SENTENZA N. 215
ANNO 2021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giancarlo CORAGGIO
Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 40 della legge della Regione Abruzzo 10 agosto 2010, n. 40 (Testo unico delle norme sul trattamento economico spettante ai Consiglieri regionali e sulle spese generali di funzionamento dei gruppi consiliari), come sostituito dall’art. 32, comma 1, della legge della Regione Abruzzo 20 novembre 2013, n. 42 (Norme in materia di Polizia amministrativa locale e modifiche alla legge regionale n. 18/2001, alla legge regionale n. 40/2010 e alla legge regionale n. 68/2012), promossi dalla Corte dei conti, sezione regionale di controllo per l’Abruzzo, nel giudizio di parificazione del rendiconto della Regione Abruzzo per l’esercizio finanziario 2018, con ordinanze del 30 ottobre e del 30 novembre 2020, iscritte, rispettivamente, ai numeri 19 e 26 del registro ordinanze 2021 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 8 e 10, prima serie speciale, dell’anno 2021.
Visti gli atti di costituzione della Regione Abruzzo;
udito nell’udienza pubblica del 21 settembre 2021 il Giudice relatore Angelo Buscema;
udito l’avvocato Stefania Valeri per la Regione Abruzzo, in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 18 maggio 2021;
deliberato nella camera di consiglio del 21 ottobre 2021.
Ritenuto in fatto
1.– Con due ordinanze di contenuto coincidente, iscritte rispettivamente al reg. ord. n. 19 e n. 26 del 2021, la Corte dei conti, sezione regionale di controllo per l’Abruzzo, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 40 (recte: art. 40, comma 5) della legge della Regione Abruzzo 10 agosto 2010, n. 40 (Testo unico delle norme sul trattamento economico spettante ai Consiglieri regionali e sulle spese generali di funzionamento dei gruppi consiliari), come sostituito dall’art. 32, comma 1, della legge della Regione Abruzzo 20 novembre 2013, n. 42 (Norme in materia di Polizia amministrativa locale e modifiche alla legge regionale n. 18/2001, alla legge regionale n. 40/2010 e alla legge regionale n. 68/2012), in riferimento agli artt. 81, 97, primo comma, 117, terzo comma (quest’ultimo in relazione all’art. 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica», convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122) e 136 della Costituzione.
Ai sensi del comma 5 dell’art. 40 (Personale dei gruppi) della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2010 «[a]lle spese di cui al comma 1 non si applicano i limiti stabiliti dall’articolo 9, comma 28, e dall’articolo 14, commi 7 e 9, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122”».
L’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, fisserebbe un limite alle assunzioni del personale a tempo determinato nella misura del 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nel 2009.
1.1.– La Corte rimettente premette che nel corso dei giudizi di parificazione dei rendiconti generali della Regione Abruzzo, per gli esercizi finanziari 2016 e 2017 (reg. ord. n. 19 del 2021), nonché 2018 (reg. ord. n. 26 del 2021), con particolare riferimento al capitolo di spesa 11102, denominato «Funzionamento del Consiglio regionale» – che trasferisce fondi destinati alle spese del personale dei gruppi consiliari (capitolo 2024.85 denominato «Budget gruppi consiliari» del conto consuntivo del Consiglio regionale, allegato al Rendiconto della Regione) – è emerso il mancato conseguimento dell’obiettivo di finanza pubblica di cui al comma 28 dell’art. 9 del d.l. n. 78 del 2010, che, come detto, fissa il limite per la spesa per il personale assunto a tempo determinato nel 50 per cento di quella sostenuta nel 2009.
Assume il rimettente che la spesa sostenuta nell’esercizio 2009 per il lavoro flessibile dalla Regione Abruzzo sarebbe stato pari a euro 10.052.673 e che, pertanto, nel caso di specie, il limite derivante dal richiamato principio di coordinamento sarebbe pari a euro 5.026.336. La spesa complessiva sostenuta dalla Regione per il personale assunto a tempo determinato è stata, invece, pari a euro 5.211.021 nel 2016, euro 5.552.496 nel 2017 ed euro 5.649.682 nel 2018, così determinando uno sforamento del tetto di spesa, in violazione del principio di coordinamento della finanza pubblica recato dalla più volte richiamata norma interposta.
Il mancato conseguimento dell’obiettivo di finanza pubblica sarebbe da imputare all’incremento della spesa del personale dei gruppi consiliari, che è passata da euro 859.871 nel 2009, a euro 1.705.884 nel 2016 e nel 2017, fino a raggiungere la cifra di euro 1.759.970 nel 2018.
Nel corso del giudizio, la Regione ha controdedotto, sostenendo di aver rispettato il vincolo suindicato, perché ai sensi dell’art. 40, comma 5, della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2010, come sostituito dall’art. 32, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 42 del 2013, si dovrebbe escludere dal calcolo della spesa del personale flessibile quella sostenuta per il personale dei gruppi consiliari.
Con le decisioni n. 180/2020/PARI del 1° settembre 2020 e n. 202/2020/PARI del successivo 14 settembre, la Corte rimettente ha sospeso i giudizi di parificazione dei rendiconti generali della Regione Abruzzo per gli esercizi finanziari 2016-2017 e 2018, limitatamente al capitolo di spesa 11102 e, con due distinte ordinanze (n. 41 e n. 47 entrambe del 30 luglio 2020), ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 40, comma 5, della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2010, come sostituito dall’art. 32, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 42 del 2013, in riferimento agli evocati parametri.
1.2.– Tanto premesso, il rimettente ritiene sussistente la propria legittimazione a sollevare le predette questioni di legittimità costituzionale in sede di parificazione dei rendiconti regionali, in virtù della «peculiare natura» di tale giudizio, che si svolge con le formalità della giurisdizione contenziosa, ai sensi dell’art. 40 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214 (Approvazione del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti).
Il controllo svolto dalla Corte dei conti in sede di parificazione avrebbe, inoltre, una funzione di garanzia dell’ordinamento, «di controllo esterno, rigorosamente neutrale e disinteressato (…) preordinato a tutela del diritto oggettivo» (è citata la sentenza di questa Corte n. 384 del 1991), caratteri che costituirebbero «indubbio fondamento della legittimazione della Corte dei conti a sollevare questioni di costituzionalità».
Peraltro, la specificità dei compiti svolti dalla Corte dei conti nel quadro della finanza pubblica sarebbe giustificata «con l’esigenza di ammettere al sindacato costituzionale leggi che, come nella fattispecie in esame, più difficilmente verrebbero per altra via, ad essa sottoposte» (viene citata la sentenza di questa Corte n. 226 del 1976).
Secondo il Collegio rimettente, questa Corte avrebbe riconosciuto la legittimazione della Corte dei conti, in sede di giudizio di parificazione, a sollevare questioni di legittimità costituzionale «avverso tutte quelle disposizioni di legge che determinino effetti modificativi dell’articolazione del bilancio per il fatto stesso di incidere, in senso globale, sulle unità elementari, vale a dire sui capitoli, con riflessi sugli equilibri di gestione, disegnati con il sistema dei risultati differenziali» (è citata la sentenza n. 213 del 2008).
