Sentenza n. 253 del 2022

SENTENZA N. 253

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA

Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 29-bis della legge della Regione Molise 8 aprile 1997, n. 7 (Norme sulla riorganizzazione dell’amministrazione regionale secondo i principi stabiliti dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29), promosso dalla Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Molise, nel giudizio di parificazione del rendiconto della Regione Molise, per l’esercizio finanziario 2020, con ordinanza del 20 dicembre 2021, iscritta al n. 226 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visto l’atto di costituzione della Regione Molise;

udito nell’udienza pubblica del 18 ottobre 2022 il Giudice relatore Giulio Prosperetti;

udito l’avvocato Massimo Luciani per la Regione Molise;

deliberato nella camera di consiglio del 18 ottobre 2022.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 20 dicembre 2021 (reg. ord. n. 226 del 2021), la Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Molise, ha sollevato, in riferimento agli artt. 81, quarto comma (attuale terzo comma), 97, primo comma, e 117, commi secondo, lettera l), e terzo, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 29-bis della legge della Regione Molise 8 aprile 1997, n. 7 (Norme sulla riorganizzazione dell’amministrazione regionale secondo i principi stabiliti dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29).

1.1.– La Sezione rimettente rappresenta di aver analizzato, in sede di giudizio di parificazione del rendiconto regionale per l’anno 2020, il capitolo di spesa del bilancio n. 4007 (“Indennità per personale incaricato di funzioni amministrative – Risorsa libera”) su cui gravano gli oneri determinati dalla indennità corrisposta al personale dell’area quadri prevista dall’art. 29-bis della legge reg. Molise n. 7 del 1997.

1.2.– Il predetto articolo è stato inserito in quest’ultima dall’art. 11 della legge della Regione Molise 28 maggio 2002, n. 6 (Modifiche ed integrazioni alle Leggi Regionali 8 aprile 1997, n. 7, concernente: “Norme sulla riorganizzazione dell’Amministrazione regionale secondo i princìpi stabiliti dal Decreto Legislativo 3 febbraio 1993, n. 29” e 27 gennaio 1999, n. 2, concernente: “Norme sull’autonomia organizzativa, funzionale e contabile del Consiglio Regionale”), e modificato dagli artt. 1 e 2 della legge della Regione Molise 26 settembre 2005, n. 30 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale dell’8 aprile 1997, n. 7, come modificata dalla legge regionale 28 maggio 2002, n. 6), dall’art. 1 della legge della Regione Molise 29 agosto 2006, n. 22 (Modifiche ed integrazioni all’articolo 2 della legge regionale 26 settembre 2005, n. 30) e dagli artt. 1 e 2 della legge delle Regione Molise 2 ottobre 2006, n. 33 (Ulteriori modifiche all’articolo 2 della legge regionale 26 settembre 2005, n. 30).

Il censurato art. 29-bis dispone, al comma 1, la istituzione di un’apposita area quadri del personale regionale, che comprende i dipendenti di categoria “D” cui sono assegnate specifiche e complesse «attività di collaborazione con il personale dirigente, funzionali al raggiungimento degli obiettivi di risultato assegnati ed, in generale, all’efficacia dell’azione amministrativa nelle attività di organizzazione e gestione degli uffici regionali, nelle attività connesse alla gestione di procedimenti e procedure amministrative, nelle attività di studio, di ricerca e di elaborazione di atti complessi» (comma 3).

Le citate attività «sono proprie del personale di comparto inquadrato nel ruolo unico regionale nella categoria “D” prevista dal vigente contratto collettivo nazionale di lavoro del 31 marzo 1999, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché del personale della categoria “D” comandato ai sensi della legge 28 luglio 1999, n. 266» (comma 4).

Il comma 5 prevede che al predetto personale «è riconosciuta, in aggiunta al trattamento economico in godimento, un’indennità annuale, pensionabile, che è parte integrante della retribuzione», non cumulabile con l’indennità riconosciuta per il conferimento dell’incarico di posizione organizzativa (comma 6) e con gli emolumenti accessori relativi alla produttività e a indennità di responsabilità non rapportate a incarichi di uffici (comma 6-bis).

I commi 7 e 8 definiscono le modalità di commisurazione e di corresponsione della predetta indennità, che consiste in una componente fissa e continuativa e in una componente aggiuntiva commisurata al raggiungimento di obiettivi di maggiore efficienza organizzativa.

La relativa valutazione è effettuata, con cadenza annuale, dal dirigente della struttura cui risulta assegnato il dipendente, secondo i sistemi di valutazione previsti per l’erogazione della produttività individuale. La valutazione si intende positiva se al dipendente viene attribuito un punteggio non inferiore all’80 per cento del punteggio massimo previsto (comma 10).

1.3.– La Sezione di controllo per il Molise ritiene che le disposizioni recate dall’art. 29-bis della legge reg. Molise n. 7 del 1997, nell’istituire un’apposita area quadri del personale regionale e prevedere una correlata e specifica indennità integrativa del trattamento retributivo contrattuale, violano, innanzitutto, la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile e, al contempo, ledono i parametri finanziari posti dagli artt. 81, quarto comma (attuale terzo comma), e 97, primo comma, Cost.

Il rimettente evidenzia che un istituto simile a quello previsto dalla disposizione censurata era contemplato dall’art. 10 della legge della Regione Liguria 28 aprile 2008, n. 10 (Disposizioni collegate alla legge finanziaria 2008), istitutivo della «vice-dirigenza» regionale e dall’art. 2 della legge della Regione Liguria 24 novembre 2008, n. 42 (Norme urgenti in materia di personale, certificazione energetica, Comunità montane e disposizioni diverse), che disponeva l’incremento del Fondo per il trattamento accessorio del personale al fine di finanziare la retribuzione di posizione e di risultato prevista per la vice-dirigenza stessa.

