SENTENZA N. 95
ANNO 2020
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Marta
CARTABIA;
Giudici: Aldo CAROSI,
Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA,
Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giovanni AMOROSO,
Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nei giudizi di
legittimità costituzionale dell’art. 299 del decreto
legislativo 30 maggio 2002, n. 113, recante «Testo unico delle disposizioni
legislative in materia di spese di giustizia (Testo B)», trasfuso nell’art.
299 del decreto
del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia
(Testo A)», nella parte in cui abroga l’art. 42 del decreto legislativo 28
agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace,
a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), e dell’art.
238-bis, commi 2, 5, 6 e 7, del d.P.R.
n. 115 del 2002, come introdotti dall’art. 1, comma 473, della legge 27
dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno
finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020),
promossi complessivamente dal Magistrato di sorveglianza di Pisa con ordinanza
del 15 gennaio 2019 e dal Magistrato di sorveglianza di Alessandria con ordinanza
del 16 aprile 2019, rispettivamente iscritte ai numeri 63 e 117 del
registro ordinanze 2019 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica,
numeri 18 e 35, prima serie speciale, dell’anno 2019.
Visti gli atti di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di
consiglio del 15 gennaio 2020 il Giudice relatore Franco Modugno;
deliberato nella camera
di consiglio del 30 gennaio 2020.
1.– Con ordinanza depositata
il 15 gennaio 2019 (r. o. n. 63 del 2019), il Magistrato di sorveglianza di
Pisa ha sollevato, in riferimento all’art. 76 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 299 del
decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di
giustizia (Testo A)», nella parte in cui abroga l’art. 42 del decreto
legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del
giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n.
468).
1.1.– In fatto, il
giudice a quo premette che F. T. è stato condannato dal Giudice di pace di Asti
con sentenza del 21 maggio 2013, divenuta irrevocabile il 24 giugno 2013, alla
pena di 5.000 euro di ammenda. La Procura della Repubblica presso il Tribunale
ordinario di Asti, avendo rilevato l’impossibilità di esazione della somma, ha
richiesto la conversione della pena pecuniaria in libertà controllata al
Magistrato di sorveglianza di Genova, il quale ha trasmesso gli atti al
Magistrato di sorveglianza di Pisa, essendo F. T. detenuto presso la casa
circondariale di Pisa. Il Magistrato di sorveglianza di Pisa ha ritenuto la
propria incompetenza per materia e trasmesso gli atti al Giudice di pace di
Asti, il quale, a sua volta, ha sollevato conflitto negativo di competenza,
trasmettendo gli atti alla Corte di cassazione. Con pronuncia del 15 novembre
2018, la Corte di cassazione ha dichiarato la competenza del Magistrato di
sorveglianza di Pisa, rimettendo gli atti a quest’ultimo per la decisione di
merito.
All’esito del conflitto
di competenza, il Magistrato di sorveglianza di Pisa ritiene che il sistema
normativo vigente, in forza del quale è stata riconosciuta la competenza del
magistrato di sorveglianza a decidere in ordine a una richiesta di conversione
per insolvibilità della pena pecuniaria irrogata dal giudice di pace, sia il
frutto di un intervento del legislatore delegato affetto da eccesso di delega
e, dunque, contrastante con l’art. 76 Cost.
1.2.– In punto di
diritto, il rimettente osserva come, in sede di risoluzione del conflitto di
competenza, la Corte di cassazione abbia ricostruito puntualmente la genesi dell’attuale
assetto normativo.
L’esecuzione delle pene
pecuniarie inflitte dal giudice di pace era originariamente disciplinata dall’art.
42 del d.lgs. n. 274 del 2000, il quale stabiliva che essa aveva luogo ai sensi
dell’art. 660 del codice di procedura penale. Nell’ottica di concentrare le
competenze in executivis, si prevedeva, tuttavia, che
l’accertamento dell’effettiva insolvibilità del condannato fosse svolto –
anziché dal magistrato di sorveglianza, come stabilito in termini generali dal
citato art. 660 cod. proc. pen. – dallo stesso
giudice di pace competente per l’esecuzione, che adottava anche i provvedimenti
in ordine alla rateizzazione o alla conversione della pena pecuniaria.
L’art. 42 del d.lgs. n.
274 del 2000 è stato, peraltro, abrogato dall’art. 299 del d.P.R. n. 115 del
2002, il quale ha accorpato le disposizioni legislative di cui al decreto
legislativo 30 maggio 2002, n. 113, recante «Testo unico delle disposizioni
legislative in materia di spese di giustizia (Testo B)», e le disposizioni
regolamentari di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 114, recante «Testo unico
delle disposizioni regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo C)».
Tale intervento abrogativo si inseriva nel più ampio disegno volto ad
attribuire in via generale, con l’art. 238 del testo unico, al giudice
dell’esecuzione i procedimenti di conversione delle pene pecuniarie:
prospettiva nella quale lo stesso art. 299 abrogava anche l’art. 660 cod. proc.
pen., che affidava originariamente, come detto, al
magistrato di sorveglianza i procedimenti in questione.
Con la sentenza n. 212 del
2003, la Corte costituzionale ha dichiarato, tuttavia, illegittimi, per
eccesso di delega, gli artt. 238 e 299 del d.lgs. n. 113 del 2002, quest’ultimo
nella parte in cui aveva abrogato l’art. 660 cod. proc. pen.
A seguito di tale pronuncia, l’intera materia della conversione delle pene
pecuniarie era confluita – secondo la Corte di cassazione, chiamata a risolvere
il conflitto negativo di competenza sopra indicato – nelle competenze del
magistrato di sorveglianza. Avendo la Corte costituzionale dichiarato
illegittimo l’art. 299 del testo unico solo parzialmente, restava infatti salvo
l’effetto abrogativo di tale norma sull’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, che
prevedeva precedentemente, in via derogatoria, la competenza del giudice di
pace.
Di qui la conclusione
che in tutti i casi in cui sorga una questione di conversione per insolvibilità
della pena pecuniaria irrogata da un giudice di pace debba provvedere il
magistrato di sorveglianza territorialmente competente.
1.3.– Ad avviso del
giudice a quo, la «lucida esposizione» della Corte di cassazione avrebbe dovuto
condurre, in realtà, a un diverso approdo: ossia a ritenere che l’art. 299 del
d.P.R. n. 115 del 2002 sia costituzionalmente illegittimo anche nella parte in
cui ha abrogato l’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000; norma, quest’ultima, che
dovrebbe «essere restituita a piena vigenza (ex tunc)
esattamente come l’art. 660 c.p.p.», ripristinando, in tal modo, la competenza
del giudice di pace in materia di conversione delle pene pecuniarie dallo
stesso irrogate.
Le ragioni
dell’incostituzionalità sarebbero già state espresse dalla Corte costituzionale
nella sentenza
n. 212 del 2003, con la quale si è affermato che, «indipendentemente
dall’ampiezza dei contorni che vogliano attribuirsi alla materia delle spese di
giustizia» – alla quale risultava circoscritta la delega legislativa conferita
dalla legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme
concernenti procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1998),
esercitata nella specie – il legislatore delegato era «sicuramente privo del
potere di dettare una disciplina del procedimento di conversione delle pene
pecuniarie», tesa a modificare radicalmente le regole di competenza.
Quest’ultima affermazione sarebbe riferibile all’intervento normativo nel suo
complesso e quindi, sebbene la declaratoria di incostituzionalità sia stata
limitata all’art. 299 nella parte in cui abrogava l’art. 660 cod. proc. pen., anche all’art. 299 nella parte in cui ha abrogato
l’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000.
