programmazione regionale. Essa inoltre si
porrebbe in contrasto con l’art.
1, comma 796, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria
2007)», che ha definito una serie di disposizioni per garantire il rispetto
degli obblighi comunitari e la realizzazione degli obiettivi di finanza
pubblica per il triennio 2007-2009; la lettera o) del citato comma 796 ha previsto,
peraltro, che «le regioni provvedono, entro il 28 febbraio 2007, ad approvare
un piano di riorganizzazione della rete delle strutture pubbliche e private
accreditate eroganti prestazioni specialistiche e di diagnostica di
laboratorio, al fine dell’adeguamento degli standard organizzativi e di personale coerenti con i processi di incremento
dell’efficienza resi possibili dal ricorso a metodiche automatizzate».
In
attuazione di dette disposizioni, è stato, quindi, adottato l’accordo Stato
-Regioni del 23 marzo 2011 nel quale, tra l’altro, è stata ribadita la
previsione di una soglia minima di attività nei criteri di accreditamento, al
di sotto della quale non si può riconoscere la prevista idoneità di produttore
accreditato e a contratto.
La Regione
Campania, con la disposizione in esame, non avrebbe rispettato dette soglie.
Inoltre, per quanto specificamente collegato al Piano di rientro dal disavanzo
sanitario, detta disposizione contrasterebbe anche con quanto disposto dal
crono-programma stabilito nel Programma Operativo 2016-2018 (adottato con
determinazione del Commissario ad acta n. 14 del 1° marzo 2017), che ha
previsto le aggregazioni per almeno la metà dei laboratori entro il 30 giugno
2017 e per il totale dei laboratori entro il 31 dicembre 2017.
Anche
l’art. 1, comma 8, della legge n. 10 del 2017, sarebbe, dunque, in contrasto
con la programmazione del Piano di rientro regionale e, in particolare, con il
punto 2.5. dell’Allegato 1 al d.m. n. 70 del 2015,
con conseguente illegittimità costituzionale, in quanto interferirebbe con i
poteri del Commissario ad acta e con le attività svolte nell’attuazione del
piano di rientro del disavanzo sanitario, nonché menomerebbe le sue specifiche
attribuzioni.
Come per
le altre disposizioni, dunque, le funzioni amministrative del Commissario ad
acta dovrebbero essere messe al riparo da ogni interferenza degli organi
regionali, dal momento che la sua azione sopraggiungerebbe all’esito della
persistente inerzia degli organi collegiali, e che l’esercizio del potere
sostitutivo sarebbe imposto dalla necessità di assicurare la tutela dell’unità
economica della Repubblica e dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti un diritto fondamentale, qual è quello alla salute.
2.‒
La Regione Campania, nel costituirsi in giudizio, ha eccepito l’inammissibilità
o la non fondatezza del ricorso.
2.1.‒
Con successiva memoria ha replicato alle deduzioni del Presidente del Consiglio
dei ministri.
In
particolare, con riferimento all’art. 1, comma 10, della legge reg. Campania n.
10 del 2017, ha innanzitutto rilevato che con decreto commissariale n. 8 del
2018, che richiama la sentenza del Consiglio di Stato, terza sezione, 7 maggio
2013, n. 2470, è stato approvato il Piano di riassetto della rete ospedaliera,
il quale non ha fatto riferimento alla convenzione citata dalla norma
impugnata, volta a consentire l’utilizzo di spazi ospedalieri da parte
dell’Università Vanvitelli. Secondo la Regione Campania ciò dovrebbe comportare
l’improcedibilità del ricorso «per tacita abrogazione della norma impugnata e
mancata applicazione della stessa nel periodo».
In
relazione all’art. 1, comma 30, della medesima legge regionale, la resistente
evidenzia come la disposizione si sostanzierebbe in una legittima applicazione
del "criterio di localizzazione”, dal momento che essa non precluderebbe del
tutto le menzionate attività, ma le consentirebbe in presenza di interessi
particolarmente pregnanti, secondo quanto già affermato dalle sentenze n. 278 del
2010 e n.
331 del 2003.
In
definitiva, la norma in esame sarebbe volta a preservare «interessi
particolarmente pregnanti affidati alle cure del legislatore regionale»,
costituiti dalla tutela delle acque di fonte, minerali, idrotermali e dai
fluidi geotermici che, ascritte al patrimonio regionale, sono conservate nelle
rocce carbonatiche che costituiscono l’ambiente naturale più favorevole grazie
alla loro elevata permeabilità e porosità.
In
riferimento al comma 4, dell’art. 1, lettere a), b) e c), della medesima legge
regionale campana, che modifica il comma 237-quater dell’art. 1 della legge
reg. Campania n. 4 del 2011, la Regione resistente assume che, diversamente da
quanto dedotto dal Presidente del Consiglio dei ministri, esso ricondurrebbe il
menzionato art.1, comma 237-quater, al Piano Regionale di Programmazione della
Rete Ospedaliera adottato, ai sensi del d.m. n. 70
del 2015, con decreto commissariale n. 33 del 2016.
Peraltro,
il contenuto dell’art. 1, comma 4, in esame risulterebbe poi recepito nel
«Piano regionale di Programmazione della rete ospedaliera ai sensi del D.M. 70
del 2015 2016-2018-Aggiornamento del 18 gennaio 2018» di cui al già menzionato
decreto commissariale n. 8 del 2018, che ratificherebbe il menzionato articolo.
Infine,
per quanto concerne l’impugnativa del comma 8 dell’art. 1 della legge reg.