In proposito, il rimettente rappresenta che la questione era stata sollevata dalla sezione di controllo ligure della Corte dei conti, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., e che tale questione era stata decisa con la sentenza n. 196 del 2018 che aveva dichiarato la illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate istitutive della vice-dirigenza. Analoga questione, sollevata nel 2018 dalla sezione regionale di controllo campana è stata definita con sentenza n. 146 del 2019 che ha parimenti dichiarato l’illegittimità costituzionale delle impugnate disposizioni della Regione Campania.

1.4.– Ad avviso della Sezione regionale di controllo per il Molise, i menzionati precedenti sono sovrapponibili alla fattispecie costituita dalla disposizione regionale censurata, poiché lede parimenti «la competenza esclusiva statale, e determina un illegittimo effetto espansivo della spesa del personale, aumentando contra Constitutionem le risorse destinate alla retribuzione del personale dipendente regionale».

Nel riferire di aver conseguentemente sospeso il giudizio di parificazione limitatamente al capitolo n. 4007, in quanto recante la spesa determinata dalla indennità prevista dalla disposizione indubbiata, il rimettente afferma la propria legittimazione a sollevare in tale sede la questione di legittimità costituzionale in oggetto.

Il rimettente richiama la giurisprudenza costituzionale (come le sentenze innanzi citate) che avrebbe riconosciuto tale legittimazione anche nel caso in cui la lesione di precetti finanziari sia conseguente alla violazione di parametri di competenza allorché «la suddetta invasione sia “funzionalmente correlata” alla violazione degli artt. 81 e 97, primo comma, Cost., per aver determinato un incremento delle poste passive del bilancio in riferimento al costo del personale (sentenza n. 112 del 2020)» (è citata la sentenza n. 215 del 2021), e afferma che ciò è quanto si verifica nella fattispecie in esame.

1.5.– In punto di rilevanza, la Sezione regionale di controllo per il Molise afferma che la disposizione censurata, pur risalente nel tempo, continua ad esplicare la propria efficacia anche nel corso dell’esercizio finanziario 2020, gravando sui risultati finanziari finali e, conseguentemente, sul rendiconto regionale oggetto di parifica, in quanto le norme sospettate di illegittimità costituzionale «incidono sull’an della spesa regionale e sul suo quantum; esse istituiscono una nuova area contrattuale di dipendenti pubblici della Regione Molise e ne prevedono il trattamento economico: in mancanza di dette norme, l’area o il suo trattamento non avrebbero alcun titolo ad essere riconosciuta o erogato».

Per l’effetto, il rimettente assume che ai fini della parifica del rendiconto generale regionale per l’esercizio 2020, tali poste non possono essere verificate nella loro legittimità finché non sia sciolto il dubbio di legittimità costituzionale che interessa le norme che ne costituiscono il titolo legale di spesa.

1.6.– Riguardo alla non manifesta infondatezza della questione, il rimettente afferma che la disposizione scrutinata costituisce evidente ed indebita interferenza nella materia «ordinamento civile» di competenza legislativa esclusiva dello Stato, in cui rientra la disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, fra cui le regioni stesse, ai sensi del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), che demanda alla contrattazione collettiva la regolazione del sistema di classificazione del personale e della retribuzione.

Difatti, con riferimento al primo aspetto, il rimettente evidenzia che il d.lgs. n. 165 del 2011 si limita a riconoscere la sola categoria dei dirigenti, mentre disciplina genericamente il restante personale non dirigenziale, ferma restando la possibilità per la contrattazione di prevedere figure di elevata professionalità.

Con specifico riferimento alla istituzione da parte della disposizione censurata dell’area quadri del personale regionale, la Sezione rimettente evidenzia che la Corte di cassazione, sezione lavoro, con la sentenza 6 marzo 2008, n. 6063 ha escluso che nel pubblico impiego contrattualizzato possa trovare applicazione il primo comma dell’art. 2095 del codice civile come modificato dalla legge 13 maggio 1985, n. 190 (Riconoscimento giuridico dei quadri intermedi) che ha inserito tra i prestatori di lavoro subordinato già contemplati – dirigenti, impiegati e operai – appunto i “quadri”.

Il rimettente osserva che tuttavia, ad oggi, non risulta introdotta o disciplinata né dal legislatore statale, né dalla contrattazione collettiva, una «Area quadri pubblica», e che il Contratto collettivo nazionale di lavoro del 21 maggio 2018 del comparto Funzioni locali, per il triennio 2016-2018, prevede solo «la diversa figura della “posizione organizzativa” che postula un conferimento d’incarico a termine ed esaurisce lo spazio lavorativo fra funzionari e dirigenti».

Relativamente alla specifica indennità prevista dalla disposizione censurata per il personale regionale inserito nell’area quadri, la sezione rimettente afferma che essa interviene su un aspetto della retribuzione riconducibile alla materia «ordinamento civile», poiché istituisce una spesa a carico del bilancio regionale per il personale che richiede «risorse ulteriori e diverse rispetto a quelle tassativamente previste dai contratti collettivi nazionali».

Conseguentemente, poiché tale spesa è priva di copertura sostanziale in quanto disposta al di fuori della contrattazione collettiva nazionale e senza una legge statale autorizzativa, la disciplina regionale censurata si porrebbe in contrasto anche con l’art. 81, quarto comma (attuale terzo comma), Cost.

Sarebbe parimenti violato l’art. 97, primo comma, Cost., poiché il rimettente assume che «se la competenza esclusiva dello Stato, nella materia di cui all’articolo 117, comma 2, lettera l), Costituzione, sottende intrinsecamente anche la funzione giuscontabile, propria dello Stato medesimo, di regolatore della relativa spesa, espressa mediante la determinazione e l’assegnazione delle “giuste” risorse disponibili per il trattamento dei dipendenti pubblici sull’intero territorio nazionale, allora l’istituzione da parte della Regione Molise di nuove aree para-dirigenziali, cui accede la previsione di trattamenti economici aggiuntivi, nel valicare la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia, ha innegabili riflessi negativi sugli equilibri complessivi della finanza pubblica e sulla sostenibilità del debito, di cui lo Stato stesso è garante e custode in rapporto anche agli impegni unionali assunti dal medesimo, ex articolo 97, comma 1, Costituzione».

