SENTENZA N. 41
ANNO 2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Silvana SCIARRA;
Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 16 e 17, comma 1, lettera a), della legge della Provincia autonoma di Trento 27 dicembre 2021, n. 22 (Legge provinciale di stabilità 2022), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 25 febbraio 2022, depositato in cancelleria il 25 febbraio 2022, iscritto al n. 14 del registro ricorsi 2022 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2022.
Visto l’atto di costituzione della Provincia autonoma di Trento;
udito nell’udienza pubblica del 10 gennaio 2023 il Giudice relatore Giulio Prosperetti;
uditi l’avvocato dello Stato Gianna Galluzzo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Sabrina Azzolini per la Provincia autonoma di Trento;
deliberato nella camera di consiglio del 10 gennaio 2023.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato e depositato il 25 febbraio 2022 (reg. ric. n. 14 del 2022) il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 16 e 17, comma 1, lettera a), della legge della Provincia autonoma di Trento 27 dicembre 2021, n. 22 (Legge provinciale di stabilità 2022), in riferimento agli artt. 3, 97 e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, e agli artt. 4 e 8 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige).
1.1.– Il ricorrente rappresenta che l’art. 16 della legge prov. Trento n. 22 del 2021 dispone: «[n]el comma 1 dell’articolo 31 della legge provinciale n. 7 del 2021 le parole: “sono prorogati al 30 giugno 2022” sono sostituite dalle seguenti: “e nel corso dell’anno 2022 sono prorogati al 31 marzo 2023”», e che, per effetto di tale modifica, il comma 1 dell’art. 31 della legge della Provincia autonoma di Trento 17 maggio 2021, n. 7 (Prime misure del 2021 connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19 e conseguente variazione al bilancio di previsione della Provincia autonoma di Trento per gli esercizi finanziari 2021-2023), stabilisce: «[i] termini di validità delle graduatorie per le assunzioni di personale provinciale a tempo indeterminato relative al comparto autonomie locali in scadenza entro il 31 dicembre 2021 e nel corso dell’anno 2022 sono prorogati al 31 marzo 2023».
Ad avviso della difesa statale, la disposizione impugnata viola i «principi di uguaglianza, buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione», la competenza legislativa statale esclusiva nella materia «ordinamento civile» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., nonché gli artt. 4 e 8 dello statuto speciale, «in relazione all’art. 35, comma 5-ter, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, ante novella operata dall’art. 1, comma 149, l. 27 dicembre 2019, n. 160», e all’art. 91 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali).
Il ricorrente ricorda la costante giurisprudenza costituzionale secondo cui la disciplina delle graduatorie concorsuali e della loro durata è riconducibile alla competenza legislativa residuale delle regioni in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa di cui all’art. 117, quarto comma, Cost., e che tale competenza deve essere esercitata «nel rispetto dei canoni costituzionali del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione (artt. 3 e 97 Cost.), a tal fine garantendo il reclutamento imparziale degli idonei, nonché verificando la perdurante attitudine professionale degli stessi».
Tuttavia, l’Avvocatura generale dello Stato ritiene che la disciplina delle graduatorie dei concorsi nella pubblica amministrazione andrebbe valutata in una «diversa prospettiva interpretativa, di tipo sistematico-evolutivo, che lasci cioè emergere le diverse declinazioni che i citati canoni costituzionali del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione possono assumere e, in conseguenza, le differenti possibili violazioni che, dall’accogliere questa o quella prospettiva ermeneutica, possono scaturire», tenuto altresì conto delle recenti novità in materia di disciplina della mobilità nell’ambito del pubblico impiego.
In particolare, assume che «una disciplina delle graduatorie non uniforme su tutto il territorio nazionale, poiché rimessa, sotto il profilo dei termini di durata e di validità, alla regolamentazione di ciascuna Regione, determina una frammentazione parimenti idonea a generare una disciplina differenziata in relazione a situazioni del tutto analoghe, senza fornire adeguata motivazione del diverso e più favorevole trattamento».
Al riguardo, la difesa dello Stato evidenzia che il «personale reclutato dalle regioni assume a tutti gli effetti la qualifica di dipendente pubblico, potendo di fatto transitare anche nei ruoli di amministrazioni centrali, per cui, anche sotto questo ulteriore profilo, non si comprende il motivo della disparità di trattamento che discenderebbe dal persistente orientamento che ammette criteri non uniformi sull’intero territorio nazionale».
Il ricorrente pone l’accento sulle modifiche in materia di mobilità del personale introdotte dall’art. 3 del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, recante «Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l’efficienza della giustizia», convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2021, n. 113, che «hanno fatto venir meno l’obbligo del previo nulla osta dell’amministrazione di provenienza, rendendo omogenea la disciplina della mobilità per tutti i dipendenti pubblici, compresi i dipendenti regionali e degli enti locali».
Secondo la difesa statale, «[i]n tale contesto di riforma, le disposizioni statali sulla durata delle graduatorie concorsuali devono essere concepite e quindi applicate in termini uniformi sull’intero territorio nazionale, ponendosi nella prospettiva di una progressiva limitazione di operatività temporale delle graduatorie stesse». In caso contrario, vi sarebbe «il rischio che il personale di talune amministrazioni regionali possa essere surrettiziamente ammesso, per la peculiarità della disciplina ad esso applicabile, ai generali procedimenti, volontari o obbligatori, di mobilità verso le altre amministrazioni regionali o statali».
Per quanto così rilevato, il ricorrente ritiene che la fattispecie delle graduatorie concorsuali sia riconducibile alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, «trattandosi di una fase prodromica e funzionale all’instaurazione del rapporto di lavoro».
In ordine alle disposizioni statali relative alla efficacia temporale delle graduatorie, la difesa statale rappresenta che essa è sottoposta al regime di validità triennale, sia ai sensi della formulazione dell’art. 35, comma 5-ter, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), nel testo precedente la modifica recata dall’art. 1, comma 149, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), «che dell’art. 91 del TUEL che, nella sua formulazione vigente, ne prevede la validità triennale per gli Enti Locali».