Di qui, dunque, la non
manifesta infondatezza della questione.
Quanto alla rilevanza,
l’accoglimento della questione sarebbe «decisiv[o]»
nel procedimento di sorveglianza in corso, poiché costituirebbe un elemento
nuovo e risolutivo per affermare la competenza del Giudice di pace di Asti.
2.– Nel giudizio è
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata
inammissibile o, in subordine, infondata.
2.1.– La difesa dello
Stato reputa la questione inammissibile sotto plurimi profili.
2.1.1.– In primo luogo,
il rimettente avrebbe omesso qualsiasi tentativo di interpretazione conforme a
Costituzione: mancanza che connoterebbe la questione alla stregua di una mera
richiesta di avallo interpretativo «rispetto ad una tra le varie scelte
ermeneutiche possibili».
2.1.2– In secondo
luogo, la questione sarebbe inammissibile per carenza del requisito della
rilevanza nel giudizio a quo.
L’Avvocatura generale
dello Stato ricorda, infatti, che dal combinato disposto degli artt. 32 e 25
cod. proc. pen. deriva l’impossibilità, una volta che
il conflitto di competenza sia stato deciso dalla Corte di cassazione, di
rimettere in discussione il merito della questione di competenza, salvo che
risultino nuovi fatti che comportino una diversa definizione giuridica da cui
derivi la competenza di un giudice superiore. Secondo la giurisprudenza di legittimità,
per nuovi fatti dovrebbero intendersi nuovi accadimenti storici e non anche
situazioni o qualificazioni giuridiche e, d’altra parte, l’efficacia vincolante
della decisione sulla competenza opera anche con riferimento al giudizio di
esecuzione.
Alla luce di tale
orientamento, il rimettente non dovrebbe più occuparsi della questione di
competenza, sicché le norme contestate non potrebbero trovare applicazione nel
giudizio a quo. Ciò, senza considerare che il Magistrato di sorveglianza di
Pisa nel giudizio di rinvio dovrebbe uniformarsi, comunque sia, al principio di
diritto espresso dalla Corte di cassazione, essendosi sul punto formato il
giudicato interno.
2.1.3.– Da ultimo, la
questione sarebbe inammissibile anche per difetto di motivazione sulla non
manifesta infondatezza. Il giudice a quo si sarebbe, infatti, limitato a
richiamare quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 212 del
2003, senza chiarire in alcun modo in cosa sia consistito l’eccesso di
delega relativamente alla competenza penale del giudice di pace: indicazione da
ritenere necessaria a fronte del fatto che tale sentenza
si era limitata a censurare, per violazione dell’art. 76 Cost., solo la
radicale modifica della competenza generale del magistrato di sorveglianza.
2.2.– L’Avvocatura
generale dello Stato ritiene, in subordine, la questione infondata.
La difesa statale
rileva, infatti, che l’art. 238 del d.P.R. n. 115 del 2002, colpito anch’esso
dalla declaratoria di incostituzionalità, attribuiva in via generale la
competenza per la conversione al giudice dell’esecuzione e, dunque, sostituiva
anche l’abrogato art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, che attribuiva parziali
competenze al giudice di pace. Di conseguenza, una volta rimosso l’art. 238 del
testo unico, la reviviscenza del citato art. 42 non sarebbe più possibile.
La declaratoria di
illegittimità costituzionale dell’art. 238 del d.P.R. n. 115 del 2002 avrebbe
fatto sì che il principio generale della competenza del giudice dell’esecuzione
(compreso il giudice di pace) non trovi più applicazione in rapporto
all’istituto della conversione della pena pecuniaria, rispetto al quale unica
norma residuata e con portata generale sarebbe l’art. 660 cod. proc. pen.
3.– Con ordinanza
depositata il 16 aprile del 2019 (r. o. n. 117 del 2019), il Magistrato di
sorveglianza di Alessandria ha sollevato questioni di legittimità
costituzionale:
a) dell’art. 299 del
d.lgs. n. 113 del 2002, trasfuso nel d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui
abroga l’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, in riferimento all’art. 76 Cost.;
b) nonché, «in via
"indotta” dall’eventuale accoglimento» della prima questione, dell’art.
238-bis, commi 2, 5, 6 e 7, del d.P.R. n. 115 del 2002, aggiunto dall’art. 1,
comma 473, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello
Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio
2018-2020), nella parte in cui, facendo riferimento al giudice competente per
il procedimento di conversione delle pene pecuniarie per insolvibilità del
debitore, «parla specificamente di "magistrato di sorveglianza competente”,
anziché genericamente di "giudice competente”», in relazione agli artt. 3, 97, secondo comma, e
111, secondo comma,
Cost.
3.1.– Il giudice a quo
premette di essere stato investito dal Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale ordinario di Alessandria della richiesta di conversione della pena
pecuniaria inflitta a R. Q. con sentenza emessa dal Giudice di pace di
Alessandria il 17 novembre 2010, divenuta irrevocabile il 17 gennaio 2011. La
richiesta, formulata l’11 dicembre 2018, era stata presentata al giudice
rimettente in quanto la Corte di cassazione, in sede di risoluzione di un
conflitto di competenza tra il medesimo giudice e il Giudice di pace di
Alessandria, insorto in un diverso e precedente procedimento, aveva dichiarato
la competenza della magistratura di sorveglianza in materia.
3.2.– In punto di
diritto, il rimettente si diffonde preliminarmente nell’analitica ricostruzione
del quadro normativo di riferimento.
Il giudice a quo rileva
che l’art. 660 cod. proc. pen. del 1988 aveva
trasferito al magistrato di sorveglianza il compito, precedentemente attribuito
al pubblico ministero o al pretore, di accertare l’effettiva insolvibilità del
condannato a pena pecuniaria, nonché di disporre la rateizzazione di
quest’ultima e la sua eventuale conversione in sanzione sostitutiva (libertà
controllata o lavoro sostitutivo, ai sensi dell’art. 102 della legge 24
novembre 1981, n. 689, recante «Modifiche al sistema penale»). Il procedimento
di conversione – regolato, oltre che dal citato art. 660 cod. proc. pen., dagli artt. 181 e 182 del decreto legislativo 28
luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del
codice di procedura penale) e dall’art. 30 del d.m.
30 settembre 1989, n. 334 (Regolamento per l’esecuzione del codice di procedura
penale) – si caratterizzava, peraltro, per una accentuata frammentazione di
competenze (vedendo coinvolti la cancelleria del giudice dell’esecuzione, il
pubblico ministero e il magistrato di sorveglianza), con ripetuti e inutili
passaggi da un ufficio all’altro.
Nell’affiancare al
modello ordinario di procedimento penale un procedimento specifico per i reati
devoluti alla competenza del giudice di pace, il d.lgs. n. 274 del 2000 aveva
inteso valorizzare il ruolo di quest’ultimo anche nell’esecuzione delle pene
pecuniarie, attribuendo allo stesso giudice onorario le competenze in tema di
conversione demandate dall’art. 660 cod. proc. pen.
al magistrato di sorveglianza (art. 42). Ciò, in correlazione alle peculiarità
di tale nuovo modello – nel quale, tra l’altro, la pena pecuniaria ineseguita
si converte in sanzioni sostitutive di diverso tipo (permanenza domiciliare o
lavoro di pubblica utilità, ai sensi dell’art. 55 del d.lgs. n. 274 del 2000) –
e al dichiarato fine di evitare gli inconvenienti derivanti dalla
frammentazione di competenze determinata dalla norma generale del codice di
rito.
