SENTENZA N. 247
ANNO 2021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giancarlo CORAGGIO; Giudici:
Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 2, della legge della Regione Basilicata 30 dicembre 2017, n. 39 (Disposizioni in materia di scadenza di termini legislativi e nei vari settori di intervento della Regione Basilicata), promosso dalla Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Basilicata, nel giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Basilicata, per l’esercizio finanziario 2018, con ordinanza del 24 settembre 2020, iscritta al n. 31 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2021.
Visto l’atto di costituzione della Regione Basilicata;
udito nell’udienza pubblica del 23 novembre 2021 il Presidente Giancarlo Coraggio, il quale, sentito il Giudice relatore Angelo Buscema, dispone che sia omessa la relazione;
deliberato nella camera di consiglio del 23 novembre 2021.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza iscritta al reg. n. 31 del 2021, la Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Basilicata, nel corso del giudizio di parificazione del rendiconto della medesima Regione per l’esercizio finanziario 2018, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 2, della legge della Regione Basilicata 30 dicembre 2017, n. 39 (Disposizioni in materia di scadenza di termini legislativi e nei vari settori di intervento della Regione Basilicata), in riferimento agli artt. 81, 97, primo comma, e 117, terzo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 1, commi 557 e seguenti della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)».
Ai sensi dell’art. 5, comma 2, della legge reg. Basilicata n. 39 del 2017, «la quota aggiuntiva di spesa di personale connessa alla mobilità in entrata del personale a tempo indeterminato del soppresso ruolo speciale ad esaurimento, non rileva ai fini delle disposizioni di cui all’articolo 1, commi 557 e 562, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e successive modificazioni e integrazioni, e all’articolo 76, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni e integrazioni, nello stretto limite delle risorse riconducibili alla copertura della spesa già sostenuta per tali dipendenti dagli enti di provenienza».
1.1.– Il giudice rimettente premette in fatto che il risultato di amministrazione del rendiconto 2018 avrebbe registrato un disavanzo pari a euro 22.270.848,97, con una tendenza al peggioramento, essendo previsto per il 2019 un disavanzo pari a euro 46.851.307,46, dati che confermerebbero la «fragilità» della tenuta degli equilibri di bilancio della Regione Basilicata, già oggetto di riscontro da parte della medesima sezione regionale di controllo nel corso dei giudizi di parificazione dei rendiconti relativi agli esercizi 2015, 2016 e 2017 (sono richiamate le decisioni della Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Basilicata, n. 45 del 2016 e n. 73 del 2017 sul giudizio di parifica del rendiconto 2015, n. 33 del 2018 sul rendiconto 2016, n. 57 del 2019 sul rendiconto 2017 e n. 42 del 2020 sul rendiconto 2018).
Nonostante la presenza di tale disavanzo, il bilancio regionale avrebbe registrato, almeno dal 2015, un progressivo e costante aumento della spesa per il personale, passando da circa 55,9 milioni di euro nel 2015, a circa 72 milioni di euro nel 2018, in violazione dei vincoli di spesa di cui ai commi 557 e seguenti dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006.
Osserva il rimettente che dal «Prospetto dimostrativo del rispetto delle disposizioni di cui all’art. 1, comma 557, della legge 296/2006» – trasmesso dalla Regione Basilicata alla sezione di controllo (nota 5616/12A2 del 14 gennaio 2020) – lo sforamento del vincolo di spesa previsto dal menzionato parametro interposto per l’esercizio 2018 risulterebbe pari a euro 36.647. A parere del rimettente, però, tale sforamento sarebbe sottostimato, poiché la Regione avrebbe in realtà sostenuto spese per il personale per importi ben superiori, benché, per effetto di «eccentriche costruzioni dei parametri di calcolo», tali importi siano stati espunti dal calcolo complessivo.
All’importo indicato, pari ad euro 36.647, si dovrebbe, infatti, aggiungere anche la somma di euro 1.000.867, sostenuta a titolo di contributi per il personale contrattualizzato dai gruppi consiliari, nonché euro 5.911.123,32, corrispondente agli oneri sostenuti per il personale delle ex Comunità montane.
L’amministrazione regionale avrebbe escluso il primo importo, relativo ai gruppi consiliari, ai sensi dell’art. 10, comma 11, della legge Regione Basilicata 2 febbraio 1998, n. 8 (Nuova disciplina delle strutture di assistenza agli organi di direzione politica ed ai Gruppi Consiliari della Regione Basilicata). Tale operazione è stata criticata dal giudice rimettente, poiché dalla lettura testuale e sistematica della richiamata normativa regionale non emergerebbe alcun elemento volto a suffragare l’esclusione di tali voci dall’aggregato regionale.