Da ultimo, il ricorrente afferma che la disposizione provinciale impugnata, nel violare la competenza legislativa esclusiva dello Stato di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., esula dalle attribuzioni conferite alla Provincia autonoma di Trento dagli artt. 4 e 8 dello statuto speciale.
1.2.– Il ricorrente impugna altresì l’art. 17, comma 1, lettera a), della legge prov. Trento n. 22 del 2021, per lesione della competenza legislativa statale esclusiva nella materia «ordinamento civile» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., e degli artt. 4 e 8 dello statuto speciale, in relazione all’art. 113, commi 2 e 3, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici).
La disposizione impugnata modifica il comma 1 dell’art. 5-bis della legge della Provincia autonoma di Trento 9 marzo 2016, n. 2 (Recepimento della direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, e della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici: disciplina delle procedure di appalto e di concessione di lavori, servizi e forniture e modificazioni della legge provinciale sui lavori pubblici 1993 e della legge sui contratti e sui beni provinciali 1990. Modificazione della legge provinciale sull’energia 2012), inserendo, dopo le parole «e ai componenti della commissione tecnica», il seguente periodo: «[l]a contrattazione collettiva provinciale può individuare altre funzioni per il cui svolgimento sono riconosciute retribuzioni incentivanti ai sensi di questo comma».
Secondo il ricorrente, la disposizione scrutinata si porrebbe in contrasto con le previsioni dei commi 2 e 3 dell’art. 113 del d.lgs. n. 50 del 2016, che individuano tassativamente le attività svolte delle amministrazioni aggiudicatrici di appalti pubblici per le quali sono riconosciuti gli incentivi per funzioni tecniche (comma 2) e che assegnano alla contrattazione decentrata integrativa del personale il solo compito di definire le modalità e i criteri per la ripartizione delle risorse finanziarie del fondo appositamente istituito per corrispondere tali incentivi, sulla base di apposito regolamento adottato dalle amministrazioni secondo i rispettivi ordinamenti (comma 3).
La difesa statale afferma che solo il legislatore statale può intervenire nella materia della retribuzione per gli incentivi per funzioni tecniche corrisposte ai pubblici dipendenti per attività nell’ambito degli appalti, atteso il richiamato carattere tassativo dell’elenco delle predette attività.
Rappresenta che la predetta tassatività è stata ribadita dalla giurisprudenza contabile a ragione del carattere derogatorio degli incentivi in oggetto rispetto al «principio di onnicomprensività del trattamento economico dei dipendenti pubblici ex art. 24, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001 e della perentoria struttura della retribuzione per gli stessi stabilita dai contratti collettivi, ex art. 45, comma 1, del medesimo d.lgs. n. 165 del 2001 (cfr. ex multis Corte Conti, sez. contr. Veneto, deliberazione n. 121/2020)».
Secondo il ricorrente, il carattere tassativo delle attività in oggetto preclude non solo alla contrattazione collettiva, ma alla stessa legge provinciale la possibilità di individuare «ulteriori funzioni per il cui svolgimento sono riconosciute retribuzioni incentivanti in materia di contratti pubblici», poiché «le disposizioni della normativa statale in materia di appalto si impongono anche alle Province autonome (art. 2, comma 3, d.lgs. 50/ 2016)».
La disposizione impugnata, pertanto, nel collidere con la disciplina statale evocata come parametro interposto, invaderebbe, conseguentemente, la sfera dell’ordinamento civile riservato alla legislazione esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., «discostandosi dalle norme che a tale ordinamento si riconducono nel caso di specie ed alle quali sono tenute ad adeguarsi anche le Province autonome in base alle specifiche disposizioni di legge e consolidato orientamento della Corte Costituzionale (cfr. in materia di pubblico impiego, art. 1, comma 3 del d.lgs. 165/2001 e Corte Cost. sent. n. 16/2020; in materia di contratti pubblici, art. 2, comma 3 del d.lgs. 50/2016 e Corte Cost. sent. n. 269/2014)».
La lesione del predetto parametro afferente alla competenza legislativa statale determina, secondo il ricorrente, la conseguente violazione degli artt. 4 e 8 dello statuto speciale, laddove prevede che la legislazione regionale e delle province autonome debba svolgersi in armonia con la Costituzione, con i principi dell’ordinamento giuridico e con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, di cui le norme richiamate costituiscono espressione.
2.– La Provincia autonoma di Trento si è costituita in giudizio, con atto depositato il 30 marzo 2022, contestando le censure del ricorrente e chiedendo di dichiarare non fondato il ricorso.
2.1.– In ordine alla questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 16 della legge prov. Trento n. 22 del 2021, la difesa provinciale confuta l’assunto del ricorrente secondo cui la disposizione sarebbe lesiva della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile».
La resistente premette di essere «titolare di una competenza legislativa primaria in materia di “ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto” ex art. 8, num. 1, dello Statuto speciale di autonomia della Reg. Trentino-Alto Adige» e che, inoltre, le «spetta la più ampia competenza legislativa residuale nella materia “ordinamento e organizzazione amministrativa regionale” di cui all’art. 117, quarto comma, della Costituzione, in virtù della clausola di maggior favore contenuta nell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3».
La Provincia resistente afferma di aver disciplinato, nell’esercizio di tale autonomia legislativa, «l’efficacia delle graduatorie concorsuali nel regolamento previsto dall’art. 40 della L.P. sul personale della Provincia 3 aprile 1997, n. 7 e, in particolare, all’art. 26, comma 1, del D.P.P. 12/10/2007, n. 22-102/Leg. [“Regolamento per l’accesso all’impiego presso la Provincia Autonoma di Trento e per la costituzione, il funzionamento e la corresponsione dei compensi delle commissioni esaminatrici (articoli 37 e 39 della legge provinciale 3 aprile 1997, n. 7)”], il quale dispone: “La graduatoria finale di concorso conserva validità per un periodo di tre anni dalla data di approvazione e può essere escussa per eventuali coperture di posti che successivamente al concorso si rendessero disponibili entro tale periodo”».
