SENTENZA N. 247
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 201 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 (testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici), promossi con tre ordinanze emesse il 28 febbraio 1994, il 22 novembre 1993, il 13 dicembre 1993 dal tribunale superiore delle acque pubbliche iscritte rispettivamente ai nn. 645, 646 e 704 del registro ordinanze del 1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 44 e 49, prima serie speciale, dell'anno 1994. Visti gli atti di costituzione del Comune di Fiumefreddo di Sicilia, del Fallimento della SASI s.p.a. e del Comune di Palermo, nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 19 aprile 1995 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello; uditi gli avvocati Michele Conte per il Fallimento della SASI s.p.a., Maria Athena Lorizio per il Comune di Fiumefreddo di Sicilia, Paolo Antonelli Camposarcuno e Giovanni Compagno per il Comune di Palermo, e l'avvocato dello Stato Giuseppe O. Russo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con tre ordinanze del medesimo tenore, emesse il 22 novembre 1993 (ma pervenute a questa Corte il 10 ottobre 1994) nel corso di altrettanti giudizi di rinvio, il Tribunale superiore delle acque pubbliche ha sollevato questione di legittimità costituzionale "del regime di impugnazione delle decisioni dello stesso Tribunale superiore in sede di legittimità, discendente dall'applicazione dell'art. 201 del testo unico 11 dicembre 1933, n. 1775, in relazione all'art. 111, secondo e terzo comma della Costituzione, che ne fa la Corte di cassazione", per violazione degli artt. 3,103, 111 e 113 della Costituzione. Nelle ordinanze di rimessione, premesso in punto di fatto che la Corte di cassazione, Sez. unite civili, con sentenze nn. 8393 del 1992, 1457 e 4993 del 1993 aveva cassato con rinvio le sentenze del Tribunale superiore nn. 40 e 86 del 1990 e 23 del 1991, si sostiene che l'indirizzo della Corte suprema - secondo cui le sentenze del giudice delle acque in unico grado, e cioè in sede di giurisdizione amministrativa, sono impugnabili, oltre che per motivi di giurisdizione come previsto dall'art. 201 citato, anche per violazione di legge analogamente alle pronunce di tutti i giudici ordinari e speciali ai sensi dell'art. 111, secondo comma, della Costituzione - sarebbe avversato da gran parte della dottrina e formerebbe oggetto di continuo dibattito, onde la necessità di un "intervento risolutivo della Corte costituzionale". Il giudice a quo ricorda che, nonostante che la norma impugnata (analogamente a quanto previsto per le decisioni del Consiglio di Stato dall'art. 48 del testo unico 26 giugno 1924 n. 1054) preveda che le decisioni del Tribunale superiore siano impugnabili in Cassazione "soltanto per incompetenza o eccesso di potere à termini dell'art. 3 della legge 31 marzo 1877 n. 3761", ossia, secondo la formula usata poi nell'art. 362 c.p.c., per i soli motivi attinenti alla giurisdizione, la Corte di cassazione, invece, ritiene che, una volta entrata in vigore la Costituzione, il secondo comma dell'art. 111 per la sua portata generale si applichi anche alle sentenze del Tribunale superiore delle acque in sede di giurisdizione amministrativa, mentre il terzo comma della medesima norma costituzionale rappresenti una deroga non estensibile a decisioni di giudici diversi da quelli ivi indicati. Ciò premesso nelle ordinanze si sostiene che il sistema delineato dalla Corte di cassazione non sia conforme all'art. 111, terzo comma, della Costituzione e che l'eccezione ivi stabilita per le decisioni del Consiglio di Stato sia riferibile anche a quelle del Tribunale superiore delle acque in sede di legittimità. A sostegno della tesi, si osserva che il Tribunale superiore ha sostituito il Consiglio di Stato nella materia delle acque, ha una giurisdizione generale di legittimità come il Consiglio di Stato, con gli stessi poteri e gli stessi limiti, in quanto può annullare o modificare gli atti amministrativi e non emanare invece decisioni di condanna, salvo che per quanto riguarda le spese di giudizio. Conclusivamente, anche a seguito della sentenza n. 42 del 1991 di questa Corte, che ha eliminato il presupposto processuale della definitività dell'atto ricorribile, varrebbero per le decisioni di detto Tribunale, in sede di legittimità, gli stessi identici principi che regolano lo svolgimento del giudizio amministrativo ordinario. Considerato altresì che in passato le decisioni del Tribunale superiore e del Consiglio