1.3.– In punto di rilevanza, secondo il Collegio rimettente ai sensi dell’art. 39 del r.d. n. 1214 del 1934 e per costante giurisprudenza costituzionale, il giudizio di parifica avrebbe come oggetto «la verifica delle riscossioni e dei pagamenti e dei relativi resti (residui) e, soprattutto, la verifica a consuntivo degli equilibri di bilancio sulla base del bilancio preventivo e di tutte le disposizioni sopravvenute che ne hanno modificato la struttura».
Sarebbe inoltre possibile, per costante giurisprudenza contabile, la possibilità di «procedere ad una parifica parziale, in linea con l’oggetto del giudizio che […] si sostanzia in più parifiche distinte delle diverse poste, che confluiscono nel risultato complessivo» (ex multis, decisione n. 36/CONTR/2011 delle Sezioni riunite per la Regione Trentino-Alto Adige, decisioni n. 116/2014/PARI, n. 39/2016/PARI della Sezione regionale di controllo per l’Abruzzo, n. 36/2014/PARI della Sezione regionale di controllo per la Calabria, n. 46/2014/PARI della Sezione regionale di controllo per la Liguria e decisione n. 2/2014/SS.RR./PARI delle Sezioni riunite per la Regione Siciliana).
Nella fattispecie, le valutazioni della sezione regionale di controllo, finalizzate alla parificazione dei rendiconti generali della Regione Abruzzo, relativamente al capitolo di spesa 11102, presupporrebbero l’applicazione della norma censurata, che esclude il limite di cui all’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010 per le spese dei gruppi consiliari.
Il giudice a quo assume «il diverso esito delle valutazioni, a seconda che vengano applicate o meno le disposizioni di legge impugnate», giacché lo sforamento del tetto di spesa per il personale assunto a tempo determinato, in tutti gli esercizi finanziari considerati, sarebbe evitato esclusivamente con l’applicazione della norma di cui si sospetta l’illegittimità costituzionale.
Nella vigenza della menzionata disposizione, la Sezione regionale dovrebbe parificare la predetta posta del rendiconto della Regione Abruzzo, «pur in presenza di dubbi di compatibilità della spesa in discorso con il quadro costituzionale».
Sotto tale profilo, è richiamata la sentenza di questa Corte n. 138 del 2019, in cui sarebbe stato affermato che «ove sia la legge stessa a pregiudicare principi di rango costituzionale, l’unica via da percorrere per il giudice della parificazione rimane proprio il ricorso all’incidente di costituzionalità».
1.4.– In punto di non manifesta infondatezza, il Collegio rimettente formula le seguenti osservazioni.
Quanto alla violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, il giudice a quo assume che la disposizione censurata, nel prevedere una deroga al limite di spesa di cui al richiamato parametro interposto, finirebbe per ledere i principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica.
La lesione dei richiamati principi fondamentali si riverbererebbe su altri precetti costituzionali, in quanto il legislatore regionale avrebbe «innestato nel sistema oneri e sottratto risorse» in violazione dei principi dell’obbligo della copertura finanziaria e di equilibrio di bilancio di cui agli artt. 81 e 97, primo comma, Cost., per aver determinato «nell’an […] un effetto espansivo della spesa non consentito, con la conseguenza che anche le risorse utilizzate a copertura risultano viziate per “illegittimità derivata”».
Quanto alla violazione del giudicato costituzionale di cui all’art. 136 Cost., la sezione regionale di controllo rileva che la disposizione censurata sarebbe in contrasto con quanto affermato da questa Corte nelle sentenze n. 262 del 2012 e n. 289 del 2013. Il legislatore abruzzese avrebbe, infatti, riprodotto una deroga già prevista dalla legge della Regione Abruzzo 28 settembre 2012, n. 48, (Modifiche alla legge regionale 17 novembre 2010, n. 49 “Interventi normativi e finanziari per l’anno 2010”, modifiche alla legge regionale 10 marzo 1993, n. 15 “Disciplina per l’utilizzo e la rendicontazione dei contributi ai gruppi consiliari” e disposizioni relative al contenimento della spesa del personale a tempo determinato), e dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 289 del 2013.
Più precisamente, il comma 2 dell’art. 3 della legge reg. Abruzzo n. 48 del 2012 – rubricato «Attuazione del comma 28, dell’articolo 9, e dei commi 7 e 9, dell’articolo 14, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, convertito, con modificazioni, dalla l. 30 luglio 2010, n. 122» – prevedeva che, ai fini dell’attuazione dei principi di cui all’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, non si considerassero le spese per il personale dei gruppi consiliari.
Tale disposizione è stata impugnata dal Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento agli artt. 97 e 117, terzo comma, Cost. e dichiarata costituzionalmente illegittima da questa Corte con la richiamata sentenza n. 289 del 2013, con cui è stato affermato che «quanto alla presunta finalità della norma regionale di assicurare il funzionamento degli uffici di diretta collaborazione mediante l’esenzione dal rispetto dei limiti di spesa stabiliti a livello nazionale […] la particolare rilevanza del carattere necessariamente fiduciario nella scelta del personale, a tempo determinato, degli uffici di diretta collaborazione, se può autorizzare deroghe al principio del pubblico concorso nella scelta dei collaboratori, non consente deroghe ai principi fondamentali dettati dal legislatore statale in materia di coordinamento della finanza pubblica».
Peraltro, la sezione regionale di controllo rileva che nel 2014, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, della legge reg. Abruzzo n. 48 del 2012, il legislatore abruzzese ha approvato la legge della Regione Abruzzo 3 gennaio 2014, n. 7, recante «Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2014 e pluriennale 2014-2016 della Regione Abruzzo (Legge finanziaria regionale 2014)» ai sensi del cui art. 16, comma 1, è stabilito: «All’art. 3, della L.R. 28 settembre 2012, n. 48 “Modifiche alla legge regionale 17 novembre 2010, n. 49 (Interventi normativi e finanziari per l’anno 2010), modifiche alla legge regionale 10 marzo 1993, n. 15 (Disciplina per l’utilizzo e la rendicontazione dei contributi ai gruppi consiliari) e disposizioni relative al contenimento della spesa del personale a tempo determinato” dopo il comma 1 è aggiunto il seguente comma: “2. Al fine della determinazione del limite di cui al comma 28, dell’articolo 9, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, sono incluse tutte le spese sostenute per il personale assunto a tempo determinato nell’anno 2009, ivi compreso quelle sostenute per il personale assunto a tempo determinato per le esigenze dei gruppi consiliari”».
Per effetto di tale modifica normativa, il legislatore abruzzese avrebbe dunque ampliato il plafond di spesa preso a riferimento per il calcolo dell’obiettivo finanziario, considerando nel conteggio della spesa per il personale a tempo determinato del 2009 anche quella relativa ai gruppi consiliari. Contemporaneamente, per effetto della disposizione regionale censurata con le ordinanze di rimessione in esame, in fase di redazione del rendiconto, tale voce verrebbe scomputata dall’ammontare complessivo della spesa per il personale, così incrementando la capacità di spesa a disposizione dell’amministrazione regionale.
