SENTENZA N. 178
ANNO 2019
Commento alla
decisione di
Giovanni Tarli
Barbieri
L’acre
odore della delegificazione...
Potere
regolamentare e normativa tecnica nella sent. n.
178/2019 della Corte costituzionale
per g.c. del Forum
di Quaderni Costituzionali
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai
signori:
Presidente:
Giorgio LATTANZI;
Giudici: Aldo
CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano
AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto
Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca
ANTONINI,
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nel giudizio di
legittimità costituzionale degli artt.
1, comma 2, lettere a), b), c) e d), 3, 4, 5, 6, 7 e 9, nonché l’Allegato
tecnico della legge della Regione Puglia 16 luglio 2018, n. 32 (Disciplina in
materia di emissioni odorigene), promosso dal Presidente del Consiglio dei
ministri con ricorso
notificato il 17-21 settembre 2018, depositato in cancelleria il 26 settembre
2018 ed iscritto al n. 66 del registro ricorsi 2018, pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2018.
Visto l’atto di
costituzione della Regione Puglia;
udito nell’udienza
pubblica del 4 giugno 2019 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;
uditi l’avvocato
dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato
Anna Bucci per
Ritenuto
in fatto
1.– Con ricorso
depositato il 26 settembre 2018 (reg. ric. n. 66 del 2018), il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, ha impugnato gli artt. 1, comma 2, lettere a), b), c) e d), 3, 4, 5, 6,
7 e 9, nonché l’Allegato tecnico della legge della Regione Puglia 16 luglio
2018, n. 32 (Disciplina in materia di emissioni odorigene).
2.– In
particolare, il ricorrente ha impugnato l’art. 1, comma 2, lettere a) e b), e
le altre citate disposizioni regionali, per violazione degli artt. 3 e 117, secondo comma,
lettera s), Cost., in relazione agli artt. 7, commi 4-bis, 4-ter, 5 e 7;
29-ter; 29-sexies, comma 3; 29-septies; 267, comma 3; 271, comma 3 e 272-bis
del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia
ambientale» (da ora in poi anche: cod. ambiente).
2.1.– Ancora, il
ricorrente ha impugnato lo stesso art. 1, comma 2, lettere c) e d), nonché le
altre citate disposizioni regionali, per violazione dell’art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 7-bis, comma 8; 19; 22 e 23
cod. ambiente.
2.2.– Il
Presidente del Consiglio dei ministri ha altresì impugnato il solo art. 3,
comma 5, della legge reg. Puglia n. 32 del 2018 per violazione dell’art. 117,
secondo comma, lettera l), Cost., in relazione all’art. 279 cod. ambiente.
2.3.– Infine,
l’art. 6 della medesima legge regionale è stato impugnato dal ricorrente anche
per violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost., in relazione agli artt. 7 e
7-bis cod. ambiente, nonché dell’art. 123 Cost., in relazione all’art. 44,
commi 1 e 2, della legge della Regione Puglia 12 maggio 2004, n. 7 (Statuto
della Regione Puglia).
3.– Il ricorrente
premette che la legge reg. Puglia n. 32 del
4.– Ciò premesso,
evidenzia il ricorrente che con gli artt. 1, comma 2, lettere a) e b), 3, 4, 5,
6, 7 e 9 e con l’Allegato tecnico della legge regionale impugnata sono state
introdotte specifiche disposizioni volte a integrare la disciplina prevista dal
d.lgs. n. 152 del
In particolare –
rimarca il ricorrente – gli artt. 3, 4 e 5, destinati a trovare applicazione
anche alle installazioni soggette ad AIA statale e regionale, definiscono la
procedura per la valutazione dell’accettabilità degli impatti olfattivi, mentre
l’Allegato tecnico ne stabilisce e dettaglia i metodi di monitoraggio e di
determinazione, nonché i criteri di valutazione sul territorio.
4.1.– Il
Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea che
4.2.– Per altro
verso, evidenzia il ricorrente che, ai sensi dell’art. 271, comma 3, cod.
ambiente, è riconosciuta alle Regioni la facoltà di adottare con legge
«appositi valori limite di emissione e prescrizioni, anche inerenti le
condizioni di costruzione o di esercizio e i combustibili utilizzati», ma solo
per le attività scarsamente rilevanti di cui all’art. 272, comma 1 (ovvero le
attività per le quali non è previsto il rilascio di una autorizzazione alle
emissioni).
Per contro, per le
attività soggette ad autorizzazione, quali quelle considerate dalla disciplina
normativa regionale impugnata, l’introduzione di valori limite non potrebbe
essere realizzata dalle Regioni se non attraverso piani e programmi: l’art.
271, comma 4, cod. ambiente prevede infatti che: «[i] piani e i programmi di
qualità dell’aria previsti dal decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 155
possono stabilire appositi valori limite di emissione e prescrizioni più restrittivi
di quelli contenuti negli Allegati I, II e III e V alla parte quinta del
presente decreto, anche inerenti le condizioni di costruzione o di esercizio,
purché ciò sia necessario al perseguimento ed al rispetto dei valori e degli
obiettivi di qualità dell’aria».
4.3.– Avuto
riguardo, poi, al quadro normativo dettato dal Titolo III-bis della Parte II
cod. ambiente in materia di AIA, il ricorrente rimarca che gli artt. 1, comma
2, lettere a) e b), 3, 4, 5, 6, 7 e 9, nonché l’Allegato tecnico della legge
reg. Puglia n. 32 del 2018 impugnata devono ritenersi in contrasto:
a) con l’art.
29-ter cod. ambiente, in quanto la legge regionale prevede all’art. 3, per la
presentazione delle istanze di AIA di competenza statale, l’obbligo di produrre
ulteriore documentazione e informazioni rispetto a quanto previsto dalla
normativa statale;
b) con il
successivo art. 29-septies cod. ambiente, perché la legge regionale impugnata impugnata non si configura come uno «strumento di
programmazione o di pianificazione» e non considera «tutte le sorgenti emissive
coinvolte», in quanto le emissioni odorigene sono riconducibili anche ad altri
fonti emissive non considerate dalle disposizioni regionali censurate (quali
traffico e riscaldamento civile), e non individua chiaramente quali sono le
norme di qualità ambientale per cui è necessario attuare le prescrizioni in
materia di emissioni odorigene;
c) sotto
quest’ultimo versante e sempre muovendo dal disposto dell’art. 29-septies, con
l’art. 3 Cost. per irragionevolezza: il parametro limite previsto dalla
disciplina regionale, di cui si impone il rispetto, rappresenterebbe infatti un
valore complessivo al quale possono concorrere una pluralità di sorgenti anche
non riferite agli impianti autorizzati;
d) ancora con il
citato art. 29-septies, essendo previsto che le prescrizioni da dettare per i
singoli impianti in sede di autorizzazione non siano richieste dalla Regione in
sede di conferenza di servizi, bensì inserite d’ufficio nell’autorizzazione
integrata ambientale;
f) con l’articolo
29-sexies, comma 3, cod. ambiente, perché non introducono l’obbligo di
rispettare «valori limite di emissione» nel territorio, ma impongono soltanto
l’adozione di specifiche misure di monitoraggio, costruttive e di gestione;
g) con gli artt. 7,
commi 4, 4-bis e 5 e 7 cod. ambiente, in quanto gli artt. 1, comma 2, lettere
a) e b), 3, comma 4, 5, comma l, lettera c), e 9 della legge regionale
impugnata disciplinano procedure e attività che spettano allo Stato in materia
di autorizzazione integrata ambientale, poiché relative alle installazioni di
cui all’Allegato XII, eccedendo il potere legislativo riconosciuto alle Regioni
dall’art. 7, comma 7, dell’indicato codice.