I due "sistemi” di
conversione venivano sostituiti e unificati dal d.P.R. n. 115 del 2002, il
quale, nel Titolo IV della Parte VII (artt. 235-239) regolava l’intera materia
relativa alla riscossione delle pene pecuniarie in tutte le sue fasi,
demandando il procedimento di conversione al «giudice dell’esecuzione
competente» (artt. 237 e 238): ossia al giudice individuato dall’art. 665 cod.
proc. pen., quanto alle pene inflitte dal giudice
professionale, e dall’art. 40, comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000, quanto alle
pene irrogate dal giudice onorario (di regola, il giudice di pace che ha emesso
il provvedimento di condanna).
Per evitare problemi di
coordinamento o di sovrapposizione tra la nuova normativa e quella
preesistente, venivano quindi espressamente abrogati tanto l’art. 660 cod.
proc. pen. e gli artt. 181 e 182 norme att. cod.
proc. pen., quanto l’art. 42 del d.lgs. n. 274 del
2000 (art. 299 del d.lgs. n. 113 del 2002, trasfuso nel d.P.R. n. 115 del
2002).
Le norme sulla
competenza a disporre la conversione della pena pecuniaria in sanzione
sostitutiva recate dal d.lgs. n. 113 del 2002, e indi dal d.P.R. n. 115 del
2002, erano, dunque, innovative rispetto alle pene pecuniarie applicate da un
giudice "ordinario”, perché trasferivano la competenza dal magistrato di
sorveglianza al giudice dell’esecuzione: non, invece, rispetto alle pene
applicate da un giudice di pace, in quanto la competenza permaneva, come in
precedenza, in capo allo stesso giudice di pace, in funzione di giudice
dell’esecuzione.
3.3.– Questo assetto
normativo veniva, peraltro, subito «sconvolto» dalla sentenza della
Corte costituzionale n. 212 del 2003, che dichiarava illegittimi gli artt.
237, 238 e 299 del d.lgs. n. 113 del 2002, quest’ultimo nella parte in cui
abrogava l’art. 660 cod. proc. pen. La Corte riteneva
non condivisibile il convincimento espresso dal legislatore delegato, secondo
il quale la disciplina considerata rientrava nell’oggetto della delega
conferita dall’art. 7 della legge n. 50 del 1999, in ragione della sostanziale
«comunanza» della materia delle pene pecuniarie con quella delle spese di
giustizia. Specie nelle materie coperte da riserva assoluta di legge – quale
quella della competenza del giudice, ai sensi dell’art. 25 Cost. – l’esistenza
della delega non poteva essere, infatti, desunta dalla mera «connessione» con
l’oggetto della delega stessa: prospettiva nella quale il legislatore delegato
doveva ritenersi senz’altro privo del potere di dettare una disciplina del procedimento
di conversione delle pene pecuniarie che comportasse una radicale modifica
delle regole di competenza.
Ad avviso del
rimettente la Corte avrebbe dichiarato, dunque, l’incostituzionalità non sulla
base di una «ipotetica (ed inesistente) competenza "naturale” ed inderogabile
in subiecta materia della magistratura di
sorveglianza, ma solo per vizio di eccesso di delega». Nell’occasione – secondo
il rimettente – la Corte non si sarebbe posta il problema
dell’incostituzionalità dell’art. 299 del d.lgs n.
113 del 2002, nella parte in cui abrogava anche l’art. 42 del d.lgs. n. 274 del
2000, solo perché tenuta a conformarsi al principio di corrispondenza fra
chiesto e pronunciato, ma «la logica interna» della sentenza n. 212 del
2003 era sicuramente quella di ritenere costituzionalmente illegittima
qualsiasi innovazione, da parte del legislatore delegato, alle preesistenti
regole di competenza in subiecta materia.
Aggiunge il giudice a
quo che con la medesima
sentenza la Corte costituzionale ha dichiarato, peraltro, illegittimi anche
gli artt. 237 e 238 del d.lgs. n. 113 del 2002, i quali non si limitavano a
incidere sulle regole competenziali in questione, ma
disciplinavano anche ex novo l’attivazione del procedimento giurisdizionale di
conversione, già regolata dagli abrogati artt. 181 e 182 norme att. cod. proc. pen. Persistendo tale abrogazione, si è venuto quindi a determinare
un vuoto normativo, quanto al momento di raccordo tra la fase amministrativa di
riscossione della pena pecuniaria e quella giurisdizionale di conversione.
Al solo scopo – secondo
il rimettente – di colmare tale vuoto, la recente legge n. 205 del 2017 ha,
quindi, aggiunto al d.P.R. n. 115 del 2002 l’art. 238-bis, inteso appunto a
disciplinare – come indicato dalla sua rubrica – l’«[a]ttivazione
delle procedure di conversione delle pene pecuniarie non pagate». La nuova
disposizione, nondimeno, ai commi 2, 5, 6 e 7, menziona ripetutamente, quale
organo giurisdizionale competente, il «magistrato di sorveglianza».
3.4.– A fronte di tale
quadro normativo, la Corte di cassazione, nel risolvere il conflitto di
competenza insorto tra il giudice a quo e il Giudice di pace di Asti
nell’ambito di un distinto procedimento, aveva disatteso l’interpretazione "adeguatrice” prospettata dal rimettente stesso, secondo la
quale la competenza in materia di conversione delle pene pecuniarie inflitte
dal giudice di pace sarebbe rimasta radicata in capo a quest’ultimo, in base
all’art. 40, comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000. Secondo la Corte di
legittimità, avendo la citata sentenza n. 212 del
2003 dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 299 del d.lgs. n. 113
del 2002 solo parzialmente, restava salva l’efficacia abrogativa di tale norma
sull’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000: con la conseguenza che, difettando una
disposizione che attribuisca al giudice di pace la competenza in materia di
conversione delle pene pecuniarie, l’intera materia rimaneva regolata dal
ripristinato art. 660 cod. proc. pen. Conclusione,
questa, che sarebbe rimasta avvalorata dalla recente introduzione dell’art.
238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, laddove richiama la competenza unica del
magistrato di sorveglianza (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza
15 novembre-18 dicembre 2018, n. 56967).
Ad avviso del
Magistrato di sorveglianza di Alessandria, tali argomenti non sarebbero
persuasivi. L’orientamento ora ricordato è stato, tuttavia, ribadito dalla
giurisprudenza di legittimità in numerose altre pronunce, così da poter essere
qualificato come vero e proprio diritto vivente: il che renderebbe «di fatto
vana» l’adozione di una contraria interpretazione "costituzionalmente
orientata”.
Sarebbe, di
conseguenza, necessario sollevare questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 299 del d.lgs. n. 113 del 2002 (trasfuso nel d.P.R. n. 115 del 2002),
nella parte in cui ha abrogato l’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, e – «in
via "indotta”» – dell’art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in
cui, ai commi 2, 5, 6 e 7, facendo riferimento al giudice competente per il
procedimento di conversione, «parla specificamente di "magistrato di
sorveglianza competente” anziché genericamente di "giudice competente”».
3.5.– Con riguardo a
entrambe le norme, le questioni sarebbero rilevanti, in quanto è stato attivato
presso l’ufficio del giudice rimettente il procedimento di conversione di una
pena pecuniaria inflitta dal giudice di pace, con la conseguenza che il
rimettente stesso dovrebbe disporre le opportune indagini sull’insolvibilità
del condannato, ai sensi dell’art. 238-bis, comma 6, del d.P.R. n. 115 del
2002. Di contro, la declaratoria di incostituzionalità delle norme censurate
comporterebbe una pronuncia di incompetenza, con restituzione degli atti al
pubblico ministero per l’attivazione del procedimento davanti al giudice di
pace competente.
