ORDINANZA N. 306
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 569, comma 4, del codice di procedura penale, promosso dalla Corte d’appello di Torino nel procedimento penale a carico di G.A., con ordinanza del 13 novembre 2012, iscritta al n. 9 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 23 ottobre 2013 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.
Ritenuto che la Corte d’appello di Torino, con ordinanza del 13 novembre 2012, pervenuta a questa Corte il 14 gennaio 2013 (r.o. n. 9 del 2013), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 569, comma 4, del codice di procedura penale, nella parte in cui, nel disciplinare gli effetti di un ricorso immediato per cassazione, prevede il rinvio al giudice competente per l’appello senza fare «eccezione per l’ipotesi in cui la sentenza annullata non sia stata pronunciata in esito a giudizio di primo grado previo contraddittorio (dibattimento, giudizio abbreviato)»;
che il giudice rimettente riferisce che, in seguito a un annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 569, comma 4, cod. proc. pen., è stato chiamato a trattare un procedimento penale per la contravvenzione di cui all’art. 186, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada);
che nei confronti dell’imputato il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Biella aveva emesso un decreto penale di condanna per la contravvenzione di guida in stato di ebbrezza, con un tasso alcolemico, accertato a mezzo etilometro, pari a 1,10 grammi per litro (primo esame) e 1,12 grammi per litro (secondo esame);
che il Giudice per le indagini preliminari, «senza che il decreto fosse notificato» all’imputato, aveva richiesto al pubblico ministero un parere sulla possibilità di emettere una sentenza ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., «essendo nelle more intervenuta depenalizzazione del reato per cui si procede»;
che, in seguito al parere favorevole dell’organo dell’accusa, il giudice per le indagini preliminari aveva revocato il decreto penale di condanna, dichiarando non doversi procedere nei confronti dell’imputato per la contravvenzione contestata «perché il fatto non è previsto dalla legge come reato»;
che il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Torino aveva proposto ricorso per cassazione contro tale sentenza e aveva dedotto che la depenalizzazione era «intervenuta con riferimento a tassi alcolemici inferiori a g/l 0,80»;
che la Corte di cassazione ha annullato la sentenza del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Biella, osservando che la depenalizzazione introdotta dalla legge 29 luglio 2010, n. 120 (Disposizioni in materia di sicurezza stradale) riguardava esclusivamente l’ipotesi meno grave di guida in stato di ebbrezza (art. 186, comma 2, lettera a, del d.lgs. n. 285 del 1992), vale a dire quella del «tasso alcolemico superiore a 0,5 e non superiore a 0,8», e che, pertanto, ai sensi dell’art. 569, comma 4, cod. proc. pen., la sentenza di proscioglimento doveva essere annullata con rinvio al giudice competente per l’appello;
che nel giudizio di rinvio il difensore dell’imputato ha eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 569 cod. proc. pen., nella parte in cui prevede la trasmissione degli atti al giudice competente per l’appello, anziché a quello che ha emesso la sentenza annullata, privando così l’imputato del diritto al contraddittorio e ad un grado di giudizio;
che la Corte d’appello di Torino ritiene rilevante la questione, perché, quale giudice di rinvio, sarebbe chiamata ad applicare l’art. 569, comma 4, cod. proc. pen.;
che, secondo la Corte d’appello, l’imputato, in base a tale norma, si troverebbe «concretamente – e senza che ciò sia dipeso da una sua scelta processuale e nemmeno da una sua negligenza o trascuratezza processuale – ad essere privato di un grado di giudizio e della facoltà di optare per i riti premiali»;
che quindi, nell’ipotesi «in cui la sentenza annullata non sia stata pronunciata in esito a giudizio», il meccanismo dell’art. 569, comma 4, cod. proc. pen. comporterebbe un trattamento deteriore per l’imputato rispetto ai casi in cui gli sarebbe consentito scegliere un rito premiale o, viceversa, avvalersi delle garanzie del contraddittorio, senza che ciò trovi giustificazione in condotte processuali dello stesso, né nella tutela di contrapposti interessi di rango costituzionale;
che non sarebbero ravvisabili nel sistema soluzioni interpretative «tali da riportare l’imputato nella pienezza delle alternative difensive» di cui verrebbe privato;
che pertanto sarebbe «non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3.1 e 24.2 Cost. la questione di legittimità costituzionale dell’art. 569 u.c. cpp nella parte in cui tale norma nel prevedere il rinvio al giudice competente per l’appello non fa eccezione per l’ipotesi in cui la sentenza annullata non sia stata pronunciata in esito a giudizio di primo grado previo contraddittorio (dibattimento, giudizio abbreviato)»;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza;
che nel caso di specie, infatti, invece dell’art. 569 cod. proc. pen., sarebbero stati applicabili l’art. 568, comma 2, cod. proc. pen., in virtù del quale le sentenze, quando non siano altrimenti impugnabili, sono soggette a ricorso per cassazione, e, nel caso di successivo annullamento con rinvio, l’art. 623, comma 1, lettera d), cod. proc. pen.;
che, secondo quest’ultima disposizione, nel caso di annullamento della sentenza di un tribunale monocratico o di un giudice per le indagini preliminari, la Corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al medesimo tribunale, salva la necessità che il giudice sia diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata.