5.– Il ricorrente
denunzia, ancora, l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2,
lettere c) e d), 3, 4, 5, 6, 7 e 9, nonché dell’Allegato tecnico della legge
reg. Puglia n. 32 del 2018, per violazione dell’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost. in riferimento agli artt. 7-bis, comma 8, 19, 22 e 23 cod.
ambiente.
Ad avviso del
ricorrente, tramite le citate disposizioni regionali vengono introdotti, in una
materia di esclusiva competenza legislativa statale, ulteriori contenuti,
diversi da quelli prescritti dalle evocate norme statali, ai fini della
presentazione delle istanze per la valutazione di impatto ambientale (VIA),
nonché per la verifica di assoggettabilità a VIA.
5.1.– In
particolare, i contenuti richiesti dall’art. 3, commi 1 e 2, della legge
regionale impugnata, ai fini del controllo delle emissioni delle sostanze
odorigene, non sono previsti dall’art. 19 e dall’Allegato IV-bis cod. ambiente
per lo studio preliminare ambientale redatto dal proponente; né, ancora,
coincidono con quelli sanciti dal successivo art. 22 e dall’Allegato VII alla
Parte II, del medesimo codice, avuto riguardo allo studio di impatto ambientale
predisposto sempre dal proponente.
5.2.– Osserva il
ricorrente che le citate disposizioni regionali prevedono che il «gestore
ovvero il proponente, all’atto della presentazione dell’istanza all’autorità
competente, provvede ad allegare la documentazione relativa alla individuazione
delle sorgenti odorigene significative, alla caratterizzazione delle sorgenti
odorigene significative, comprensiva della determinazione della concentrazione
di odore e della portata di odore e della determinazione della concentrazione
delle singole sostanze, odoranti o traccianti anche non odoranti, e alla stima
dell’impatto olfattivo delle emissioni, redatta secondo le indicazioni di cui
all’allegato annesso alle presenti disposizioni» (art. 3, comma 1); dispongono,
inoltre, che l’«assenza di sorgenti odorigene significative dovrà essere
certificata dal gestore ovvero dal proponente mediante dichiarazione resa nelle
forme di legge» (art. 3, comma 2). Le citate disposizioni regionali esulano,
pertanto, dalla competenza normativa, da esercitare con leggi o regolamenti
riconosciuta alle Regioni ed alle Province autonome dall’art. 7-bis, comma 8,
cod. ambiente, in relazione alla organizzazione e alle modalità di esercizio delle
funzioni amministrative ad esse attribuite in materia di VIA, nonché in
riferimento all’eventuale conferimento di tali funzioni o di compiti specifici
agli altri enti territoriali sub-regionali.
Rimarca, infatti,
l’Avvocatura generale che tale disposizione limita espressamente siffatta
potestà normativa ad ambiti piuttosto circoscritti, potendo le Regioni e le
Province autonome stabilire regole autonome e ulteriori rispetto alla normativa
statale esclusivamente per la semplificazione dei procedimenti, per le modalità
della consultazione del pubblico e di tutti i soggetti pubblici potenzialmente
interessati, per il coordinamento dei provvedimenti e delle autorizzazioni di
competenza regionale e locale, nonché per la destinazione dei proventi
derivanti dall’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie.
Di qui
l’illegittimità della norma regionale impugnata, non riconducibile ad alcuna
delle finalità in vista delle quali il legislatore statale ha riconosciuto un
margine di intervento ai legislatori regionali.
6.– Il ricorrente
denunzia, ancora, l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 5, della
legge reg. Puglia n. 32 del 2018, per violazione dell’art. 117, secondo comma,
lettera l), Cost., in relazione all’art. 279 cod. ambiente.
6.1.– Secondo
quanto previsto dalla disposizione censurata, la «violazione da parte del
gestore delle prescrizioni impartite e dei valori limite fissati nei
provvedimenti, anche in esito alle attività di cui al comma 2, determina
l’applicabilità del sistema sanzionatorio già previsto dalle norme di settore».
Il ricorrente –
dopo aver premesso che la previsione appare sommariamente formulata, in quanto
il comma 2 richiamato non prevede attività in senso stretto, se non
«dichiarative» – ritiene che il riferimento al «sistema sanzionatorio già
previsto dalle norme di settore», contenuto nella norma censurata debba
intendersi siccome rivolto alla disciplina statale di settore e dunque all’art.
279 cod. ambiente, che contiene la disciplina delle sanzioni penali e amministrative
per le violazioni nel campo delle emissioni in atmosfera.
Ad avviso del
Presidente del Consiglio dei ministri, la norma censurata delinea, dunque,
surrettiziamente fattispecie incriminatrici penali nuove, consistenti nella
«violazione da parte del gestore delle prescrizioni impartite e dei valori
limite fissati nei provvedimenti», da punire appunto con le sanzioni previste
dal citato art. 279 cod. ambiente. In tal modo, la previsione va ad incidere
sull’«ordinamento penale», ovverosia su una materia riservata in via esclusiva
al legislatore statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
7.– Infine, il
ricorrente adduce anche l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 della legge
reg. Puglia n. 32 del 2018 per violazione sia dell’art. 123 Cost., in
riferimento all’art. 44, commi 1 e 2, dello statuto reg. Puglia, sia dell’art.
117, sesto comma, Cost., in relazione agli artt. 7 e 7-bis cod. ambiente.
7.1.– Il censurato
art. 6 prevede, al comma 1, che
7.2.– Ad avviso
del ricorrente, la norma reca, all’evidenza, una ipotesi di delegificazione
realizzata in contrasto con i citati parametri costituzionali e interposti.
7.2.1.– Si
sottolinea, in primo luogo, che le norme di uno statuto regionale ordinario
sono adottate all’esito di un procedimento rinforzato e, dunque, condizionano
la validità di quelle prodotte da una legge regionale, le quali non possono
discostarsene, pena la violazione dell’art. 123 Cost. In particolare, l’art.