L’esclusione delle spese relative al personale delle ex Comunità montane, invece, sarebbe la conseguenza della espressa deroga prevista dall’art. 5, comma 2, della legge reg. Basilicata n. 39 del 2017, su cui la sezione regionale ha manifestato dubbi di legittimità costituzionale.
Alla luce di quanto osservato, la Corte dei conti ha sospeso il giudizio di parifica con riferimento alla parte del risultato di amministrazione del rendiconto 2018, rispetto al quale ritiene siano state contabilizzate spese di personale sostenute in violazione del richiamato parametro interposto, e ha conseguentemente sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 2, della legge reg. Basilicata n. 39 del 2017 per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. nonché «per ridondanza del vizio» sugli artt. 81 e 97, primo comma, Cost.
1.2.– Quanto alla propria legittimazione a sollevare questione di legittimità costituzionale nel corso del giudizio di parificazione del rendiconto della Regione, il giudice rimettente evoca «[l’]ormai pacifica» giurisprudenza di questa Corte sul carattere giurisdizionale dell’attività svolta dalle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti nei giudizi di parificazione (sono citate le sentenze n. 112 del 2020, n. 146 e n. 138 del 2019, n. 196 del 2018 e n. 89 del 2017).
La verifica dell’assenza di irregolarità ovvero di illegittimità suscettibili di pregiudicare, anche in prospettiva, gli equilibri economico-finanziari del bilancio regionale rappresenterebbe il parametro portante dei controlli svolti dalla Corte dei conti nell’ambito del richiamato giudizio.
Osserva il giudice a quo che il perimetro di tale controllo, oltre a comprendere i parametri costituzionali a tutela della sana gestione finanziaria del bilancio – ossia gli artt. 81, 97 e 119 Cost. – comprenderebbe anche i principi sul riparto di competenze Stato-Regioni, che ne costituirebbero «l’indefettibile parametro-presupposto», ossia l’art. 117 Cost., poiché al di fuori della propria competenza, «la Regione manca per definizione della prerogativa di allocare risorse. Pertanto, in tali materie, non vi è intervento regionale produttivo di spesa che non si traduca immediatamente nell’alterazione dei criteri dettati dall’ordinamento ai fini della sana gestione della finanza pubblica allargata» (è citata la sentenza di questa Corte n. 196 del 2018).
Con riferimento al caso di specie, la Corte rimettente sostiene che la competenza dello Stato a fissare i principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., rappresenterebbe uno strumento necessario per assicurare l’unità economica e finanziaria della Repubblica, nonché il rispetto degli impegni assunti anche a livello sovranazionale «a tutela della sostenibilità attuale e prospettica degli equilibri di bilancio».
In questa prospettiva, i vincoli alla spesa per il personale sarebbero strategici ai fini del conseguimento degli equilibri sostanziali del bilancio pubblico consolidato, e pertanto sarebbero inderogabili, salvo i casi in cui sia «lo stesso legislatore nazionale a rimodularne gli ambiti ovvero ad abrogarne l’efficacia» (è citata la sentenza n. 54 del 2014).
1.3.– In punto di rilevanza, osserva il giudice rimettente che la legge sospettata di illegittimità costituzionale avrebbe gravato il sistema di bilancio regionale con oneri «sostenuti “in deroga” ai vincoli di spesa» di cui ai commi 557 e seguenti dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006. Tali spese avrebbero sottratto risorse al sistema finanziario regionale, erodendone la capacità di spesa effettiva.
In mancanza di sospensione del giudizio di parificazione per promovimento delle presenti questioni di legittimità costituzionale, la Sezione regionale rimettente avrebbe dovuto parificare – ossia certificare la legittimità di – un risultato di amministrazione che registra spese ritenute illegittime, per contrasto con il più volte evocato parametro interposto, con conseguente ripercussione sugli equilibri complessivi di bilancio, peraltro in una situazione di riscontrata fragilità complessiva.
Il sollevamento della questione di legittimità costituzionale rappresenterebbe in quest’ottica un dovere della stessa Sezione regionale, ai sensi delle funzioni che le sarebbero affidate dagli artt. 100, secondo comma, e 103, secondo comma, Cost.; nonché dall’art. 1, commi 1 e 5, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito, con modificazioni, nella legge 7 dicembre 2012, n. 213, ai sensi dei quali la Corte dei conti nel giudizio di parifica contribuisce a «rafforzare il coordinamento della finanza pubblica, in particolare tra i livelli di governo statale e regionale, e [a] garantire il rispetto dei vincoli finanziari derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea», specie nell’ambito del giudizio di parificazione dei rendiconti regionali, in cui la magistratura contabile effettua un controllo sulla regolarità e legittimità della gestione finanziaria dell’esercizio (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 138 del 2019).