Infine, la Sezione di controllo rimettente afferma che la violazione del riparto costituzionale di competenze legislative ridonderebbe «in una violazione della competenza concorrente di “coordinamento della finanza pubblica” (articolo 117, comma 3), incidendo sulla corretta costruzione del bilancio e dei suoi equilibri, ex articoli 97 e 81 Costituzione».

2.– Con atto depositato in data 22 febbraio 2022 si è costituita in giudizio la Regione Molise.

Preliminarmente, la difesa regionale rileva che l’art. 1 della legge della Regione Molise 21 luglio 2010, n. 14 (Iniziative finalizzate alla razionalizzazione della spesa regionale), pur non intervenendo sul testo della disposizione sospettata di illegittimità costituzionale, ha profondamente mutato le sorti dell’istituto da essa previsto, disponendo la graduale riduzione, fino alla completa soppressione, dei contingenti numerici interessati dalla disposizione in conseguenza della progressiva cessazione dal servizio a qualsiasi titolo dei dipendenti già in essi ricompresi.

La difesa della resistente deduce, altresì, che la legge della Regione Molise 9 settembre 2011, n. 28, recante «Modifiche alla legge regionale 21 luglio 2010, n. 14 (Iniziative finalizzate alla razionalizzazione della spesa regionale)», ha espressamente fatti salvi i diritti dei dipendenti di ruolo che, alla data di entrata in vigore della legge, risultassero già inquadrati nella categoria D (profili “D1” e “D3”), con la conseguenza che l’istituto previsto dalla norma impugnata sarebbe «a esaurimento», poiché dal 2010 nessun dipendente – pur in possesso dei relativi requisiti – è stato più inserito nei relativi contingenti regionali.

2.1.– Alla luce di tali premesse, la difesa regionale solleva plurime eccezioni di inammissibilità.

2.1.1.– Innanzitutto, viene dedotta l’insufficiente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio, che determinerebbe l’inammissibilità per difetto di motivazione in ordine alla rilevanza.

Il rimettente avrebbe omesso difatti di esaminare alcuni elementi normativi e fattuali di grande rilevanza, costituiti dalle ricordate disposizioni che hanno inciso sulla portata della norma regionale censurata, e pertanto non avrebbe «compiutamente esplicitato le ragioni per cui, malgrado la significativa (e, anzi, decisiva) sopravvenienza normativa rappresentata dalla l. reg. n. 14 del 2010, la questione di legittimità costituzionale – avente a oggetto il solo art. 29-bis della l. reg. n. 29 del 1997 – dovrebbe ritenersi purtuttavia rilevante», né le ragioni per le quali non ha fatto oggetto di censura tali disposizioni.

2.1.2.– La questione sarebbe inammissibile «anche per difetto della pregiudizialità necessaria tra parificazione e incidente di costituzionalità e, in ogni caso, per assenza di motivazione sulla stessa».

2.1.3.– Inoltre, la difesa della resistente rileva che la questione è stata sollevata dalla sezione soltanto in occasione della parifica del rendiconto 2020, laddove il contesto normativo di riferimento è rimasto invariato dal 2011 e il capitolo di spesa n. 4007 «è stato sempre presente nei precedenti rendiconti ed è sempre stato regolarmente parificato negli anni passati», così rafforzando il legittimo affidamento della Regione nella correttezza del proprio operato.

2.1.4.– Da ultimo, la difesa della resistente eccepisce il difetto di motivazione delle censure sollevate in riferimento ai parametri finanziari.

In ordine alla lesione dell’art. 81, terzo comma, Cost., la Regione afferma di aver sempre e regolarmente coperto le spese derivanti dalle norme censurate, sicché «non è dato intendere come potrebbe mai essere violato questo parametro costituzionale. Del resto, l’ordinanza non dà affatto conto – né lo potrebbe, d’altronde – di un difetto di copertura nel bilancio regionale».

Relativamente alla lesione dell’art. 97 Cost., la difesa regionale assume che la censura sarebbe inammissibile per difetto di autonoma argomentazione, poiché conseguirebbe – per espressa ammissione del rimettente – alla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

Infine, sarebbe inammissibile anche la censura concernente la violazione della competenza legislativa statale in materia di coordinamento della finanza pubblica di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto non verrebbe mai argomentata – se non in termini tautologici – e non figura nella parte dispositiva dell’ordinanza.

2.2.– Nel merito la difesa regionale sostiene la non fondatezza delle censure sollevate dal rimettente.

Innanzitutto non sussisterebbe la lesione della competenza legislativa statale in materia di ordinamento civile, perché la disposizione regionale censurata, da un lato, non avrebbe direttamente modificato il trattamento economico e giuridico dei dipendenti della Regione e, dall’altro, sarebbe legittima espressione della competenza legislativa regionale residuale in materia di organizzazione amministrativa di cui all’art. 117, quarto comma, Cost.

La previsione censurata avrebbe, pertanto, secondo la difesa della Regione, valenza meramente interna all’amministrazione, poiché ricomprende nell’area quadri quei dipendenti della categoria “D”, prevista dal CCNL, che, a seguito e in ragione di scelte organizzative dell’ente, svolgono le specifiche e complesse prestazioni lavorative individuate dal richiamato comma 3 dell’art. 29-bis della legge reg. Molise n. 7 del 1997. La disposizione, pertanto, non costituirebbe una deroga, né tantomeno un’innovazione rispetto all’impianto della contrattazione collettiva e della legislazione statale, giacché il personale chiamato a svolgere le specifiche attività sopra richiamate è individuato facendo riferimento alle categorie fissate dalla contrattazione collettiva nazionale e dal legislatore statale, così come l’indennità riconosciuta al personale in questione sarebbe pienamente conforme ai princìpi di cui al d.lgs. n. 165 del 2001.