44, comma 1, secondo periodo, dello statuto reg. Puglia, prevede che la «legge
regionale indica le norme da delegificare e i principi che
La disposizione
censurata si discosterebbe dalle sopra citate previsioni statutarie perché: a)
affida la modifica dell’allegato a una deliberazione di Giunta, laddove lo
statuto esige un regolamento, peraltro da approvare nel rispetto di specifiche
prescrizioni procedurali (art. 44, comma 2, dello statuto reg. Puglia); b)
risulta del tutto carente sotto il profilo della indicazione dei principi che
dovrebbero guidare
7.3.– Ad avviso
del ricorrente, ancora, la fattispecie di delegificazione introdotta dalla
normativa regionale in esame contrasta altresì con l’art. 117, sesto comma,
Cost. per le seguenti considerazioni.
7.3.1.– Muovendo
dal dato certo in forza del quale la disciplina contenuta nell’allegato di cui
si discute ricade certamente nella materia esclusiva statale della tutela
dell’ambiente e dell’ecosistema ex art. 117, comma secondo, lettera s), Cost.,
il ricorrente evidenzia altresì che, in forza dell’evocato parametro
costituzionale, nelle materie di legislazione statale esclusiva, le Regioni
possono esercitare potestà regolamentare solo sulla base di una delega dello
Stato.
Con riguardo alla
disciplina relativa all’AIA, tale delega scaturisce dall’art. 7, comma 7, cod.
ambiente, che, tuttavia, si riferisce esclusivamente all’autorizzazione
integrata ambientale di competenza regionale. Ne deriva che la disposizione
regionale censurata viola l’art. 117, sesto comma, Cost., nella misura in cui è
diretta a delegificare previsioni destinate ad applicarsi anche
all’autorizzazione integrata ambientale di spettanza statale.
In riferimento,
poi, alla VIA, l’art. 7-bis, comma 8, cod. ambiente riconosce uno spazio d’intervento
alle leggi e ai regolamenti regionali esclusivamente in riferimento alle
procedure di loro competenza e per profili strettamente delimitati, dai quali
esorbita la disciplina contenuta nell’allegato alla legge regionale in esame.
Ne deriva che l’art.
6, comma l, della legge reg. Puglia n. 32 de 2018 viola l’art. 117, sesto
comma, Cost., nella misura in cui è diretto a delegificare previsioni
espressamente destinate ad applicarsi sia ai procedimenti di VIA di spettanza
statale, sia a quelli competenza regionale.
8.– Con atto
depositato il 29 ottobre 2018 si è costituita in giudizio
8.1.– La
resistente in primo luogo ha rivendicato il potere di disciplinare la materia
delle emissioni odorigene in ragione di quanto previsto dall’art. 272-bis cod.
ambiente, evidenziando altresì che la potestà di legiferare sul tema,
riconosciuta dalla citata norma statale, non risulta subordinata al preventivo
esercizio del potere di coordinamento, solo facoltativo ed eventuale, previsto
dal comma 2 dello stesso art. 272-bis.
Ad avviso della
resistente, anche a voler ricondurre la materia considerata dalle disposizioni
censurate all’ambito inerente la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, non
può al contempo disconoscersi che la stessa coinvolge anche aspetti e interessi
correlati a materie ascritte alla competenza concorrente delle Regioni, quali
quelle del governo del territorio e della tutela della salute, di cui all’art.
117, terzo comma, Cost.
A fronte di tale
intersecarsi di competenze, la resistente ha richiamato il costante
orientamento di questa Corte in forza del quale le disposizioni regionali,
emanate per il coinvolgimento, nel bene ambiente, di componenti e aspetti
concernenti interessi giuridicamente tutelati di cui sono portatrici anche le
Regioni, non violano l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., laddove
rispettino gli standard di tutela minima garantiti dalla disciplina statale,
finendo piuttosto per meglio realizzare il valore ambientale e innalzare i
relativi livelli di tutela.
Ciò premesso, la
difesa della resistente rimarca che l’obiettivo del legislatore regionale è
stato quello di pervenire ad un più elevato livello di tutela della salubrità
dell’aria e dell’ambiente, dettando regole che consentano di inserire,
all’interno delle autorizzazioni ambientali, anche prescrizioni volte a
prevenire e ridurre gli effetti delle molestie olfattive. In questa cornice
l’art. 3, comma 4, lettera c), della legge regionale impugnata dispone che
l’autorità competente, nell’ambito dell’istruttoria amministrativa prevista
dalla normativa vigente, individua i valori limite di emissione da rispettare,
finalizzati a contenere, entro valori di accettabilità, l’impatto olfattivo
prodotto dalle emissioni olfattive. Tali valori, descritti dall’Allegato
tecnico, permetteranno all’amministrazione competente di prescrivere,
all’interno dell’autorizzazione, valori limite di emissione espressi come
concentrazione di odore o portata di odore o in concentrazione di singoli
odoranti o di sostanze traccianti non odoranti, da aggiungere ai presidi ed ai
sistemi di trattamento individuati dalle best available
technologies (BAT).
8.2.– Rispetto
alle singole censure, la resistente eccepisce anzitutto l’inammissibilità, per
la genericità del relativo argomentare, delle prime due questioni,
indifferentemente rivolte agli artt. 1, comma 2, lettere a), b), c) e d), 3, 4,
5, 6, 7 e 9, nonché all’Allegato tecnico della legge reg. Puglia n. 32 del
2018.
Non risulterebbero
specificati i termini entro i quali le singole disposizioni censurate abbiano
violato i parametri costituzionali evocati; genericità resa ancor più evidente
dalla evocazione di molteplici parametri interposti, senza adeguatamente
argomentare le ragioni della loro ritenuta violazione.
8.3.– Nel merito
delle questioni, la difesa della Regione Puglia ne prospetta l’infondatezza
perché le ritiene legate a una non corretta interpretazione delle norme
impugnate, nonché ad una erronea ricostruzione degli ambiti di competenza
legislativa ascritti allo Stato e alle Regioni nella materia in oggetto.
8.4.– Quanto alle
questioni prospettate per violazione del cod. ambiente afferenti alla
disciplina dettata in tema di AIA, la difesa della resistente ha negato
l’addotto contrasto tra le disposizioni censurate e gli artt. 7, commi 4,
4-bis, 4-ter, 5 e 7, 29-septies e 267, comma 3, cod. ambiente. La competenza
legislativa della Regione Puglia troverebbe fondamento, in relazione alle emissioni
odorigene, nel tenore dell’art. 272-bis del medesimo codice, che si estende a
tutti gli stabilimenti e a tutte le attività che producono emissioni in
atmosfera e che legittima le Regioni ad introdurre precetti sostanziali quanto
alla disciplina specifica tesa a delimitare gli impatti olfattivi
conseguenziali alle attività antropiche, senza dunque intaccare gli ambiti
procedimentali definiti dalla normativa statale, ma solo integrandone il
portato con precipuo riguardo alle ulteriori incombenze imposte dallo specifico
profilo appositamente regolato, coerentemente con quanto previsto dall’Allegato
XI alla Parte II del citato d.lgs. n. 152 del 2006.