Campania n. 10 del 2017, esso non modificherebbe affatto l’impianto
organizzativo della rete dei laboratori disciplinato dal decreto commissariale
n. 109 del 2011 [recte: 2013]. La proroga ivi
prevista, difatti, non si porrebbe in contrasto con il cronoprogramma dei
progetti operativi, in quanto le richieste di "proroga” avanzate dai «Centri» e
assentite dalle ASL dovrebbero comunque essere corredate dal parere del
Commissario che sarà tenuto a garantire il rispetto del limite del 50 per cento
delle aggregazioni.
Rammenta,
infine, che già diverse proroghe erano state accordate (come con il decreto
commissariale n. 83 del 2016 e altri) su invito del giudice amministrativo e in
riscontro a richieste delle ASL, e resterebbe comunque fermo il termine ultimo
al 2018, entro il quale concludere il processo.
Considerato
in diritto
1.–
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 1, commi 4, lettere a), b) e c), 8, 10 e 30, della
legge della Regione Campania 31 marzo 2017, n. 10 (Misure per l’efficientamento dell’azione amministrativa e l’attuazione
degli obiettivi fissati dal DEFR 2017 - Collegato alla stabilità regionale per
il 2017).
1.1.– L’art. 1, comma 10, della legge
campana impugnata si porrebbe in contrasto con la cornice programmatoria e
finanziaria del piano di rientro regionale, stabilendo l’incremento di
prestazioni aggiuntive e determinando maggiori oneri a carico del Servizio
sanitario regionale senza prevedere i mezzi per farvi fronte. La disposizione
violerebbe, quindi, gli artt. 81, terzo comma, 117, secondo comma, lettera e)
– in materia di perequazione delle risorse finanziarie – e 120,
secondo comma, della Costituzione, in tema di poteri sostitutivi. La
disposizione impugnata interferirebbe con i poteri affidati al Commissario ad
acta dal Governo nell’attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario e
costituirebbe una menomazione delle sue specifiche attribuzioni. Le funzioni
del Commissario ad acta definite dal mandato dovrebbero restare, invece, al
riparo da ogni interferenza degli organi regionali, pena la violazione
dell’art. 120, secondo comma, Cost.
1.2.– Le disposizioni contenute
nell’art. 1, comma 4, lettere a), b) e c), della legge reg. Campania n. 10 del
2017 non sarebbero conformi alla cornice programmatoria e finanziaria del piano
di rientro regionale e sarebbero in contrasto con gli artt. 117, terzo comma
– in materia di tutela della salute – e 120, secondo comma, Cost., in quanto interferirebbero con i poteri affidati al
Commissario ad acta dal Governo e con le attività svolte nell’attuazione del
piano di rientro, menomando le sue specifiche attribuzioni.
Tali
disposizioni, le quali modificano il comma 237-quater dell’art. 1 della legge
della Regione Campania 15 marzo 2011, n. 4, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio 2011-2013 della Regione Campania (Legge finanziaria
regionale 2011)», stabiliscono che il fabbisogno della rete ospedaliera deve
essere prioritariamente soddisfatto tramite le strutture private
provvisoriamente accreditate, tenendo conto dell’organizzazione dei servizi
ospedalieri di diagnosi e cura rappresentata e offerta in regime di
accreditamento provvisorio, con le correlate prestazioni ospedaliere erogate
nell’ambito delle specialità riconosciute. Il ricorrente rileva che
l’organizzazione ospedaliera dovrebbe essere rapportata ai fabbisogni attuali e
delineata secondo quanto disposto dai vigenti provvedimenti di riorganizzazione
della rete ospedaliera regionale, adottati in attuazione dei Programmi
operativi 2016-2018, e non tramite le strutture private accreditate in via
provvisoria, come, invece, previsto nella norma regionale. Il comma 4
risulterebbe quindi in contrasto con l’obiettivo di efficientamento
della rete ospedaliera, che prevede il superamento della parcellizzazione delle
strutture erogatrici e il contenimento del loro numero in rapporto ai bacini di
utenza e non sarebbe conforme alla cornice programmatoria e finanziaria del
piano di rientro regionale.
1.3.– Il comma 8 dell’art. 1 della legge
reg. Campania n. 10 del 2017 sarebbe in contrasto con gli artt. 117, terzo
comma, in materia di tutela della salute, e 120, secondo comma, Cost., in relazione all’art. 1, comma 796, della legge 27
dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», in quanto non
rispetterebbe gli standard organizzativi e di personale coerenti con i processi
di incremento dell’efficienza.
La
disposizione prorogherebbe in modo generico il termine finale per il
conseguimento della soglia minima di 200.000 prestazioni all’anno, rimettendo
tale determinazione integralmente all’azienda sanitaria locale (ASL), sia nell’an che nel quantum, e non risulterebbe coerente con i
piani di programmazione regionale.
Inoltre,
per quanto specificamente collegato al piano di rientro dal disavanzo
sanitario, il comma 8 contrasterebbe anche con il cronoprogramma stabilito nel
Programma operativo 2016-2018, che ha previsto le aggregazioni per almeno il
cinquanta per cento del totale dei laboratori entro il 30 giugno 2017 e le
aggregazioni per il totale dei laboratori entro il 31 dicembre 2017.
Anche
tale disposizione interferirebbe con i poteri del Commissario e con le attività
svolte nell’attuazione del piano di rientro del disavanzo sanitario e
costituirebbe menomazione delle sue specifiche attribuzioni.
