SENTENZA N. 17
ANNO 1986
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Livio PALADIN, Presidente
Avv. Oronzo REALE
Avv Albero MALAGUGINI
Prof. Antonio LAPERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL’ANDRO,Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 395, prima parte, n. 4, del codice di procedura civile promosso con ordinanza emessa il 30 settembre 1982 dalle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione sul ricorso proposto da Arneodo Allemano Severina contro Allemano Felice, iscritta al n. 234 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 191 dell'anno 1983;
visto l'atto di costituzione di Arneodo Allemano Severina;
udito nell'udienza pubblica dell'8 gennaio 1986 il Giudice relatore Virgilio Andrioli;
udito l'avv. Giuseppe Taranto per Arneodo Allemano Severina.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza 8 febbraio 1983 n. 10 (pervenuta alla Corte il 16 marzo 1983; notificata il 14 e comunicata il 24 successivi; pubblicata nella G. U. n. 191 del 13 luglio 1983 e iscritta al n. 234 R.O. 1983) le Sezioni unite civili della Corte di Cassazione han disposto la sospensione della trattazione del ricorso di Arneodo Severina contro Allemano Felice e la trasmissione alla Corte Costituzionale " affinché dica se sia l'art. 395, prima parte e n. 4 c.p.c., in quanto non prevede la revocazione delle sentenze di Cassazione affette da errore di fatto, in contrasto con l'art. 3 comma terzo e 24 comma primo e secondo Cost. ".
Tali le ultime battute della motivazione della ordinanza di rimessione, nel dispositivo della quale la Cassazione si limita a disporre " l'immediata trasmissione degli atti alla Corte. Costituzionale per la decisione della questione di legittimità Costituzionale indicata in motivazione ".
1.2. - A seguito di ricorso proposto il 3 aprile 1971 al Tribunale di Torino da Felice Allemano nello intento di ottenere la dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario da lui contratto con Severina Arneodo - si apprende dal " Fatto " della ordinanza - " fu fissata dal Presidente l'udienza di comparizione dei coniugi. Ad essa, tuttavia, non fu presente la resistente, che si costitul', invece, innanzi al giudice istruttore, chiedendo, tra l'altrò la fissazione di una nuova udienza di comparizione. L'istanza non fu accolta dal Tribunale, il quale dichiarò con sentenza la cessazione degli effetti civili del matrimonio e provvide sullo affidamento provvisorio della bambina da esso nata, dopo aver osservato, in aggiunta a considerazioni di principio, che " nel caso di specie la rimessione in istruttoria appare comunque ingiustificato, in quanto la convenuta si limitò a far pervenire a mezzo di un'agenzia di recapito un certificato medico attestante il suo impedimento a comparire", ma che " la missiva fu personalmente indirizzata al Presidente della Sezione divorzi, allora esistente... mentre la udienza presidenziale in cui fu chiamata la causa fu tenuta dal Presidente facente funzioni, il quale ignorava l'allegato impedimento in quanto il documento fu acquisito agli atti successivamente ", sicché " la segnalazione... fu proposta irritualmente, né alla udienza presidenziale intervenne difensore o rappresentante per sollecitare il potere discrezionale ".
Avverso la sentenza 14 dicembre 1979, con la quale la Corte d'appello di Torino aveva riformato la pronuncia di prime cure giudicando non essenziale il tentativo di conciliazione ai fini della procedibilità della domanda di sentenza dichiarativa della cessazione degli effetti civili di matrimonio concordatario, spiegò ricorso la Arneodo mediante sei motivi, il primo dei quali investiva la decisione sulla rilevanza o meno del preliminare tentativo di conciliazione, il secondo gli effetti processuali e il terzo e il quarto gli effetti sostanziali della separazione di fatto.
Con sent. 7 novembre 1981, n. 5874, la Sezione prima civile della Corte di Cassazione ha accolto il terzo e il quarto motivo rinviando la causa per nuovo esame ad altra Sezione della Corte d'appello di Torino, ed ha respinto i due primi motivi, osservando, a proposito del primo, in punto di diritto che, data l'importanza del tentativo di conciliazione e, quindi, dell'udienza presidenziale, nella quale viene il tentativo esperito, " non può essere consentito di privare il convenuto del suo diritto (di difesa, costituzionalmente garantito) a comparire ed a tutelare i suoi interessi nella fase presidenziale "e che " pertanto, ove non venga provata la sussistenza di un grave motivo che giustifichi l'assenza del convenuto (malattia che impedisca alla parte di recarsi all'udienza, detenzione, emigrazione, ecc.), deve considerarsi pienamente legittima la prosecuzione del processo di divorzio e compiutamente valida la pronuncia resa, nonostante il mancato espletamento del tentativo ".