Per le medesime
ragioni, la resistente ha anche contestato l’affermata violazione dell’art.
271, comma 3, cod. ambiente, non senza rimarcare che tale ultima disposizione
comunque legittima, in termini generali, normative regionali, realizzate anche
tramite interventi legislativi, volte a determinare valori limite alle
emissioni in atmosfera e prescrizioni con l’unico limite afferente all’obbligo
di tener conto di piani e programmi di qualità dell’aria, ove esistenti.
Inoltre, ha escluso che le norme censurate siano in conflitto con l’art. 29-ter
cod. ambiente, imponendo al proponente integrazioni documentali in ambiti
procedimentali riservati alla competenza esclusiva dello Stato, quali quelli
afferenti alle installazioni, agli impianti soggetti ad AIA e ai provvedimenti
ambientali di competenza statale, perché anche questi ultimi devono attenersi
alle indicazioni prescrittive sostanziali contenute nelle disposizioni
legislative regionali di settore, che legittimamente completano il quadro
normativo di riferimento.
In relazione alla
addotta violazione del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost., evocato in
correlazione al disposto del già citato art. 29-septies cod. ambiente, sul
presupposto della mancata individuazione nella disciplina regionale impugnata
di tutte le possibili sorgenti emissive coinvolte nella determinazione delle
relative prescrizioni, se ne evidenzia per un verso l’indeterminatezza, e
dunque l’inammissibilità (perché non si precisa a quale parametro limite si
riferisce la censura né quale sia la disposizione, tra quelle censurate, che
arreca il vulnus addotto); per altro verso l’infondatezza, in considerazione
degli obiettivi e dei conseguenti contenuti precettivi delle disposizioni
regionali censurate, destinate a regolare le emissioni odorigene in relazione
alla provenienza da una sorgente produttiva e a determinare, in relazione a
siffatta sorgente, i valori limite di volta in volta da rispettare, senza
pretese di esaustività, quanto alle possibili fonti di emissioni olfattive
nell’ambiente e nell’atmosfera.
8.5.– In relazione
alle questioni prospettate in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera
s), Cost., per assunto contrasto degli artt. 1, comma 2, lettere c) e d), 3, 4,
5, 6, 7 e 9, nonché delle previsioni contenute nell’Allegato tecnico della
legge regionale impugnata con gli artt. 7-bis, comma 8, 19, 22 e 23 cod.
ambiente in tema di VIA e di verifica di assoggettabilità a VIA, la difesa
della resistente ha evidenziato che lo studio preliminare ambientale
(richiamato dall’art. 19), descritto nei contenuti dall’Allegato IV-bis alla
Parte II del citato codice, per evitare o prevenire impatti ambientali
significativi e negativi, deve tenere conto delle pertinenti valutazioni degli
effetti sull’ambiente compiute in base alle normative di riferimento, anche di
matrice regionale.
In coerenza, anche
lo studio di impatto ambientale, previsto dall’art. 22 cod. ambiente e
descritto dall’Allegato VII alla Parte II del medesimo codice, nel definire le
connotazioni del progetto anche in relazione alle emissioni previste e ai
possibili profili di impatto ambientale ad esse correlate, ad avviso della
resistente dovrà tenere conto delle discipline regionali di settore anche
quando il titolo ambientale è di competenza statale.
Né rileverebbe,
secondo la resistente, il richiamo all’art. 7-bis, comma 8, cod. ambiente, il
quale, in tema di VIA e verifica di assoggettabilità a VIA, detta i criteri ai
quali devono ispirarsi le Regioni nel definire gli ambiti organizzativi e
procedimentali di loro spettanza. Ad avviso della resistente, le norme
censurate contengono prescrizioni di natura sostanziale cui devono attenersi
gli stabilimenti nell’ottica volta ad evitare, prevenire e ridurre l’impatto
olfattivo correlato alle emissioni odorigene derivanti dalle attività
antropiche.
Le relative
disposizioni – sottolinea la resistente – non costituiscono un aggravio
procedimentale; rappresentano, sul piano delle incombenze istruttorie imposte
dalle esigenze di provvedere alla compiuta valutazione delle emissioni
odorigene correlate alle singole installazioni, il corollario logico
imprescindibile delle verifiche finalizzate ad eliminare o ridurre gli impatti
olfattivi nell’ottica del comune obiettivo della tutela ambientale, realizzato
dalla normativa regionale impugnata.
8.6.– La difesa
della Regione ha sostenuto anche l’infondatezza della questione avente ad oggetto
l’art. 3, comma 5, della legge reg. Puglia n. 32 del 2018, prospettata con
riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. in relazione
all’art. 279 cod. ambiente. Ad avviso della resistente, la possibilità che la
norma regionale impugnata renda applicabili le sanzioni, amministrative e
penali, previste dalla citata normativa statale, ai casi in cui si riscontri
una violazione delle prescrizioni contenute nei provvedimenti amministrativi in
attuazione della disciplina dettata dalla Regione in tema di emissioni
odorigene, non darebbe corpo alla creazione di una nuova fattispecie criminosa
ma realizza, piuttosto, la riconducibilità di un caso concreto all’astratta
previsione di legge.
8.7.– Secondo la
resistente, infine, non coglie nel segno nemmeno l’ultima delle censure
prospettate nel ricorso, riferita all’art. 6 della legge regionale impugnata.
Le disposizioni
impugnate non darebbero luogo ad alcuna delegificazione, in quanto prevedono
esclusivamente l’aggiornamento di un contenuto meramente tecnico, quale quello
descritto nell’allegato, così da riportare l’atto in questione all’interno
delle competenze espressamente proprie della Giunta regionale.
In ogni caso, non
rileverebbe il mancato riferimento alla forma regolamentare, perché si prevede
comunque la forma tipica dei provvedimenti normativi e generali propria delle
deliberazioni della Giunta, senza peraltro escludere aprioristicamente
l’acquisizione del parere della commissione consiliare competente in materia,
non incompatibile con tali determinazioni.
Infine,
9.– La difesa
della resistente ha depositato, in data 13 maggio 2019, una memoria con la
quale ha ribadito le difese svolte nell’atto di costituzione.
10.– In data 14
maggio 2019, l’Avvocatura Generale dello Stato ha depositato memoria, con la
quale, nel confermare le argomentazioni sottese alle questioni prospettate con
il ricorso, ha replicato alle difese della Regione resistente.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente
del Consiglio dei ministri, con ricorso depositato il 26 settembre 2018 (reg.
ric. n. 66 del 2018), ha impugnato gli artt. 1, comma 2, lettere a), b), c) e
d), 3, 4, 5, 6, 7 e 9, nonché l’intero Allegato tecnico della legge della
Regione Puglia 16 luglio 2018, n. 32 (Disciplina in materia di emissioni
odorigene).