In definitiva, ad avviso della difesa regionale, la disposizione censurata non concerne il rapporto di impiego, riconducibile alla competenza legislativa statale, in materia di ordinamento civile, bensì il rapporto di servizio, e si inserirebbe «nel quadro di un complessivo riordino dell’assetto organizzativo interno alla Regione ispirato proprio ai princìpi di efficienza fissati dal legislatore statale nel d.lgs. n. 165 del 2001 e s.m.i.».

In ogni caso, il rimettente avrebbe omesso di motivare con precisione i profili del dedotto contrasto tra la disposizione sospettata di illegittimità costituzionale e il d.lgs. n. 165 del 2001, di cui, secondo la difesa regionale, verrebbero peraltro richiamate alcune disposizioni nel testo attualmente vigente.

In tal modo la Sezione rimettente non avrebbe considerato che al momento dell’istituzione dell’area quadri talune delle disposizioni evocate nell’ordinanza come parametro interposto non esistevano (o avevano diverso contenuto), e che il legislatore molisano ha tenuto conto delle novità introdotte nel d.lgs. n. 165 del 2001 dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni) in sede di revisione dell’istituto ad opera della legge reg. Molise n. 14 del 2010.

In tale contesto, la difesa della Regione assume che «il legislatore regionale non poteva far altro che prevedere la soppressione dell’Area Quadri solo per l’avvenire», poiché tale graduale soluzione consentiva alla Regione di «contare sulla continuità nello svolgimento di attività estremamente specifiche e delicate, scongiurando la perdita repentina e improvvisa di risorse competenziali preziose»; scelta ragionevole che consentirebbe di escludere la lesione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

2.3.– Secondo la resistente, l’insussistenza della lesione della competenza legislativa statale esclusiva in materia di ordinamento civile comporterebbe che «neppure potrebbero dirsi, di conseguenza, violati l’attuale art. 81, comma 3, Cost. e l’art. 97, comma 1, Cost.».

Quanto alla lesione dell’art. 81 Cost., le stesse ragioni dedotte a sostegno della inammissibilità della relativa censura deporrebbero per la sua non fondatezza nel merito.

La disposizione censurata ottempererebbe difatti alla normativa statale e regionale in materia di bilancio e contabilità regionale, e l’asserita violazione del principio dell’equilibrio di bilancio sarebbe «tanto più infondata quanto più si riflette in ciò che essa è formulata oggi, a fronte di oneri progressivamente diminuiti, laddove non aveva trovato analoga formulazione, in una quaestio de legitimitate, nelle precedenti parifiche».

Quanto alla censura riferita all’art. 97, primo comma, Cost., oltre a ribadirne la inammissibilità, la difesa della resistente ne assume la non fondatezza per l’«assoluto difetto di qualsivoglia pregiudizio per il bilancio regionale di una spesa come questa, tale da non mettere affatto in discussione il suo equilibrio».

3.– In prossimità dell’udienza di discussione la Regione Molise ha depositato una memoria illustrativa per ribadire, ulteriormente argomentare e integrare quanto dedotto nell’atto di costituzione.

Considerato in diritto

1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe (reg. ord. n. 226 del 2021), la Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Molise, in sede di giudizio di parificazione del rendiconto regionale per l’anno 2020, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 29-bis della legge reg. Molise n. 7 del 1997, in riferimento agli artt. 81, quarto comma (attuale terzo comma), 97, primo comma, e 117, commi secondo, lettera l), e terzo, Cost.

1.1.– L’articolo in esame è stato inserito nella legge reg. Molise n. 7 del 1997 dall’art. 11 della legge reg. Molise n. 6 del 2002 e poi modificato dagli artt. 1 e 2 della legge reg. Molise n. 30 del 2005, dall’art. 1 della legge reg. Molise n. 22 del 2006 e dagli artt. 1 e 2 della legge reg. Molise n. 33 del 2006.

Il comma 1 contempla l’istituzione di un’apposita area quadri del personale regionale che comprende i dipendenti della categoria “D” del CCNL cui sono assegnate specifiche e complesse «attività di collaborazione con il personale dirigente, funzionali al raggiungimento degli obiettivi di risultato assegnati ed, in generale, all’efficacia dell’azione amministrativa nelle attività di organizzazione e gestione degli uffici regionali, nelle attività connesse alla gestione di procedimenti e procedure amministrative, nelle attività di studio, di ricerca e di elaborazione di atti complessi» (comma 3).

Al predetto personale «è riconosciuta, in aggiunta al trattamento economico in godimento, un’indennità annuale, pensionabile, che è parte integrante della retribuzione» (comma 5), non cumulabile con gli emolumenti accessori relativi alla produttività e a indennità di responsabilità previsti dalla contrattazione collettiva, mentre è cumulabile con le indennità che derivano da risorse che specifiche disposizioni di legge finalizzano alla incentivazione di prestazioni (commi 6 e 6-bis).

I successivi commi definiscono l’entità della indennità – commisurata all’importo massimo della retribuzione di posizione stabilita dal CCNL – le modalità di corresponsione, i requisiti di accesso. L’indennità è articolata in una componente fissa e continuativa e in una componente aggiuntiva, commisurata al conseguimento di obiettivi di maggiore efficienza organizzativa. La relativa valutazione è effettuata, con cadenza annuale, dal dirigente della struttura cui risulta assegnato il dipendente, secondo i sistemi di valutazione previsti per l’erogazione della produttività individuale. La valutazione si intende positiva se al dipendente viene attribuito un punteggio non inferiore all’80 per cento del punteggio massimo previsto dai predetti sistemi.