1.4.– L’art. 1, comma 30, della legge
reg. Campania n. 10 del 2017, che vieta la prospezione, la ricerca,
l’estrazione e lo stoccaggio di idrocarburi liquidi e gassosi, nonché la
realizzazione delle relative infrastrutture tecnologiche nelle aree di
affidamento delle rocce carboniche, ad avviso dell’Avvocatura generale dello
Stato, sarebbe illegittimo, in quanto inciderebbe nella materia «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e in quella del governo del
territorio, introducendo un divieto di natura pregiudiziale e ponendosi così in
contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., che
stabilisce per tali materie la potestà legislativa concorrente Stato-Regioni,
con il principio di leale collaborazione, nonché con l’art. 6 del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).
Nell’ambito delle aree di competenza
legislativa concorrente l’amministrazione statale e quella regionale dovrebbero
esercitare le proprie funzioni attraverso lo strumento dell’intesa, in
conformità al principio di leale collaborazione. L’inibizione assoluta recata
dalla disposizione regionale equivarrebbe a una «preventiva e generalizzata
previsione legislativa di diniego di intesa», vanificando la bilateralità della
relativa procedura. Il divieto unilaterale imposto dal legislatore regionale
contrasterebbe con il suddetto principio di leale collaborazione, che impone il
rispetto, caso per caso, di una procedura articolata, tale da assicurare lo
svolgimento di reiterate trattative.
Ad avviso
del ricorrente, la norma sarebbe poi del tutto irrazionale, poiché porrebbe
sullo stesso piano attività e interventi oggettivamente e tecnicamente diversi:
a differenza delle attività di estrazione e stoccaggio, le attività di
prospezione e ricerca non comporterebbero alterazioni dell’ambiente e di
conseguenza non interferirebbero in alcun modo con la finalità di tutelare e
conservare le acque superficiali e sotterranee esistenti nelle aree di
affioramento di rocce carbonatiche. Tra l’altro, se le attività e gli
interventi previsti avessero implicazioni di impatti ambientali negativi sulle
aree di affioramento di rocce carbonatiche, non otterrebbero, per ciò stesso,
un giudizio positivo di compatibilità ambientale.
Inoltre,
la norma in questione comporterebbe il diniego implicito ex lege
dell’intesa regionale per impianti e attività localizzati «nelle aree di
affioramento di rocce carbonatiche, così come perimetrate ed evidenziate nella
cartografia idrogeologica del Piano di Gestione delle Acque del Distretto
Idrografico dell’Appenino Meridionale», comportando un «effetto automatico e
ineludibile» di incompatibilità implicita, predeterminando l’esito negativo
delle istanze di rilascio dei titoli minerari in tali zone eventualmente
proposte dai soggetti interessati.
1.5.−
La Regione Campania, nel costituirsi in giudizio, ha sostenuto
l’inammissibilità o, comunque, la non fondatezza del ricorso, replicando, con
successiva memoria, alle deduzioni del Presidente del Consiglio dei ministri.
Innanzitutto, con riferimento all’art. 1,
comma 10, della legge reg. Campania n. 10 del 2017, ha rilevato che, con
decreto commissariale n. 8 del 2018, che richiama la sentenza del Consiglio di
Stato, terza sezione, 7 maggio 2013, n. 2470, è stato approvato il Piano di
riassetto della rete ospedaliera, il quale non ha fatto riferimento alla
convenzione citata dalla norma impugnata volta a consentire l’utilizzo di spazi
ospedalieri da parte dell’Università Vanvitelli. Secondo la Regione Campania,
ciò dovrebbe comportare l’improcedibilità del ricorso «per tacita abrogazione
della norma impugnata e mancata applicazione della stessa nel periodo». A tal
fine ha depositato, in udienza, nota del direttore generale della ASL in cui si
dà atto della mancata attivazione della convenzione in esame.
In
riferimento all’art. 1, comma 4, lettere a), b) e c), della medesima legge
regionale – il quale modifica l’art. 1, comma 237-quater, della legge
reg. Campania n. 4 del 2011 – la resistente assume che, diversamente da
quanto dedotto dal Presidente del Consiglio dei ministri, esso ricondurrebbe il
menzionato art. 1, comma 237-quater, al Piano regionale di programmazione della
rete ospedaliera adottato, ai sensi del decreto del Ministro della salute 2
aprile 2015, n. 70 (Regolamento recante definizione degli standard qualitativi,
strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera),
con decreto commissariale n. 33 del 2016. Peraltro, il contenuto dell’art. 1,
comma 4 in esame, risulterebbe poi recepito nel «Piano regionale di
Programmazione della rete ospedaliera ai sensi del D.M. 70 del 2015
2016-2018-Aggiornamento del 18 gennaio 2018», di cui al già menzionato decreto
commissariale n. 8 del 2018, che ratificherebbe il menzionato articolo.
Per quel
che concerne il comma 8 dell’art. 1 della legge reg. Campania n. 10 del 2017,
esso non modificherebbe affatto l’impianto organizzativo della rete dei
laboratori disciplinato dal decreto commissariale n. 109 del 2011 [recte: 2013]. La proroga ivi prevista, difatti, non si
porrebbe in contrasto con il cronoprogramma dei progetti operativi, in quanto
le richieste di "proroga” avanzate dai laboratori di analisi e assentite dalle
ASL dovrebbero comunque essere corredate dal parere del Commissario, che sarà
tenuto a garantire il rispetto del limite del cinquanta per cento delle aggregazioni.
Rammenta, infine, che già diverse proroghe erano state accordate (come con il
decreto commissariale n. 83 del 2016 e altri) su invito del giudice
amministrativo e in riscontro a richieste delle ASL, e resterebbe comunque
fermo il termine ultimo al 2018, entro il quale concludere il processo.