2.– Le
disposizioni della legge regionale impugnata sono volte a evitare, prevenire e
ridurre l’impatto olfattivo derivante dalle emissioni in atmosfera legate alle
attività antropiche (art. 1, comma 1). Esse sostituiscono la disciplina
previgente nel territorio di riferimento, contenuta nella legge della Regione
Puglia 22 gennaio 1999, n. 7 (Disciplina delle emissioni odorifere delle
aziende. Emissioni derivanti da sansifici. Emissioni nelle aree a elevato
rischio di crisi ambientale), ora abrogata (art. 8).
3.– Giova
premettere che la disciplina dettata dalla legge reg. Puglia n. 32 del
La disciplina
regionale, per quel che qui immediatamente interessa, risulta altresì estesa
alle installazioni (e alle relative modifiche sostanziali) soggette ad
autorizzazione integrata ambientale (AIA), sia di competenza statale, sia di
pertinenza regionale, in ragione di quanto previsto dall’art. 1, comma 2,
lettere a) e b); ancora, ai progetti soggetti a verifica di assoggettabilità a
valutazione di impatto ambientale o a valutazione di impatto ambientale (VIA),
alle relative modifiche sostanziali o alle estensioni dei progetti in
questione, anche in questo caso indipendentemente dalla competenza regionale o
statale a rendere il relativo titolo (art. 1, comma 2, lettere c e d).
4.– Il riferimento
all’art. 1, comma 2, lettere a), b), c) e d), della legge reg. Puglia n. 32 del
2018 assume un significato decisivo nella corretta delimitazione dell’oggetto
del ricorso che interessa. Consente, infatti, di suddividere le censure
prospettate dal ricorrente in tre diversi gruppi.
4.1.– In
particolare, i primi due gruppi hanno ad oggetto la struttura portante della
legge regionale in esame: in entrambi i casi il Presidente del Consiglio dei
ministri contesta, infatti, gli artt. 3, 4, 5, 6, 7 e 9 della legge regionale
impugnata, nonché l’intero Allegato tecnico ad essa.
Entrambi i gruppi
di censure, inoltre, risultano ancorati alla addotta violazione dell’art. 117,
secondo comma, lettera s), della Costituzione perché in asserito contrasto con
alcune disposizioni del cod. ambiente; disposizioni, queste ultime, tuttavia,
non coincidenti.
Con riguardo ai
parametri interposti, infatti, muta la visuale di riferimento dei relativi
motivi di impugnazione.
4.1.1.– Nel primo
gruppo di censure, le disposizioni impugnate sono contestate dal ricorrente
perché se ne prevede l’applicabilità anche alle installazioni soggette ad AIA,
comprese quelle di competenza statale: in questo senso appare decisiva
l’inclusione, tra le disposizioni oggetto di impugnazione, anche delle previsioni
contenute nelle lettere a) e b) del comma 2 dell’art. 1 della legge reg. Puglia
n. 32 del 2018, che prevedono siffatta estensione. Ed in coerenza, a sostegno
dell’addotta violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., viene
prospettato il contrasto delle norme regionali impugnate con alcune
disposizioni del cod. ambiente relative, per l’appunto, alla disciplina
dell’AIA.
Giova altresì
rimarcare che in questo specifico contesto risulta allocata, nel corpo del
ricorso, altra specifica censura, rivolta alle medesime disposizioni ma
ancorata all’addotta violazione dell’art. 3 Cost., per irragionevolezza della
relativa disciplina.
4.1.2.– Nel
secondo gruppo di censure, le stesse norme regionali (artt. 3, 4, 5, 6, 7 e 9,
nonché dell’Allegato tecnico) sono censurate perché ne è prevista
l’applicabilità anche ai progetti soggetti a VIA e a verifica di
assoggettabilità a VIA, come reso evidente dall’immediato riferimento (anche)
alle lettere c) e d) del medesimo comma 2 dell’art. 1, nonché ai parametri
interposti a tal fine evocati, sempre interni al cod. ambiente, ma
immediatamente afferenti, per l’appunto, alla disciplina riguardante
4.1.3.– Il terzo
gruppo di censure riguarda singole disposizioni della legge reg. Puglia n. 32
del 2018, non necessariamente collegate alla normativa statale dettata in
materia di AIA e di VIA.
In particolare,
seguendo l’ordine di prospettazione del ricorso, viene contestato il solo comma
5 dell’art. 3, che il ricorrente ritiene in contrasto con l’art. 117, secondo
comma, lettera l), Cost.
Si censura,
infine, l’art. 6 della legge regionale impugnata, prospettandone
l’illegittimità costituzionale in riferimento agli artt. 123 e 117, sesto
comma, Cost.
5.– Sia la
descrizione delle censure che lo scrutinio delle singole questioni da rendere
alla luce delle difese della resistente impongono una preliminare descrizione
del quadro normativo di riferimento all’interno del quale le disposizioni
regionali impugnate sono destinate ad operare.
5.1.– Sotto questo
profilo non può non sottolinearsi, in premessa, che la legislazione statale,
mentre disciplina in termini organici il tema dell’incidenza inquinante delle
emissioni in atmosfera (in particolare, Titolo I della Parte V cod. ambiente),
ancora oggi (malgrado ciò che si dirà di qui a poco in ordine alla innovazione
apportata dall’introduzione dell’art. 272-bis nel cod. ambiente) non prende in
considerazione, con previsioni di sistema, il tema degli impatti olfattivi
determinati dalle emissioni derivanti da attività antropiche.
5.2.– Siffatta
carenza sistemica non ha tuttavia impedito alla prassi amministrativa di dare
comunque rilievo all’impatto ambientale da ascrivere alle emissioni odorigene
derivanti dalle attività produttive, muovendo dall’ampia nozione di inquinamento
atmosferico contenuta nell’art. 268 cod. ambiente.
Non raramente,
infatti, le amministrazioni competenti hanno inserito, all’interno delle
autorizzazioni ex art. 269 cod. ambiente, anche in occasione dei titoli
abilitativi legati a iniziative produttive maggiormente impattanti sotto questo
profilo, oneri di monitoraggio e prescrizioni limitative volte a prevenire o
ridurre il portato delle possibili emissioni maleodoranti. Scelte, queste
ultime, in linea di principio asseverate dalla giurisprudenza amministrativa
malgrado l’assenza di una disciplina organica di riferimento, rinvenibile anche
nella normativa di matrice unionale.
5.3.– Tale carenza
normativa, per altro verso, ha permesso un margine d’azione, nel settore in
esame, alle Regioni, le quali, per lo più tramite regolamenti o altri atti
amministrativi generali (in genere assunti nella forma delle delibere di
Giunta), hanno provveduto a disciplinare la materia, dettando linee guida
riferite ai valori di emissione, metodi di monitoraggio, nonchè
ulteriori incombenti a completamento della documentazione di supporto delle
relative istanze, destinati ad integrare l’azione amministrativa di
riferimento.