Ciò premesso, la difesa provinciale richiama la costante giurisprudenza costituzionale che riconduce la disciplina dell’efficacia delle graduatorie per l’assunzione del personale alla materia dell’ordinamento e dell’organizzazione della regione, in quanto riguarda profili pubblicistico-organizzativi dell’impiego pubblico regionale e non quelli privatizzati del relativo rapporto di lavoro rispetto ai quali è ravvisabile la competenza legislativa esclusiva dello Stato (sono citate, tra le più recenti, le sentenze n. 58 del 2021, n. 273 e n. 126 del 2020).
Rileva, inoltre, che il ricorrente non contesta questo criterio di discrimine, ma ritiene che l’esigenza di uniformità della disciplina dettata dagli artt. 3 e 97 Cost. possa comportare la sottrazione di un istituto pubblicistico dalla materia dell’organizzazione regionale e/o provinciale e la sua riconduzione nella materia dell’ordinamento civile.
Tuttavia, secondo la resistente, tale assunto sarebbe infondato poiché «il giudizio della riconducibilità al perimetro del diritto civile di un istituto della disciplina del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni si svolge in virtù della disciplina delle fonti dettata dall’art. 5 D.Lgs. 165/2001, tenuto conto della natura giuridica di ciascun istituto e del riparto della giurisdizione declinato nell’art. 63 del medesimo decreto legislativo, e non può essere condizionato dalla esigenza di uniformità della disciplina ai sensi degli artt. 3 e 97 della Costituzione».
In proposito, la difesa della Provincia evidenzia che lo stesso legislatore statale ha escluso, in ragione della competenza legislativa primaria riconosciuta dagli statuti speciali a regioni e province autonome, quell’esigenza di uniformità della disciplina delle procedure concorsuali asserita dal ricorrente, poiché l’art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001 stabilisce che non le singole disposizioni ma soltanto «i principi desumibili dall’art. 2 della legge n. 421 del 1992 […] costituiscono […] per le Regioni a statuto speciale e per le Province autonome di Trento e di Bolzano, norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica».
2.1.1.– Quanto alla dedotta lesione dell’art. 3 Cost., la resistente rileva che questa Corte, a fronte di analoga censura, ha osservato che il riconoscimento stesso della competenza legislativa della regione comporta l’eventualità, legittima alla stregua del sistema costituzionale, di una disciplina divergente da regione a regione, nei limiti dell’art. 117 Cost.
Ad avviso della difesa della Provincia, l’esigenza rappresentata dal ricorrente di uniformità della disciplina dell’efficacia delle graduatorie concorsuali, pertanto, «non costituisce la ragione giustificatrice della sussunzione di un particolare istituto o profilo nella materia dell’ordinamento civile».
2.1.2.– Relativamente alla congruità della durata complessiva di efficacia delle graduatorie per effetto della disposizione impugnata, la difesa provinciale, in via preliminare, sottolinea che lo stesso legislatore statale ha consentito l’utilizzo fino al 30 settembre 2020 delle graduatorie approvate negli anni dal 2012 al 2017, senza prevedere a tal fine l’espletamento di corsi di aggiornamento professionale e di colloqui finalizzati ad accertare la perdurante idoneità del personale (art. 1, comma 147, lettera b, della legge n. 160 del 2019).
Con specifico riferimento alla valutazione degli effetti recati dalla disposizione impugnata in termini di rispetto del principio del buon andamento, la difesa della resistente rappresenta che la norma proroga cinque graduatorie non attualmente esaurite, approvate a partire dal mese di giugno 2018: «1. la graduatoria per Operaio qualificato stradale, approvata con deliberazione n. 1065 di data 22 giugno 2018 […], modificata con deliberazione n. 1195 di data 13 luglio 2018 […], con scadenza originaria al luglio 2021, già prorogata al 30 giugno 2022 ex art. 30 L.P. 7/2021, nella versione previgente rispetto alle modifiche apportate dall’art. 16 della L.P. 22/2021, impugnata in questo giudizio; 2. la graduatoria per Assistente indirizzo socio/assistenziale approvata con deliberazione n. 1153 di data 6 luglio 2018 […], con scadenza originaria al luglio 2021, già prorogata al 30 giugno 2022 ex art. 30 L.P. 7/2021, nella versione previgente rispetto alle modifiche apportate dall’art. 16 della L.P. 22/2021, impugnata in questo giudizio; 3. la graduatoria per Coadiutore di volo approvata con deliberazione n. 432 di data 29 marzo 2019 […], in scadenza al 29 marzo 2022 (due candidati idonei); 4. la graduatoria per Funzionario abilitato geologo, approvata con delibera n. 1133, di data 1 agosto 2019 […], in scadenza il giorno 1 agosto 2022 (quattro candidati idonei); 5. la graduatoria per Agente forestale approvata con delibera n. 456 di data 29 marzo 2019 […], già prorogata con deliberazione n. 394 di data 19 marzo 2021 fino al 29 marzo 2022 […]».
La difesa della Provincia evidenzia che le prime due graduatorie vedono l’originaria efficacia triennale prorogata prima di circa undici mesi e mezzo (fino al 30 giugno 2022) e poi di ulteriori nove mesi (fino al marzo 2023), per una durata complessiva di efficacia della graduatoria pari a 4 anni e 9 mesi, ma sottolinea «che trattasi di professioni rispetto alle quali si pongono in misura meno pressante quelle esigenze di periodico aggiornamento professionale derivanti dalle “frequenti innovazioni normative” tenute in considerazione nella giurisprudenza costituzionale (C. Cost. 241/2018 par. 6 del Considerato in Diritto)».
In ordine alle altre graduatorie, la difesa della resistente rappresenta che: quella di coadiutore di volo è prorogata di un solo anno per un’efficacia complessiva pari a 4 anni; quella per funzionario abilitato geologo è prorogata di soli 8 mesi per un’efficacia complessiva pari a circa 3 anni e 8 mesi; infine, quella per agente forestale avente un’originaria efficacia biennale, già prorogata di un anno, è prorogata di un ulteriore anno, per un’efficacia complessiva pari a 4 anni.