Infine,
per quanto concerne l’art. 1, comma 30, della medesima legge regionale
impugnata, la resistente evidenzia come la disposizione si sostanzi in una
legittima applicazione del "criterio di localizzazione”, dal momento che essa
non precluderebbe del tutto le menzionate attività, ma le consentirebbe in
presenza di interessi particolarmente pregnanti, secondo quanto già affermato
dalle richiamate sentenze
n. 278 del 2010 e n. 331 del 2003
di questa Corte.
In definitiva,
la norma in esame sarebbe volta a preservare «interessi particolarmente
pregnanti affidati alle cure del legislatore regionale», costituiti dalla
tutela delle acque di fonte, minerali, idrotermali e dai fluidi geotermici che,
ascritte al patrimonio regionale, sono conservate nelle rocce carbonatiche che
costituiscono l’ambiente naturale più favorevole grazie alla loro elevata
permeabilità e porosità.
2.–
È opportuno premettere che i commi 4, lettere a), b) e c), 8 e 10 dell’art. 1
della legge reg. Campania n. 10 del 2017 riguardano il Servizio sanitario
regionale, mentre il successivo comma 30 inerisce alla materia «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e a quella «governo del
territorio» e in quest’ordine è opportuno scrutinarle, poiché le questioni
inerenti alla sanità sono intrinsecamente collegate e interdipendenti, a
prescindere dal diversificato riferimento ai parametri costituzionali che
caratterizza il ricorso.
3.–
Con riguardo alle censure coinvolgenti il Servizio sanitario nazionale, occorre
ricordare che la Regione Campania è caratterizzata, ormai da diversi esercizi,
dalla soggezione al piano di rientro dal disavanzo sanitario e che,
conseguentemente, la sanità è gestita da apposito
Commissario, in conformità al regime di risanamento finanziario. Il piano di
rientro è ispirato all’esigenza di assicurare l’erogazione dei livelli
essenziali di assistenza (LEA) e al superamento della grave crisi strutturale
della finanza regionale, nella prospettiva di un sicuro ritorno alla fisiologia
gestionale dell’ente territoriale e delle sue aziende.
Il lungo
protrarsi del commissariamento costituisce tuttavia un sintomo negativo
dell’andamento di tale processo, cosicché si accentua l’esigenza di soluzioni
strutturali univoche ed efficaci e del rigoroso rispetto delle regole a tale
scopo concepite.
In
sintonia con tale esigenza, l’art. 2, comma 95, della legge 23 dicembre 2009,
n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», norma interposta invocata
dal ricorrente, dispone che «[g]li interventi individuati dal piano di rientro
sono vincolanti per la regione, che è obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche
legislativi, e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena
attuazione del piano di rientro».
È utile
aggiungere che in tale prospettiva l’art. 120, secondo comma, Cost., nel consentire l’esercizio del potere sostitutivo
straordinario del Governo, assicura contemporaneamente l’unità economica della
Repubblica e i livelli essenziali delle prestazioni concernenti il diritto
fondamentale alla salute (sentenza n. 14 del
2017).
Questa
Corte ha costantemente affermato che le funzioni esercitate dal Commissario ad
acta «devono restare, fino all’esaurimento dei compiti commissariali, al riparo
da ogni interferenza degli organi regionali – anche qualora questi
agissero per via legislativa […]. L’illegittimità costituzionale della legge regionale
sussiste anche quando l’interferenza è meramente potenziale e, dunque, a
prescindere dal verificarsi di un contrasto diretto con i poteri del
Commissario incaricato di attuare il piano di rientro» (ex plurimis,
sentenza n. 190
del 2017).
Le
esposte considerazioni sono prodromiche all’esame di tutte le questioni
afferenti al Servizio sanitario regionale.
4.–
Tanto premesso, la questione concernente l’art. 1,
comma 10, della legge reg. Campania n. 10 del 2017, promossa in riferimento
agli artt. 81, terzo comma, e 120, secondo comma, Cost.,
in relazione all’art. 2, comma 95, della legge n. 191 del 2009, è fondata.
La norma
stabilisce che «[n]elle more dell’attivazione del nuovo Policlinico
Universitario di Caserta, al fine di incrementare i LEA della Provincia di
Caserta, l’ASL e l’Università degli Studi della Campania "Luigi Vanvitelli”,
stipulano apposita convenzione volta a consentire l’utilizzo di spazi
ospedalieri, per l’incremento di prestazioni aggiuntive a quelle già erogate».
È
evidente l’ingerenza della disposizione, sia nella forma che nella sostanza,
nelle prerogative del Commissario ad acta. Essa, infatti, entra in un perimetro
normativo che le è precluso fintanto che dura il commissariamento e lo fa
dettando regole organizzative e convenzionali, con ciò invadendo scelte di
merito consustanziali al piano stesso.
4.1.– Non possono essere prese in
considerazione le eccezioni della resistente in ordine alla
pretesa "tacita abrogazione” della norma impugnata. L’assenza di menzione nel
piano di rientro della convenzione, volta a consentire l’utilizzo di spazi
ospedalieri da parte dell’Università "Luigi Vanvitelli”, e la mancata
sottoscrizione di atti di tal genere fino all’approvazione del nuovo piano di
riassetto della rete ospedaliera non determinano affatto «la improcedibilità
del relativo motivo di ricorso, per tacita abrogazione della norma impugnata e
mancata applicazione della stessa nel medio periodo».