3.6.– Quanto alla non
manifesta infondatezza della prima questione, il giudice a quo ritiene che
l’art. 299 del d.lgs. n. 113 del 2002, nella parte in cui abroga l’art. 42 del
d.lgs. n. 274 del 2000, si ponga in contrasto con l’art. 76 Cost.
Alla stregua del
diritto vivente formatosi a seguito della sentenza n. 212 del
2003, infatti, l’abrogazione del citato art. 42 – benché finalizzata al
mero coordinamento con la nuova disciplina introdotta dallo stesso d.lgs. n.
113 del 2002 – avrebbe determinato una modifica sostanziale delle regole di
competenza sulla conversione delle pene pecuniarie inflitte da un giudice di
pace, trasferendo la competenza stessa dal giudice onorario al magistrato di
sorveglianza.
In quest’ottica, la
norma si rivelerebbe viziata da eccesso di delega per le medesime ragioni già
poste in evidenza nella sentenza n. 212 del
2003, non avendo il legislatore delegato alcun potere di intervento in
materia.
3.7.– Per quanto
riguarda, invece, l’art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002,
l’incostituzionalità di tale disposizione verrebbe «"[…]indotta”»
– ossia «"creata”» – dall’auspicato accoglimento della prima questione, il
quale, determinando la caducazione di una disposizione di abrogazione espressa
di un’altra norma, avrebbe l’effetto di ripristinare ex tunc
la vigenza dell’art. 42 del d.lgs. del 274 del 2000.
A fronte di ciò,
l’incostituzionalità denunciata sarebbe prospettabile sotto due profili tra
loro alternativi, secondo come il citato art. 238-bis venga interpretato.
Ove si assegni alla
norma la sola funzione di disciplinare l’attivazione del procedimento di
conversione della pena pecuniaria non pagata, essa sarebbe in contrasto con
l’art. 3 Cost. Facendo, infatti, riferimento al solo magistrato di
sorveglianza, come organo competente per la conversione, la disposizione non si
limiterebbe soltanto a regolare il raccordo fra la fase di esazione delle pene
pecuniarie e quella della loro conversione, ma avrebbe una conseguenza «non
prevista e (soprattutto) non voluta dal Legislatore»: quella, cioè, di
escludere implicitamente la «competenza del giudice di pace prevista dal
"resuscitato” art. 42» del d.lgs. n. 274 del 2000. In tal modo, peraltro, il
contenuto della disposizione risulterebbe intrinsecamente contraddittorio
rispetto alla sua ratio, con conseguente violazione del canone della
ragionevolezza.
Ove, invece, si ritenga
che con l’art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002 il legislatore abbia inteso
anche disciplinare ex novo la competenza sulla conversione della pena
pecuniaria, concentrandola «sempre e solo nella magistratura di sorveglianza»,
ciò comporterebbe che l’antinomia fra il ripristinato art. 42 del d.lgs. n. 274
del 2000 e la norma censurata debba essere risolta nel senso della prevalenza
di quest’ultima, in quanto lex posterior.
In questa lettura,
tuttavia, la disposizione si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 97, secondo
comma, e 111, secondo comma, Cost.
Essa violerebbe l’art.
3 Cost., in quanto l’attribuzione in via esclusiva della competenza al
magistrato di sorveglianza, anche quando si tratti di pene pecuniarie irrogate
dal giudice di pace, non troverebbe alcuna ragionevole giustificazione. Tale
soluzione priverebbe il procedimento di conversione delle caratteristiche di
snellezza e rapidità già assicurate dall’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000 con
la concentrazione delle competenze in executivis in
capo al giudice di pace, facendo sì che nel procedimento stesso debbano
intervenire plurimi uffici giudiziari, con un irrazionale «"pendolarismo” tra
l’uno e l’altro». Il procedimento ha, infatti, inizio con la richiesta di
attivazione della conversione da parte del cosiddetto ufficio recupero crediti
presso il giudice dell’esecuzione (art. 238-bis, comma 2, del d.P.R. n. 115 del
2002), la quale deve essere trasmessa al pubblico ministero, senza peraltro che
sia chiaro se si tratti del pubblico ministero presso il giudice
dell’esecuzione o presso il magistrato di sorveglianza (donde un «primo
"pericolo di stasi” del procedimento»). Il pubblico ministero deve quindi
attivare la conversione presso il magistrato di sorveglianza competente, il
quale va individuato in base a criteri diversi, ai sensi dell’art. 677 cod.
proc. pen., secondo che il condannato sia detenuto o
internato, ovvero in stato di libertà: con un «altro "pericolo di stasi”»,
dovendo il pubblico ministero effettuare ricerche per verificare se e dove
l’interessato si trovi ristretto, ovvero dove abbia la residenza o il
domicilio, se libero; elementi tutti che possono, d’altronde, subire variazioni
nelle more della trasmissione degli atti al magistrato di sorveglianza. Nel
caso, poi, in cui si accerti che il condannato è solvibile, il magistrato di sorveglianza
deve restituire gli atti al pubblico ministero, perché chieda all’ufficio
recupero crediti presso il giudice dell’esecuzione di riavviare le attività di
riscossione (come si desume dagli artt. 238-bis, comma 7, e 239 del d.P.R. n.
115 del 2002); mentre, nel caso in cui venga disposta la conversione della pena
o la sua rateizzazione, deve comunicare il provvedimento al medesimo ufficio
perché, a sua volta, provveda a comunicarlo all’agente di riscossione (art.
238-bis, comma 8, del d.P.R. n. 115 del 2002).
La norma censurata
avrebbe, in questo modo, «effetti gravemente dilatori», che implicherebbero una
lesione del principio di ragionevole durata del processo (art. 111, secondo
comma, Cost.), non compensata dall’esigenza di dare attuazione ad altri principi
costituzionali.
Essa stravolgerebbe,
inoltre, «la coerenza interna di quell’autonomo "microsistema di tutela
integrata” rappresentato dal procedimento penale davanti al giudice di pace»,
determinando una immotivata «"intrusione” in quel procedimento […] di un
giudice "professionale” o "togato” quale è il magistrato di sorveglianza», che
si troverebbe ad applicare, in sede di conversione, sanzioni facenti parte
dell’armamentario sanzionatorio tipico ed esclusivo del giudice onorario.
Sul fronte opposto, la
disposizione denunciata provocherebbe un altrettanto ingiustificato incremento
dei compiti della magistratura di sorveglianza, già gravata di sempre più
numerose attribuzioni dalla recente «legislazione emergenziale» in tema di
contenimento del sovraffollamento carcerario, senza un corrispondente
adeguamento delle risorse umane e materiali: con conseguente compromissione
anche del principio di buon andamento dell’amministrazione della giustizia
(art. 97, secondo comma, Cost.).
4.– Nel giudizio è intervenuto
il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata
inammissibile.
La difesa statale
deduce che le questioni non sarebbero preordinate a risolvere il dubbio di
legittimità costituzionale, ma mirerebbero ad ottenere un «improprio avallo»
interpretativo, teso a confutare il diverso orientamento espresso dalla Corte
di cassazione, tanto più che la richiesta si fonderebbe «sull’esistenza di una
presunta volontà storica del legislatore».