Quanto alle argomentazioni svolte dal ricorrente in riferimento alla disciplina della mobilità dei pubblici dipendenti, la difesa provinciale afferma che «[i]n ogni caso le diverse forme di mobilità del personale dipendente delle pubbliche amministrazioni non pongono quell’esigenza di uniformità della disciplina delle procedure concorsuali e dell’efficacia delle graduatorie che intravede il Ricorrente in ragione del rispetto dei principi dettati dagli artt. 3 e 97 della Costituzione».
Sono richiamate le numerose disposizioni statali che negli anni hanno promosso fortemente la mobilità volontaria del personale nelle sue diverse forme, «nel presupposto implicito della pari capacità selettiva delle procedure concorsuali indette dalle regioni e dalle province autonome, oltre che in considerazione dell’obbligo, a carico dell’amministrazione di destinazione, di provvedere in ogni caso alla “riqualificazione dei dipendenti la cui domanda di trasferimento è accolta” (comma 1-bis inserito dall’art. 4, comma 1, del D.L. 90/2014)».
In tale contesto, secondo la stessa difesa provinciale, non si comprenderebbe l’assunto del ricorrente secondo cui l’asserita esigenza di uniformità nella disciplina della validità delle graduatorie dei concorsi indetti dalle pubbliche amministrazioni sarebbe stata accentuata dall’art. 3, comma 7, del d.l. n. 80 del 2021, come convertito, che ha eliminato, in via generale, la necessità del previo assenso dell’amministrazione di appartenenza al passaggio diretto del dipendente presso altra amministrazione. Ciò perché il ricorso non avrebbe spiegato come il predetto assenso possa costituire una garanzia della conformità dell’assunzione del dipendente ai principi dettati dagli artt. 3 e 97 Cost.
In ogni caso, poiché il citato art. 3, comma 7, non ha in alcun modo modificato la natura giuridica pubblicistica del provvedimento di approvazione della graduatoria conclusiva, il timore prospettato dal ricorrente non giustificherebbe, secondo la difesa della Provincia, il superamento della ricordata giurisprudenza costituzionale in materia di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome in materia di procedure concorsuali per l’assunzione del personale e, in particolare, in ordine allo specifico profilo della durata dell’efficacia delle graduatorie.
Da ultimo, la difesa della resistente evidenzia che l’indicato art. 3, comma 7, interviene su un istituto di diritto civile, quale è quello della mobilità volontaria, «che presuppone la pari capacità selettiva delle procedure concorsuali disciplinate e indette dalle regioni e dalle province autonome in conformità ai principi dettati dagli artt. 3 e 97 della Costituzione».
2.2.– La difesa della Provincia confuta, altresì, la fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, lettera a), della legge prov. Trento n. 22 del 2021, promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione ai commi 2 e 3 dell’art. 113 del d.lgs. n. 50 del 2016.
Richiamati i contenuti delle disposizioni dettate dai primi tre commi della predetta disposizione statale, la difesa della resistente rileva che l’avverbio «esclusivamente», impiegato dal legislatore statale nel comma 2 per individuare le attività per funzioni tecniche svolte dai dipendenti pubblici, retribuibili con lo specifico incentivo previsto dalla stessa disposizione di legge e finanziato dall’apposito fondo costituito ai sensi del comma 1, sembrerebbe effettivamente deporre per il carattere tassativo dell’elencazione delle predette attività, ma che lo stesso comma 2 non prevede l’istituzione del predetto fondo da parte di quelle amministrazioni aggiudicatrici per le quali sono in essere contratti o convenzioni che prevedono modalità diverse per la retribuzione delle funzioni tecniche svolte dai propri dipendenti.
Quanto alla lesione del principio di onnicomprensività della retribuzione dei pubblici dipendenti dedotta dal ricorrente, la difesa della Provincia rileva che esso trova applicazione per il solo personale dirigenziale.
In ogni caso la resistente afferma che, in considerazione dei titoli di competenza provinciale e delle previsioni dello statuto speciale, spetta alla Provincia stessa disciplinare le modalità di perseguimento dell’obiettivo di contenimento della spesa per incarichi tecnici posto dall’art. 113 del d.lgs. n. 50 del 2016.
In proposito viene richiamata, altresì, la giurisprudenza costituzionale in materia di coordinamento della finanza pubblica, secondo cui il legislatore statale può stabilire per le autonomie speciali solo un limite complessivo che lasci ad esse ampia libertà di allocazione tra i diversi ambiti e obiettivi di spesa (è citata, in particolare, la sentenza n. 43 del 2016).
Alla luce di tali considerazioni, la difesa della Provincia afferma che il richiamato art. 113 «non reca un elenco tassativo delle funzioni incentivabili dettato esercitando la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile ex art. 117, comma II, lett. l), della Costituzione, bensì reca un vincolo di destinazione finanziaria, da applicare in caso di mancata previsione di retribuzioni incentivanti nell’ambito della contrattazione collettiva, la cui diretta applicabilità alle province autonome deve ritenersi comunque esclusa ai sensi dell’art. 2, comma 3, del D.Lgs. 50/2016, trattandosi di una disciplina di dettaglio di uno strumento specifico di perseguimento del ridetto obiettivo».
Secondo la difesa della Provincia, la disposizione impugnata sarebbe, comunque, «pienamente conforme al sistema delle fonti in materia di trattamento del personale alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni», come delineato dalle disposizioni dettate dagli artt. 2, comma 3, 40 e 45 del d.lgs. n. 165 del 2001, che demandano alla contrattazione collettiva la definizione dei trattamenti economici.