La
mancata menzione della convenzione nel piano di rientro non dimostra affatto
che la norma impugnata non sia stata attuata dalla Regione; semmai costituisce
ulteriore indizio che tale intervento non sia ricompreso nell’inderogabile
programmazione del piano. Inconferente è, poi, il richiamo alla sentenza del
Consiglio di Stato, sezione terza, 7 maggio 2013, n. 2470, dal momento che
– contrariamente a quanto sostenuto dalla Regione – essa fa
riferimento al potere commissariale esercitato in deroga e non a quello
legislativo della Regione.
In
realtà, la Regione non tiene in adeguata considerazione la costante
giurisprudenza della Corte, secondo cui l’illegittimità costituzionale della
legge regionale «sussiste anche quando l’interferenza è meramente potenziale e,
dunque, a prescindere dal verificarsi di un contrasto diretto con i poteri del
Commissario incaricato di attuare il piano di rientro (sentenza n. 110 del
2014)» (sentenze
n. 190, n.
106 e n. 14
del 2017 e n.
227 del 2015).
4.2.– La ratio inequivocabile della
norma è quella di «incrementare i LEA». Tale intento è
costituzionalmente illegittimo sotto due profili: il primo attiene alla
competenza esclusiva del legislatore statale nella determinazione dei LEA (art.
117, secondo comma, lettera m, Cost., parametro che,
ancorché non evocato dal ricorrente, è, nella fattispecie in esame, inscindibilmente
collegato al principio della copertura di cui all’art. 81, terzo comma, Cost., e ai presupposti del potere sostitutivo ex art. 120,
secondo comma, Cost.); il secondo riguarda l’espresso
divieto, per le Regioni commissariate, di estendere la spesa sanitaria oltre i
LEA contenuti nel piano di rientro e nelle determinazioni attuative del
Commissario.
Questa
Corte ha già avuto modo di affermare che l’interferenza con l’attività del
Commissario sussiste anche in presenza di interventi non previsti dal piano di
rientro che possono aggravare il disavanzo sanitario regionale (sentenza n. 104 del
2013). Tale contesto non preclude certamente alla Regione di far valere gli
interessi della collettività amministrata, ma ciò deve avvenire entro i limiti imposti
dal legislatore nel delicato periodo del risanamento. Se è incontrovertibile
l’illegittimità di qualsiasi provvedimento integrativo dei LEA in corso di
risanamento, rimane alla Regione il potere di vigilare affinché il piano di
rientro e i provvedimenti attuativi dello stesso garantiscano la
somministrazione dei LEA e di individuare correttamente nel bilancio regionale
le risorse previste dal piano di rientro.
La
prestazione dei LEA comporta infatti una spesa «costituzionalmente necessaria»
(sentenza n. 169
del 2017); se, nel caso di specie, la proiezione di tali livelli in termini
di fabbisogno regionale è temporaneamente demandata al Commissario anziché alla
Regione, ben può quest’ultima interagire per il rispetto dei canoni
costituzionalmente necessari, ma non può sostituirsi al Commissario stesso,
addirittura attraverso una normativa primaria integrativa.
Per quel
che concerne la corretta configurazione della spesa sanitaria nel bilancio
regionale, soccorre l’art. 20 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118
(Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi
di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma
degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42), il quale prevede che «[n]ell’ambito del bilancio regionale le regioni garantiscono
un’esatta perimetrazione delle entrate e delle uscite relative al finanziamento
del proprio servizio sanitario regionale […]. A tal fine le regioni adottano
un’articolazione in capitoli tale da garantire, sia nella sezione dell’entrata
che nella sezione della spesa, […la] spesa sanitaria corrente per il
finanziamento dei LEA […]; [la] spesa sanitaria per il finanziamento di
disavanzo sanitario pregresso; […] accertano ed impegnano nel corso dell’esercizio
l’intero importo corrispondente al finanziamento regionale del disavanzo
sanitario pregresso. […] I gettiti derivanti dalle manovre fiscali regionali e
destinati al finanziamento del Servizio sanitario regionale sono iscritti nel
bilancio regionale nell’esercizio di competenza dei tributi. […] La quota dei
gettiti derivanti dalle manovre fiscali regionali destinata obbligatoriamente
al finanziamento del servizio sanitario regionale, ai sensi della legislazione
vigente sui piani di rientro dai disavanzi sanitari, è iscritta nel bilancio
regionale triennale, nell’esercizio di competenza dei tributi,
obbligatoriamente per l’importo stimato dal competente Dipartimento delle
finanze del Ministero dell’economia e delle finanze, ovvero per il minore
importo destinato al Servizio sanitario regionale ai sensi dell’art. 1, comma
80, della legge 23 dicembre 2009, n. 191. […]».
Il
suddetto principio contabile che, in tema di spese "costituzionalmente
necessarie”, costituisce attuazione dell’art. 8 della legge 5 maggio 2009, n.
42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione
dell’articolo 119 della Costituzione) nell’ambito della materia sanitaria è il
chiaro paradigma dei limiti entro i quali la Regione può e deve operare in
pendenza del piano di rientro affidato al Commissario.
Fermi
restando l’espresso divieto di integrare i livelli essenziali delle prestazioni
fino all’effettivo rientro dal deficit strutturale e il potere di impulso e
vigilanza affinché il risanamento finanziario non superi – nell’ambito
della pianificazione finanziaria – il limite negativo della
"essenzialità” dell’assistenza, la Regione deve cooperare per il superamento
della situazione di emergenza.