Da ultimo, il giudice rimettente espone che, nel corso del giudizio a quo, la Regione Abruzzo avrebbe trasmesso una memoria in cui sostiene di aver applicato «alla spesa per l’assunzione del personale dei gruppi consiliari il tetto di spesa costituito dal costo di un’unità D 6 per ciascun consigliere» in applicazione dell’art. 2, comma 1, lettera h), del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito, con modificazioni, in legge 7 dicembre 2012, n. 213, e della deliberazione della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano del 6 dicembre 2012 (che ha recepito l’accordo assunto nella Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle medesime autonomie territoriali, riunite in assemblea congiunta il 5 dicembre 2012), da cui deriverebbe il mancato contrasto con i più volte evocati principi di coordinamento.
In proposito, la sezione regionale di controllo – richiamando un orientamento della Sezione regionale di controllo per le Marche – attesta che nel vigente quadro ordinamentale, con riferimento alla spesa per il personale pubblico, coesisterebbero «due tipologie di vincoli operanti su piani differenti», che producono effetti non pienamente sovrapponibili.
Il primo vincolo, introdotto dall’art. 2, comma 1, lettera h), del d.l. n. 174 del 2012, come convertito, agirebbe sulle spese per il personale (interno ed esterno) dei soli gruppi consiliari, e sarebbe dettato da norme che perseguono il chiaro obiettivo della riduzione dei cosiddetti costi della politica.
Il secondo vincolo, recato dall’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, agirebbe, invece, sul totale complessivo delle spese per il lavoro flessibile, senza esclusione alcuna, con l’obiettivo di ridurre la formazione del fenomeno del precariato e contribuire a ridurre i costi complessivi del personale.
In conclusione, in base ai principi ricavabili dalla sentenza di questa Corte n. 289 del 2013, «la spesa per il personale esterno dei gruppi non può determinare il superamento dei limiti posti dall’art. 9, c. 28 del d.l. 78/2010, anche se contenuta nei limiti massimi» di cui alla delibera della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano del 6 dicembre 2012 (Corte dei conti, sezione regionale di controllo per le Marche, relazione allegata alla parifica del rendiconto 2018).
2.– In entrambi i giudizi si è costituita la Regione Abruzzo, con due distinte memorie, sostanzialmente coincidenti, salvo per l’ordinanza iscritta al reg. ord. n. 26 del 2021, rispetto alla quale è eccepito un diverso profilo di inammissibilità.
2.1.– Con riferimento ai contenuti comuni relativi alle ordinanze iscritte al reg. ord. n. 19 e n. 26 del 2021, la Regione resistente ha eccepito anzitutto l’inammissibilità delle questioni per la «non sufficiente motivazione» in ordine alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza.
2.1.1.– Sotto il primo profilo, la Regione Abruzzo afferma che, ai fini della rilevanza, la norma impugnata dovrebbe ritenersi necessariamente applicabile nel giudizio a quo, in quanto «unica norma presente nell’ordinamento in grado di risolvere la questione».
In proposito, viene eccepito che il Collegio rimettente non avrebbe tenuto conto del mutato quadro normativo statale, da cui l’irrilevanza della questione.
Il d.l. n. 174 del 2012, come convertito, avrebbe infatti introdotto una serie di specifici limiti di spesa per il personale dei gruppi consiliari, al fine di contenere i costi della politica regionale e di omologare i trattamenti su tutto il territorio nazionale. Più precisamente, l’art. 2, comma 1, lettera h), del menzionato decreto avrebbe fissato «l’ammontare delle spese per il personale dei gruppi consiliari, secondo un parametro omogeneo, tenendo conto del numero dei consiglieri, delle dimensioni del territorio e dei modelli organizzativi di ciascuna regione».
In attuazione di questa norma sarebbe stata adottata la deliberazione n. 235 del 6 dicembre 2012 della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, che avrebbe recepito l’accordo con la Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle medesime autonomie territoriali, riunite in assemblea congiunta il 5 dicembre 2012. In questa sede sarebbe stato definito il parametro omogeneo per la determinazione dell’ammontare complessivo della spesa per il personale dei gruppi consiliari, equivalente, in termini finanziari, al costo di una unità di personale di categoria D, posizione economica D6, per ciascun consigliere regionale. Tale parametro, che costituirebbe il tetto massimo di spesa per il personale dei gruppi consiliari, si applicherebbe indistintamente a tutte le Regioni.
Secondo la resistente, pertanto, la disposizione censurata dalla Sezione regionale avrebbe semplicemente dato attuazione alla nuova normativa statale, ai sensi della quale i contratti di lavoro del personale dei gruppi consiliari, per la loro peculiarità, per il carattere fiduciario che li contraddistingue e per il loro essere funzionali all’attività politico-istituzionale svolta, dovrebbero essere assoggettati a un regime normativo speciale, differenziato ed autonomo, calibrato su criteri e parametri diversi rispetto a quelli che governano le normali assunzioni di personale da parte delle pubbliche amministrazioni.
2.1.2.– Ad avviso della difesa regionale l’ordinanza di rimessione difetterebbe poi del requisito della non manifesta infondatezza, poiché il mutato quadro normativo di cui si è fatto cenno renderebbe la questione «ictu oculi infondata».
2.1.3.– Secondo la resistente, le questioni dovrebbero essere dichiarate comunque non fondate, per una serie di ragioni.
Anzitutto, con l’entrata in vigore del d.l. n. 174 del 2012 e la previsione di uno specifico limite di spesa per il personale dei gruppi consiliari, l’applicazione degli ulteriori e precedenti limiti, previsti dal d.l. n. 78 del 2010, apparirebbe «irragionevole, incoerente e non conforme allo schema ideato dal legislatore statale», che avrebbe volutamente sottoposto la spesa del personale dei gruppi consiliari a una disciplina speciale, così come avrebbe fatto per il personale dirigente a tempo determinato degli enti locali, ai sensi dell’art. 110 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali).
Il nuovo quadro normativo di riferimento renderebbe priva di fondamento anche l’asserita violazione del giudicato costituzionale di cui alla sentenza n. 289 del 2013, poiché in pendenza di quel giudizio la disciplina di cui al d.l. n. 174 del 2012 non sarebbe stata ancora vigente. Peraltro, la normativa regionale all’epoca impugnata avrebbe avuto quale ratio quella di differenziare le tipologie di spesa per il personale, al fine di assicurare il corretto e regolare funzionamento delle strutture politiche, le cui attività avrebbero risentito della riduzione del personale loro assegnato.