Fermati questi punti di diritto, Così proseguì la motivazione della Sezione I civile della Cassazione: " Nella ipotesi di specie - poiché non é stata fornita (ritualmente e tempestivamente) la dimostrazione della malattia dell'Arneodo che aveva impedito a questa di essere presente all'udienza presidenziale dell'11 dicembre 1971 (nella quale il presidente del Tribunale, a seguito della mancata comparsa della convenuta, ha affidato a questa la figlia minore ed ha fissato l'udienza di comparizione innanzi al giudice istruttore) in quanto il certificato medico attestante la malattia dell'Arneodo e l'impossibilità per la stessa di recarsi all'udienza é stato consegnato al Presidente del Tribunale di Torino dall'agenzia di recapito espressi F. Defendini, via S. Teresa 19 F, Torino, cui era stato affidato per la trasmissione, in data 21 dicembre 1971 (come risulta dal timbro apposto dall'Agenzia recapiti per l'annullamento dei francobolli postali apposti sulla busta, sulla quale é anche il visto di ricezione del cancelliere capo dott. Liborio Lo Gange), e cioé ben dieci giorni dopo che la fase presidenziale si era oramai compiuta - deve ritenersi che, in mancanza della prova (tempestiva e rituale), da parte del coniuge convenuto non comparso, del legittimo e grave impedimento che non gli aveva consentito la comparizione alla udienza presidenziale - validamente il procedimento di divorzio sia proseguito passando dalla fase presidenziale a quella istruttoria, nonostante l'omissione del tentativo di conciliazione a quella istruttoria (tra l'altro, non consentito neppure innanzi al giudice istruttore per non essersi presentato il coniuge convenuto all'udienza fissata per l'interrogatorio libero delle parti), e che conseguentemente la sentenza di divorzio sia stata validamente resa ".
2. - Ravvisando in tali rilievi un errore di fatto, quale descritto nel n. 4 dell'art. 395 c.p.c., la Arneodo si rivolse di bel nuovo alla Corte di Cassazione con ricorso depositato il 17 dicembre 1981 e notificato il 4 e l'11 dicembre precedenti rispettivamente all'Allemano personalmente e al difensore di lui per la revocazione della sentenza dcnunciando la necessità di estendere, attraverso l'intervento della Corte costituzionale, il rimedio della revocazione previsto nella prima parte di quell'articolo solo per le sentenze dei giudici di merito, potendo essere anch'esse affette da errore, specialmente dopo che alla Corte di Cassazione é stato attribuito il controllo sui vizi "in procedendo".
Replicò il resistente Felice Allemano che l'istanza non poteva essere presa in considerazione sia perché il ricorso gli era stato notificato presso il proprio difensore e domiciliatario dopo i trenta giorni prescritti a pena di decadenza dall'art. 396 comma secondo c.p.c., sia perché essa era comunque manifestamente infondata per non essere consentita la revocazione delle sentenze della Cassazione, sottratte a tutti i mezzi d'impugnazione.
Con la ordinanza di rimessione le Sezioni unite, cui la trattazione della domanda era stata assegnata, hanno ritenuto che non vi fosse materia per porre un problema di tempestività del ricorso in quanto, a parte ogni altra più complessa dichiarazione, i termini di decadenza per atti da compiersi, dopo il 1 dicembre 1981, a mezzo degli ufficiali giudiziari del distretto di Roma, sono stati prorogati, con d.m. 11 dicembre 1981, pubblicato nella G. U. 14 dicembre 1981, n. 342, di quindici giorni dalla data di pubblicazione, nella stessa Gazzetta, del successivo decreto che avrebbe accertato l'esaurimento di uno sciopero allora in atto presso l'Ufficio unico di quel distretto, e nella specie l'impugnazione é stata notificata nei limiti di tale proroga. Ha poi giudicato rilevante la questione sulla duplice constatazione che " l'errore revocatorio é concepibile anche con riguardo alla sentenza di cassazione e che appunto in esso sembra essere incorsa la sentenza n. 5874 del 1981 " per ciò che " l'anomalia rilevante in revocazione afferisce a profili meramente processuali purché incidenti sulla sorte della domanda o di un capo di essa e non su mere preclusioni o nullità verificatesi all'interno del processo ". Di tal che " la revocabilità della sentenza di cassazione non può essere negata " a priori ", non essendovi sostanziale diversità, ad esempio, fra la sentenza di un giudice di merito e la sentenza di cassazione quando entrambe concludano la lite per ragioni processuali ".