Pur riconoscendo che il delineato sistema si impone quale normativa fondamentale di riforma economico-sociale anche nei confronti delle regioni a statuto speciale, la difesa della resistente rappresenta che la Provincia autonoma di Trento «è abilitata alla contrattazione collettiva dall’art. 46, comma 13, del D.Lgs. 165/2001 il quale prevede che “[l]e regioni a statuto speciale e le province autonome possono avvalersi, per la contrattazione collettiva di loro competenza, di agenzie tecniche istituite con legge regionale o provinciale [...]”» e che, pertanto, nella fattispecie, il legislatore provinciale avrebbe correttamente «rimesso alla contrattazione collettiva la disciplina del trattamento economico accessorio spettante al personale provinciale che assume lo svolgimento di funzioni tecniche relative ad appalti di lavori, servizi e forniture».
In riferimento al perimetro delle funzioni incentivabili definito dalla disposizione impugnata, la difesa della Provincia afferma che essa «si inserisce, in coerenza con quanto disposto dall’articolo 113 del D.Lgs. 50/2016, nell’ambito dell’articolo 5-bis della L.P. 2/2016, il cui ambito di applicazione, come emerge dalla stessa rubrica, è limitato agli incentivi per lo svolgimento di “funzioni tecniche” nell’ambito degli appalti di lavori, servizi e forniture».
Ciò troverebbe conferma nello stesso tenore letterale della disposizione impugnata laddove, nel rimettere alla contrattazione collettiva l’individuazione di ulteriori funzioni incentivabili, limita l’ambito di intervento alla individuazione di «competenze e responsabilità che siano legate, o comunque connesse, allo svolgimento di funzioni tecniche nell’ambito della procedura di gara, nel rispetto della finalità propria dell’istituto delle retribuzioni incentivanti».
2.3.– Con memoria depositata in prossimità dell’udienza, la difesa della Provincia autonoma, nel ribadire e precisare quanto già affermato nell’atto di costituzione, ha sollevato due eccezioni di inammissibilità: in ordine alla questione promossa nei confronti dell’art. 16 della legge prov. Trento n. 22 del 2021, ha eccepito la mancanza di motivazione della censura riferita alla violazione degli artt. 4 e 8 dello statuto speciale; riguardo alla questione concernente l’art. 17, comma 1, lettera a), della medesima legge provinciale, ha affermato che il ricorrente non avrebbe motivato le ragioni per le quali la disposizione dovrebbe conformarsi alle previsioni dell’art. 113, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016.
Considerato in diritto
1.– Con il ricorso in epigrafe (reg. ric. n. 14 del 2022), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale di due disposizioni della legge prov. Trento n. 22 del 2021.
1.1.– È innanzitutto impugnato l’art. 16 della predetta legge provinciale che proroga al 31 marzo 2023 i termini di validità delle graduatorie per l’assunzione di personale provinciale a tempo indeterminato relative al comparto autonomie locali in scadenza entro il 31 dicembre 2021 e nel corso dell’anno 2022.
Secondo il ricorrente, la disposizione impugnata violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. – in relazione all’art. 35, comma 5-ter, del d.lgs. n. 165 del 2001 (nel testo precedente alle modifiche apportate dall’art. 1, comma 149, della legge n. 160 del 2019) e all’art. 91 del d.lgs. n. 267 del 2000 – in quanto interviene sulla disciplina delle graduatorie concorsuali, riconducibile alla competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile», trattandosi di una fase prodromica e funzionale all’instaurazione del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato.
Sarebbero, altresì, violati gli artt. 3 e 97, secondo comma, Cost., poiché la disposizione impugnata, nel prevedere una disciplina diversa da quella statale di cui al parametro interposto, lederebbe i principi di uguaglianza, di buon andamento e di imparzialità della pubblica amministrazione, senza fornire adeguata motivazione in ordine al più favorevole trattamento così disposto relativamente alla durata della validità delle graduatorie concorsuali e senza contemplare la verifica della perdurante attitudine professionale degli idonei.
Infine, la disposizione impugnata, nel disciplinare una materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato, esulerebbe dalle attribuzioni conferite alla Provincia autonoma di Trento dagli artt. 4 e 8 dello statuto di autonomia della Regione Trentino-Alto Adige.
1.2.– È, altresì, impugnato l’art. 17, comma 1, lettera a), della medesima legge prov. Trento n. 22 del 2021 che, nel modificare l’art. 5-bis, comma 1, della legge prov. Trento n. 2 del 2016, consente alla contrattazione collettiva provinciale di individuare altre funzioni nell’ambito dei contratti pubblici per il cui svolgimento possono essere riconosciuti incentivi per funzioni tecniche, oltre a quelle già individuate dalla originaria previsione della legge provinciale novellata.
Secondo il ricorrente, sarebbe violato l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione alle disposizioni dettate dall’art. 113, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 50 del 2016, che individuano in modo tassativo le attività che costituiscono esercizio di funzioni tecniche relative agli appalti svolte dai dipendenti pubblici, per le quali può essere corrisposto lo specifico incentivo previsto, e demandano alla contrattazione collettiva la sola determinazione delle modalità e dei criteri di riparto delle risorse disponibili e non già l’individuazione di ulteriori attività o funzioni tecniche retribuibili con il predetto incentivo, come invece previsto dalla disposizione provinciale impugnata.
Contestualmente, sarebbero altresì lesi gli artt. 4 e 8 dello statuto speciale, laddove prevedono che la legislazione regionale e delle province autonome deve svolgersi in armonia con la Costituzione, con i principi dell’ordinamento giuridico e con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, di cui le norme statali evocate come parametri interposti costituiscono espressione.
1.3.– La Provincia autonoma di Trento si è costituita in giudizio il 30 marzo 2022 e ha depositato il 20 dicembre 2022 una memoria conclusionale nella quale ha sollevato due eccezioni di inammissibilità delle questioni per difetto di motivazione e ha ribadito e integrato quanto dedotto nell’atto di costituzione.
2.– La prima questione è, dunque, promossa nei confronti dell’art. 16 della legge prov. Trento n. 22 del 2021.