1.4.– In punto di non manifesta infondatezza, la Corte rimettente ripercorre l’evoluzione normativa della soppressione delle Comunità montane in Basilicata, intervenuta ai sensi dell’art. 23, comma 7, della legge Regione Basilicata 30 dicembre 2010, n. 33 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione annuale e pluriennale della Regione Basilicata. Legge finanziaria 2011).
In proposito, la Corte dei conti osserva che dal 1° maggio 2012 al 31 dicembre 2017 il personale delle ex Comunità montane avrebbe dovuto essere collocato in un «Ruolo speciale ad esaurimento», ai sensi dell’art. 28 della legge Regione Basilicata 4 agosto 2011, n. 17 (Assestamento del bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2011 e del bilancio pluriennale per il triennio 2011-2013). Contestualmente, ai sensi dell’art. 36 della legge Regione Basilicata 8 agosto 2012, n. 16 (Assestamento del bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2012 e del bilancio pluriennale per il triennio 2012/2014), avrebbe dovuto essere approvato un piano di mobilità per la definitiva ripartizione del personale a tempo indeterminato delle soppresse Comunità montane nelle dotazioni organiche dei Comuni convenzionalmente aderenti nell’Area programma, poi confluite nelle costituende Unioni di Comuni. Le risorse destinate al trattamento economico fondamentale avrebbero dovuto essere trasferite dalla Regione alle Aree programma (nonché alle Unioni di Comuni) destinatarie della mobilità in entrata del personale a tempo indeterminato delle ex Comunità montane.
Questo progetto però, ad avviso del rimettente, non si sarebbe mai realizzato e, per effetto della norma censurata, il legislatore lucano avrebbe previsto, a decorrere dal 1° gennaio 2018, la riassunzione in capo alla Regione delle funzioni delegate a seguito della soppressione delle Comunità montane e la cessazione del menzionato ruolo speciale ad esaurimento.
Tale trasferimento avrebbe comportato la rideterminazione della dotazione organica della Regione, il riassorbimento del personale con qualifica dirigenziale a valere sulle posizioni vacanti del ruolo unico regionale, nonché l’ampliamento del fondo per la contrattazione decentrata del personale della Regione con le risorse destinate al personale collocato nell’albo speciale.
Infine, quanto all’originaria gestione “extra-vincoli finanziari” (di cui al ruolo speciale ad esaurimento) delle correlate spese (anomalia oggetto di numerosi rilievi da parte della medesima sezione regionale, fin dal primo giudizio sulla parificazione del rendiconto 2012), la Regione avrebbe portato tale deroga a sistema, prevedendo, con il censurato comma 2 dell’art. 5 della legge reg. Basilicata n. 39 del 2017, che la quota aggiuntiva di spesa di personale, connessa alla mobilità in entrata del personale a tempo indeterminato del soppresso ruolo speciale ad esaurimento, non rilevi ai fini dei limiti di cui al più volte richiamato parametro interposto.
Rileva il rimettente, peraltro, che la normativa censurata sembrerebbe limitare il quantum della deroga alle «risorse riconducibili alla copertura della spesa già sostenuta per tali dipendenti dagli enti di provenienza» (è riportato l’ultimo periodo del censurato art. 5, comma 2), come se il trasferimento del personale fosse intervenuto tra enti sottoposti a medesimi vincoli e, pertanto, la mobilità in entrata fosse neutra per il bilancio regionale.
In realtà, nella fattispecie in esame, gli enti di provenienza sarebbero stati soppressi e il ruolo speciale ad esaurimento non sarebbe mai esistito come autonomo soggetto giuridico. Pertanto, osserva la Sezione regionale, tale ruolo speciale avrebbe rappresentato esclusivamente un «escamotage contabile per rendicontare separatamente (rispetto all’aggregato della spesa di personale) gli oneri di personale ex Comunità montane sostenuti a valere sul bilancio regionale, nel periodo 2012-2017, senza mai essere inclusi nel perimetro di rilevanza dei vincoli di cui ai commi 557 e ss. dell’art. 1 della legge 296/2006».
Il combinato disposto dei richiamati commi 557 e 557-quater detterebbe un preciso vincolo di coordinamento della finanza pubblica, consistente nella riduzione della spesa da assicurare nell’ambito della programmazione triennale dei fabbisogni del personale, con riferimento al valore medio della spesa di personale sostenuta nel triennio 2011-2013.
Secondo la Sezione regionale, l’assorbimento nei ruoli regionali del personale delle ex Comunità montane avrebbe comportato la lievitazione della spesa, con conseguente mancato rispetto dell’obbligo di assicurare il plafond di spesa del triennio 2011-2013.