L’avvocatura regionale eccepisce poi il mancato ricorso da parte dello Stato nei confronti della medesima disposizione regionale, nonché la mancata impugnativa di norme di analogo contenuto adottate da altre Regioni (segnatamente: l’art. 13, comma 2, della legge della Regione Veneto 21 dicembre 2012, n. 47, recante «Disposizioni per la riduzione e il controllo delle spese per il funzionamento delle istituzioni regionali, in recepimento e attuazione del decreto legge 10 ottobre 2012, n. 174 […] e istituzione e disciplina del Collegio dei revisori dei conti della Regione del Veneto»; e l’art. 20 della legge della Regione Emilia-Romagna 26 luglio 2013, n. 11, recante «Testo unico sul funzionamento e l’organizzazione dell’assemblea legislativa: stato giuridico ed economico dei consiglieri regionali e dei gruppi assembleari e norme per la semplificazione burocratica e la riduzione dei costi dell’assemblea»).
Inoltre, le questioni sarebbero parimenti non fondate, per l’analogia con il regime «speciale e derogatorio» previsto dall’art. 110, comma 1, TUEL per il conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato, che sarebbero esclusi dall’applicazione del tetto di spesa di cui al più volte evocato art. 9, comma 28. Tale orientamento troverebbe peraltro conferma in precedenti pronunce della Corte dei conti, segnatamente: la deliberazione n. 12/2012 della sezione delle autonomie, in cui si chiarirebbe che le assunzioni di personale dirigenziale effettuate ai sensi dell’art. 110, comma 1, TUEL, non rientrano nei limiti di cui all’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010; la deliberazione n. 12/2014 della sezione regionale di controllo per l’Abruzzo, che si sarebbe espressa analogamente, su richiesta di un parere da parte della medesima Regione Abruzzo, sulla spesa dei dirigenti comunali a tempo determinato; nonché la deliberazione della medesima sezione regionale n. 4/2021/PARI relativa al giudizio di parificazione del rendiconto generale per l’esercizio finanziario 2019, dove si troverebbe conferma l’esclusione della spesa dei dirigenti a tempo determinato dai limiti imposti dal d.l. n. 78 del 2010, «considerando tuttora pertinente il parere di questa Sezione formulato con deliberazione n. 12 del 23 gennaio 2014».
Sostiene pertanto la difesa regionale che dall’applicazione dei normali criteri ermeneutici di interpretazione delle leggi (criterio di specialità e criterio di successione delle leggi nel tempo) conseguirebbe logicamente la prevalenza dei sopravvenuti tetti di spesa posti dall’art. 2, comma 1, lettera h), del d.l. n. 174 del 2012, come convertito, quale norma speciale e successiva, sui limiti di spesa fissati dal comma 28 dell’art. 9 del d.l. n. 78 del 2010, norma generale e precedente.
Peraltro, l’applicazione di entrambi i limiti di spesa al personale dei gruppi consiliari avrebbe la conseguenza di ridurre notevolmente il relativo budget di spesa, anche rispetto a quanto consentito dal d.l. n. 174 del 2012, con conseguenti ripercussioni sull’attività dei gruppi stessi.
Sempre a sostegno della non fondatezza, la difesa regionale sostiene che la scelta di applicare il solo limite derivante dal d.l. n. 174 del 2012, come convertito, apparirebbe più ragionevole anche sotto il profilo «contabile-finanziario», poiché nel bilancio regionale i costi sostenuti per il personale dei gruppi sarebbero qualificati contabilmente come “trasferimenti” erogati dall’Amministrazione regionale a soggetti terzi, al pari di quelli destinati alle spese per il funzionamento dei gruppi stessi. Nel sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici (SIOPE), tali spese sarebbero qualificate come «Trasferimenti correnti a organismi interni e/o unità locali della amministrazione» e ammonterebbero nel 2016 a euro 1.569.516,28, nel 2017 a euro 1.545.450,78 e nell’anno 2018 a euro 1.614.132,70 (codice n. 1.04.01.04.001).
La resistente afferma pertanto che, sottraendo tali importi dalla spesa complessiva del personale regionale per lavoro flessibile negli anni in esame, non si determinerebbe alcuno sforamento del tetto di spesa stabilito dall’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010.
Sotto questo profilo, rientrerebbero propriamente nella spesa per il personale solo le spese sostenute direttamente dall’Amministrazione regionale a questo scopo «e non anche quelle sostenute da organi terzi, dotati di autonomia giuridica». La spesa del personale sostenuta negli anni 2016 e 2017 direttamente dall’Amministrazione regionale per conto dei gruppi consiliari ammonterebbe, quindi, rispettivamente ad euro 124.896,61 ed euro 148.141,08, e nel 2018 ad euro 145.837,14, e sarebbero riportati sotto la voce «redditi da lavoro dipendente lavoro flessibile personale assunto per conto dei gruppi». Tale lettura troverebbe conferma nella stessa Relazione della sezione regionale di controllo per l’Abruzzo allegata alla parificazione del rendiconto generale della medesima Regione per l’esercizio 2019, Volume 3, paragrafo 1.8, pagina 19 (Relazione contenuta rispettivamente nell’Allegato n. 6 e n. 1 alle memorie di costituzione).
La difesa regionale, infine, si sofferma sull’iniziale diverso orientamento della stessa sezione regionale di controllo per l’Abruzzo, la quale, con deliberazione n. 369 del 5 settembre 2013 – a seguito di richiesta di un parere sulle modalità di contrattualizzazione dei collaboratori dei gruppi consiliari – avrebbe affermato che le spese sostenute dai gruppi consiliari sarebbero estranee alla contabilità dell’apparato burocratico consiliare per consulenze, studi, ricerche, rapporti di lavoro flessibili e/o somministrazioni di lavoro, «atteso che i Gruppi consiliari regionali, al pari dei partiti politici, si pongono come formazioni associative a carattere politico e temporaneo».
Peraltro, sempre sotto questo profilo, la resistente segnala una contraddizione della medesima sezione regionale che, in sede di parificazione dei rendiconti generali della Regione Abruzzo per gli esercizi finanziari 2013, 2014 e 2015, non avrebbe sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 40, comma 5, della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2010, come sostituito dall’art. 32, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 42 del 2013, né avrebbe contestato lo sforamento del tetto di spesa di cui al comma 28 dell’art. 9 del d.l. n. 78 del 2010, benché la spesa complessiva sostenuta in quegli anni per il lavoro a tempo determinato o flessibile sia stata pari a euro 7.187.008,02 nel 2013, euro 5.889.486,59 nel 2014 ed euro 5.029.994,36 nel 2015 (registrando dunque un superamento del predetto limite rispettivamente di euro 2.160.672,02 nel 2013, euro 873.150,59 nel 2014, ed euro 3.658,36 nel 2015).
2.2.– Con riferimento all’ordinanza iscritta al reg. ord. n. 26 del 2021, relativa al rendiconto per l’esercizio finanziario 2018, la Regione Abruzzo ha eccepito un distinto motivo di inammissibilità delle questioni per irrilevanza.
Sostiene la difesa regionale che ai sensi dell’art. 1, comma 757, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), per le Regioni interessate dagli eventi sismici verificatisi tra il 2016 e il 2017, il limite di spesa fissato dall’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010 sarebbe aumentato, passando dal cinquanta al settanta per cento di quanto speso nel 2009, per assicurare l’assistenza alle popolazioni terremotate, e pertanto le amministrazioni delle medesime Regioni – fra cui l’Abruzzo – sarebbero autorizzate a prorogare i contratti in essere a tempo determinato, nel rispetto dell’innalzato obiettivo di finanza pubblica.