Per quanto riguarda,
poi, le singole censure, l’Avvocatura generale dello Stato deduce, per un
verso, che i dubbi di costituzionalità riferiti all’art. 3 Cost. sarebbero
stati prospettati «senza peraltro individuare il tertium
comparationis» e, per un altro verso, che le
doglianze relative alla violazione degli artt. 97, secondo comma, e 111,
secondo comma, Cost., sarebbero state formulate senza «minimamente giustificare
l’assunto che la scelta legislativa […] pregiudicherebbe celerità e buon
andamento dell’amministrazione della giustizia».
1.– Il Magistrato di
sorveglianza di Pisa (ordinanza r. o. n. 63 del 2019) dubita della legittimità
costituzionale dell’art. 299 del decreto del Presidente della Repubblica 30
maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella parte in cui
abroga l’art. 42 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni
sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della
legge 24 novembre 1999, n. 468).
Il giudice a quo rileva
che il citato art. 42 attribuiva al giudice di pace, in funzione di giudice
dell’esecuzione, la competenza in tema di conversione per insolvibilità del
condannato delle pene pecuniarie inflitte dallo stesso giudice onorario. Ciò in
deroga alla generale competenza del magistrato di sorveglianza in materia,
prevista dall’art. 660 del codice di procedura penale.
Tanto l’art. 42 del
d.lgs. n. 274 del 2000, quanto l’art. 660 cod. proc. pen.
erano stati abrogati dall’art. 299 del decreto legislativo 30 maggio 2002, n.
113, recante «Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di
giustizia (Testo B)», confluito nel d.P.R. n. 115 del 2002, in correlazione
alla generale attribuzione al giudice dell’esecuzione delle competenze in tema
di conversione, disposta dall’art. 238 del medesimo d. lgs. n. 113 del 2002.
I citati artt. 238 e
299 – quest’ultimo limitatamente alla parte in cui aveva abrogato l’art. 660
cod. proc. pen. – sono stati dichiarati, tuttavia,
costituzionalmente illegittimi dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 212 del
2003, per eccesso di delega. Ciò, in quanto la legge di delegazione sulla
cui base era stato emanato il decreto legislativo non consentiva al legislatore
delegato di apportare modifiche alle regole di competenza in materia.
Secondo la
giurisprudenza di legittimità, avendo la sentenza n. 212 del
2003 ripristinato la vigenza della norma generale dell’art. 660 cod. proc. pen., ma non anche quella della norma derogatoria di cui
all’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, la competenza sulla conversione delle
pene pecuniarie inflitte dal giudice di pace spetterebbe anch’essa, allo stato,
al magistrato di sorveglianza.
In quest’ottica,
peraltro, l’abrogazione del citato art. 42, disposta dalla norma censurata,
dovrebbe ritenersi essa pure in contrasto con l’art. 76 della Costituzione, per
le medesime ragioni poste in evidenza dalla citata sentenza n. 212 del
2003, essendone scaturita una modifica non consentita del pregresso assetto
delle competenze.
2.– Analoga questione
di legittimità costituzionale dell’art. 299 del d.lgs. n. 113 del 2002,
trasfuso nell’art. 299 del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui abroga
l’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, è sollevata dal Magistrato di
sorveglianza di Alessandria (ordinanza r. o. n. 117 del 2019).
Quest’ultimo dubita,
peraltro – «in via "indotta” dall’eventuale accoglimento» della prima questione
–, anche della legittimità costituzionale dell’art. 238-bis, commi 2, 5, 6 e 7,
del d.P.R. n. 115 del 2002, aggiunto dall’art. 1, comma 473, della legge 27
dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno
finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), nella parte
in cui, facendo riferimento al giudice competente per il procedimento di
conversione delle pene pecuniarie per insolvibilità del debitore, «parla
specificamente di "magistrato di sorveglianza competente”, anziché
genericamente di "giudice competente”».
Secondo il giudice a
quo, ove a tale disposizione fosse assegnata la sola funzione di disciplinare
la fase di attivazione del procedimento di conversione, essa si porrebbe in
contrasto con l’art. 3 Cost., per l’intrinseca contraddittorietà tra il contenuto
della norma e la sua ratio. Facendo riferimento in via esclusiva al magistrato
di sorveglianza, il censurato art. 238-bis verrebbe, infatti, a produrre un
effetto non previsto, né voluto dal legislatore: quello, cioè, di modificare
implicitamente la competenza sulla conversione delle pene pecuniarie inflitte
dal giudice di pace, che in base all’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000 –
ripristinato ex tunc per effetto dell’auspicato
accoglimento della prima questione – dovrebbe spettare al giudice onorario.
Ove, invece, si
ritenesse che con la norma denunciata il legislatore abbia voluto disciplinare
ex novo anche la competenza in subiecta materia, essa
violerebbe egualmente l’art. 3 Cost., in quanto l’attribuzione della competenza
al magistrato di sorveglianza, anche quando si tratti di pene pecuniarie
irrogate dal giudice di pace, risulterebbe priva di ragionevole
giustificazione, compromettendo la coerenza interna del sistema della
giurisdizione penale del giudice onorario e coinvolgendo inutilmente nel
procedimento uffici giudiziari diversi, con un «"pendolarismo” tra l’uno e
l’altro», fonte di stasi e ritardi. Violerebbe, in tal modo, anche l’art. 111,
secondo comma, Cost., per contrasto con il principio di ragionevole durata del
processo; nonché l’art. 97, secondo comma, Cost., per contrasto con il
principio di buon andamento dell’amministrazione della giustizia, gravando
immotivatamente gli uffici di sorveglianza di ulteriori compiti, che
ostacolerebbero l’espletamento delle già assorbenti funzioni di cui essi sono
attualmente onerati.
3.– Le due ordinanze di
rimessione sollevano questioni analoghe, relative in parte alle medesime norme,
sicché i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con un’unica
decisione.
4.– La questione
sollevata dal Magistrato di sorveglianza di Pisa è inammissibile.
Come eccepito
dall’Avvocatura generale dello Stato, essa è stata, infatti, sollevata, per
quanto emerge dalla stessa ordinanza di rimessione, dopo che la Corte di
cassazione – pronunciandosi in sede di risoluzione del conflitto di competenza
insorto tra il giudice a quo e il Giudice di pace di Asti nell’ambito del
medesimo procedimento – aveva dichiarato la competenza del primo.
Alla luce della
costante giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, sentenze n. 1 del
2015 e n. 294
del 1995, ordinanze
n. 306 del 2013 e n. 222 del 1997),
ciò determina l’irrilevanza della questione. L’effetto vincolante delle
decisioni della Corte di cassazione in materia di competenza, previsto
dall’art. 25 cod. proc. pen., impedisce, infatti, di
rimettere in discussione la competenza attribuita nel caso concreto dalla
Cassazione medesima, rimanendo ogni ulteriore indagine sul punto
definitivamente preclusa: con la conseguenza che nessuna influenza potrebbe
avere la pronuncia di questa Corte nel giudizio a quo.
Restano assorbite le
ulteriori eccezioni di inammissibilità formulate dall’Avvocatura generale dello
Stato.
5.– Non fondata, per
converso, è l’eccezione di inammissibilità proposta dall’Avvocatura generale
dello Stato in relazione alle questioni sollevate dal Magistrato di
sorveglianza di Alessandria, con la quale si deduce che il giudice a quo
avrebbe richiesto a questa Corte un «improprio avallo» interpretativo, teso a
confutare il diverso orientamento espresso dalla Corte di cassazione.
Pur ritenendo
praticabile una diversa interpretazione che, facendo leva sull’art. 40, comma
1, del d.lgs. n. 274 del 2000, porterebbe a riconoscere la competenza del
giudice di pace in materia, il giudice a quo rileva come una simile soluzione
ermeneutica si scontrerebbe con il consolidato e contrario orientamento della
Corte di cassazione, che esclude tale competenza.