Complessivamente, l’aggregato della spesa di personale sostenuta in violazione dei suddetti vincoli finanziari ammonterebbe a 6.948.636 euro (comprensivi delle spese per i gruppi consiliari e per il personale delle ex Comunità montane). Tali spese “extra vincolo” avrebbero eroso la capacità di spesa effettiva della Regione, pregiudicando gli equilibri di bilancio e la sostenibilità prospettica delle scelte allocative, nella misura in cui le risorse, in luogo di essere utilizzate a copertura degli asseriti oneri illegittimi, avrebbero potuto concorrere al miglioramento della situazione di disavanzo cronico registrato dall’Ente a decorrere dal 2016.
Il danno al bilancio – sostiene il giudice a quo – sarebbe pertanto duplice, configurandosi sia in termini di aggravio di oneri che in termini di erosione di risorse, in entrambi i casi in assenza di legittima copertura normativa. Sarebbe conseguentemente evidente «l’inscindibile correlazione funzionale» tra rispetto del riparto competenziale, violazione dei vincoli finanziari e tutela degli equilibri di bilancio anche prospettici (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 143 del 2020).
La disposizione censurata sarebbe infine insuscettibile di interpretazione costituzionalmente orientata, poiché dal tenore letterale emergerebbe la chiara e univoca volontà del legislatore regionale di escludere dal perimetro di rilevanza dei vincoli di cui al comma 557 e seguenti gli oneri per la spesa di personale ex Comunità montane trasferito nei ruoli regionali.
1.5.– La Sezione regionale, pertanto, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 2, della legge reg. n. 39 del 2017, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione ai parametri interposti costituiti dai commi 557 e seguenti (viene in particolare indicato il comma 557-quater) dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006, nonché per ridondanza del vizio, in riferimento agli artt. 81 e 97, primo comma, Cost., stante la intrinseca correlazione teleologico-funzionale di tutti i menzionati principi costituzionali e correlati parametri interposti, ai fini della tutela degli equilibri del bilancio regionale e, di riflesso, della finanza pubblica allargata.
2.– Con memoria depositata il 2 aprile 2021, si è costituita in giudizio la Regione Basilicata, rappresentata e difesa dall’avvocatura regionale, sostenendo la «manifesta infondatezza» delle questioni sollevate con l’ordinanza in epigrafe.
Dopo aver ricostruito l’evoluzione normativa del processo di soppressione e riordino delle 14 Comunità montane della Regione Basilicata, confluite in 7 Aree programma a scala locale, la difesa regionale evidenzia che l’immissione nei ruoli organici regionali del personale di cui al ruolo speciale ad esaurimento, proveniente dalle disciolte Comunità montane, sarebbe connessa alla parallela riallocazione in capo alla Regione di tutte le funzioni prima intestate alle medesime Comunità e poi delegate alle indicate Aree programma. L’immissione del personale ex Comunità montane nei ruoli regionali configurerebbe pertanto una semplice ipotesi di riorganizzazione dell’ente pubblico, rientrante nelle competenze residuali regionali.
La censurata disposizione regionale, in quest’ottica, intendendo fare salvi i rapporti di lavoro a tempo indeterminato in essere con le medesime Comunità montane, avrebbe previsto «l’irrilevanza finanziaria» dei limiti alle assunzioni e alla spesa di personale previste per gli enti locali, stante la invarianza dei saldi di finanza pubblica all’interno del comparto regionale.
Secondo la difesa regionale, infatti, l’irrilevanza finanziaria discenderebbe dalla peculiare natura della fattispecie in esame, in cui l’ente cedente è destinato ad essere soppresso e le risorse impiegate per la copertura della spesa corrispondono a quanto già sostenuto dalla Regione per i dipendenti delle originarie Comunità montane (ossia i trasferimenti ordinari della Regione alle Comunità montane). Pertanto, la normativa censurata avrebbe quale unico obiettivo quello di «sterilizzare gli effetti del riordino e della soppressione delle comunità montane, evitando di porre a carico degli enti subentranti i conseguenti effetti di spesa».
A sostegno di questa ricostruzione, la difesa regionale evoca norme non dissimili di altre Regioni che disporrebbero analogamente in materia, prevedendo la non rilevanza dei limiti di spesa per il personale regionalizzato delle ex Comunità montane; segnatamente, sono citati: la legge della Regione Emilia-Romagna 21 dicembre 2012, n. 21 (Misure per assicurare il Governo territoriale delle funzioni amministrative secondo i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza) (art. 18); l’art. 18 (recte: art. 10) della legge della Regione Liguria 12 aprile 2011, n. 7 (Disciplina di riordino e razionalizzazione delle funzioni svolte dalle Comunità montane soppresse e norme di attuazione per la liquidazione); l’art. 18 della legge della Regione Piemonte 28 settembre 2012, n. 11 (Disposizioni organiche in materia di enti locali).
Le questioni sarebbero manifestamente infondate poiché la ratio della disposizione censurata non sarebbe di derogare a un principio di coordinamento della finanza pubblica, bensì di prevedere una «gestione separata del personale citato».