1.2.– La Sezione rimettente rappresenta di aver analizzato, in sede di valutazione complessiva dell’affidabilità dei conti e della regolarità della gestione, il capitolo di spesa del bilancio regionale n. 4007 (Indennità per personale incaricato di funzioni amministrative – Risorsa libera) su cui gravano gli oneri recati dalla disposizione censurata in favore del personale regionale inserito nell’area quadri, e di aver sospeso, relativamente a tale capitolo, il giudizio di parificazione dell’esercizio finanziario regionale per l’anno 2020 per effetto dell’incidente di legittimità costituzionale.

In ordine alla rilevanza delle questioni, il rimettente ritiene che il predetto giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla definizione del giudizio incidentale, poiché la disposizione censurata costituisce la fonte della spesa che grava sul capitolo 4007, spesa che, pertanto, non sarebbe legittima ove ne fosse caducata la fonte normativa.

Quanto alla non manifesta infondatezza, la disposizione regionale scrutinata, nel riconoscere a tale personale in aggiunta al trattamento economico in godimento un’indennità annuale pensionabile come parte integrante della retribuzione, violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto, nel disciplinare aspetti del rapporto di lavoro dei dipendenti regionali rimessa alla contrattazione collettiva dagli artt. 1, 2, 40 e 45 del d.lgs. n. 165 del 2001, lederebbe la competenza legislativa statale esclusiva in materia di ordinamento civile, di cui le predette disposizioni costituiscono espressione.

La disposizione censurata si porrebbe, al contempo e conseguentemente, in contrasto con l’art. 81, quarto comma (attuale terzo comma), Cost., poiché [la disciplina e] [correzione errore materiale, ord. n. 24 del 2023] disciplina la erogazione al personale regionale interessato del contestato trattamento accessorio al di fuori della contrattazione collettiva nazionale di comparto.

Parimenti sarebbe violato l’art. 97, primo comma, Cost., in quanto la illegittima attribuzione di trattamenti economici aggiuntivi al personale regionale determinerebbe riflessi negativi sugli equilibri complessivi della finanza pubblica e sulla sostenibilità del debito presidiati dal predetto parametro costituzionale.

Infine, la disposizione in esame violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., giacché la lesione della competenza legislativa statale in materia di ordinamento civile comporterebbe, altresì, quella concorrente dello Stato in materia di coordinamento della finanza pubblica, determinando il superamento del limite di spesa per il costo del personale regionale previsto dalla disciplina statale in modo uniforme sul territorio nazionale.

1.3.– La Regione Molise, nel costituirsi in giudizio, ha sollevato plurime eccezioni di inammissibilità e confutato nel merito le argomentazioni del rimettente.

2.– Ricorrono nella fattispecie le condizioni per ritenere la Sezione rimettente legittimata a sollevare il giudizio incidentale in esame (ex plurimis, sentenze n. 247, n. 235 e n. 215 del 2021, n. 18 del 2019 e n. 89 del 2017).

Questa Corte ha, difatti, riconosciuto alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti la possibilità di sollevare questioni di legittimità costituzionale, in sede di giudizio di parificazione del rendiconto regionale annuale, nei confronti di disposizioni lesive non solo dei principi che direttamente tutelano l’equilibrio di bilancio e la corretta gestione finanziaria (artt. 81 e 97, primo comma, Cost.), ma anche di quelli che sovrintendono al riparto di competenze fra Stato e regioni, allorché si configuri una “correlazione funzionale” fra la lesione del parametro concernente la competenza e la violazione degli stessi parametri finanziari.

Tale correlazione è stata specificamente individuata proprio in riferimento alla lesione, prospettata nella fattispecie in esame, della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile da parte di disposizioni regionali che hanno disciplinato aspetti del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato demandati dal legislatore statale all’autonomia collettiva, in relazione al parametro interposto costituito dalle disposizioni dettate dal d.lgs. n. 165 del 2001 (ex plurimis, sentenze n. 244 e n. 112 del 2020, n. 146 e n. 138 del 2019 e n. 196 del 2018). Ciò in quanto la illegittimità costituzionale della disposizione regionale che risulti lesiva della competenza statale in materia comporta quella della spesa da essa disposta a carico del bilancio dell’ente.

3.– Non sono fondate le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa regionale.

Non c’è carenza nella ricostruzione del quadro normativo, risultando con chiarezza che è la disposizione regionale censurata a configurare e definire la disciplina che il rimettente ritiene causare il prospettato vulnus costituzionale, e pertanto è su di essa che focalizza le censure.

Le disposizioni regionali sopravvenute, richiamate dalla difesa della resistente, si limitano solo ad incidere sulla portata e l’applicazione della disposizione censurata, ma facendo ad essa riferimento dipendono dalla sua stessa persistenza nell’ordinamento.

Nemmeno è fondata l’eccezione da ultimo formulata dalla difesa regionale circa la mancata censura da parte del rimettente della legge di bilancio regionale cui inerisce l’esercizio finanziario oggetto del giudizio di rendiconto. Si tratta difatti di una previsione di carattere finanziario che trova il suo presupposto normativo sostanziale proprio nella disposizione sospettata di illegittimità costituzionale, che produce gli oneri posti a carico del capitolo n. 4007 del bilancio regionale.

3.1.– La difesa regionale afferma che la questione sarebbe inammissibile «anche per difetto della pregiudizialità necessaria tra parificazione e incidente di costituzionalità e, in ogni caso, per assenza di motivazione sulla stessa», poiché il rimettente non avrebbe fornito una spiegazione circa l’effetto preclusivo che il vizio di incompetenza, dedotto in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., determinerebbe sul giudizio di parifica, e non avrebbe indicato in che misura la disposizione censurata determini concretamente effetti lesivi del bene della finanza pubblica tutelato dai parametri finanziari evocati.