Sotto questo
profilo, va in particolare rimarcato che
5.4.– Come
anticipato, il silenzio della normativa nazionale sul tema in esame è stato
interrotto con l’introduzione, all’interno del Titolo I della Parte V cod.
ambiente, dell’art. 272-bis, ad opera dell’art. 1, comma 1, lettera f), n. 8,
del decreto legislativo 15 novembre 2017, n. 183, recante «Attuazione della
direttiva (UE) 2015/2193 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25
novembre 2015, relativa alla limitazione delle emissioni nell’atmosfera di
taluni inquinanti originati da impianti di combustione medi, nonché per il
riordino del quadro normativo degli stabilimenti che producono emissioni
nell’atmosfera, ai sensi dell’articolo 17 della legge 12 agosto 2016, n. 170».
5.4.1.– Con
l’obiettivo, reso esplicito dai relativi lavori preparatori, di razionalizzare
«una serie di poteri già previsti dalle rispettive leggi regionali», il
menzionato art. 272-bis dispone che la «normativa regionale o le autorizzazioni
possono prevedere misure per la prevenzione e la limitazione delle emissioni
odorigene degli stabilimenti di cui al presente titolo». Prevede, ancora, che
tali misure, tra l’altro, possono «[…] includere […] a) valori limite di
emissione […]; b) prescrizioni impiantistiche e gestionali e criteri
localizzativi per impianti e per attività aventi un potenziale impatto
odorigeno […]; c) procedure volte a definire, nell’ambito del procedimento
autorizzativo, criteri localizzativi in funzione della presenza di ricettori
sensibili nell’intorno dello stabilimento; d) criteri e procedure volti a
definire, nell’ambito del procedimento autorizzativo, portate massime o
concentrazioni massime di emissione odorigena […]; e) specifiche portate
massime o concentrazioni massime di emissione odorigena espresse in unità odorimetriche (ouE/m3 o ouE/s) per le fonti di emissioni odorigene dello stabilimento».
L’art. 272-bis,
comma 2, dispone, inoltre, che il «Coordinamento» previsto dall’art. 20 del
decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 155 (Attuazione della direttiva
2008/50/CE relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in
Europa) possa elaborare indirizzi in relazione alle misure previste dal
medesimo articolo. Si prevede, altresì, che attraverso «l’integrazione
dell’allegato I alla Parte Quinta, con le modalità previste dall’articolo 281,
comma 6», possano essere previsti, anche sulla base dei lavori del
Coordinamento, valori limite e prescrizioni per la prevenzione e la limitazione
delle emissioni odorigene degli stabilimenti di cui al Titolo I della Parte II
cod. ambiente, «inclusa la definizione di metodi di monitoraggio e di determinazione
degli impatti».
5.4.2.–
All’evidenza, dunque, il legislatore statale non ha inteso introdurre una
disciplina organica e complessiva dei profili inquinanti correlati alle
emissioni odorigene, lasciando alle Regioni il compito di regolamentare il
settore, ma si è riservato la possibilità, con le modalità previste dal comma 2
del citato art. 272-bis, di introdurre valori limite e prescrizioni generali
destinate a valere per l’intero territorio nazionale in modo uniforme.
5.5.– La normativa
regionale impugnata si inserisce all’interno della cornice normativa descritta
in precedenza, oggi meglio definita dal tenore dell’art. 272-bis del cod.
ambiente.
5.5.1.– Per quanto
emerge dai rispettivi lavori preparatori, la disciplina regionale censurata dal
ricorrente muove dall’esigenza di modificare il previgente dato normativo,
offerto dalla citata legge n. 7 del 1999, aggiornandone il campo di
applicazione, garantendo uniformità alle attività di monitoraggio, definendo in
modo più puntuale le attività ascritte all’Agenzia regionale per la prevenzione
e la protezione dell’ambiente (ARPA) Puglia e infine modificando l’Allegato
tecnico cui già nel corpo della legge previgente era assegnato il compito di
contenere le specifiche attraverso le quali pervenire alla determinazione dei
valori di accettabilità dell’impatto olfattivo da prescrivere all’interno dei
relativi titoli abilitativi.
5.5.2.– Come
anticipato, l’art. 1, comma 1, della legge reg. Puglia n. 32 del 2018 contiene
le indicazioni finalistiche del relativo intervento, mentre il comma 2 dello
stesso articolo, in linea peraltro con quanto previsto dalla previgente
disciplina (art. 1-bis della legge regionale n. 7 del 1999), estende il campo
di applicabilità delle disposizioni in esame anche oltre i limiti del Titolo I
della Parte V cod. ambiente: oltre agli stabilimenti soggetti
all’autorizzazione di cui all’art. 269 cod. ambiente (richiamato dalla lettera
f del comma 2 dell’art. 1 della legge regionale impugnata) viene fatto
riferimento espresso, tra l’altro, alle installazioni (e alle modifiche alle
installazioni) soggette ad AIA, e ai progetti sottoposti a VIA e a verifica di
assoggettabilità a VIA (lettere a, b, c e d).
L’elenco delle
definizioni è contenuto nell’art. 2, rimasto estraneo alle censure del
ricorrente, al pari dell’art. 8 (che, come già evidenziato, dispone
l’abrogazione della previgente legge n. 7 del 1999).
5.5.3.– Il cuore
della normativa in questione è collocato nell’art. 3.
Laddove si sia in
presenza di sorgenti odorigene significative – tali dovendosi ritenere quelle
che ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera g), della legge reg. Puglia n. 32
del 2018, hanno una «portata di odore» o «una concentrazione di odore» maggiore
o uguale ai valori soglia determinati mediante olfattometria
dinamica, «applicando la norma UNI EN 13725:2004» (di cui all’Allegato tecnico,
punto 3, capoverso 2) – il citato art. 3, comma 1, impone al gestore o al
proponente l’onere di allegare, all’atto della presentazione dell’istanza
all’autorità competente «la documentazione relativa alla individuazione delle
sorgenti odorigene significative, alla caratterizzazione delle sorgenti
odorigene significative, comprensiva della determinazione della concentrazione
di odore e della portata di odore e della determinazione della concentrazione
delle singole sostanze, odoranti o traccianti anche non odoranti, e alla stima
dell’impatto olfattivo delle emissioni, redatta secondo le indicazioni di cui
all’allegato annesso alle presenti disposizioni».
5.5.4.– Secondo
quanto previsto dal comma 4 del medesimo art. 3, nell’ambito della relativa
istruttoria prevista dalla normativa vigente, l’autorità competente, anche,
avvalendosi del supporto tecnico di ARPA Puglia, è tenuta a valutare la
documentazione presentata; a verificare, anche sulla base delle migliori
tecniche disponibili, l’adeguatezza degli accorgimenti tecnici e gestionali
proposti dal gestore al fine di garantire il contenimento delle emissioni
odorigene, tenendo conto delle caratteristiche del territorio e della presenza
di potenziali recettori sensibili; ad individuare i valori limite di emissione
che devono essere rispettati al fine di contenere entro i valori di
accettabilità l’impatto olfattivo prodotto dalle emissioni odorigene; a
formulare le eventuali prescrizioni tecniche e gestionali, definendone la
relativa tempistica, per il contenimento delle emissioni odorigene sia in
condizioni di normale attività sia in condizioni diverse dal normale esercizio;
a definire le misure e le modalità e le frequenze di monitoraggio delle
emissioni odorigene.