di Stato erano sottoposte allo stesso regime di impugnazione, non può sostenersi che la identità di principi e regole sia stata alterata dall'art. 111 della Costituzione, nel senso voluto dalla Cassazione, perchè ciò comporterebbe che pronunce su ricorsi contro atti amministrativi per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge abbiano un sistema diverso di impugnazione: ora soggette a ricorso solo per motivi di giurisdizione, ora anche per violazione di legge. In più, l'eccezione dell'art. 111, terzo comma, della Costituzione riferita alle decisioni del Consiglio di Stato troverebbe sostegno nel sistema generale di giustizia amministrativa, e non in un particolare riguardo all'organo giurisdizionale soggettivamente considerato, ed in tal senso essa non può non riguardare anche le decisioni del Tribunale superiore. Diversamente, la mera interpretazione letterale della norma porterebbe a ritenere la Cassazione investita della competenza "di merito" sulla verifica della legittimità degli atti amministrativi, che è propria, invece, del Consiglio di Stato. Si avrebbe così un controllo di legittimità su di un giudizio amministrativo, che è esso stesso di legittimità, mentre quel controllo sarebbe possibile solo nei riguardi delle decisioni del giudice civile, in cui vi è "una scissione tra fatto e diritto". Sempre ad avviso del giudice a quo, la tesi non comporta che tale estensione debba essere operata a favore di tutte le giurisdizioni amministrative speciali, bensì solo del Tribunale superiore in quanto la sua posizione è peculiare per avere esso sostituito, nella materia, la quinta sezione del Consiglio di Stato con la stessa funzione e gli stessi poteri, che fanno del Tribunale superiore, non un giudice speciale, ma un organo della magistratura "ordinaria" degli interessi legittimi. Esso infatti assume "due composizioni specializzate", in ciascuna delle quali assolve, con gli stessi poteri del giudice omologo e con le procedure proprie (in un caso, quale sezione della Cassazione e, nell'altro, quale sezione del Consiglio di Stato), al compito giurisdizionale "ordinario", sia per la materia civile che per quella amministrativa. In conclusione, la configurazione del regime di impugnazione delle sentenze del Tribunale superiore in sede di legittimità, quale discende dall'interpretazione che la Cassazione fa dell'art. 201 del T.U. n. 1775 del 1933, sembra in contrasto con lo stesso art. 111 della Costituzione, nonchè sia col principio di uguaglianza, in relazione al differente sistema di impugnazione previsto per le decisioni dell'omologo Consiglio di Stato, sia con gli artt. 102, 111 e 113 della Costituzione, che hanno conservato il sistema binario della giurisdizione, basato sulla distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi e sui limiti della potestà giurisdizionale attribuita alla Cassazione solo quale giudice di legittimità e non anche di merito. Quanto alla rilevanza, nelle ordinanze si ricorda che si è in presenza di un'ipotesi di verifica della legittimità costituzionale di norme anteriori alla Costituzione, rispetto alle quali il giudice delle leggi ha rivendicato la propria competenza e che la denuncia concerne la norma nella sua concreta applicazione.
2.- È intervenuto in tutti e tre i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha eccepito in primo luogo la inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, dovendo comunque il giudice rimettente prestare ossequio alle sentenze di rinvio della Cassazione. Ne consegue che un'eventuale pronuncia di accoglimento, al massimo, potrebbe spiegare effetti per il futuro "imponendo alla Corte di cassazione di dichiarare inammissibili i ricorsi per violazione di legge proposti contro le sentenze del Tribunale superiore", ma non potrà avere influenza nei giudizi a quibus giacchè non potrà nè comportare l'annullamento delle sentenze di rinvio della Cassazione, nè abilitare il Tribunale superiore a disapplicarle o riformarle, dal momento che questo è obbligato dall'art. 384 c.p.c. ad uniformarsi in ogni caso ai principi enunciati in dette sentenze. Nel merito la questione non sarebbe fondata per la chiarissima lettera dell'art. 111 Cost. e tutte le ragioni svolte dal giudice rimettente a sostegno della tesi prospettata potrebbero, tutt'al più, suggerire al legislatore costituzionale di valutare l'opportunità di una modifica della norma invocata, non potendosi viceversa consentire l'introduzione in via interpretativa di un'ulteriore eccezione al principio generale, ivi previsto, di impugnabilità in Cassazione delle sentenze di ogni giudice. 