Sostiene la difesa regionale che le norme statali di riordino delle Comunità montane, peraltro, costituirebbero già di per sé principi di coordinamento della finanza pubblica, che tuttavia porrebbero obiettivi di contenimento della spesa assai inferiori a quelli che la medesima Regione avrebbe conseguito, pur facendo salvi i rapporti di lavoro a tempo indeterminato in essere a quella data, che sarebbero stati collocati nel ruolo speciale ad esaurimento per questa ragione. In conseguenza del riordino della materia, tale voce si sarebbe nondimeno contenuta entro il valore medio di spesa del triennio 2011-2013.
Infine, la Regione asserisce che, nella denegata ipotesi in cui si ritenesse che anche la spesa per il personale delle ex Comunità montane debba essere ricondotta nella spesa di personale della Regione – con le relative conseguenze in termini di sottoposizione ai vincoli di finanza pubblica – occorrerebbe computare nell’ambito della spesa di personale della Regione del triennio 2011-2013 anche la spesa effettivamente sostenuta per il personale ex Comunità montane per il medesimo periodo [sotto la voce “trasferimenti”]. È richiamato in proposito il parere della Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Veneto, n. 80 del 2009, in cui si affermerebbe che anche le spese sostenute in quota parte dall’ente per l’utilizzo di personale di altre amministrazioni devono essere computate tra le spese del personale.
Considerato in diritto
1.– Con ordinanza iscritta al reg. n. 31 del 2021, la Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Basilicata, nel corso del giudizio di parificazione del rendiconto della medesima Regione per l’esercizio finanziario 2018, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 2, della legge della Regione Basilicata 30 dicembre 2017, n. 39 (Disposizioni in materia di scadenza di termini legislativi e nei vari settori di intervento della Regione Basilicata), in riferimento agli artt. 81, 97, primo comma, e 117, terzo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 1, commi 557 e seguenti, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)».
Ai sensi dell’art. 5, comma 2, della legge reg. Basilicata n. 39 del 2017, «la quota aggiuntiva di spesa di personale connessa alla mobilità in entrata del personale a tempo indeterminato del soppresso ruolo speciale ad esaurimento, non rileva ai fini delle disposizioni di cui all’articolo 1, commi 557 e 562, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e successive modificazioni e integrazioni, e all’articolo 76, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni e integrazioni, nello stretto limite delle risorse riconducibili alla copertura della spesa già sostenuta per tali dipendenti dagli enti di provenienza».
1.2.– Sostiene il giudice a quo che nell’esercizio 2018 la Regione avrebbe sostenuto spese per il personale per importi maggiori di quelli indicati nel «Prospetto dimostrativo del rispetto delle disposizioni di cui all’art. 1, comma 557, della legge 296/2006» e che, tuttavia, per effetto di «eccentriche costruzioni» contabili, tali spese sarebbero state espunte dal calcolo complessivo.
All’importo indicato, pari a euro 36.647, si dovrebbe, infatti, aggiungere anche la somma di euro 5.911.123,32, relativa agli oneri per il personale delle ex Comunità montane. L’amministrazione regionale avrebbe però escluso dal computo le menzionate spese in conseguenza dell’espressa deroga prevista dal censurato art. 5, comma 2, della legge reg. Basilicata n. 39 del 2017.
Alla luce di quanto osservato, la Corte dei conti ha sospeso il giudizio di parificazione con riferimento alla parte del risultato di amministrazione del rendiconto 2018, rispetto al quale ritiene siano state contabilizzate spese di personale sostenute in violazione del richiamato parametro interposto, e ha conseguentemente sollevato le descritte questioni di legittimità costituzionale.
2.– Preliminarmente, deve riconoscersi la legittimazione del giudice a quo a sollevare le presenti questioni, poiché, come di recente ribadito da questa Corte, «la Corte dei conti, in sede di giudizio di parificazione del bilancio, è legittimata a promuovere questione di legittimità costituzionale avverso le disposizioni di legge che determinano, nell’articolazione e nella gestione del bilancio stesso, effetti non consentiti dai principi posti a tutela degli equilibri economico-finanziari e dagli altri precetti costituzionali, che custodiscono la sana gestione finanziaria» (ex plurimis, sentenza n. 89 del 2017; nello stesso senso, sentenza n. 196 del 2018), «giacché nella parifica del rendiconto regionale ricorrono integralmente tutte le condizioni per le quali è ammessa la possibilità di sollevare questione di legittimità costituzionale in via incidentale […] e la situazione è “analoga a quella in cui si trova un qualsiasi giudice (ordinario o speciale), allorché procede a raffrontare i fatti e gli atti dei quali deve giudicare alle leggi che li concernono” (sentenza n. 89 del 2017)» (sentenza n. 215 del 2021).