Anche tali eccezioni di inammissibilità non sono fondate.

La giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che essenziale e sufficiente a conferire rilevanza alla questione prospettata è che il rimettente debba effettivamente applicare nel procedimento pendente davanti a sé la disposizione della cui legittimità costituzionale dubita (ex plurimis, sentenza n. 253 del 2019), illustrando le ragioni che determinano la pregiudizialità della questione sollevata rispetto alla definizione del processo principale (sentenza n. 105 del 2018).

Il rimettente ha assolto tale onere argomentativo. Ha difatti affermato che l’esito della parifica del capitolo di spesa in oggetto è direttamente influenzato dall’applicazione della disposizione censurata, che costituisce la fonte normativa della spesa stessa (in tal senso sentenza n. 215 del 2021), e che «[a]llo stato, il Collegio non può fare applicazione delle norme “sospette” di incostituzionalità, le quali, tuttavia, rappresentano l’unico parametro di rango legislativo ai fini del “riscontro” della spesa rendicontata nel giudizio di parifica, pena il rischio di validare un risultato di amministrazione contra ius, perché verificato in base ad un parametro normativo passibile di declaratoria d’incostituzionalità».

Nemmeno è fondato quanto affermato dalla difesa regionale in ordine alla mancata quantificazione da parte del rimettente dell’incidenza sul risultato di amministrazione della indennità contestata.

Infatti, è la stessa istituzione del capitolo n. 4007 nel bilancio regionale, su cui sono appostate le risorse necessarie per la corresponsione dell’indennità istituita dalla disposizione regionale censurata, a introdurre ex se una ragione di spesa incrementale per il personale nel bilancio dell’ente rispetto agli oneri determinati dalla contrattazione collettiva in materia di retribuzione.

L’effetto incrementale della disposizione censurata sulla finanza regionale trova del resto conferma nei lavori preparatori sia dell’art. 11 della legge reg. Molise n. 6 del 2002, sia soprattutto degli artt. 1 e 2 della legge reg. Molise n. 30 del 2005 che hanno definito l’intervento regionale scrutinato nei termini sostanzialmente vigenti, poiché registrano un acceso dibattito proprio in ordine alla individuazione della copertura finanziaria della indennità che si andava ad introdurre, a motivo dei significativi oneri aggiuntivi che essa comportava a carico del bilancio regionale.

Ai fini dell’ammissibilità della questione, ma anche dell’esame nel merito, non rileva nemmeno la circostanza che, a seguito di successivi interventi normativi, sia intervenuto il blocco all’accesso di nuovo personale all’area quadri e che la relativa indennità continui, pertanto, ad essere corrisposta solo per il personale già in essa inserito, subendo, quindi, una progressiva riduzione a seguito di quella del numero dei beneficiari, fino a pervenire, nel tempo, alla cessazione.

Si tratta difatti di elementi che non incidono sulla valutazione della legittimità costituzionale della disposizione regionale censurata, ma solo fattualmente sulla dimensione pro tempore degli effetti finanziari da essa prodotti.

3.1.1.– Nemmeno può essere condiviso l’assunto della difesa regionale in ordine alla mancata considerazione, da parte della sezione rimettente, degli effetti derivanti dalla non cumulabilità, prevista dalla disposizione censurata, dell’indennità in oggetto con altri emolumenti previsti in favore dei beneficiari dalla contrattazione collettiva; effetti che priverebbero la disposizione censurata di reale lesività dei parametri finanziari dedotti dal rimettente.

Tali effetti avrebbero dovuto essere semmai dimostrati dalla Regione in sede di giudizio di parificazione a fronte dei rilievi della sezione di controllo sul capitolo n. 4007 a carico del quale sono posti gli oneri determinati dalla disposizione regionale oggetto di censura. Invero, questa Corte rileva che il rimettente ha riferito che la Regione non ha mosso argomentazioni in merito alla questione giuridica evidenziata né in sede istruttoria né nell’adunanza pubblica del 3 novembre 2021 «rimettendosi alle valutazioni della Sezione» e nulla argomentando nell’udienza di parificazione.

In ogni caso, l’asserita compensazione avrebbe dovuto essere integrale per neutralizzare qualsiasi effetto negativo sul bilancio regionale ad opera della disposizione censurata.

3.2.– È, altresì, eccepita l’inammissibilità delle questioni in considerazione delle intervenute parifiche di rendiconti regionali relativi ad anni precedenti in cui era parimenti presente il capitolo di bilancio su cui la sezione rimettente appunta le sue riserve.

In tale contesto la difesa regionale afferma che il rimettente avrebbe dovuto motivare perché abbia dubitato della legittimità costituzionale di una disposizione rimasta sostanzialmente invariata dal 2011, sin qui mai fatta oggetto di rilievo e i cui oneri finanziari si sono significativamente ridotti e tendono a esaurirsi per la riduzione della platea dei percettori.

L’eccezione non è fondata.

L’insistito richiamo all’affidamento che la Regione ha posto nelle precedenti pronunce di parifica sembra adombrare la formazione di una sorta di acquiescenza che precluderebbe alla sezione di controllo stessa di sollevare la questione di legittimità costituzionale in esame.

In questa prospettiva, i precedenti giudizi di parificazione conferirebbero dunque certezza non solo ai rendiconti parificati relativi agli specifici esercizi finanziari, ma sottrarrebbero a successivi vagli la previsione di spesa già passibile di valutazione in occasione dei precedenti giudizi di parificazione.

A ben vedere, la prospettazione della difesa regionale condurrebbe a configurare il giudizio di parificazione del rendiconto regionale come un unicum tra i giudizi incidentali.