Per giurisprudenza
ormai costante di questa Corte, in presenza di un indirizzo giurisprudenziale
consolidato, «il giudice a quo, se pure è libero di non uniformarvisi e di
proporre una sua diversa esegesi, ha, alternativamente, la facoltà di assumere
l’interpretazione censurata in termini di "diritto vivente” e di richiederne su
tale presupposto il controllo di compatibilità con i parametri costituzionali
(ex plurimis, sentenze n. 39 del
2018, n. 259
del 2017 e n.
200 del 2016; ordinanza
n. 201 del 2015). Ciò, senza che gli si possa addebitare di non aver
seguito altra interpretazione, più aderente ai parametri stessi, sussistendo
tale onere solo in assenza di un contrario diritto vivente (tra le altre, sentenze n. 122 del
2017 e n. 11
del 2015)» (sentenza
n. 141 del 2019).
6.– Ciò posto, ai fini
dell’analisi delle singole questioni prospettate dal Magistrato di sorveglianza
piemontese, è opportuno ripercorrere sinteticamente l’evoluzione della
disciplina relativa alla competenza in materia di conversione delle pene
pecuniarie non pagate, peraltro già ampiamente descritta nell’ordinanza di
rimessione.
6.1.– La competenza a
disporre la conversione, previo accertamento dell’insolvibilità del condannato,
era originariamente attribuita, in via generale, dall’art. 660 cod. proc. pen. del 1988 al magistrato di sorveglianza. La disciplina
era completata dagli artt. 181 e 182 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n.
271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di
procedura penale), i quali regolavano, rispettivamente, le modalità del «recupero
delle pene pecuniarie» e la procedura conseguente alla loro mancata esazione.
Una prima innovazione
in materia si è avuta in occasione dell’introduzione della competenza penale
del giudice di pace, avvenuta con il d.lgs. n. 274 del 2000. In via derogatoria
rispetto alla disciplina del codice di rito, l’art. 42 del citato decreto
legislativo stabiliva, infatti, che per le pene pecuniarie inflitte dal giudice
onorario la conversione venisse disposta da quest’ultimo, quale giudice
dell’esecuzione.
Dopo pochi anni, il
legislatore è intervenuto, peraltro, novamente con il
testo unico in materia di spese di giustizia, di cui al d.P.R. n. 115 del 2002
– nel quale, come è noto, sono confluite le disposizioni legislative del d.lgs.
n. 113 del 2002 e quelle regolamentari del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 114,
recante «Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di spese di
giustizia (Testo C)» – regolando ex novo la materia agli artt. 237 e 238, con
la previsione, in via generale, della competenza del giudice dell’esecuzione.
L’art. 299 del testo unico ha abrogato, di conseguenza, sia l’art. 660 cod.
proc. pen. e gli artt. 181 e 182 norme att. cod.
proc. pen., sia l’art. 42 del d.lgs
n. 274 del 2000.
Con la sentenza n. 212 del
2003, questa Corte ha, tuttavia, ritenuto che tale intervento fosse stato
operato in eccesso di delega. Il d.lgs. n. 113 del 2002 trovava, infatti,
fondamento nella delega contenuta nell’art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50
(Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi
– Legge di semplificazione 1998), con particolare riferimento alle materie
indicate ai numeri 9), 10) e 11) dell’Allegato numero 1, complessivamente
attinenti alle spese di giustizia. Contrariamente a quanto sostenuto nella
relazione illustrativa del testo unico, la disciplina in questione non poteva
essere fatta rientrare nell’oggetto della delega sulla base di una valutazione
di sostanziale «comunanza» della materia delle pene pecuniarie con quella delle
spese di giustizia. Specie nelle materie coperte da riserva assoluta di legge –
quale quella della competenza del giudice, ai sensi dell’art. 25 Cost. –
l’esistenza della delega non può essere desunta dalla mera «connessione» con
l’oggetto della delega stessa: prospettiva nella quale il legislatore delegato
doveva ritenersi certamente privo del potere di dettare una disciplina del
procedimento di conversione che comportasse, come quella censurata, la
sottrazione della competenza al magistrato di sorveglianza e il suo
trasferimento, in via generale, al giudice dell’esecuzione.
Su tali premesse,
questa Corte ha dichiarato, quindi, costituzionalmente illegittimi gli artt.
237 e 238 del d.lgs. n. 113 del 2002, nonché l’art. 299 del medesimo decreto,
limitatamente alla parte in cui aveva abrogato l’art. 660 cod. proc. pen.
Ciò ha determinato la
reviviscenza di quest’ultima disposizione e, con essa, della competenza
generale del magistrato di sorveglianza, senza, peraltro, che analogo fenomeno
si sia verificato in rapporto alla norma derogatoria dell’art. 42 del d.lgs. n.
274 del 2000, la cui abrogazione non era investita dalla declaratoria di
illegittimità costituzionale.
In questo complesso
quadro normativo, è intervenuto da ultimo l’art. 1, comma 473, della legge n.
205 del 2017, che ha inserito nel d.P.R. n. 115 del 2002 l’art. 238-bis, inteso
a disciplinare l’«[a]ttivazione delle procedure di
conversione delle pene pecuniarie non pagate».
Tale disposizione è
stata introdotta al fine di colmare il vuoto normativo venutosi a creare a
seguito dell’abrogazione degli artt. 181 e 182 norme att. cod. proc. pen. e della successiva dichiarazione di incostituzionalità
degli artt. 237 e 238 del d.lgs. n. 113 del 2002, nei quali era contenuta anche
la disciplina di raccordo tra la fase amministrativa di esazione e quella
giurisdizionale di conversione della pena pecuniaria.
Del contenuto
precettivo dell’art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, ciò che rileva nel
presente giudizio di costituzionalità – formando peraltro oggetto di espressa
censura ad opera del Magistrato di sorveglianza di Alessandria – è il ripetuto
riferimento al magistrato di sorveglianza, quale organo competente in materia.
Il comma 2 dell’art.
238-bis dispone, infatti, che la cancelleria del giudice dell’esecuzione
«investe il pubblico ministero perché attivi la conversione presso il
magistrato di sorveglianza competente […]», la cui attività è specificamente
regolata dai commi 6 e 7 dello stesso articolo: il comma 6 – riprendendo la
formulazione dell’abrogato art. 182 norme att. cod. proc. pen.
– prevede che «[i]l magistrato di sorveglianza, al fine di accertare
l’effettiva insolvibilità del debitore, può disporre le opportune indagini nel
luogo del domicilio o della residenza, ovvero dove si abbia ragione di ritenere
che lo stesso possieda altri beni o cespiti di reddito e richiede, se
necessario, informazioni agli organi finanziari»; il comma 7, invece, dispone
che «[q]uando il magistrato di sorveglianza
competente accerta la solvibilità del debitore, l’agente della riscossione
riavvia le attività di competenza sullo stesso articolo di ruolo». Anche il
comma 5 fa riferimento al magistrato di sorveglianza, prevedendo che
«l’articolo di ruolo relativo alle pene pecuniarie è sospeso dalla data in cui
il pubblico ministero trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza
competente».