La resistente afferma quindi che, in applicazione dell’aumentato limite, il tetto di spesa massimo per il personale assunto a tempo determinato nel 2018 sarebbe pari a euro 7.036.871 e non euro 5.026.336, come sostenuto dal Collegio rimettente. Conseguentemente, la spesa sostenuta dall’Amministrazione regionale nell’anno 2018 – pari ad euro 5.649.682 – sarebbe nettamente al di sotto della soglia prevista dal richiamato principio di coordinamento della finanza pubblica.
Ciò posto, la difesa regionale eccepisce l’irrilevanza della questione di costituzionalità concernente la censurata norma regionale, poiché «non avendo l’applicazione del contestato art. 40 della L.R. 40/2010 prodotto alcuno sforamento del tetto di spesa del personale flessibile», non si comprenderebbe il motivo della sospensione del giudizio di parifica e la contestuale rimessione a questa Corte.
In subordine, viene comunque sostenuta la non fondatezza delle questioni, per le medesime ragioni e con le identiche argomentazioni impiegate con riferimento all’ordinanza di rimessione n. 19 del 2021 e che, in sintesi, fanno perno sul mutato quadro normativo; sull’analogia con l’esenzione dal limite per le assunzioni di dirigenti a tempo determinato negli enti locali; su argomenti di carattere tecnico-finanziario, poiché si tratterebbe di trasferimenti; sulla natura giuridica dei gruppi consiliari; infine, sul precedente e contrastante orientamento della medesima sezione che peraltro in modo contradditorio non avrebbe sospeso la parifica né sollevato la questione a questa Corte negli esercizi finanziari 2013-2015.
Considerato in diritto
1.– Con due ordinanze di contenuto coincidente, iscritte rispettivamente al n. 19 e al n. 26 del reg. ord. del 2021, la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per l’Abruzzo, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 40 (recte: art. 40, comma 5), della legge della Regione Abruzzo 10 agosto 2010, n. 40 (Testo unico delle norme sul trattamento economico spettante ai Consiglieri regionali e sulle spese generali di funzionamento dei gruppi consiliari), come sostituito dall’art. 32, comma 1, della legge della Regione Abruzzo 20 novembre 2013, n. 42 (Norme in materia di Polizia amministrativa locale e modifiche alla legge regionale n. 18/2001, alla legge regionale n. 40/2010 e alla legge regionale n. 68/2012), in riferimento agli artt. 81, 97, primo comma, 117, terzo comma – quest’ultimo in relazione all’art. 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122 – e 136 della Costituzione.
Ai sensi del comma 5 dell’art. 40 (Personale dei gruppi) della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2010, «[a]lle spese di cui al comma 1 non si applicano i limiti stabiliti dall’articolo 9, comma 28, e dall’articolo 14, commi 7 e 9, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122».
1.1.– La Corte rimettente premette che nel corso dei giudizi di parificazione dei rendiconti generali della Regione Abruzzo per gli esercizi finanziari 2016 e 2017 (reg. ord. n. 19 del 2021) nonché 2018 (reg. ord. n. 26 del 2021), con particolare riferimento al capitolo di spesa 11102, denominato «Funzionamento del Consiglio regionale» – che trasferisce fondi destinati alle spese di personale dei gruppi consiliari (capitolo 2024.85 denominato «Budget gruppi consiliari» del conto consuntivo del Consiglio regionale, allegato al Rendiconto della Regione) – è emerso il mancato conseguimento dell’obiettivo di finanza pubblica di cui al comma 28 dell’art. 9 del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, che fissa il limite di spesa per il personale assunto a tempo determinato nel cinquanta per cento di quella sostenuta nel 2009.
Assume il giudice a quo che la spesa affrontata nell’esercizio 2009 per il lavoro flessibile dalla Regione Abruzzo ammonti a euro 10.052.673 e che, pertanto, nel caso di specie, il limite derivante dal richiamato principio di coordinamento sia pari a euro 5.026.336. La spesa complessiva sostenuta dalla Regione per il personale assunto a tempo determinato sarebbe stata, invece, pari a euro 5.211.021 nel 2016, euro 5.552.496 nel 2017 ed euro 5.649.682 nel 2018, così determinando uno sforamento del tetto di spesa, in violazione del principio di coordinamento della finanza pubblica recato dalla più volte richiamata norma interposta.
In altri termini, la disposizione censurata, nel prevedere una deroga al limite di spesa di cui al richiamato parametro interposto, violerebbe il principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica di cui all’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010. La lesione del tetto di spesa si riverbererebbe su altri precetti costituzionali, segnatamente gli artt. 81 e 97, primo comma, Cost., in quanto il legislatore regionale avrebbe «innestato nel sistema oneri e sottratto risorse» in violazione dei principi della copertura finanziaria e dell’equilibrio di bilancio.
2.– Preliminarmente, in considerazione dell’identità delle questioni sollevate dal medesimo rimettente, deve essere disposta la riunione dei giudizi, al fine di definirli con un’unica pronuncia.
3.– Sempre in via preliminare, occorre precisare che, benché il dispositivo delle ordinanze censuri genericamente l’art. 40 della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2010, come sostituito dall’art. 32, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 42 del 2013, dal corpo motivazionale e dall’intero tenore delle ordinanze emerge come le censure si rivolgono esclusivamente al comma 5, nella parte in cui esclude l’applicazione dei limiti di cui all’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, alle spese dei gruppi consiliari.
In detti termini deve pertanto essere circoscritto il thema decidendum (ex plurimis, sentenza n. 160 del 2021).
4.– Sotto il profilo della legittimazione del giudice a quo a sollevare questioni di legittimità costituzionale, è costante e risalente l’orientamento di questa Corte secondo cui «la Corte dei conti, in sede di giudizio di parificazione del bilancio, è legittimata a promuovere questione di legittimità costituzionale avverso le disposizioni di legge che determinano, nell’articolazione e nella gestione del bilancio stesso, effetti non consentiti dai principi posti a tutela degli equilibri economico-finanziari e dagli altri precetti costituzionali, che custodiscono la sana gestione finanziaria» (ex multis, sentenza n. 89 del 2017; nello stesso senso, sentenza n. 196 del 2018), giacché nella parifica del rendiconto regionale ricorrono integralmente tutte le condizioni per le quali è ammessa la possibilità di sollevare questione di legittimità costituzionale in via incidentale (elencate, da ultimo, nella sentenza n. 80 del 2021) e la situazione è «analoga a quella in cui si trova un qualsiasi giudice (ordinario o speciale), allorché procede a raffrontare i fatti e gli atti dei quali deve giudicare alle leggi che li concernono» (sentenza n. 89 del 2017).