Detta
cooperazione si configura secondo profili formali e sostanziali che, sulla base
del predetto art. 20 del d.lgs. n. 118 del 2011, possono essere così riassunti:
a) «perimentrazione delle entrate e delle uscite»
relative al finanziamento del Servizio sanitario regionale; b) determinazione
del costo dei LEA, in conformità al piano di rientro e ai provvedimenti
attuativi del Commissario, e tenendo conto che l’onere finanziario dei LEA è il
limite invalicabile della spesa fino al superamento dell’emergenza; c) corretta
allocazione delle risorse per fronteggiare il disavanzo sanitario pregresso; d)
evidenziazione delle manovre fiscali regionali per finanziare il Servizio
sanitario regionale «ai sensi della legislazione vigente sui piani di rientro
dai disavanzi».
In tale
contesto finanziario è evidente che non vi è spazio né per l’incremento dei LEA
e neppure per la fissazione di modalità organizzative e convenzionali diverse
da quelle prescritte dalla specifica legislazione statale e dalle
determinazioni del Commissario.
Dunque,
la trasparenza dei conti e la cooperazione nelle operazioni finalizzate al
rientro dal deficit costituiscono la vera "cifra” del ruolo riservato alla
Regione nel particolare momento storico.
La
determinazione di prestazioni aggiuntive stabilita dalla norma impugnata induce
maggiori oneri a carico del Servizio sanitario regionale, in palese contrasto
con la cornice programmatoria e finanziaria del piano di rientro regionale.
4.3.– In definitiva, se nel corso della
situazione di emergenza della Regione Campania devono essere salvaguardati i
livelli essenziali delle prestazioni, non può essere unilateralmente innalzato
il fabbisogno standard, quando detta emergenza non risulti
definitivamente superata.
Il comma
10 deve essere dunque dichiarato costituzionalmente illegittimo, sia in
riferimento all’art. 81 Cost., per l’indebita
interferenza sugli equilibri del bilancio sanitario, sia in
riferimento all’art. 120, secondo comma, Cost., per
l’invasione della sfera operativa riservata al Commissario ad acta dal
legislatore statale.
Resta
assorbita l’ulteriore questione sollevata dal Presidente del Consiglio dei
ministri nei confronti di tale disposizione in riferimento all’art. 117,
secondo comma, lettera e), Cost.
5.–
La questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, lettere a), b)
e c), della legge Regione Campania n. 10 del 2017, sollevata in riferimento
agli artt. 117, terzo comma, in materia di tutela della salute, e 120, secondo
comma, Cost., è fondata con riguardo ad entrambi i
parametri invocati.
La
disposizione impugnata, nell’innovare l’art. 1, comma 237-quater, della legge
reg. Campania n. 4 del 2011, stabilisce che detta disposizione è così
modificata: «a) dopo le parole "provvisoriamente accreditate alla data del 1
luglio 2007,” sono inserite le seguenti: "tenendo conto dell’organizzazione dei
servizi ospedalieri di diagnosi e cura rappresentata e offerta a tal data in
regime di accreditamento provvisorio, con le correlate prestazioni ospedaliere
erogate nell’ambito delle specialità così come espresse e conseguenzialmente
riconosciute”; b) dopo le parole "In caso di sussistenza di ulteriore
fabbisogno” sono inserite le seguenti: "non destinato alle strutture
pubbliche”; c) dopo le parole "fino alla copertura del fabbisogno dei posti
letto” sono inserite le seguenti: "dando priorità al raggiungimento della
soglia dei 60 posti letto di cui al punto 2.5 del decreto ministeriale 2 aprile
2015, n. 70 (Regolamento recante definizione degli standard qualitativi,
strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera)”».
L’art. 1,
comma 237-quater, così come modificato dalla disposizione impugnata, prescrive
che: «[f]erma restando la sussistenza del fabbisogno e delle condizioni di cui
agli articoli 8-ter e 8-quater, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma
dell’articolo 1 della L. 23 ottobre 1992, n. 421), in conformità ai principi
generali del sistema, ai sensi dell’articolo 1, comma 796, lettere s) e t),
della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), il fabbisogno va
soddisfatto, prioritariamente, attraverso l’accreditamento delle strutture
private transitoriamente accreditate, da intendersi provvisoriamente
accreditate alla data del 1° luglio 2007, tenendo conto dell’organizzazione dei
servizi ospedalieri di diagnosi e cura rappresentata e offerta a tal data in
regime di accreditamento provvisorio, con le correlate prestazioni ospedaliere
erogate nell’ambito delle specialità così come espresse e conseguenzialmente
riconosciute successivamente delle strutture private già in esercizio e solo
successivamente mediante l’accreditamento delle strutture o attività di nuova
realizzazione. Il rilascio di nuove autorizzazioni per la realizzazione, nonché
l’accreditamento di nuove strutture è subordinato al completamento delle
procedure di cui ai commi da 237-quinquies a 237-unvicies. In caso di
sussistenza di ulteriore fabbisogno non destinato alle strutture pubbliche
verificato agli esiti della definizione dei procedimenti di accreditamento
definitivo delle strutture sanitarie e sociosanitarie ai sensi dell’articolo 1,
commi da 237-bis a 237-tervicies della legge regionale n. 4/2011, le strutture
sanitarie e socio-sanitarie già autorizzate ed in possesso dei requisiti
tecnico-sanitari, nonché in possesso degli ulteriori requisiti previsti per
l’accreditamento istituzionale di cui al Reg. reg. 22 giugno 2007, n. 1
(Regolamento recante la definizione dei requisiti ulteriori e le procedure per
l’accreditamento istituzionale dei soggetti pubblici e privati che erogano
attività di assistenza specialistica in regime ambulatoriale, in regime di
ricovero ed in regime residenziale) possono essere accreditate fino alla
copertura del fabbisogno dei posti letto dando priorità al raggiungimento della
soglia dei 60 posti letto di cui al punto 2.5 del decreto ministeriale 2 aprile
2015, n. 70 (Regolamento recante definizione degli standard qualitativi,
strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera),
sempre e comunque nell’osservanza delle disposizioni impartite dal Commissario
ad acta per la prosecuzione del Piano di rientro dal disavanzo sanitario».