Tale legittimazione ricorre anche nei casi in cui la lesione dei precetti finanziari sia la conseguenza della violazione di parametri attinenti al riparto delle competenze, allorquando la suddetta invasione sia funzionalmente correlata alla violazione degli artt. 81 e 97, primo comma, Cost., per aver determinato un incremento delle poste passive del bilancio in riferimento al costo del personale (da ultimo, ancora sentenza n. 215 del 2021).
Nel presente giudizio, la Sezione regionale di controllo della Corte dei conti rimettente ha sollevato questioni di legittimità costituzionale per la violazione di limiti di spesa fissati da principi di coordinamento della finanza pubblica, sostenendo che tale sforamento – che comporta la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. – sia «funzionalmente correlato» alla lesione degli artt. 81 e 97, primo comma, Cost., in quanto destinato a riverberarsi anche sulla copertura delle spese e sull’equilibrio complessivo del bilancio regionale. Di qui, l’ammissibilità delle questioni.
3.– Sempre in via preliminare, deve rilevarsi d’ufficio che, sebbene il dispositivo dell’ordinanza censuri genericamente l’art. 5, comma 2, della legge reg. Basilicata n. 39 del 2017 che esclude le menzionate spese dai limiti di cui all’art. 1, commi 557 e 562, della legge n. 296 del 2006, e all’art. 76, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni e integrazioni – il rimettente evoca, quale parametro interposto, esclusivamente l’art. 1, «commi 557 e ss.», della legge n. 296 del 2006.
Più precisamente, dal corpo motivazionale e dall’intera ordinanza emerge che i limiti asseritamente violati sono quelli di cui al combinato disposto dei commi 557, 557-bis – che circoscrivono le voci di spesa per il personale da ridurre, includendovi «anche quelle sostenute per i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, per la somministrazione di lavoro, per il personale di cui all’art. 110 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), nonché per tutti i soggetti a vario titolo utilizzati, senza estinzione del rapporto di pubblico impiego, in strutture e organismi variamente denominati partecipati o comunque facenti capo all’ente» – e 557-quater, che stabilisce, per l’appunto, il tetto di spesa, dato dal «valore medio del triennio precedente alla data di entrata in vigore della presente disposizione», ossia, nel caso in esame, il triennio compreso fra il 2011 e il 2013. Va infine rilevato che l’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008, come convertito, è stato abrogato dall’art. 3, comma 5, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella legge 11 agosto 2014, n. 114, ossia in epoca precedente all’esercizio finanziario del 2018, a cui il giudizio di parificazione si riferisce.
Il thema decidendum deve pertanto essere circoscritto alla sola disposizione che, per le spese del personale delle ex Comunità montane confluito nel comparto regionale, esclude l’applicabilità dei limiti di cui all’art. 1, comma 557, come meglio precisati dai commi 557-bis e 557-quater, della legge n. 296 del 2006.
4.– Tanto premesso, le descritte questioni di legittimità costituzionale devono ritenersi ammissibili.
In punto di rilevanza, in particolare, questa Corte ha costantemente affermato che, «essenziale e sufficiente a conferire rilevanza alla questione prospettata è “che il giudice debba effettivamente applicare la disposizione della cui legittimità costituzionale dubita nel procedimento pendente avanti a sé (sentenza n. 253 del 2019) e che la pronuncia della Corte ‘influi[sca] sull’esercizio della funzione giurisdizionale, quantomeno sotto il profilo del percorso argomentativo che sostiene la decisione del processo principale (tra le molte, sentenza n. 28 del 2010)’ (sentenza n. 20 del 2016)” (sentenza n. 84 del 2021)» (sentenza n. 215 del 2021).
In proposito, il giudice a quo, con riferimento ai parametri finanziari sopra richiamati, ha sostenuto di dover necessariamente applicare la norma censurata – che esclude le spese del personale delle ex Comunità montane dal limite di cui all’art. 1, commi 557 e seguenti, della legge n. 296 del 2006 – nelle valutazioni funzionali alla parificazione del rendiconto generale della Regione. In particolare, la Corte rimettente ha osservato come l’esito della parifica relativa all’esercizio 2018 sia direttamente influenzato dalla disposizione censurata, in quanto, in applicazione della stessa, avrebbe dovuto parificare – ossia validare – un risultato di amministrazione che registra spese ritenute illegittime, per contrasto con il più volte evocato parametro interposto, con conseguente ripercussione sugli equilibri complessivi di bilancio, peraltro in una situazione di fragilità finanziaria complessiva.
5.– Esclusa, in base al tenore letterale della disposizione censurata, la possibilità di esperirne una interpretazione costituzionalmente orientata, ai fini della decisione del merito, occorre brevemente ricostruire il contesto normativo di riferimento sul riordino delle Comunità montane.
