SENTENZA N. 116
ANNO 1974
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Giuseppe VERZÌ
Avv. Giovanni Battista BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 348, terzo comma, del codice penale militare di pace, promosso con ordinanza emessa il 23 maggio 1972 dal giudice istruttore del tribunale militare territoriale di Roma - sezione autonoma di Cagliari - nel procedimento penale a carico di Taccone Pier Luigi, iscritta al n. 260 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 240 del 13 settembre 1972.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 20 marzo 1974 il Giudice relatore Nicola Reale;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Nel corso del procedimento penale a carico di Taccone Pier Luigi (imputato del delitto di procurata infermità) il giudice istruttore presso la sezione autonoma di Cagliari del tribunale militare di Roma (cui gli atti erano stati trasmessi, per una nuova deliberazione, dal tribunale supremo militare, che su ricorso dell'imputato aveva annullato per difetto di motivazione una precedente sentenza istruttoria di proscioglimento), ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondato - in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione - il dubbio sulla legittimità costituzionale dell'art. 348, terzo comma, c.p.m.p., il quale dispone che le sentenze istruttorie di proscioglimento sono impugnabili con ricorso al tribunale supremo militare per motivi di sola legittimità.
La mancata previsione di un secondo grado di giurisdizione di merito per i giudizi che si svolgono davanti ai tribunali militari porrebbe, senza alcuna plausibile giustificazione, secondo quanto assume il giudice a quo, gli appartenenti alle forze armate imputati di reati militari in una condizione di grave svantaggio rispetto a coloro che sono giudicati dal giudice ordinario. E tale situazione di svantaggio risulterebbe ancor meno ragionevole ove si considerasse che anche un appartenente alle forze armate può essere giudicato dal giudice ordinario in caso di connessione con reati commessi da chi non ha lo status di militare.
Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto depositato il 19 settembre 1972, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza (sotto il profilo che la norma impugnata avrebbe già esplicato i suoi effetti nel giudizio di merito e non potrebbe più trovare applicazione) o comunque infondata, sia perché l'art. 24, secondo comma, della Costituzione non garantirebbe il doppio grado della giurisdizione di merito, e sia perché - in ogni caso - la sua esclusione nel processo militare sarebbe giustificata dalla peculiare situazione giuridica che caratterizza l'appartenenza alle forze armate.
Considerato in diritto
1. - Il giudice istruttore presso la sezione autonoma di Cagliari del tribunale militare territoriale di Roma, in sede di rinvio a seguito di annullamento su ricorso dell'imputato, da parte del tribunale supremo militare, di una sua precedente sentenza istruttoria di proscioglimento, ha denunziato in riferimento alla garanzia costituzionale dell'uguaglianza, nell'esercizio del diritto di difesa (ai sensi degli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione), l'illegittimità dell'art. 348, terzo comma, del codice penale militare di pace, concernente l'impugnazione, davanti al tribunale supremo militare, e per soli motivi di legittimità, delle sentenze pronunziate a conclusione dell'istruttoria, senza che sia previsto un secondo grado di giurisdizione di merito: in coerenza del resto, col sistema processuale militare.
Secondo il giudice a quo la normativa impugnata comporterebbe gravi limitazioni all'esercizio della difesa, con ingiustificata diversità dalla disciplina di tale diritto nel processo penale ordinario, normalmente caratterizzato dal secondo grado di merito in sede di appello.
2. - La questione, nei sensi prospettati, é inammissibile per palese difetto di rilevanza.
Va considerato infatti che il giudice di rinvio può giudicare solo sui punti che furono oggetto di annullamento e sui punti che siano con quelli annullati in relazione di connessione e di derivazione. Tali principi vigono per il processo penale ordinario, in cui il giudizio di rinvio consegue alla sentenza della Corte di cassazione. Ma essi non possono non valere anche per il processo militare, poiché al tribunale supremo militare, e fino a quando il legislatore non avrà provveduto al suo riordinamento giusta l'art. 111 e la disposizione VI transitoria della Costituzione, é attribuita giurisdizione di legittimità, analoga a quella della Corte di cassazione: a norma dell'art. 387 c.p.m.p. in relazione all'art. 524 c.p.p., nonché dell'art. 261 c.p.m.p., il quale autorizza l'applicazione delle disposizioni del codice di rito penale ordinario al processo davanti al giudice militare, salve eccezioni, non ricorrenti nella specie.
3. - Secondo tali premesse, anche la cognizione del giudice penale militare di rinvio risulta delimitata dalla sentenza di annullamento del tribunale supremo militare, escludendosi che, dopo di questa, egli sia legittimato a rilevare pretese omissioni di gradi intermedi di gravame che, se mai, dovevano essere rilevate nel giudizio di annullamento e che, attesi i già ricordati limiti del giudizio di rinvio, non potrebbero influire sulla definizione di questo, anche sotto il profilo della ritualità della sentenza che lo ha disposto.
Deve quindi ritenersi preclusa ogni questione di legittimità costituzionale circa normative riguardanti le predette fasi processuali.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 348, terzo comma, del codice penale militare di pace, sollevata, in riferimento agli artt. 3, comma primo, e 24, comma secondo, della Costituzione, dal giudice istruttore presso la sezione autonoma di Cagliari del tribunale militare territoriale di Roma, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 aprile 1974.
Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ- Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 8 maggio 1974.