Ne risulterebbe fortemente depotenziata la funzione attribuita alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti di sollevare in tale occasione questioni di legittimità costituzionale volte a verificare il rispetto di parametri costituzionali da parte di disposizioni normative produttive di spese a carico della finanza regionale, allo scopo di tutelare la stabilità finanziaria degli enti controllati.

Questa Corte ha più volte rimarcato (ex plurimis, sentenze n. 146 e n. 18 del 2019, n. 196 del 2018) l’importanza di tale funzione per evitare che si possa creare una “zona franca” nel sistema di giustizia costituzionale relativamente a norme di spesa che incidono sui beni della finanza pubblica, presidiati dai precetti costituzionali, rispetto ai quali si configurino interessi adespoti.

Del resto, la tesi della difesa regionale è confutata dai numerosi precedenti in materia, come la richiamata sentenza n. 196 del 2018, concernente fattispecie assimilabile a quella oggi esaminata, e la stessa sentenza n. 244 del 2020, richiamata dalla resistente, che ha escluso un effetto preclusivo ad opera di precedenti giudizi di parifica di rendiconti regionali comprensivi della stessa voce di spesa.

3.3.– Non è parimenti fondata nemmeno l’eccezione di difetto di motivazione delle censure, con specifico riferimento a quelle relative alla violazione degli artt. 81, terzo comma, e 97, primo comma, Cost.

Come già si è rilevato, la Sezione rimettente ha correttamente ravvisato la correlazione funzionale tra la dedotta lesione ad opera della disposizione censurata della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile e i parametri finanziari di cui agli artt. 81 e 97 Cost. Ha, difatti, argomentato che la pur risalente disposizione regionale censurata esplica la propria efficacia anche nell’esercizio finanziario 2020, oggetto del giudizio di parifica, poiché incide sui risultati finanziari finali e, conseguentemente, sul rendiconto regionale, determinando un effetto incrementale della spesa regionale per effetto del trattamento retributivo previsto per il personale inserito nell’area quadri che non avrebbe altrimenti titolo a essere corrisposto.

3.3.1.– Non è, pertanto, nemmeno possibile ravvisare la asserita carenza di motivazione della censura sollevata in riferimento all’art. 97, primo comma, Cost., dato che nella specifica fattispecie la lesione dei parametri finanziari è prospettata in termini di correlazione funzionale alla violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, in coerenza con quanto enunciato sul punto da questa Corte.

3.4.– È invece fondata l’eccezione di inammissibilità della censura relativa all’art. 117, terzo comma, Cost., per assenza di adeguata argomentazione.

Invero il rimettente non individua gli specifici principi di coordinamento della finanza pubblica che sarebbero concretamente violati dalla disposizione censurata né gli eventuali parametri interposti, limitandosi ad affermare in modo generico e tautologico che la disposizione regionale determina una spesa che, nel superare i limiti posti dalla legislazione statale, lede perciò stesso obiettivi di finanza pubblica.

Va, pertanto, dichiarata la inammissibilità della questione in riferimento alla dedotta violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

4.– Nel merito la questione è fondata in riferimento agli artt. 81, quarto comma (attuale terzo comma), e 117, secondo comma, lettera l), Cost.

La Sezione rimettente, infatti, individua correttamente la violazione di entrambi tali parametri da parte della disposizione censurata.

4.1.– Nel ricondurre costantemente la disciplina del rapporto di lavoro del pubblico impiego “privatizzato”, ovvero, più propriamente “contrattualizzato”, compreso quello dei dipendenti regionali, alla materia dell’ordinamento civile, in relazione ai parametri interposti costituiti dalle disposizioni recate dal d.lgs. n. 165 del 2001 (artt. 2, 40 e 45), questa Corte ha evidenziato la funzione che queste assegnano alla autonomia collettiva, definendo il rapporto tra i livelli della contrattazione e assegnando a quella integrativa la determinazione del trattamento economico accessorio nel rispetto dei limiti e vincoli previsti dal CCNL.

4.1.1.– Già l’istituzione, ad opera della disposizione censurata, di un’apposita area quadri si configura, non solo in termini meramente lessicali ma anche sotto il profilo sostanziale, come lesiva delle prerogative così assegnate dal legislatore statale alla contrattazione collettiva nazionale, cui sola compete la definizione del sistema di classificazione del personale.

In proposito occorre ricordare che la Corte di cassazione ha del resto escluso che nel pubblico impiego contrattualizzato possa trovare applicazione l’art. 2095 del codice civile come modificato dalla legge n. 190 del 1985 che, nel sostituire il primo comma del predetto articolo del codice civile, ha inserito tra i prestatori di lavoro subordinato i “quadri” intermedi.

In particolare, la Corte di cassazione, sezione lavoro, con la sentenza 5 luglio 2005, n. 14193 ha affermato che «l’art. 2095 c.c. non è applicabile al rapporto di lavoro pubblico contrattuale, come disciplinato dal corpus normativo delle disposizioni raccolte» nel d.lgs. n. 165 del 2001, in quanto tale rapporto è connotato da principi e regole fortemente derogatorie rispetto al regime giuridico del comune rapporto di lavoro subordinato, tra le quali la specialità del sistema delle fonti con particolare riguardo al ruolo assegnato al contratto collettivo, cui è demandata la classificazione del personale.

Il Giudice di legittimità ha evidenziato che nel settore del lavoro pubblico il legislatore statale detta regole peculiari solo per la categoria dei dirigenti, mentre per il restante personale la competenza attribuita alla contrattazione collettiva appare piena, e, in proposito, ha richiamato quanto previsto dell’art. 40, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, secondo cui «[p]er le figure professionali che, in posizione di elevata responsabilità, svolgono compiti di direzione o che comportano iscrizioni ad albi oppure tecnico scientifici o di ricerca, sono stabilite discipline distinte nell’ambito dei contratti collettivi di comparto».