Ancorché
sollevata in riferimento a parametri parzialmente diversi da quelli evocati nei
confronti del comma 10, la questione ha a oggetto una fattispecie normativa
sostanzialmente analoga a quella precedente. Anche in questo caso il comma 4
eccede la competenza regionale e non è neppure coerente – come rileva il
Presidente del Consiglio dei ministri – con la cornice programmatoria del
piano di rientro regionale.
Pertanto,
anch’esso interferisce con i poteri affidati al Commissario e con gli standard
qualitativi, strutturali e quantitativi relativi alla assistenza ospedaliera,
riconducibili al parametro costituzionale della tutela della salute.
Per
questi motivi, il comma 4, lettere a), b) e c), dell’art. 1 della legge reg.
Campania n. 10 del 2017 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo
per contrasto con gli artt. 117, terzo comma – in materia di tutela della
salute – e 120, secondo comma, Cost.
6.–
La questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 8, della legge
reg. Campania n. 10 del 2017, promossa in riferimento agli artt. 117, terzo
comma, in materia di tutela della salute, e 120, secondo comma, Cost., e in relazione all’art. 1, comma 796, della legge n.
296 del 2006, è fondata.
Il comma
796 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006 detta misure per la
riorganizzazione della rete delle strutture pubbliche e private accreditate
eroganti prestazioni specialistiche e di diagnostica di laboratorio, al fine
dell’adeguamento degli standard organizzativi e di personale coerenti con i
processi di incremento dell’efficienza resi possibili dal ricorso a metodiche
automatizzate.
La norma
impugnata stabilisce che «[i]n fase di prima applicazione del piano di
riassetto ed efficientamento della rete dei
laboratori di analisi operanti in ambito regionale, su istanza dei soggetti che
hanno già aderito ad una aggregazione rientrante esclusivamente nelle figure
giuridiche disciplinate dai decreti del Commissario ad acta per il piano di
rientro, i termini per gli adempimenti intermedi previsti dai predetti decreti
possono essere prorogati dalla competente ASL, acquisito il parere del Commissario
ad acta. I soggetti che, trascorsi 30 giorni dalla data di entrata in vigore
della presente legge, siano al di sotto della soglia delle 70.000 prestazioni
equivalenti e che non abbiano aderito ad un’aggregazione decadono
dall’accreditamento istituzionale. In pendenza di motivata istanza di proroga
del predetto termine presentata dalla struttura interessata e fino alla
pronuncia della competente ASL, che deve provvedere nei 30 giorni successivi
all’istanza, i termini sono sospesi. Nel provvedimento aziendale con cui l’ASL
si pronuncia motivatamente sull’istanza, in caso di provvedimento favorevole,
vengono ragionevolmente rideterminati i termini per gli adempimenti intermedi
previsti dalle vigenti disposizioni commissariali. Al fine di garantire la progressiva
piena attuazione del processo di riorganizzazione e efficientamento
della rete laboratoristica ed il rispetto della soglia minima di efficienza
delle 200.000 prestazioni equivalenti su base annua per tutti i soggetti
accreditati, il termine per il conseguimento della predetta soglia minima è
fissato al 30 giugno 2018. A partire dal primo luglio 2018, i laboratori che
non raggiungono, in forma singola o aggregata, la soglia minima di efficienza
di 200.000 prestazioni equivalenti su base annua decadono dall’accreditamento
istituzionale».
Anche in
questo caso la sostanza normativa non è dissimile dalle precedenti.
L’impugnato comma 8 introduce una proroga
generica del sistema di accreditamento dei laboratori, invadendo la competenza
del Commissario ad acta che – per i motivi già specificati –
sostituisce nel periodo di vigenza del piano di rientro la Regione. Per di più,
la disposizione impugnata non è neppure conforme agli standard organizzativi
stabiliti dal legislatore statale per rendere più efficiente ed economico il
sistema inerente alla tutela della salute in ambito regionale.
Il comma
8 dell’art. 1 della legge reg. Campania n. 10 del 2017 deve essere pertanto
dichiarato costituzionalmente illegittimo per contrasto con gli artt. 117,
terzo comma, in materia di tutela della salute, e 120, secondo comma, Cost.
7.–
In sostanza, tutte le disposizioni dianzi esaminate
sono riconducibili a una malintesa concezione del ruolo della Regione nel
periodo di vigenza del piano di rientro e della gestione commissariale. Tale
ruolo non può consistere in una sovrapposizione legislativa e amministrativa
alle funzioni commissariali, ma deve limitarsi a compiti di impulso e vigilanza
per la garanzia dei LEA e a una trasparente e corretta trasposizione delle entrate
e degli oneri finanziari per la sanità nel bilancio regionale, secondo i canoni
previsti dall’art. 20 del d.lgs. n. 118 del 2011.
8.–
Anche la questione promossa nei confronti dell’art. 1, comma 30, della legge
reg. Campania n. 10 del 2017, in riferimento l’art. 117, terzo comma, Cost., con riguardo alle materie «produzione e trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia» e «governo del territorio», in relazione
all’art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006 e all’art. 1, comma 7, lettera n), della
legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al
Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), è
fondata.