3. Si è costituito in due giudizi il Comune di Fiumefreddo di Sicilia (reg. ord. n. 645 e 646 del 1994) per eccepire anch'esso l'inammissibilità della questione, per difetto dei presupposti richiesti dall'art. 23 della legge n. 87 del 1953 e per sostenere, nel merito, la infondatezza della questione. Si sono costituiti altresì il Fallimento della S.A.S.I. s.p.a. (Società anonima siciliana per irrigazioni) e il Comune di Palermo (reg.ord. n. 704 del 1994). Il primo ha svolto argomentazioni a sostegno della fondatezza della questione, aggiungendo in particolare che, poichè l'art. 384 c.p.c. attribuisce alla Cassazione il potere di decidere la causa nel merito quando non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto, si determinerebbe l'inconveniente che solo per le sentenze del Tribunale superiore in unico grado, le Sezioni unite della Cassazione avrebbero giurisdizione in materia di interessi legittimi, in contrasto con il sistema della bipartizione della cognizione dei diritti e degli interessi legittimi, quale si desume dall'art. 103 Cost. Il Comune di Palermo ravvisa invece profili di inammissibilità della questione, in ragione dell'intervenuto "giudicato" rappresentato dalla sentenza cassatoria che non consente di riaprire il dibattito sull'ammissibilità dell'impugnazione, trovandosi ora il processo nella fase in cui il giudice trae la propria competenza dalla stessa decisione di rinvio; nel merito, sostiene l'infondatezza della questione alla luce della norma parametro invocata e delle differenze che si riscontrano nei processi, rispettivamente, dinanzi al Consiglio di Stato e al Tribunale superiore.
3.- In prossimità dell'udienza hanno presentato memoria sia il Comune di Palermo che il Fallimento della S.A.S.I. s.p.a., il primo rilevando che il giudice del rinvio non può sollevare questioni che assumono il valore di reclamo avverso la sentenza di annullamento, per di più evocando un presunto "giudicato" rappresentato dalla precedente pronuncia del Tribunale superiore ormai inesistente, ed il secondo insistendo invece per la rilevanza della questione, pur promossa dal giudice di rinvio che contesta proprio l'ammissibilità del controllo da parte della Cassazione sulle sentenze rese dai giudici sottordinati.
Considerato in diritto
1.- Poichè le ordinanze di rimessione propongono tutte la medesima questione di legittimità costituzionale, i relativi giudizi possono essere riuniti per essere decisi con un'unica pronuncia.
2.- Il Tribunale superiore delle acque pubbliche dubita, in riferimento agli art. 3, 103, 111 e 113 della Costituzione, della legittimità costituzionale "del regime di impugnazione in cassazione delle decisioni" del tribunale stesso in sede di legittimità, discendente dall'applicazione che fa la Corte di cassazione "dell'art. 201 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 [(Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici)], in relazione all'art. 111, secondo e terzo comma, della Costituzione". Il tribunale rimettente sostiene che debba darsi una interpretazione logica dell'art. 111 della Costituzione ed in particolare del terzo comma, che per le sentenze del Consiglio di Stato (e della Corte dei conti) ammette il ricorso in cassazione per i soli motivi inerenti alla giurisdizione e non anche per violazione di legge, come previsto dal secondo comma dello stesso articolo per le sentenze dei giudici ordinari e speciali.
L'intepretazione anzidetta dovrebbe condurre ad estendere l'eccezione ivi prevista per il Consiglio di Stato al Tribunale superiore delle acque pubbliche in sede di legittimità, essendo anch'esso giudice degli interessi legittimi, con gli stessi poteri, le stesse funzioni e le stesse norme previste per il Consiglio stesso. Con il negarsi alle sentenze di detto tribunale l'estensione dell'eccezione prevista dall'art. 111, terzo comma, della Costituzione, che limita ai soli motivi inerenti alla giurisdizione il sindacato della Cassazione, oltre a violarsi l'art. 111 risulterebbe violato anche l'art. 3, per il differente sistema di impugnazione delle sentenze rese dal Consiglio di Stato pur aventi il medesimo oggetto, nonchè gli artt. 103, 111 e 113 della Costituzione che fondano la tutela giurisdizionale dei cittadini su di un sistema binario, basato sulla distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi, riconoscendo alla Cassazione, in tema di interessi legittimi, solo funzioni di legittimità e non anche di merito.