5.5.5.– Il comma 5
del citato art. 3 estende alla violazione delle prescrizioni impartite e dei
valori limite contenuti nei provvedimenti, resi in applicazione delle relative
disposizioni di legge, il sistema sanzionatorio previsto dalle norme di
settore.
I successivi artt.
4 e 5 definiscono i compiti ascritti sul tema ad ARPA Puglia con riferimento
all’attività di controllo delle prescrizioni contenute nei relativi titoli
abilitativi e, rispettivamente, in ordine alle modalità attraverso le quali
vanno gestite le segnalazioni di disturbo olfattivo; l’art. 7 disciplina il
regime transitorio, mentre l’art. 9 attiene agli adempimenti consequenziali in
capo alle amministrazioni interessate.
5.5.6.–
Costituisce parte integrante della legge regionale in esame un Allegato
tecnico, all’interno del quale si rinvengono le indicazioni tecniche funzionali
alla determinazione delle emissioni odorigene, alla stima previsionale
dell’impatto olfattivo e alla determinazione dell’impatto olfattivo o
dell’esposizione olfattiva. Tra queste, assumono un rilievo fondamentale le
previsioni afferenti ai valori di accettabilità dell’impatto olfattivo, fissati
in funzione delle classi di sensibilità dei ricettori, punto di riferimento dei
valori limite e delle prescrizioni da riportare nel provvedimento abilitativo
(punti 19 e 20 dell’Allegato).
5.5.7.– Infine,
l’art. 6 della legge regionale impugnata prevede le modalità attraverso le
quali è demandata alla Giunta regionale la possibilità di aggiornare il citato
Allegato tecnico.
6.– Tanto
premesso, può ora procedersi alla disamina delle singole questioni prospettate
dal ricorso, prendendo le mosse da quelle concernenti l’asserita violazione
dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. per contrasto con la disciplina
dettata dal cod. ambiente in tema di AIA.
6.1.– Il
ricorrente evidenzia che gli artt. 3, 4 e 5 della legge reg. Puglia n. 32 del
2018 definiscono la procedura per la valutazione dell’accettabilità degli
impatti olfattivi mentre l’Allegato tecnico stabilisce e dettaglia i metodi di
monitoraggio e di determinazione degli impatti, nonché i criteri di valutazione
degli stessi sul territorio. Ciò sul presupposto di una competenza legislativa
che troverebbe riferimento nel citato art. 272-bis cod. ambiente.
6.1.1.– Ciò posto,
ad avviso del ricorrente la possibilità di estendere l’applicabilità del citato
art. 272-bis cod. ambiente alle installazioni soggette ad AIA, espressamente
considerate dalla normativa regionale censurata in ragione di quanto dettato
dall’art. 1, comma 2, lettere a) e b), sarebbe tuttavia esclusa dal tenore
dell’art. 267, comma 3, cod. ambiente; disposizione, quest’ultima, in forza
della quale, per le dette installazioni, la disciplina di riferimento è quella
offerta dal Titolo III-bis della Parte II del medesimo codice.
6.1.2.– Osserva,
ancora, il ricorrente che ai sensi dell’art. 271, comma 3, cod. ambiente è
riconosciuta alle Regioni la facoltà di adottare con legge «appositi valori
limite di emissione e prescrizioni, anche inerenti le condizioni di costruzione
o di esercizio e i combustibili utilizzati», ma solo per le attività
scarsamente rilevanti di cui al comma 1 dell’art. 272 dello stesso cod.
ambiente, ovvero le attività per le quali non è previsto il rilascio di una
autorizzazione alle emissioni. Per le attività soggette ad autorizzazione,
invece, è necessario che ciò avvenga attraverso i piani e i programmi previsti
dal d.lgs. n. 155 del 2010: il comma 4 del medesimo art. 271 cod. ambiente
prevede, infatti, che «[i] piani e i programmi di qualità dell’aria previsti
dal decreto legislativo 31 agosto 2010, n. 155 possono stabilire appositi
valori limite di emissione e prescrizioni più restrittivi di quelli contenuti
negli Allegati I, II e III e V alla parte quinta del presente decreto, anche
inerenti le condizioni di costruzione o di esercizio, purché ciò sia necessario
al perseguimento ed al rispetto dei valori e degli obiettivi di qualità
dell’aria».
6.1.3.– Le
disposizioni impugnate sarebbero in contrasto, ancora, con gli artt. 7, commi
4, 4-bis, 5 e 7 cod. ambiente, in quanto disciplinano procedure e attività che
spettano allo Stato in materia di AIA, poiché relative agli impianti di cui
all’Allegato XII alla Parte II, eccedendo il potere legislativo riconosciuto
alle Regioni dal comma 7 dell’art. 7 del citato codice.
6.1.4.– Avuto
riguardo, poi, al quadro normativo dettato dal Titolo III-bis della Parte II
cod. ambiente in materia di AIA, il ricorrente evidenzia che le citate
disposizioni della legge reg. Puglia n. 32 del 2018 devono ritenersi in
contrasto: a) con l’art. 29-ter cod. ambiente, in quanto la legge regionale
prevede all’art. 3, per la presentazione delle istanze di AIA di competenza
statale, l’obbligo di produrre, nell’ambito dell’istanza, ulteriore
documentazione e informazioni rispetto a quanto previsto dalla normativa
statale; b) con il successivo art. 29-septies, perché la legge regionale non
solo non si configura come uno «strumento di programmazione o di
pianificazione», ma non considera, inoltre, «tutte le sorgenti emissive
coinvolte», in quanto le emissioni odorigene sono riconducibili anche ad altri
fonti emissive non considerate dalle disposizioni qui censurate (quali traffico
e riscaldamento civile), non individua chiaramente quali sono le norme di
qualità ambientale per cui è necessario attuare le prescrizioni in materia di
emissioni odorigene, né, infine, prevede che le prescrizioni da dettare per i
singoli impianti in sede di autorizzazione siano richieste dalla Regione in
sede di conferenza di servizi, ma piuttosto dispone che le stesse vengano
inserite d’ufficio nell’autorizzazione integrata ambientale; c) con l’art.
29-sexies, comma 3, cod. ambiente, perché non introducono l’obbligo di
rispettare «valori limite di emissione» nel territorio, ma impongono l’adozione
di specifiche misure di monitoraggio, costruttive e di gestione.
6.1.5.– Il
ricorrente, all’interno del gruppo di censure rivolte all’insieme di norme che
costituiscono la struttura portante della legge regionale impugnata (artt. 3,
4, 5, 6, 7, 9 e l’Allegato tecnico), viste, tuttavia, sempre nell’ottica
dell’affermato contrasto con la disciplina statale prevista in materia di AIA,
adduce, altresì, l’irragionevolezza della disciplina impugnata ai sensi
dell’art. 3 Cost., letto in stretta correlazione con il disposto di cui al già
evocato art. 29-septies cod. ambiente.