6.2.– A fronte del
descritto panorama normativo, la giurisprudenza di legittimità si è espressa in
modo unanime, nel senso di ritenere che unico organo competente a decidere
sulla conversione, anche quando si tratti di pene irrogate dal giudice di pace,
è attualmente il magistrato di sorveglianza (ex plurimis,
Corte di cassazione, sezione prima, sentenza 5 aprile-6 maggio 2019, n. 18905;
sentenza 11 dicembre 2018-14 gennaio 2019, n. 1560; sentenza 15 novembre-18
dicembre 2018, n. 56967).
A seguito della sentenza n. 212 del
2003, ha ripreso, infatti, pieno vigore l’art. 660 cod. proc. pen., che viene quindi a disciplinare l’intera materia
della conversione delle pene pecuniarie, quale che sia il reato cui afferiscono
e il giudice che le ha inflitte, essendo rimasta salva l’efficacia abrogativa
dell’art. 299 del d.P.R. n. 115 del 2002 sull’art. 42 del d.lgs. n. 274 del
2000, relativa ai procedimenti di competenza del giudice di pace. Ciò, ferme
restando le previsioni di ordine sostanziale contenute nell’art. 55 del
medesimo decreto, che individuano in modo autonomo le sanzioni scaturenti dalla
conversione delle pene pecuniarie inflitte dal giudice onorario (permanenza
domiciliare o lavoro di pubblica utilità, in luogo della libertà controllata o
del lavoro sostitutivo previsti dall’art. 102 della legge 24 novembre 1981, n.
689, recante «Modifiche al sistema penale»).
Secondo la Corte di
cassazione, tale conclusione troverebbe puntuale conferma nella recente
introduzione dell’art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, la quale esprimerebbe
«la piena e definitiva consacrazione, ad opera della legge ordinaria, della
competenza unica, in materia, del magistrato di sorveglianza» (tra le altre,
Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 5 aprile-6 maggio 2019, n.
18905; sentenza 5 aprile-6 maggio 2019, n. 18902; sentenza 13 marzo-18 aprile
2019, n. 17098).
7.– Alla luce
dell’esposta evoluzione del quadro normativo, si rende necessario invertire
l’ordine delle questioni, rispetto a quello prospettato dal rimettente, dovendo
essere esaminate per prime – in quanto logicamente pregiudiziali – le questioni
aventi ad oggetto l’art. 238-bis, commi 2, 5, 6 e 7, del d.P.R. n. 115 del
2002.
Nel caso di specie, il
giudice a quo è stato, infatti, investito del procedimento di conversione
successivamente all’entrata in vigore di tale disposizione, la quale, pertanto,
è la norma che disciplina il procedimento stesso, anche per quanto attiene
all’individuazione del giudice competente al momento della domanda. Di
conseguenza, per quanto appresso meglio si osserverà, solo qualora fosse
rimosso il riconoscimento della competenza unica del magistrato di
sorveglianza, insito nel disposto del citato art. 238-bis, la questione intesa
a far rivivere la norma anteriore di cui all’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000
risulterebbe rilevante nel giudizio a quo.
7.1.– In via
preliminare, va rilevato che le questioni concernenti l’art. 238-bis del d.P.R.
n. 115 del 2002, ora in esame, non sono rese inammissibili dal fatto che il
rimettente abbia suddiviso le censure in due gruppi, qualificati come fra loro
alternativi, in correlazione ad altrettante possibili interpretazioni della
norma censurata: come finalizzata, cioè, unicamente a disciplinare la fase di
attivazione del procedimento di conversione, ovvero anche a regolare la
competenza.
Il giudice a quo non
chiede, infatti, a questa Corte due diversi interventi, in rapporto di
alternatività irrisolta: nel qual caso le questioni sarebbero inammissibili, in
quanto prospettate in modo ancipite (ex plurimis, sentenze n. 75
e n. 58 del 2020,
n. 175 del 2018
e n. 22 del 2016,
ordinanza n. 130
del 2017). Egli si muove, invece, nell’ambito di un unico percorso,
finalizzato a ottenere esclusivamente la dichiarazione di incostituzionalità
della disposizione censurata, nella parte in cui, facendo riferimento al
magistrato di sorveglianza anziché al giudice competente, viene a sancire – non
importa se come conseguenza non preventivata o per scelta consapevole del
legislatore – la competenza esclusiva del primo in tema di conversione. In
definitiva, gli argomenti svolti si pongono come complementari e pertanto
possono essere esaminati congiuntamente.
7.2.– A parere del
rimettente, la disposizione censurata violerebbe anzitutto l’art. 3 Cost., per
violazione del canone della ragionevolezza, sotto un duplice profilo. In primo
luogo, per la contraddittorietà intrinseca del contenuto della norma rispetto
alla sua ratio, in quanto la disciplina della competenza esorbiterebbe dalle
ragioni dell’intervento operato dalla legge n. 205 del 2017, volto a regolare
il raccordo fra la fase di esazione delle pene pecuniarie e quella della loro
conversione.
In secondo luogo,
poiché la previsione della competenza del magistrato di sorveglianza, anche
quando si discuta della conversione di pene pecuniarie inflitte dal giudice di
pace, risulterebbe di per sé irragionevole. Essa implica, infatti, il
coinvolgimento nel procedimento di plurimi uffici giudiziari diversi (la
cancelleria del giudice dell’esecuzione, il pubblico ministero, il magistrato
di sorveglianza), con pendolari passaggi tra l’uno e l’altro, forieri di gravi
e inutili ritardi. L’intrusione di un giudice professionale, quale il
magistrato di sorveglianza, nell’applicazione in sede di conversione di
sanzioni proprie e tipiche dell’armamentario sanzionatorio del solo giudice di
pace (quali la permanenza domiciliare o il lavoro di pubblica utilità),
finirebbe altresì per compromettere la coerenza interna del procedimento penale
davanti al giudice onorario.
Sotto entrambi i
profili, la questione non è fondata.
Quanto al primo,
nessuna contraddizione intrinseca è ravvisabile in una disciplina che,
perseguendo la finalità di colmare un vuoto normativo inerente a una specifica
fase del procedimento in discussione, dia anche conferma alla regola generale
di competenza espressa dal codice di rito.
Quanto al secondo, non
può che essere ribadita la costante giurisprudenza di questa Corte, in base
alla quale il legislatore gode di discrezionalità particolarmente ampia nella
conformazione degli istituti processuali, con il solo limite della manifesta
irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte operate (ex plurimis,
sentenze n. 79
e n. 58 del 2020,
n. 155 e n. 139 del 2019,
n. 225 del 2018
e n. 241 del
2017): affermazione valevole anche per quanto attiene specificamente alla
disciplina della competenza del giudice (ex plurimis,
sentenze n. 158
del 2019, n.
44 del 2016 e n.
194 del 2015).
Il predetto limite non
può ritenersi valicato nel caso in esame. Le deduzioni del giudice a quo,
riguardo alle disfunzioni originate dall’attuale disciplina processuale della
conversione – disfunzioni che non sono, peraltro, affatto esclusive del
procedimento relativo alle pene inflitte dal giudice di pace e che neppure
dipendono soltanto dalla previsione della competenza del magistrato di
sorveglianza, connettendosi più in generale alla farraginosa strutturazione
della procedura di esecuzione della pena pecuniaria – colgono effettive
criticità del sistema, che questa stessa Corte ha di recente sollecitato il
legislatore a rimuovere (sentenza n. 279 del
2019).
Per l’aspetto
considerato, tali deduzioni non superano, però, la soglia della critica alle
scelte di politica legislativa e non valgono, pertanto, a dimostrare quella
manifesta irragionevolezza o arbitrarietà che sola legittimerebbe l’invocata
declaratoria di illegittimità costituzionale.