3.- La questione è inammissibile. Come risulta dalle ordinanze di rimessione, il Tribunale superiore delle acque pubbliche ha sollevato la questione in sede di giudizi di rinvio disposti dalla Corte di cassazione, che aveva cassato due sentenze del tribunale stesso per errata applicazione dell'art. 56 del t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, dettando l'interpretazione di questa norma da applicarsi nei giudizi di rinvio ai fini della loro definizione, e una terza sentenza del medesimo tribunale per violazione del principio secondo cui l'esame delle istanze rivolte alla pubblica amministrazione, dopo l'annullamento del silenzio-rifiuto su di esse formatosi, va condotto secondo la situazione di fatto e di diritto esistente al momento della notificazione della pronuncia di illegittimità del silenzio. In proposito si deve ricordare che questa Corte ritiene possibile sollevare in sede di giudizio di rinvio questioni di legittimità costituzionale di norme di cui il giudice di merito, a seguito della cassazione con rinvio di una sua sentenza, debba fare applicazione ai fini della definizione della controversia, ivi comprese, ovviamente quelle oggetto della interpretazione operata dalla Corte di cassazione nella sua funzione di nomofilachia (v., ex plurimis, sentenze nn. 58 del 1995, 257 del 1994, 130 del 1993 e 30 del 1990). Ma occorre, altresì, ricordare che per costante giurisprudenza di questa Corte (sentenze nn. 456 e 25 del 1989, 21 del 1982, 237 e 218 del 1976, 116 del 1975, 136 del 1972, 132, 50 e 51 del 1970 e ordinanze nn. 410 e 44 del 1994, 758 del 1988 e 332 del 1987) non può chiedersi al giudice delle leggi una sorta di "revisione in grado ulteriore" delle interpretazioni e quindi delle decisioni della Corte di cassazione, e che, per potersi ravvisare il requisito della rilevanza in concreto della questione proposta, è in ogni caso necessario che la norma impugnata sia applicabile nel giudizio a quo e non invece, come nella specie, in una fase processuale anteriore (quella, appunto, del giudizio per cassazione ai sensi dell'art. 111, secondo comma, della Costituzione) già conclusasi (ord. n. 332 del 1987 e sent. n. 116 del 1974). D'altra parte questa Corte ha già osservato, in relazione alla posizione di vertice che la Cassazione assume nell'ordinamento giudiziario, che il principio generale della inoppugnabilità delle sentenze di detto organo - principio espresso nello art. 552 del precedente codice di procedura penale; non riprodotto in termini espliciti, ma desumibile dagli artt. 568,624, 628 e 648 del nuovo codice di procedura penale; ed inoltre, per quanto concerne il processo civile, ricavabile dagli artt. 360 e 393 del codice di procedura civile, salvo il rimedio della revocazione ai sensi dell'art. 395, n.4, per effetto delle sentenze di questa Corte nn. 17 del 1986 e 36 del 1991 - "non soffre deroga per quanto attiene alle sentenze di annullamento con rinvio" (v. sent. n. 21 del 1982 cit.). Ciò perchè "la pronuncia della Cassazione di annullamento con rinvio costituisce un atto di valore definitivo ed opera quindi sanatoria di tutte le nullità anche assolute verificatesi fino a quel momento.
La improponibilità di siffatte nullità nel giudizio di rinvio è conseguenza necessaria e coerente con la delimitazione, operata dalla Cassazione stessa, dell'ambito entro il quale, soltanto, il giudizio deve proseguire.
La scelta legislativa di rendere improponibili in un determinato grado del procedimento eccezioni di nullità , che si assumono verificate in fasi precedenti ed esaurite, non può dirsi irrazionale, ma appare, al contrario, ispirata dall'intento di evitare la perpetuazione dei giudizi al fine di garantire la definizione del procedimento stesso, così realizzando un interesse fondamentale dell'ordinamento". Orbene, nel caso di specie, la norma sospettata di incostituzionalità, riguardando i limiti del potere della Cassazione in sede di sindacato delle sentenze del Tribunale superiore delle acque pubbliche, era applicabile non in sede di giudizio di rinvio, bensì in una fase processuale precedente, ormai esaurita, e, quindi, l'eventuale decisione in senso positivo non avrebbe alcuna rilevanza nei giudizi a quibus (sul punto, v. ord. n. 332 del 1987).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi, dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'"art. 201 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 [(Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici)], in relazione all'art. 111, secondo e terzo comma, della Costituzione", sollevata dal Tribunale superiore delle acque pubbliche, in riferimento agli artt. 3, 103, 111 e 113 della Costituzione, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 giugno 1995.
Antonio BALDASSARRE, Presidente
Vincenzo CAIANIELLO, Redattore
Depositata in cancelleria il 16 giugno 1995.