2.1.– Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità della censura sollevata dalla difesa della Provincia autonoma a ragione della mancanza di motivazione della dedotta violazione degli artt. 4 e 8 dello statuto speciale.
L’eccezione non è fondata.
Secondo il ricorrente, la disposizione impugnata si pone «in contrasto con la riserva statale esclusiva in materia di ordinamento civile nella quale rientra la disciplina del pubblico impiego […] esulando, pertanto dalle attribuzioni conferite alla Provincia dallo statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige (artt. 8 e 4 del d.P.R. 670/72)».
Come affermato da questa Corte in analoghe fattispecie, la censura, formulata in tali termini, esclude di per sé l’utilità di uno scrutinio e di una motivazione più pregnante, avendo il ricorrente ben presente che lo statuto speciale nulla dispone sulla competenza legislativa regionale nella materia «ordinamento civile» (ex plurimis, sentenze n. 11 del 2021 e n. 199 del 2020).
2.2.– La censura relativa alla lesione della competenza legislativa statale nella materia «ordinamento civile» ha un evidente carattere pregiudiziale rispetto a quelle riferite agli altri parametri (in tal senso, sentenze n. 267 del 2022 e n. 153 del 2021).
Infatti, l’asserita violazione del predetto parametro assume carattere prioritario, poiché ad essa viene ricollegata eziologicamente non solo quella riferita al parametro statutario, ma anche quella degli artt. 3 e 97, secondo comma, Cost.
2.3.– In riferimento a tali ultimi parametri la questione va dichiarata inammissibile per carenza di adeguata motivazione.
Questa Corte ha costantemente affermato che l’esigenza di una adeguata motivazione a fondamento dell’impugnazione si pone in modo ancor più rigoroso nei giudizi promossi in via principale rispetto a quelli instaurati in via incidentale, e che il ricorrente ha pertanto l’onere di fornire una illustrazione delle ragioni del contrasto con i parametri evocati (ex plurimis, sentenze n. 161 del 2022, n. 219, n. 95 e n. 2 del 2021).
Nella odierna fattispecie tale onere non è stato assolto.
Si è già rilevato che il ricorrente prospetta la lesione dei parametri in esame come mero effetto sostanziale della violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile».
Il ricorrente non formula alcun rilievo sulla eventuale incidenza negativa sul buon andamento dell’amministrazione che tali proroghe potrebbero determinare per effetto della possibile obsolescenza della competenza professionale acquisita dal candidato risultato idoneo, per effetto del lasso temporale trascorso dall’approvazione della graduatoria stessa; in particolare, omette qualsiasi riferimento alle procedure concorsuali interessate dalla disposizione provinciale impugnata.
2.4.– La questione riferita alla lesione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. non è fondata.
Questa Corte ha costantemente affermato che la disciplina delle graduatorie, in quanto provvedimento conclusivo delle procedure concorsuali pubblicistiche per l’accesso all’impiego regionale, afferisce a profili pubblicistico-organizzativi dell’impiego pubblico regionale e non a profili privatizzati del relativo rapporto di lavoro, che sono invece ricondotti alla materia dell’ordinamento civile, di competenza legislativa esclusiva statale.
Pertanto, la disciplina in esame rientra nell’ambito della competenza legislativa della Regione in materia di organizzazione degli uffici, di cui all’art. 117, quarto comma, Cost. (sentenze n. 267 del 2022, n. 58 del 2021 per la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, n. 273 del 2020 per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e n. 42 del 2021 nei confronti della stessa Provincia autonoma di Trento; ex plurimis, anche le sentenze n. 126 del 2020 e n. 241 del 2018).
L’esercizio di tale competenza deve, comunque, ottemperare ai principi costituzionali di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione.
È stata, pertanto, esclusa la compatibilità costituzionale con tali principi di disposizioni regionali che hanno prorogato i termini di validità delle graduatorie quando il tempo trascorso dalla loro approvazione abbia determinato una perdita di professionalità degli idonei (ex plurimis, sentenze n. 58 del 2021, n. 273 e n. 126 del 2020, e n. 241 del 2018).
È con tale quadro giurisprudenziale che si confronta l’odierna fattispecie.
Il ricorrente ripropone la tesi secondo cui la disciplina della proroga dei termini di validità delle graduatorie relative alle procedure per il reclutamento di personale nelle pubbliche amministrazioni, comprese le regioni, è riconducibile alla materia «ordinamento civile», in quanto collegata all’instaurazione del rapporto di lavoro di pubblico impiego.
Ma tale prospettazione è stata costantemente disattesa da questa Corte, da ultimo con la sentenza n. 267 del 2022, avente ad oggetto fattispecie analoga a quella oggi in esame.
Nell’odierna questione non si ravvisano elementi per discostarsi da tale indirizzo.
Il ricorrente adduce una motivazione sintetica e assertiva che si basa sul quid novi costituito dalle modifiche in materia di mobilità del personale nelle pubbliche amministrazioni recate dall’art. 3 del d.l. n. 80 del 2021, come convertito, che hanno fatto venir meno, in via generale, l’obbligo del previo nulla-osta dell’amministrazione di provenienza.
Secondo il ricorrente, tale novità normativa enfatizzerebbe la necessità di una omogenea regolazione dei termini di validità della graduatoria ai fini di garantire l’accesso alla pubblica amministrazione in modo uniforme sotto il profilo del lasso temporale decorso dall’approvazione della graduatoria e, dunque, dall’accertamento dell’idoneità professionale del candidato.
Tuttavia, la novità normativa non attiene, se non in via del tutto riflessa, alla disciplina in esame poiché opera sull’istituto della mobilità di cui questa Corte ha ripetutamente affermato la riconducibilità all’ordinamento civile in quanto correlato a un rapporto di pubblico impiego già in essere (ex plurimis, sentenze n. 39 del 2022, n. 150 del 2020 e n. 17 del 2014), laddove al contrario la norma impugnata interviene nella fase antecedente alla costituzione del rapporto.