2.1. - Avanti la Corte si é costituito, giusta delega in margine all'atto di deduzioni depositato il 5 marzo 1983, l'avv. Giuseppe Taranto argomentando e concludendo nell'interesse della Severina Arneodo per la declaratoria di fondatezza della proposta questione; argomentazioni e conclusioni ribadite e ampliate nella memoria depositata il 24 dicembre 1985. Non ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
2.2. - Nella pubblica udienza dell'8 gennaio 1986, il Giudice Andrioli ha svolto la relazione e l'avv. Taranto ha argomentato e concluso per la fondatezza della proposta questione.
Considerato in diritto
3.1. - Postoché il dispositivo del provvedimento del giudice va inteso in correlazione con la motivazione dello stesso, il dispositivo della ordinanza di rimessione sottopone al giudizio di questa Corte il problema della revocabilità (non di ogni e qualsiasi sentenza della Corte di Cassazione, sibbene) di sentenza resa su ricorso basato sul n. 4 dell'art. 360 c.p.c.; problema questo che sol si poneva e poteva porsi nella specie in cui la Sezione I civile della Cassazione, con la sent. 7 novembre 1981, n. 5874, aveva reietto il primo motivo del ricorso, basato dalla Arneodo sull'errore in cui la Corte di appello di Torino era incorsa con dire ritualmente svolta la udienza presidenziale preliminare alla istruzione e alla decisione della domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, sol per aver tenuto conto di una sola delle missive dalla Arneodo racchiuse in due buste affidate ad una azienda recapiti di Torino.
Pertanto la sentenza che questa Corte va a pronunciare incide sulla sola revocabilità di sentenze dalla Cassazione rese su ricorsi basati sul n. 4 dell'art. 360 c.p.c. vuoi perché questo é il tema del giudizio a quo vuoi perché tale e non altra é la questione d'illegittimità costituzionale prospettata dalle Sezioni unite civili della Cassazione.
3.2. - Contenuta nei limiti imposti dal principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, la questione non può non dirsi fondata perché il diritto di difesa, in ogni stato e grado del procedimento garantito dall'art. 24 comma secondo Cost., sarebbe gravemente offeso se l'errore di fatto, Così come descritto nell'art. 395 n.4, non fosse suscettibile di emenda sol per essere stato perpetrato dal Giudice cui spetta il potere-dovere di nomofilachia.
Né le peculiarità del magistero della Cassazione svuotano di rilevanza il comandamento di giustizia che di per sé permea la ripetuta disposizione del codice di rito civile, perché l'indagine cognitoria cui dà luogo il n. 4 dell'art. 360 non é diversa da quella condotta da ogni e qualsiasi giudice di merito allorquando scrutina la ritualità degli atti del processo sottoposto al suo esame.
4. - L'autorità della sentenza che la Corte va a pronunciare non va oltre la specie concreta che ha consentito alle Sezioni unite di provocarla: l'eliminazione, cioé, dell'esclusione della sentenza di Cassazione resa su ricorso basato su error in procedendo di cui all'art. 360 c.p.c., mentre le modalità della proposizione della domanda di revocazione di tali sentenze della Corte regolatrice affette dal vizio descritto nell'art. 395 n. 4 c.p.c. e il modus procedendi sono stati verificati nella sent. 574/1981 della Sezione I civile della Cassazione e nella ordinanza di rimessione e, pertanto, il vigore di tali verifiche non va oltre l'area nella quale sono state effettuate. Spetta quindi al potere legislativo di colmare la lacuna, in quanto necessario e auspica questa Corte che la propria non sia vox clamans in deserto anche perché la estrema rarità delle vicende, in cui si é imputata a giudici di merito la commissione del motivo di revocazione di cui all'art. 395 n. 4, non fa temere aumento di accessi alla Corte di Cassazione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
vista la ordinanza 8 febbraio 1983, n. 101 delle Sezioni unite civili della Corte di Cassazione (n. 234 R.O. 1983), dichiara l'incostituzionalità dell'art. 395 prima parte e n. 4 c.p.c. nella parte in cui non prevede la revocazione di sentenze dalla Corte di Cassazione rese su ricorsi basati sul n. 4 dell'art. 360 c.p.c. e affette dall'errore di cui al n. 4 dell'art. 395 dello stesso codice.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 gennaio 1986.
Livio PALADIN - Oronzo REALE - Albero MALAGUGINI - Antonio LAPERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO
Depositata in cancelleria il 28 gennaio 1986.