L’art. 2, comma 17, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)», aveva attribuito alle Regioni il compito di riordinare la disciplina delle Comunità montane presenti sui rispettivi territori attraverso la riduzione del loro numero, del numero dei componenti degli organi rappresentativi e delle loro indennità, allo scopo di ridurre di almeno un terzo la quota del Fondo ordinario con cui lo Stato finanziava le Comunità stesse. In seguito, l’art. 2, comma 187, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», aveva disposto l’abolizione del finanziamento statale, scelta peraltro giudicata in parte costituzionalmente illegittima (sentenza n. 326 del 2010).
Si tratta di disposizioni che hanno sostanzialmente condizionato la successiva legislazione regionale di disciplina delle Comunità montane, che sono state soppresse in quasi tutte le Regioni e trasformate, salvo poche eccezioni, in Unioni di Comuni montani o Unioni montane, mediante procedimenti di riordino e riduzione della spesa.
Con riferimento alla Regione Basilicata, dal 1° maggio 2012 al 31 dicembre 2017 il personale delle ex Comunità montane avrebbe dovuto essere collocato in un «Ruolo speciale ad esaurimento», ai sensi dell’art. 28 della legge della Regione Basilicata 4 agosto 2011, n. 17 (Assestamento del bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2011 e del bilancio pluriennale per il triennio 2011-2013). Contestualmente, ai sensi dell’art. 36 della legge della Regione Basilicata 8 agosto 2012, n. 16 (Assestamento del bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2012 e del bilancio pluriennale per il triennio 2012/2014), avrebbe dovuto essere approvato un piano di mobilità per la definitiva ripartizione del personale a tempo indeterminato delle soppresse Comunità montane nelle dotazioni organiche dei Comuni, convenzionalmente aderenti alle Aree programma, poi confluiti nelle costituende Unioni di Comuni. Le risorse destinate al trattamento economico fondamentale avrebbero dovuto essere trasferite dalla Regione alle Aree programma (nonché alle Unioni di Comuni) destinatarie della mobilità in entrata del personale a tempo indeterminato delle ex Comunità montane.
Questo progetto, però, non si è mai compiutamente realizzato e, per effetto della norma censurata, il legislatore lucano ha previsto, a decorrere dal 1° gennaio 2018, la riassunzione in capo alla Regione delle funzioni delegate a seguito della soppressione delle Comunità montane e il venir meno del menzionato ruolo speciale a esaurimento.
6.– Ciò posto, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 2, della legge reg. Basilicata n. 39 del 2017 in riferimento agli artt. 81, 97, primo comma, e 117, terzo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1, commi 557, 557-bis e 557-quater, della legge n. 296 del 2006, sono fondate.
6.1.– Per costante giurisprudenza di questa Corte, le disposizioni evocate a parametro interposto rappresentano principi di coordinamento della finanza pubblica che dettano sia limiti alla spesa per il personale degli enti territoriali, sia limiti di assunzione (ex plurimis, sentenza n. 269 del 2014). Le indicate norme interposte essendo «ispirate alla finalità del contenimento della spesa pubblica» (sentenza n. 289 del 2013), si qualificano come «principi generali di coordinamento della finanza pubblica» (sentenza n. 27 del 2014) che tutti gli enti devono osservare, in quanto diretti «ad assicurare il rispetto dei limiti di spesa mediante la previsione di sanzioni nel caso di inosservanza delle prescrizioni di contenimento» (sentenza n. 148 del 2012).
Va poi precisato che i commi da 557 a 557-quater sono rivolti agli enti sottoposti al patto di stabilità interno (ora sostituito dall’obbligo del saldo di bilancio non negativo) e impongono, per ciascun esercizio, di non superare, rispettivamente, la media della spesa del triennio 2011-2013, sommando tutte le spese di personale di competenza; in caso di mancata riduzione della spesa (comma 557), è previsto il divieto di assunzioni (comma 557-ter).
Quanto alla fattispecie in esame, essa non involge tanto il passaggio di personale fra enti, entrambi esistenti e ai quali continuerebbero ad applicarsi i rispettivi limiti di spesa, ma presuppone la soppressione dell’ente cedente e il successivo assorbimento del personale nel comparto regionale.
Questa Corte, nell’occuparsi del caso dell’assorbimento da parte dei Comuni del personale delle disciolte istituzioni di pubblica assistenza e beneficienza (IPAB), ha affermato che «[n]ella prospettiva della finanza pubblica allargata […] la presenza di enti già impegnati nel settore dei servizi sociali […] e per di più soggetti ad un riordino che ne determina l’integrazione funzionale a livello infraregionale, comporta la necessità di un coordinamento complessivo onde evitare che il riordino possa diventare occasione per il superamento di quei limiti di spesa di personale» (sentenza n. 161 del 2012). Con la stessa pronuncia si è pertanto, precisato che è la «natura finanziaria strutturale» dei principi di coordinamento della finanza pubblica che «induce a ritenere che agli stessi parametri sia soggetta la gestione delle IPAB, soprattutto nel momento transitorio del trapasso dalle vecchie Istituzioni alle nuove Aziende».