Considerato che, con ordinanza del 13 novembre 2012, pervenuta a questa Corte il 14 gennaio 2013 (r.o. n. 9 del 2013), la Corte d’appello di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 569, comma 4, del codice di procedura penale, nella parte in cui, prevedendo il rinvio al giudice competente per l’appello, «non fa eccezione per l’ipotesi in cui la sentenza annullata non sia stata pronunciata in esito a giudizio di primo grado previo contraddittorio (dibattimento, giudizio abbreviato)»;
che il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Biella, dopo avere emesso un decreto penale di condanna per il reato di cui all’art. 186, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), su parere favorevole del pubblico ministero, con sentenza a norma dell’art. 129 cod. proc. pen., ritenendo che la contravvenzione fosse stata depenalizzata, aveva revocato il decreto e dichiarato non doversi procedere «perché il fatto non è previsto dalla legge come reato»;
che la Corte di cassazione ha annullato tale sentenza e rinviato gli atti, ai sensi dell’art. 569, comma 4, cod. proc. pen., alla Corte d’appello di Torino, quale giudice competente per l’appello;
che, secondo la Corte d’appello, nell’ipotesi «in cui la sentenza annullata non sia stata pronunciata in esito a giudizio», il meccanismo dell’art. 569, comma 4, cod. proc. pen. comporterebbe, in violazione degli artt. 3, primo comma e 24, secondo comma, Cost., un trattamento deteriore per l’imputato, rispetto ai casi in cui gli sarebbe consentito scegliere un rito premiale o, viceversa, avvalersi delle garanzie del contraddittorio, senza che ciò trovi giustificazione in condotte processuali dell’imputato, né nella tutela di contrapposti interessi di rango costituzionale;
che la questione è manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza, posto che il giudice rimettente non deve fare applicazione della norma impugnata;
che infatti l’art. 569 cod. proc. pen. è stato applicato dalla Corte di cassazione, la quale in base ad esso ha qualificato l’impugnazione come ricorso per saltum, individuando poi il giudice di rinvio nella Corte d’appello di Torino;
che nel giudizio di rinvio non deve più essere applicato l’art. 569 cod. proc. pen. e, in particolare, il quarto comma di tale disposizione, che prevede il rinvio «al giudice competente per l’appello»;
che, «per potersi ravvisare il requisito della rilevanza in concreto della questione proposta, è in ogni caso necessario che la norma impugnata sia applicabile nel giudizio a quo e non invece, come nella specie, in una fase processuale anteriore» (sentenza n. 247 del 1995);
che inoltre nel caso in esame opera l’art. 627, comma 1, cod. proc. pen., a norma del quale nel giudizio di rinvio non può essere rimessa in discussione la competenza attribuita con la sentenza di annullamento, salvo che risultino nuovi fatti, che comportino una diversa definizione giuridica da cui derivi la competenza di un giudice superiore;
che «dalla autorità di giudicato delle decisioni della Cassazione in materia discende la irrilevanza di questioni che tendano a rimettere in discussione la competenza attribuita nel caso concreto dalla Cassazione medesima, in quanto ogni ulteriore indagine sul punto deve ritenersi definitivamente preclusa e quindi nessuna influenza potrebbe avere una qualsiasi pronuncia di questa Corte nel giudizio a quo» (ex plurimis, sentenza n. 294 del 1995);
che pertanto la questione di legittimità costituzionale va dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 569, comma 4, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, dalla Corte d’appello di Torino, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 2013.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Giorgio LATTANZI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 12 dicembre 2013.