Riguardo, infine,
all’ipotizzato stravolgimento della coerenza interna del sistema della
giurisdizione penale del giudice di pace, si tratta di effetto che non può
essere certamente riconnesso al mero fatto che, in determinati frangenti (nella
specie, la conversione di pene pecuniarie ineseguite), le speciali sanzioni
previste per i reati di competenza del giudice onorario vengano applicate da un
giudice professionale. Altrettanto avviene, del resto, quando i predetti reati
siano giudicati dalla corte di assise o dal tribunale per ragioni di
connessione (art. 6 del d.lgs. n. 274 del 2000).
7.3.– Parimente
infondata è la censura formulata con riferimento all’art. 111, secondo comma,
Cost. basata sull’assunto che i «numerosi fattori gravemente e
ingiustificatamente dilatori», introdotti dalla norma censurata col prefigurare
un «pendolarismo» tra un ufficio e l’altro, verrebbero a compromettere la
ragionevole durata del processo.
Alla luce della
costante giurisprudenza di questa Corte, il vulnus al principio in questione
può essere determinato solamente da norme procedurali che comportino una
dilatazione dei tempi del processo non sorretta da alcuna logica esigenza (tra
le ultime, sentenza
n. 155 del 2019), ma tali non possono essere considerate le disposizioni,
come quella censurata, «con le quali il legislatore, nell’esercizio non
irragionevole dell’ampia discrezionalità di cui gode in tema di individuazione
del giudice competente, definisce l’ambito della cognizione dei singoli organi
giurisdizionali» (sentenza
n. 63 del 2009).
7.4.– Secondo il
giudice a quo le disposizioni censurate violerebbero infine anche l’art. 97,
secondo comma, Cost., in relazione al principio del buon andamento
dell’amministrazione della giustizia. Affidando la conversione delle pene
pecuniarie irrogate dal giudice di pace alla competenza del magistrato di
sorveglianza, esse graverebbero, infatti, immotivatamente gli uffici di
sorveglianza di ulteriori compiti «suscettibili di ostacolare l’esercizio delle
[…] funzioni istituzionali».
Anche tale questione
non è fondata, poiché l’art. 97, secondo comma, Cost., è parametro non
conferente. La giurisprudenza di questa Corte è, infatti, costante
nell’affermare che il principio del buon andamento è riferibile
all’amministrazione della giustizia soltanto per quanto attiene
all’organizzazione e al funzionamento degli uffici giudiziari e non
all’attività giurisdizionale in senso stretto (tra le ultime, sentenze n. 80 del
2020, n. 90
del 2019 e n.
91 del 2018), nella quale rientrano le funzioni svolte dal magistrato di
sorveglianza in merito alla conversione della pena pecuniaria.
7.5.– Le questioni
aventi ad oggetto l’art. 238-bis, commi 2, 5, 6 e 7, del d.P.R. n. 115 del 2002
vanno dichiarate, dunque, non fondate in rapporto a tutti i parametri evocati.
8.– La riscontrata
infondatezza di tali questioni rende inammissibile, per difetto di rilevanza,
la questione relativa all’art. 299 del d.lgs. n. 113 del 2002, per violazione
dell’art. 76 Cost., nella parte in cui abroga l’art. 42 del d.lgs. n. 274 del
2000 (per una ipotesi analoga, mutatis mutandis, sentenza n. 95 del
2015).
8.1.– Si è già posto in
evidenza, infatti, come la giurisprudenza di legittimità sia unanime nel ritenere
che la disposizione dell’art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002 – di là dalle
specifiche ragioni per le quali è stata introdotta – esprima anche la volontà
del legislatore di confermare la competenza esclusiva del magistrato di
sorveglianza in tema di conversione, venutasi a determinare a seguito della sentenza n. 212 del
2003.
Nel senso che si tratti
di una precisa scelta legislativa depone, d’altronde, la circostanza che la
novella legislativa sia intervenuta a notevole distanza di tempo dalla citata
pronuncia e nella stessa sede (il testo unico delle spese di giustizia) nella
quale era stata in precedenza operata l’innovazione alla competenza, reputata
illegittima da questa Corte unicamente per ragioni connesse alla natura della
fonte: ragioni che la legge n. 205 del 2017 – in quanto legge ordinaria –
avrebbe potuto senz’altro rimuovere.
8.2.– A fronte di ciò,
la norma derogatoria, vale a dire l’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, la cui
efficacia sarebbe eventualmente ripristinata ex tunc
dalla declaratoria di incostituzionalità, non potrebbe prevalere sulla norma
generale successiva nel tempo (ossia, appunto, l’art. 238-bis del d.P.R. n. 115
del 2002).
Nonostante la generale
accettazione sul piano operativo del principio di prevalenza della legge
speciale sulla legge generale successiva (lex specialis etiamsi prior derogat generali etiamsi posteriori), la risoluzione dell’eventuale
conflitto fra criterio di specialità e criterio cronologico non vede, infatti,
l’incondizionata prevalenza del primo, non avendo esso rango costituzionale, né
valore assoluto come criterio di risoluzione delle antinomie (sentenza n. 503 del
2000).
Come questa Corte ha
avuto modo di affermare, già nella sentenza n. 29 del
1976, «[n]ell’ipotesi di successione di una legge
generale ad una legge speciale, non è vera in assoluto la massima che lex posterior generalis
non derogat priori speciali: giacché i limiti del
detto principio vanno, in effetti, di volta in volta, sempre verificati alla
stregua dell’intenzione del legislatore. E non è escluso che in concreto
l’interpretazione della voluntas legis, da cui
dipende la soluzione dell’indicato problema di successione di norme, evidenz[i] una latitudine della legge generale posteriore,
tale da non tollerare eccezioni, neppure da parte di leggi speciali: che
restano, in tal modo, tacitamente abrogate» (in senso analogo, sentenze n. 274 del
1997, n. 41
del 1992 e n.
345 del 1987).
Su tali basi, in
conclusione, nel caso di specie, data la prevalenza della norma generale,
l’eventuale accoglimento della questione dell’art. 299 del d.lgs. n. 113 del
2002, nella parte in cui abroga l’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, non
potrebbe produrre effetti nel giudizio principale, il quale continuerebbe ad
essere regolato dall’art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, con la
conseguenza che la competenza per la conversione della pena pecuniaria irrogata
dal giudice di pace rimarrebbe in capo al giudice rimettente.
8.3.– Da ciò
l’inammissibilità, per difetto di rilevanza, della questione dell’art. 299 del
d.lgs. n. 113 del 2002, nella parte in cui abroga l’art. 42 del d.lgs. n. 274
del 2000, relativa alla violazione dell’art. 76 Cost.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art.
299 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante
«Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese
di giustizia (Testo A)», nella parte in cui abroga l’art. 42 del decreto
legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del
giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n.
468), sollevata, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dal Magistrato
di sorveglianza di Pisa, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 299 del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113, recante «Testo
unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia (Testo
B)», trasfuso nell’art. 299 del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui
abroga l’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, sollevata, in riferimento all’art.
76 Cost., dal Magistrato di sorveglianza di Alessandria, con l’ordinanza
indicata in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 238-bis, commi 2, 5, 6 e 7, del d.P.R. n. 115 del 2002, aggiunto
dall’art. 1, comma 473, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di
previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per
il triennio 2018-2020), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 97, secondo
comma, e 111, secondo comma, Cost., dal Magistrato di sorveglianza di
Alessandria, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 gennaio
2020.
F.to:
Marta CARTABIA,
Presidente
Franco MODUGNO,
Redattore
Roberto MILANA,
Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 20 maggio 2020.