Il predetto indirizzo giurisprudenziale ha poi trovato definitivo consolidamento con numerose pronunce (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 9 marzo 2009, n. 5651 e 6 marzo 2008, n. 6063), nelle quali viene ribadito che le norme del d.lgs. n. 165 del 2001 costituiscono lo «“statuto” del lavoro contrattuale alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni». In tal senso viene anche richiamato l’art. 52 del predetto decreto legislativo, dove, in tema di mansioni, compare il riferimento esclusivo alla «classificazione professionale prevista dai contratti collettivi».

Occorre osservare che, per rispondere, nel settore del lavoro pubblico, a mansioni analoghe a quelle ricoperte dai “quadri intermedi” nel settore privato, la contrattazione collettiva non ha peraltro provveduto a configurare la categoria dei “quadri”, ma, ha invece individuato e definito incarichi di elevata professionalità e responsabilità da assegnare ai dipendenti in possesso di determinati requisiti. Si tratta delle “posizioni organizzative” ricordate dallo stesso rimettente e, nei più recenti sviluppi della contrattazione dei comparti del settore pubblico, delle aree, configurate nell’ambito del sistema di classificazione del personale, delle “elevate professionalità” e di “elevata qualificazione”, previste, rispettivamente, nel comparto Funzioni centrali dal CCNL per il triennio 2019-2021, stipulato il 9 maggio 2022, e nel comparto funzioni locali dall’ipotesi di contratto collettivo, sottoscritta il 4 agosto 2022, in via di definizione.

Si tratta comunque di incarichi, caratterizzati dalla transitorietà e revocabilità, e non del riconoscimento in via permanente di una qualifica o del definitivo inserimento in una specifica categoria di lavoratori subordinati nell’ambito del pubblico impiego, come invece previsto dalla disposizione regionale censurata.

Va rilevato, poi, che la normativa statale che attribuiva alla autonomia collettiva la disciplina della materia in esame era già operante all’epoca della emanazione dell’intervento normativo scrutinato.

Sia alla data di emanazione dell’art. 11 della legge reg. Molise n. 6 del 2002, che ha introdotto la disposizione censurata nella legge reg. Molise n. 7 del 1997, sia all’atto della radicale novella recata dalla legge reg. Molise n. 30 del 2005, che ha sostanzialmente delineato la disciplina normativa nei termini tuttora vigenti, l’art. 40 del d.lgs. n. 165 del 2001 stabiliva in modo inequivoco la competenza della contrattazione collettiva a definire il sistema di classificazione del personale e le relative aree contrattuali.

4.1.2.– Nell’ottica propria della natura e funzione del giudizio di parificazione del rendiconto regionale, ciò che specificamente rileva nell’odierna questione di legittimità costituzionale sono le prescrizioni della disposizione censurata concernenti il riconoscimento al personale regionale inserito nell’area quadri di una apposita indennità retributiva, poiché sono tali previsioni in materia di trattamento economico che determinano la lesione dei parametri finanziari dedotta dalla sezione di controllo rimettente.

L’attribuzione alla contrattazione collettiva della disciplina della retribuzione nel rapporto di lavoro pubblico costituisce indubbiamente principio ispiratore e conformativo della riforma del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, avviata dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle Amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) e sistematizzata con il d.lgs. n. 165 del 2001.

L’esercizio di tale funzione regolatoria da parte dell’autonomia collettiva, nel contrastare fenomeni sperequativi tra i diversi settori della pubblica amministrazione, è funzionale sia ad un incisivo controllo delle dinamiche del costo del lavoro pubblico, sia ad una più efficiente e tendenzialmente unitaria gestione del personale nei vari settori, disciplinando i possibili percorsi di mobilità del personale (intercompartimentale, passaggio diretto tra amministrazioni diverse, gestione delle eccedenze e del personale in mobilità).

Risulta, pertanto, evidente che l’introduzione e la disciplina da parte della disposizione censurata di un’indennità per il personale interessato, che si colloca fuori dalle previsioni della contrattazione collettiva, collidano di per sé con la disciplina del rapporto di pubblico impiego come definita dal legislatore statale nell’esercizio della sua competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento civile (ex plurimis, sentenza n. 232 del 2019).

A tal fine risulta ininfluente la considerazione della difesa regionale secondo cui l’indennità di cui trattasi rispetterebbe i principi di cui al d.lgs. n. 165 del 2001, poiché il vulnus costituzionale è costituito proprio dall’essere il legislatore regionale intervenuto in materia di trattamento economico di competenza della autonomia collettiva.

5.– In definitiva, attesa l’analogia delle questioni correttamente rilevata dalla Sezione rimettente, nella fattispecie trova applicazione quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 196 del 2018: l’intervento regionale scrutinato lede l’art. 81, quarto comma, Cost. (ora terzo comma), poiché introduce una voce di spesa per il personale a carico della finanza regionale avvenuta senza il necessario fondamento nella contrattazione collettiva e in violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, con conseguente incidenza sull’equilibrio finanziario dell’ente (sentenza n. 112 del 2020) e lesione dei criteri dettati dall’ordinamento ai fini della corretta gestione della finanza pubblica allargata (sentenza n. 138 del 2019).

6.– Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 29-bis della legge reg. Molise n. 7 del 1997 per violazione degli artt. 81, quarto comma (ora terzo comma), e 117, secondo comma, lettera l), Cost.

Resta assorbita la censura relativa alla lesione dell’art. 97, primo comma, Cost.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 29-bis della legge della Regione Molise 8 aprile 1997, n. 7 (Norme sulla riorganizzazione dell’amministrazione regionale secondo i principi stabiliti dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29);

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29-bis della legge reg. Molise n. 7 del 1997 sollevata, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Molise, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 ottobre 2022.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Giulio PROSPERETTI, Redattore

Igor DI BERNARDINI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 dicembre 2022.