La
disposizione impugnata, al dichiarato fine di tutelare e conservare le acque
superficiali e sotterranee esistenti sul territorio regionale destinate al
consumo umano, vieta la prospezione, la ricerca, l’estrazione e lo stoccaggio
di idrocarburi liquidi e gassosi, nonché la realizzazione delle relative
infrastrutture tecnologiche nelle aree di affioramento di rocce carbonatiche,
così come perimetrate ed evidenziate nella cartografia idrogeologica del Piano
di gestione delle acque del distretto idrografico dell’Appenino meridionale.
Tale
unilaterale perimetrazione incide, ai sensi dell’art. 117, terzo
comma, Cost., nelle materie di competenza
concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e
«governo del territorio».
L’art. 1,
comma 7, lettera n), della legge n. 239 del 2004, richiamato nella motivazione
del ricorso e da ritenersi norma interposta, stabilisce che le determinazioni
inerenti alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, ivi comprese
le funzioni di polizia mineraria, siano adottate dallo Stato d’intesa con le
Regioni interessate. Alla stregua della menzionata disposizione, difatti, «[s]ono esercitati dallo Stato, anche avvalendosi dell’Autorità
per l’energia elettrica e il gas, i seguenti compiti e funzioni amministrativi
[…]». Fra tali compiti e funzioni rientrano, da una parte, «l’identificazione
delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale con riferimento
all’articolazione territoriale delle reti infrastrutturali energetiche
dichiarate di interesse nazionale ai sensi delle leggi vigenti» (lettera g) e,
dall’altra, «l’utilizzazione del pubblico demanio marittimo e di zone del mare
territoriale per finalità di approvvigionamento di fonti di energia» (lettera
l).
Alla luce
del descritto quadro normativo, lo Stato e la Regione esercitano, quindi, le
rispettive funzioni attraverso lo strumento dell’intesa in senso forte, in
conformità al principio di leale collaborazione.
La
preclusione imposta su alcune aree unilateralmente dal legislatore regionale
contrasta con il suddetto principio «che impone il rispetto, caso per caso, di
una procedura articolata, tale da assicurare lo svolgimento di reiterate
trattative» (sentenza
n. 117 del 2013).
Per
quanto più specificamente attiene alla realizzazione delle infrastrutture
energetiche, parimenti oggetto di divieto da parte della legge in esame, questa
Corte ha già avuto modo di esaminare, da ultimo con la sentenza n. 131 del
2016, norme statali che disciplinano la realizzazione di tali
infrastrutture, subordinandole all’intesa con le Regioni (fra esse lo stesso
art. 1, comma 7, lettera n, della legge n. 239 del 2004, su cui si è
pronunciata la sentenza
n. 117 del 2013), e le ha qualificate come norme recanti principi
fondamentali della materia. In tal senso, con riguardo agli artt. 1, commi 7,
lettera g, e 8, lettera b, numero 2, della medesima legge n. 239 del 2004 e
all’art. 52-quinquies del d.P.R. 8 giugno 2001, n.
327, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia di espropriazione per pubblica utilità (Testo A)», si è pronunciata la sentenza n. 182 del
2013. Le norme interposte evocate dal Presidente del Consiglio dei ministri
«ridefiniscono, "in modo unitario ed a livello nazionale, i procedimenti di
localizzazione e realizzazione” delle opere, "in base all’evidente presupposto
della necessità di riconoscere un ruolo fondamentale agli organi statali
nell’esercizio delle corrispondenti funzioni amministrative, a fronte di
esigenze di carattere unitario” […], ma anche in relazione "ai criteri indicati
dall’art. 118 Cost. per la allocazione e la
disciplina delle funzioni amministrative, nonché al principio di leale
collaborazione […]” (sentenza n. 117 del
2013)» (sentenza
n. 39 del 2017).
Deve
dunque essere condivisa la censura del Presidente del Consiglio dei ministri,
il quale ritiene che la norma impugnata costituisce una preclusione di
principio al confronto e, in quanto tale, vanifica in radice la bilateralità
della procedura d’intesa necessaria per inserire in modo coerente nel quadro
dei principi fissati dal legislatore statale le peculiarità degli interessi
ambientali e pianificatori della Regione.
L’unilateralità della procedura adottata dalla
resistente rende infondata anche l’eccezione secondo cui la legge regionale non
avrebbe introdotto «limitazioni alla localizzazione», bensì meri «criteri di
localizzazione», ancorché formulati «in negativo». Anche i criteri di
localizzazione, infatti, devono essere condivisi con lo Stato e non essere
predeterminati in questo modo dal legislatore regionale.
Neppure
può ragionevolmente sostenersi che l’intesa con lo Stato possa intervenire
– ove in ipotesi quest’ultimo ritenesse condivisibile la scelta della
Regione – dopo l’emanazione della disposizione contestata.
Dunque,
l’art. 1, comma 30, della legge reg. Campania n. 10 del 2017 deve essere
dichiarato costituzionalmente illegittimo per contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., con
riguardo alle materie di potestà concorrente precedentemente richiamate.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi
4, lettere a), b) e c), 8, 10 e 30, della legge della Regione Campania 31 marzo
2017, n. 10, recante «Misure per l’efficientamento
dell’azione amministrativa e l’attuazione degli obiettivi fissati dal DEFR 2017
- Collegato alla stabilità regionale per il 2017».
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 17 aprile 2018.
F.to:
Giorgio
LATTANZI, Presidente
Aldo
CAROSI, Redattore
Roberto
MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'1 giugno 2018.