Tale legittimazione, peraltro, è stata riconosciuta anche nei casi in cui la lesione dei precetti finanziari sia la conseguenza della violazione di parametri di competenza (sentenze n. 112 del 2020, n. 146 e n. 138 del 2019 e n. 196 del 2018), allorquando la suddetta invasione sia «funzionalmente correlata» alla violazione degli artt. 81 e 97, primo comma, Cost., per aver determinato un incremento delle poste passive del bilancio in riferimento al costo del personale (sentenza n. 112 del 2020).
Nel caso odierno la Corte dei conti ha sollevato questioni di legittimità costituzionale per violazione del limite di spesa per i contratti a tempo determinato del personale dei gruppi consiliari, sostenendo che tale violazione, benché circoscritta al capitolo relativo alle spese suddette, influisca anche sul complesso della spesa per il personale a tempo determinato, data la confluenza del rendiconto consiliare in quello consolidato della Regione. Tale violazione del limite di spesa determina la lesione dell’art. 117, terzo comma, Cost., ed è funzionalmente correlata alla violazione degli artt. 81 e 97, primo comma, Cost., in quanto destinata a riverberarsi anche sull’equilibrio di bilancio, generando un’evidente espansione della spesa.
5.– Tanto premesso, le questioni di legittimità costituzionale sollevate superano il vaglio di ammissibilità.
5.1.– In punto di rilevanza, per costante orientamento di questa Corte, essenziale e sufficiente a conferire rilevanza alla questione prospettata è «che il giudice debba effettivamente applicare la disposizione della cui legittimità costituzionale dubita nel procedimento pendente avanti a sé (sentenza n. 253 del 2019) e che la pronuncia della Corte “influi[sca] sull’esercizio della funzione giurisdizionale, quantomeno sotto il profilo del percorso argomentativo che sostiene la decisione del processo principale (tra le molte, sentenza n. 28 del 2010)” (sentenza n. 20 del 2016)» (sentenza n. 84 del 2021). È inoltre necessario che il rimettente illustri le ragioni che «determinano la pregiudizialità della questione sollevata rispetto alla definizione del processo principale» (sentenza n. 105 del 2018).
In proposito, la Corte dei conti ha sostenuto di dover necessariamente applicare la norma censurata – che esclude le spese dei gruppi consiliari dal limite di cui all’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010 – nelle valutazioni funzionali alla parifica dei rendiconti generali della Regione, relativamente al capitolo di spesa 11102, pur nutrendo dubbi di compatibilità della spesa in discorso con il vigente quadro costituzionale. In effetti, lo sforamento del tetto di spesa per il personale assunto a tempo determinato, in tutti gli esercizi finanziari considerati, sarebbe evitato solo con l’applicazione della norma della cui legittimità costituzionale dubita.
La pregiudizialità delle questioni, peraltro, emerge con chiarezza dalla descrizione della fattispecie operata dalla Corte rimettente, la quale ha osservato come l’esito della parifica del capitolo di spesa in questione sia direttamente influenzato dall’applicazione della disposizione censurata.
5.2.– In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo assume che la disposizione denunciata, nel prevedere una deroga al limite di spesa di cui al richiamato parametro interposto, violi i principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica stabiliti dallo Stato ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., violazione che si riverbererebbe su altri precetti costituzionali, in quanto il legislatore regionale avrebbe «innestato nel sistema oneri e sottratto risorse», compromettendo l’equilibrio di bilancio e la copertura finanziaria di cui agli artt. 81 e 97, primo comma, Cost., per aver determinato «nell’an – un effetto espansivo della spesa non consentito, con la conseguenza che anche le risorse utilizzate a copertura risultano viziate per “illegittimità derivata”».
Quanto alla violazione del giudicato costituzionale di cui all’art. 136 Cost., la Corte dei conti deduce che la disposizione censurata riproduce una deroga già prevista dalla legge della Regione Abruzzo 28 settembre 2012, n. 48, (Modifiche alla legge regionale 17 novembre 2010, n. 49 “Interventi normativi e finanziari per l’anno 2010”, modifiche alla legge regionale 10 marzo 1993, n. 15 “Disciplina per l’utilizzo e la rendicontazione dei contributi ai gruppi consiliari” e disposizioni relative al contenimento della spesa del personale a tempo determinato), dichiarata costituzionalmente illegittima da questa Corte con la sentenza n. 289 del 2013.
Sono pertanto soddisfatte le condizioni richieste dalla costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in ordine alla non manifesta infondatezza, è necessario e sufficiente che «i parametri siano invocati in maniera non apodittica e generica e che siano specificati i motivi per cui si ritenga verificata la violazione delle norme costituzionali, a pena di manifesta inammissibilità della questione proposta» (ex plurimis, ordinanza n. 159 del 2021).
5.3.– Con riferimento alle questioni di cui all’ordinanza iscritta al reg. ord. n. 26 del 2021, la difesa regionale eccepisce altresì un distinto profilo di mancanza di rilevanza, perché il giudice rimettente avrebbe completamente omesso di considerare che, ai sensi dell’art. 1, comma 757, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), per le Regioni interessate dagli eventi sismici tra il 2016 e il 2017, il limite di spesa fissato dall’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, sarebbe aumentato dal cinquanta al settanta per cento, per assicurare l’assistenza alle popolazioni terremotate, e pertanto le medesime Regioni – compresa quella costituitasi nel presente giudizio – sarebbero autorizzate a prorogare i contratti in essere a tempo determinato, nel rispetto dell’innalzato obiettivo di finanza pubblica. Le questioni sarebbero dunque irrilevanti, non dovendo applicarsi il limite di cui all’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, bensì quello previsto dall’art. 1, comma 757, della legge n. 205 del 2017.
5.3.1.– Tale eccezione non è fondata.
L’erronea indicazione del parametro interposto, infatti, non pregiudica la corretta individuazione della questione – ossia se il tetto di spesa per le assunzioni a tempo determinato si applichi anche ai gruppi consiliari – posto che «l’inesatta indicazione non ha impedito alla Regione […] di identificare con chiarezza la consistenza delle questioni di legittimità sollevate e di svolgere pertinenti difese, risultando agevolmente enucleabile il parametro con il quale le norme censurate contrasterebbero (sentenza n. 533 del 2002)» (sentenza n. 161 del 2012).
La modifica percentuale che incide aumentando il tetto di spesa per il personale a tempo determinato ha piuttosto un effetto sul giudizio di parificazione del capitolo 11102, dato che la spesa sostenuta nel medesimo anno per il personale assunto a tempo determinato, comprensiva di quella dei gruppi consiliari, ammonta a euro 5.649.882 e non supera il limite del settanta per cento di quanto speso nel 2009, ossia euro 7.036.871.
6.– Al fine di una valutazione del merito, è necessaria una seppur sintetica ricostruzione del contesto normativo in cui si inserisce la disposizione censurata.
Il controllo sulle spese dei gruppi consiliari è stato introdotto dal decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito, con modificazioni, nella legge 7 dicembre 2012, n. 213, volto, fra l’altro, a garantire l’adeguamento del sistema dei controlli sulle autonomie territoriali alle esigenze di coordinamento della finanza pubblica, nel rispetto dei vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea (art. 1, comma 1).