Peraltro, in altre circostanze, ma sempre inerenti alla concreta attuazione dei limiti di spesa per il personale, questa Corte ha ribadito che tali limiti devono applicarsi a tutte le voci del comparto, in forza della natura del rendiconto della Regione, in cui confluiscono tutte le spese sostenute dall’ente (sentenza n. 39 del 2014), «poiché anche esso costituisce un mero documento di sintesi ex post delle risultanze contabili della gestione finanziaria e patrimoniale dell’ente» (sentenza n. 235 del 2015). Di conseguenza, «non sono ammissibili deroghe ai princìpi di coordinamento della finanza pubblica, salvo quelle espressamente previste dal legislatore statale» (da ultimo, sentenza n. 215 del 2021).
Non coglie nel segno, pertanto, la difesa regionale quando, a sostegno della non fondatezza delle doglianze, osserva che l’operazione prevista dalla disposizione censurata sarebbe finanziariamente neutra, avendo la Regione sempre contribuito al finanziamento del personale delle ex Comunità montane, confluito a partire dal 2012 nel ruolo speciale ad esaurimento.
Benché la verifica operata sui relativi capitoli di bilancio (segnatamente, sul capitolo n. 36681) dimostri che la Regione ne ha effettivamente sostenuto il costo fin dal momento del riordino, il fatto che esso sia sempre stato escluso dal calcolo della spesa complessiva del personale corrobora la tesi sostenuta dal rimettente, ossia che tale ruolo speciale a esaurimento abbia rappresentato un espediente contabile, al fine di eludere i vincoli di spesa in materia di personale.
L’accoglimento della questione consente di far riemergere le voci di spesa che, per effetto del descritto meccanismo contabile, fin dal 2012 venivano escluse, e si riflette sugli esiti del giudizio di parificazione, poiché con riferimento all’esercizio finanziario 2018, la Regione Basilicata registra una maggiore violazione del vincolo di spesa di cui all’art. 1, comma 557, della legge n. 296 del 2006.
6.2.– La disposizione censurata, provocando una duplice espansione della spesa, sia in termini di aggravio di oneri, sia in termini di erosione di risorse – in entrambi i casi, in assenza di legittima copertura – determina anche la lesione degli artt. 81 e 97, primo comma, Cost., stante la correlazione funzionale tra riparto delle competenze, rispetto dei vincoli finanziari e tutela degli equilibri di bilancio (ex plurimis, sentenza n. 215 del 2021).
Come questa Corte ha recentemente affermato, infatti, «[l]a competenza dello Stato a fissare i principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., rappresenta uno strumento necessario per assicurare l’unità economica e finanziaria della Repubblica, nonché il rispetto degli impegni assunti anche a livello sovranazionale, a tutela della sostenibilità attuale e prospettica degli equilibri di bilancio. In quest’ottica, i vincoli alla spesa per il personale sono strategici ai fini del conseguimento degli equilibri sostanziali del bilancio pubblico consolidato e pertanto sono inderogabili, salvo i casi in cui sia lo stesso legislatore nazionale a rimodularne gli ambiti ovvero ad abrogarne l’efficacia (sentenza n. 54 del 2014)» (ancora sentenza n. 215 del 2021).
In definitiva, l’esclusione delle spese sostenute per il personale delle ex Comunità montane dai limiti di finanza pubblica stabiliti dallo Stato non solo viola il parametro di competenza di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., ma, incidendo sulla corretta copertura delle stesse, determina anche la lesione indiretta dei parametri finanziari di cui agli artt. 81 e 97, primo comma, Cost., mettendo a repentaglio il già fragile equilibrio del bilancio della Regione Basilicata.
Deve pertanto dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 2, della legge reg. Basilicata n. 39 del 2017, nella parte in cui esclude le spese per il personale delle soppresse Comunità montane dai limiti di cui all’art. 1, comma 557, della legge n. 296 del 2006, con conseguente violazione anche dei successivi commi 557-bis e 557-quater.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 2, della legge della Regione Basilicata 30 dicembre 2017, n. 39 (Disposizioni in materia di scadenza di termini legislativi e nei vari settori di intervento della Regione Basilicata), nella parte in cui prevede che la quota aggiuntiva di spesa di personale connessa alla mobilità in entrata del personale a tempo indeterminato del soppresso ruolo speciale ad esaurimento, non rileva ai fini delle disposizioni di cui all’art. 1, comma 557, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)» e successive modificazioni e integrazioni, nello stretto limite delle risorse riconducibili alla copertura della spesa già sostenuta per tali dipendenti dagli enti di provenienza.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 novembre 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Angelo BUSCEMA, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2021.