3.– La seconda questione investe l’art. 17, comma 1, lettera a), della medesima legge prov. Trento n. 22 del 2021, in riferimento all’art. 117, comma secondo, lettera l), Cost., nonché agli artt. 4 e 8 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, in relazione all’art. 113, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 50 del 2016.
3.1.– Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa della Provincia autonoma che assume che il ricorrente non avrebbe spiegato le ragioni per cui ritiene che la disciplina dettata dalla disposizione impugnata debba conformarsi alle previsioni dell’art. 113, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016, in specie là dove prevede che siano escluse dalla applicazione del vincolo di destinazione di risorse al fondo per l’incentivazione le «amministrazioni aggiudicatrici per le quali sono in essere contratti o convenzioni che prevedono modalità diverse per la retribuzione delle funzioni tecniche svolte dai propri dipendenti». In proposito, la difesa rappresenta che la Provincia «si è dotata di una disciplina del compenso incentivante per lo svolgimento delle attività tecniche previsto dall’art. 124 del CCPL 2016/2018».
L’eccezione non è fondata.
Il ricorrente ha ampiamente argomentato il profilo di contrasto della disposizione impugnata con quanto previsto dal comma 2 dell’art. 113 del d.lgs. n. 50 del 2016, nel mentre l’aspetto specifico richiamato dalla difesa della Provincia attiene a una previsione del medesimo comma 2, che non incide sulla questione nei termini prospettati dal ricorrente.
3.2.– Nel merito, la questione è fondata per violazione della competenza legislativa esclusiva statale nella materia «ordinamento civile».
3.2.1.– Punto essenziale e decisivo ai fini del presente giudizio è l’accertamento della materia cui ascrivere la disposizione provinciale impugnata, a fronte delle opposte prospettazioni delle parti: il ricorrente la riconduce all’ordinamento civile, di competenza legislativa esclusiva dello Stato; la resistente, invece, la attribuisce alla propria competenza in materia di ordinamento degli uffici provinciali e, dunque, alle proprie competenze statutarie e, comunque, a quella residuale concernente l’organizzazione e il funzionamento dell’amministrazione.
3.2.2.– La disposizione provinciale impugnata si inserisce nell’art. 5-bis della legge prov. Trento n. 2 del 2016, concernente gli «incentivi per funzioni tecniche» che possono essere riconosciuti ai dipendenti per lo svolgimento di specifiche attività inerenti ai contratti pubblici.
Tale articolo declina, dunque, nell’ordinamento provinciale quanto previsto a livello statale dall’art. 113 del d.lgs. n. 50 del 2016, rubricato parimenti «incentivi per funzioni tecniche», i cui commi 2 e 3 sono evocati difatti dal ricorrente come parametri interposti.
L’istituto degli incentivi per funzioni tecniche costituisce, pertanto, un aspetto peculiare della disciplina dei lavori pubblici dettata dal citato d.lgs. n. 50 del 2016, il cui art. 2, comma 1, stabilisce che «[l]e disposizioni contenute nel presente codice sono adottate nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, ordinamento civile, nonché nelle altre materie cui è riconducibile lo specifico contratto».
Tuttavia, tale auto-qualificazione da parte dello stesso legislatore statale non è di per sé idonea a stabilire l’effettiva natura delle specifiche disposizioni dettate in materia di incentivi per funzioni tecniche.
Questa Corte ha più volte affermato che la disciplina dei lavori pubblici non integra, in assenza di espressa indicazione nel nuovo art. 117 Cost., una vera e propria materia, sicché le diverse disposizioni vanno qualificate a seconda dell’oggetto cui afferiscono e conseguentemente possono essere ascritte, di volta in volta, a potestà legislative statali e regionali (ex plurimis, sentenze n. 43 del 2011 e n. 45 del 2010).
A tal fine, è necessario ricorrere ai criteri stabiliti da questa Corte in riferimento alla individuazione della ratio della specifica disposizione scrutinata, della sua finalità e del suo contenuto (ex plurimis, sentenza n. 193 del 2022).
Quanto al primo aspetto, la causa et ratio dell’istituto dell’incentivo per funzioni tecniche è ravvisabile, da un lato, nella valorizzazione delle competenze del personale impegnato nelle specifiche fasi di attività connesse agli appalti pubblici individuate dal legislatore, con attribuzione in funzione corrispettiva di un peculiare elemento della retribuzione di carattere incentivante, dall’altro, nel contenimento dei costi dei contratti pubblici che deriva da tale affidamento agli stessi dipendenti dell’amministrazione aggiudicatrice di attività che dovrebbero essere altrimenti esternalizzate.
Quanto al dato testuale delle richiamate disposizioni recate dall’art. 113, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 50 del 2016, evocate dal ricorrente come parametri interposti, va precisato che il comma 2 prevede che le amministrazioni aggiudicatrici destinino ad un apposito fondo risorse finanziarie in misura non superiore al due per cento sull’importo dell’appalto per retribuire le funzioni tecniche svolte dai propri dipendenti «esclusivamente» per le seguenti attività: programmazione della spesa per investimenti; valutazione preventiva dei progetti; predisposizione e controllo delle procedure di gara e esecuzione dei contratti pubblici; responsabile unico del procedimento (RUP); direzione dei lavori ovvero direzione dell’esecuzione e collaudo tecnico-amministrativo ovvero verifica di conformità; collaudatore statico, ove necessario per consentire l’esecuzione del contratto nel rispetto dei documenti a base di gara, del progetto, dei tempi e costi prestabiliti. La disposizione stabilisce che il predetto fondo non è previsto per le amministrazioni aggiudicatrici che stabiliscono modalità diverse per la retribuzione delle funzioni tecniche svolte dai propri dipendenti.