Tale decreto-legge affianca ai controlli esterni già attribuiti alla Corte dei conti ulteriori controlli sui vertici politici delle amministrazioni locali (art. 6), nonché su quelli delle amministrazioni regionali (art. 1, commi 2, 3, 4, 6 e 7), introducendo, tra l’altro, il giudizio di parificazione dei rendiconti delle Regioni a statuto ordinario (già previsto per le autonomie speciali) (art. 1, comma 5) e prevedendo specifici controlli sui gruppi dei Consigli regionali (art. 1, commi 9, 10, 11 e 12). Al fine di assicurare la corretta rilevazione dei fatti di gestione e la regolare tenuta della contabilità, i gruppi devono infatti redigere rendiconti di esercizio che vengono sottoposti ai controlli della competente sezione regionale della Corte dei conti, dal cui esito negativo può discendere l’obbligo di restituire le somme ricevute a carico del bilancio del Consiglio regionale e non rendicontate.
Sempre al fine di coordinamento e soprattutto di contenimento della spesa pubblica, l’art. 2 del medesimo decreto, rubricato «Riduzione dei costi della politica nelle regioni», dispone che l’ottanta per cento dei trasferimenti erariali alle Regioni è erogato a condizione che le stesse adottino una serie di misure volte al ridimensionamento dei costi dell’apparato amministrativo, fra cui: a) la definizione delle spese per il personale dei gruppi consiliari secondo un «parametro omogeneo», tenendo conto del numero dei consiglieri, delle dimensioni del territorio e dei modelli organizzativi di ciascuna Regione (lettera h); b) l’applicazione delle regole previste dagli artt. 6 e 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, (lettera i), che pongono specifici tetti alla spesa per le assunzioni di personale a tempo determinato.
Così ricostruito il contesto normativo di riferimento, deve attestarsi che nel vigente quadro ordinamentale, con riferimento alla spesa per il personale della pubblica amministrazione, ivi inclusi i gruppi consiliari, coesistono due tipologie di vincoli, operanti su piani distinti, che producono effetti complementari. Il primo vincolo, introdotto dall’art. 2, comma 1, lettera h), del d.l. n. 174 del 2012, come convertito, attiene specificamente alle spese per il personale dei soli gruppi consiliari. Il secondo vincolo, recato dall’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, si applica, invece, senza esclusione alcuna, sul totale complessivo delle spese per il lavoro flessibile ed è pertanto comprensivo anche del primo. In definitiva, la spesa per il personale dei gruppi, anche se contenuta nei limiti massimi di cui all’art. 2, comma 1, lettera h), del d.l. n. 174 del 2012, come convertito, non può comunque determinare il superamento del principio di coordinamento della finanza pubblica di cui all’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito.
7.– Tanto premesso, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 40, comma 5, della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2010, come introdotto dall’art. 32, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 42 del 2013, sollevata in riferimento all’art. 136 Cost., per violazione del giudicato costituzionale di cui alle sentenze n. 262 del 2012 e n. 289 del 2013, deve essere valutata logicamente in via prioritaria (ex plurimis, sentenza n. 256 del 2020), in quanto attinente «all’esercizio stesso del potere legislativo, che sarebbe inibito dal precetto costituzionale di cui si assume la violazione» (sentenza n. 101 del 2018).
Per costante giurisprudenza di questa Corte, «perché vi sia violazione del giudicato costituzionale, è necessario che una norma ripristini o preservi l’efficacia di una norma già dichiarata incostituzionale», in quanto «le decisioni di accoglimento hanno per destinatario il legislatore stesso, al quale è quindi precluso non solo il disporre che la norma dichiarata incostituzionale conservi la propria efficacia, bensì il perseguire e raggiungere, “anche se indirettamente”, esiti corrispondenti a quelli già ritenuti lesivi della Costituzione» (sentenza n. 252 del 2017).
Con riferimento al giudicato formatosi sulla sentenza n. 262 del 2012, la questione non è fondata, perché il precedente evocato riguarda norme legislative di contenuto diverso, poste peraltro da una Regione diversa.
La sentenza n. 262 del 2012 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 9, comma 1, secondo periodo, 10, comma 1, secondo periodo, 11, comma 1, secondo periodo, e 13, comma 1, secondo periodo, della legge della Regione Puglia 4 gennaio 2011, n. 1 (Norme in materia di ottimizzazione e valutazione della produttività del lavoro pubblico e di contenimento dei costi degli apparati amministrativi nella Regione Puglia), laddove escludevano dall’applicazione del limite di cui all’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, una serie di spese fra cui quelle: per gli incarichi gravanti su risorse del bilancio vincolato e per gli incarichi istituzionali di consigliere del Presidente della Regione Puglia; per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza gravanti sul bilancio vincolato; per missioni le cui spese gravano su risorse del bilancio vincolato; per missioni per lo svolgimento di compiti ispettivi, per l’assolvimento di compiti di protezione civile, nonché necessarie per assicurare la partecipazione a riunioni presso organismi interistituzionali.
La disposizione in esame, invece, ha ad oggetto esclusivamente le spese dei gruppi consiliari, dal che non può dirsi che la nuova disciplina «mir[i] a “perseguire e raggiungere, ‘anche se indirettamente’, esiti corrispondenti” […] a quella già dichiarata incostituzionale» (sentenza n. 164 del 2020).
La questione non è fondata neanche con riferimento al giudicato costituzionale formatosi sulla sentenza n. 289 del 2013.
Essa è stata pubblicata l’11 dicembre 2013, mentre la disposizione censurata (contenuta nella legge reg. Abruzzo n. 42 del 2013) è antecedente, essendo stata pubblicata il 27 novembre 2013. In altri termini, la disposizione non può essere illegittima per violazione di un giudicato che non si era ancora formato.
8.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 40, comma 5, della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2010, come sostituito dall’art. 32, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 42 del 2013, sono invece fondate, sia in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, sia in riferimento agli artt. 81 e 97, primo comma, Cost., sotto il profilo della lesione dell’equilibrio e della sana gestione finanziaria del bilancio.
8.1.– Quanto al primo parametro (art. 117, terzo comma, Cost.) deve considerarsi che, per costante giurisprudenza di questa Corte, i limiti di spesa di cui al richiamato parametro interposto, qualificati come principi di coordinamento della finanza pubblica, si rivolgono complessivamente a tutte le spese per il personale assunto a tempo determinato, sia appartenente genericamente alla Regione, che ai suoi organi, per quanto dotati di autonomia contabile e gestionale (ex plurimis, sentenza n. 171 del 2021). Ciò per le seguenti ragioni.