Il successivo comma 3 dispone: che l’ottanta per cento delle risorse finanziarie del fondo costituito ai sensi del comma 2 è ripartito, per ciascuna opera o lavoro, servizio, fornitura con le modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata integrativa del personale, sulla base di apposito regolamento adottato dalle amministrazioni secondo i rispettivi ordinamenti, tra il responsabile unico del procedimento e i soggetti che svolgono le funzioni tecniche indicate al comma 2 nonché tra i loro collaboratori; che la corresponsione dell’incentivo è disposta dal dirigente o dal responsabile di servizio preposto alla struttura competente, previo accertamento delle specifiche attività svolte dai predetti dipendenti; che gli incentivi complessivamente corrisposti nel corso dell’anno al singolo dipendente, anche da diverse amministrazioni, non possono superare l’importo del cinquanta per cento del trattamento economico complessivo annuo lordo; e che, infine, le disposizioni non si applicano al personale con qualifica dirigenziale.
3.2.3.– La disciplina recata dall’art. 113 del d.lgs. n. 50 del 2016 costituisce l’approdo di una complessa evoluzione normativa, le cui tappe salienti sono: l’art. 18 della legge 11 febbraio 1994 n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici), concernente gli «incentivi per la progettazione»; le modifiche recate dal decreto-legge 3 aprile 1995, n. 101 (Norme urgenti in materia di lavori pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge n. 216 del 1995; la riformulazione dell’art. 18 della legge n. 109 del 1994 operata dall’art. 6, comma 13, della legge 15 maggio 1997, n. 127 (Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo); le ulteriori novazioni al medesimo art. 18 introdotte dalla legge 16 giugno 1998, n. 191 (Modifiche ed integrazioni alle leggi 15 marzo 1997, n. 59, e 15 maggio 1997, n. 127, nonché norme in materia di formazione del personale dipendente e di lavoro a distanza nelle pubbliche amministrazioni. Disposizioni in materia di edilizia scolastica) e dalla legge 17 maggio 1999, n. 144 (Misure in materia di investimenti, delega al Governo per il riordino degli incentivi all’occupazione e della normativa che disciplina l’INAIL, nonché disposizioni per il riordino degli enti previdenziali); infine la previsione dell’art. 92 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) che ha sostituito la normativa nei termini poi ripresi, da ultimo, dall’art. 113 del d.lgs. n. 50 del 2016, come poi integrata dall’art. 76 del decreto legislativo 19 aprile 2017, n. 56 (Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50).
Di particolare rilievo ai fini in esame è l’evoluzione dell’originario impianto dell’istituto degli incentivi in questione per quanto riguarda la percentuale degli importi destinabili ai predetti incentivi, le attività per le quali essi sono riconosciuti, la dialettica fra le fonti regolatrici.
A tale ultimo proposito, occorre evidenziare che l’attuale disciplina statale attribuisce alla fonte contrattuale – a cui in origine era demandata la possibilità di individuare gli incentivi in oggetto – il solo compito di disciplinare le modalità e i criteri di ripartizione delle risorse finanziarie destinate a tale scopo, oltretutto sulla base di un apposito regolamento adottato dalla singola amministrazione.
3.2.4.– Sul carattere tassativo delle attività individuate dal comma 2 dell’art. 113 del d.lgs. n. 50 del 2016 si sono ripetutamente espresse diverse sezioni di controllo della Corte dei conti (sezione regionale di controllo per il Veneto, deliberazione 2 marzo 2017, n. 134; sezione regionale di controllo per la Puglia, deliberazione 13 dicembre 2016, n. 204; sezione delle autonomie, deliberazione 13 maggio 2016, n. 18). In particolare, esse hanno più volte affermato che l’avverbio «esclusivamente» esprime l’intenzione del legislatore di riconoscere il compenso incentivante limitatamente alle attività espressamente previste, ove effettivamente svolte dal dipendente pubblico.
3.3.– Deve, dunque, affermarsi che gli incentivi per funzioni tecniche costituiscono indubbiamente un elemento specifico del trattamento economico del pubblico dipendente in termini di corrispettivo di determinate attività svolte nell’ambito degli appalti pubblici.
Ne consegue che l’istituto in esame fa parte della disciplina del trattamento retributivo dei pubblici dipendenti che, secondo il costante indirizzo di questa Corte, va ricondotto all’ordinamento civile, anche per i dipendenti delle regioni e delle autonomie speciali, e pertanto appartiene alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (ex plurimis, da ultimo, sentenze n. 253 del 2022, punto 4.1.2. del Considerato in diritto, e sentenza n. 190 del 2022, punto 4.1. del Considerato in diritto).
3.4.– La disposizione provinciale impugnata lede pertanto la predetta competenza legislativa esclusiva dello Stato poiché consente alla contrattazione collettiva provinciale di ampliare il novero delle funzioni ammissibili alle retribuzioni incentivanti rispetto a quelle previste in modo tassativo dall’art. 113 del d.lgs. n. 50 del 2016.
Conseguentemente non rileva il richiamo da parte della difesa provinciale alle competenze dell’ente in materia di contrattazione collettiva territoriale, poiché tali competenze devono comunque ottemperare all’assetto configurato dal legislatore statale in materia di trattamento economico dei pubblici dipendenti.
Il profilo di contrasto della disposizione provinciale impugnata con l’assetto normativo statale emerge, del resto, dagli stessi lavori preparatori. Si può ricordare in proposito il parere negativo reso dal Consiglio delle autonomie locali della Provincia autonoma di Trento in data 15 novembre 2021 con la considerazione che la «previsione risulta incoerente con la disciplina nazionale e con l’elaborazione giurisprudenziale sul punto che mira ad individuare in modo più preciso possibile i soggetti destinatari delle retribuzioni incentivanti».
Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, lettera a), della legge prov. Trento n. 22 del 2021.
4.– Restano assorbite le censure riferite alla lesione dei parametri statutari.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, lettera a), della legge della Provincia autonoma di Trento 27 dicembre 2021, n. 22 (Legge provinciale di stabilità 2022);
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16 della legge prov. Trento n. 22 del 2021, promossa, in riferimento agli artt. 3 e 97, secondo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16 della legge prov. Trento n. 22 del 2021, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., e agli artt. 4 e 8 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 gennaio 2023.
F.to:
Silvana SCIARRA, Presidente
Giulio PROSPERETTI, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 16 marzo 2023.