Con riferimento alla rendicontazione delle spese dei gruppi consiliari, questa Corte ha affermato che «il rendiconto delle spese dei gruppi consiliari costituisce parte necessaria del rendiconto regionale, nella misura in cui le somme da tali gruppi acquisite e quelle restituite devono essere conciliate con le risultanze del bilancio regionale» (sentenza n. 39 del 2014), «poiché anche esso costituisce un mero documento di sintesi ex post delle risultanze contabili della gestione finanziaria e patrimoniale dell’ente» (sentenza n. 235 del 2015). In altri termini, il rendiconto dei gruppi non ha una consistenza finanziario-contabile esterna al bilancio della Regione, ma ne rappresenta una parte integrante e necessariamente coordinata, sia in sede previsionale, sia in sede consuntiva (ex multis, sentenze n. 235 e n. 107 del 2015, nonché n. 130 e n. 39 del 2014).
In coerenza con quanto precede, più di recente questa Corte ha affermato che «assoggettare anche la spesa del personale della Giunta e del Consiglio regionale ai nuovi valori soglia […] risulta conforme alla testuale applicazione del richiamato principio» (sentenza n. 171 del 2021) volto al contenimento della spesa per il personale, la quale costituisce «non già una minuta voce di dettaglio» nei bilanci delle amministrazioni pubbliche, ma «un importante aggregato della spesa di parte corrente» (sentenza n. 146 del 2019).
Quanto ai riflessi della natura dei gruppi consiliari sulle spese da essi sostenute, questa Corte ha ribadito l’applicabilità dei principi di coordinamento della finanza pubblica poiché «la particolare rilevanza del carattere necessariamente fiduciario nella scelta del personale, a tempo determinato, degli uffici di diretta collaborazione, se può autorizzare deroghe al principio del pubblico concorso nella scelta dei collaboratori, non consente deroghe ai principi fondamentali dettati dal legislatore statale in materia di coordinamento della finanza pubblica […]. Ed invero, [la] disposizione di legge statale, ben lungi dall’interferire con le determinazioni della Regione sulla scelta dei suoi collaboratori – che potrà avvenire nel pieno rispetto della sua autonomia organizzativa, ancorché all’interno dei limiti di spesa stabiliti – pone validamente un limite ad un particolare aggregato di spesa, qual è quello relativo al comparto per il personale, cui vanno soggette tutte le pubbliche amministrazioni» (sentenza n. 130 del 2013).
8.1.1.– La fondatezza della questione è corroborata da un ulteriore elemento, prospettato dalla Corte rimettente.
A seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, della legge reg. Abruzzo n. 48 del 2012, per effetto della sentenza n. 289 del 2013, il legislatore abruzzese è intervenuto con la legge della Regione Abruzzo 13 gennaio 2014, n. 7, recante «Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2014 e pluriennale 2014-2016 della Regione Abruzzo (Legge finanziaria regionale 2014)» con la seguente riformulazione: «Al fine della determinazione del limite di cui al comma 28, dell’articolo 9, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, sono incluse tutte le spese sostenute per il personale assunto a tempo determinato nell’anno 2009, ivi compreso quelle sostenute per il personale assunto a tempo determinato per le esigenze dei gruppi consiliari».
Per effetto di tale modifica normativa, il legislatore abruzzese ha dunque ampliato il plafond di spesa preso a riferimento per il calcolo dell’obiettivo finanziario, considerando nel conteggio della spesa per il personale a tempo determinato del 2009 anche quella relativa ai gruppi consiliari. Contemporaneamente, per effetto della disposizione censurata, in fase di redazione del bilancio tale voce viene scomputata dall’ammontare complessivo della spesa per il personale, così incrementando illegittimamente la relativa capacità di spesa a disposizione dell’amministrazione regionale, non erosa dalla componente afferente ai gruppi consiliari.
8.2.– Il meccanismo concepito dal legislatore abruzzese, consentendo una duplice espansione della spesa, sia in termini di aggravio di oneri, sia in termini di erosione di risorse – in entrambi i casi, in assenza di legittima copertura normativa – determina anche la violazione degli artt. 81 e 97, primo comma, Cost., stante l’inscindibile correlazione funzionale tra rispetto del riparto di competenze, violazione dei vincoli finanziari e tutela degli equilibri di bilancio (ex multis, sentenze n. 112 del 2020 e n. 146 del 2019).
La competenza dello Stato a fissare i principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., rappresenta uno strumento necessario per assicurare l’unità economica e finanziaria della Repubblica, nonché il rispetto degli impegni assunti anche a livello sovranazionale, a tutela della sostenibilità attuale e prospettica degli equilibri di bilancio.
In quest’ottica, i vincoli alla spesa per il personale sono strategici ai fini del conseguimento degli equilibri sostanziali del bilancio pubblico consolidato e pertanto sono inderogabili, salvo i casi in cui sia lo stesso legislatore nazionale a rimodularne gli ambiti ovvero ad abrogarne l’efficacia (sentenza n. 54 del 2014).
L’esclusione delle spese sostenute per i gruppi consiliari dal limite di finanza pubblica stabilito dallo Stato, violando un parametro di competenza, incide sulla corretta copertura delle stesse, copertura che è assicurata dall’individuazione della ragione giuridica sottesa al loro impiego (da ultimo, sentenza n. 80 del 2021).
In proposito, questa Corte ha ribadito che nei bilanci pubblici «le espressioni numeriche devono essere corredate da una stima attendibile, assicurata dalla coerenza con i presupposti economici e giuridici della loro quantificazione» (ex multis, sentenze n. 4 del 2020 e 227 del 2019), poiché, «diversamente opinando, sarebbe sufficiente inserire qualsiasi numero [nel bilancio] per realizzare nuove e maggiori spese» (sentenza n. 197 del 2019).
In definitiva, la disposizione censurata, consentendo una spesa priva di corretta copertura, mette a repentaglio l’equilibrio di bilancio. Devono pertanto accogliersi anche le questioni sollevate in riferimento agli artt. 81 e 97, primo comma, Cost., poiché la violazione dei limiti di spesa qualificati come principi di coordinamento della finanza pubblica si ripercuote altresì sui richiamati parametri.
9.– Alla luce delle considerazioni che precedono, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 40, comma 5, della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2010, come introdotto dall’art. 32, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 42 del 2013, nella parte in cui esclude l’applicazione del vincolo di cui all’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, in riferimento agli artt. 81, 97, primo comma, e 117, terzo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 40, comma 5, della legge della Regione Abruzzo 10 agosto 2010, n. 40 (Testo unico delle norme sul trattamento economico spettante ai Consiglieri regionali e sulle spese generali di funzionamento dei gruppi consiliari), come sostituito dall’art. 32, comma 1, della legge della Regione Abruzzo 20 novembre 2013, n. 42 (Norme in materia di Polizia amministrativa locale e modifiche alla legge regionale n. 18/2001, alla legge regionale n. 40/2010 e alla legge regionale n. 68/2012) nella parte in cui dispone che «Alle spese di cui al comma 1 non si applicano i limiti stabiliti dall’art. 9, comma 28, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122»;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 40, comma 5, della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2010, come sostituito dall’art. 32, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 42 del 2013, sollevata, in riferimento all’art. 136 della Costituzione, dalla Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per l’Abruzzo, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 ottobre 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Angelo BUSCEMA, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 15 novembre 2021.