6.2.– La difesa
della Regione resistente, con riguardo a siffatto gruppo di questioni, in via
pregiudiziale ha eccepito l’inammissibilità in parte qua del ricorso, per la
genericità dell’assunto che le sostiene.
6.2.1.–
L’eccezione è infondata.
Lo snodo decisivo
dell’impugnazione rivolta al primo gruppo di norme contestate con il ricorso va
rinvenuto nella disposta estensione della disciplina prevista dalla legge reg.
Puglia n. 32 del 2018 alle installazioni soggette ad AIA.
In questo senso,
assume valenza fondamentale l’impugnazione delle disposizioni contenute
nell’art. 1, comma 2, lettere a) e b), che tale estensione prevedono; di
contro, l’ulteriore insieme delle norme regionali attinte dall’impugnazione,
che rappresentano il cuore della disciplina regionale contestata con il
ricorso, risultano evocate, quantomeno in prima battuta, sostanzialmente per
ribadire la ragione di contrasto posta fondamentalmente a sostegno delle
questioni in esame.
In altre parole,
non se ne denunzia l’illegittimità costituzionale in sé, ma solo in vista della
disposta estensione alle installazioni soggette ad AIA.
6.2.2.– Così
letto, il ricorso non soffre della genericità eccepita dalla difesa della
resistente.
Le norme impugnate
(art. 1, comma 2, lettere a e b), della legge regionale in esame), essenziali
nell’ottica perseguita dal ricorrente, risultano, infatti, puntualmente
indicate e altrettanto compiutamente scrutinate sul piano argomentativo quanto
alle ragioni di addotta illegittimità costituzionale (la conflittualità con
l’art. 267, comma 3, cod. ambiente), avuto riguardo, in particolare, alla
lamentata lesione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
6.2.3.– Né rileva
che il contenuto dell’art. 1, comma 1, lettere a) e b), di fatto reiteri, anche
in parte qua, quello in origine previsto dall’art. 1-bis della legge reg.
Puglia n. 7 del 1999, introdotto nell’impianto della citata legge regionale in
forza di quanto previsto dall’art. 2, comma 1, della legge della Regione Puglia
16 aprile 2015, n. 23 (Modifiche alla legge regionale 22 gennaio 1999, n. 7,
come modificata e integrata dalla legge regionale 14 giugno 2007, n. 17) ed ora
abrogato dall’art. 8 della legge reg. Puglia n. 32 del 2018.
Secondo il
costante orientamento di questa Corte, infatti, non osta all’ammissibilità
della questione di legittimità costituzionale in via principale l’integrale
coincidenza della disposizione impugnata con il testo di altra anteriore non
impugnata, atteso che l’istituto dell’acquiescenza non è applicabile ai giudizi
in via principale e che la norma impugnata ha comunque l’effetto
di reiterare la lesione da cui deriva l’interesse a ricorrere dello
Stato (ex plurimis, sentenze n. 60 e n. 41 del
2017).
6.3.– Nel merito,
è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2,
lettere a) e b), della legge reg. Puglia n. 32 del 2018, per violazione
dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., con riguardo all’addotto
contrasto delle dette disposizioni regionali con l’art. 267, comma 3, cod.
ambiente.
6.3.1.– Come già
evidenziato, la normativa regionale contestata dal ricorrente è espressamente
estesa anche alle installazioni soggette ad AIA, sia di competenza statale sia
di pertinenza regionale, secondo la ripartizione prevista dall’art. 7, commi
4-bis e 4-ter, cod. ambiente.
L’art. 1, comma 2,
lettere a) e b), nel concorrere a definire l’ambito di applicazione della legge
regionale sottoposta allo scrutinio di questa Corte, fa, infatti, indifferente
riferimento agli Allegati VIII (che individua le installazioni soggette ad AIA)
e XII (che tra quelle descritte all’interno del citato Allegato VIII, seleziona
le installazioni di competenza statale) alla Parte II cod. ambiente.
La relativa
disciplina, dunque, finisce per sovrapporsi a quella dettata dal cod. ambiente,
in un ambito certamente ascritto alla materia della tutela dell’ambiente e
dell’ecosistema, pertanto, riservato alla competenza legislativa esclusiva
dello Stato, ex art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Riserva, questa, che
nella materia in esame diviene ancora più rigorosa laddove le installazioni
interessate siano assoggettate ad AIA di competenza statale (sentenza n. 141 del
2014), rispetto alle quali non sono operativi gli spazi di azione
riconosciuti alle Regioni dallo stesso cod. ambiente, delimitati nei termini
definiti dall’art. 7, comma 7, del citato codice.
6.3.2.– La difesa
della Regione resistente, nel contrastare l’addotto difetto di competenza, per
un verso evoca il tenore dell’art. 272-bis cod. ambiente, per altro verso
evidenzia che le norme impugnate si legano comunque a titoli di competenza
legislativa regionale concorrente (quali il governo del territorio e la tutela
della salute) ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. tali da legittimare
interventi normativi che siano in grado di elevare il livello di tutela
ambientale garantito dalla disciplina statale di riferimento.
6.3.3.– Va
tuttavia rimarcato che l’art. 272-bis risulta posto all’interno del Titolo I
della Parte V cod. ambiente, facendo peraltro esplicito riferimento (comma 1),
nel perimetrare il relativo ambito di applicazione, agli stabilimenti soggetti
al detto Titolo (art. 267, comma 1). Stabilimenti, questi, rispetto ai quali,
per espressa indicazione del comma 3 dell’art. 267 cod. ambiente, resta
estranea la disciplina dettata dal Titolo I: laddove ricompresi tra le
installazioni soggette ad AIA, tali stabilimenti sono infatti soggetti
unicamente alla disciplina prevista dal Titolo III-bis della Parte II del
medesimo codice.
L’autorizzazione
ex art. 269 cod. ambiente, al cui ambito va ricondotta quella regolamentata
dalla normativa regionale impugnata, risulta assorbita in quella unitariamente
resa ai sensi dell’art. 29-sexies dello stesso codice; titolo il quale, a sua
volta, come previsto dal comma 3 dell’articolo citato da ultimo, dovrà anche
includere i valori limite di emissione fissati per le sostanze inquinanti
rilasciate nell’atmosfera.
Se dunque, come
non sembra in discussione, l’art. 272-bis cod. ambiente permette al legislatore
regionale di incrementare, nell’ambito delle sue competenze, lo standard di
tutela ambientale, per altro verso l’art. 1, comma 2, lettere a) e b), della
legge reg. Puglia n. 32 del 2018, estendendone l’applicabilità anche alle
installazioni soggette ad AIA, si pone in immediato e insanabile contrasto con
la scelta del legislatore statale, espressa dall’art. 267, comma 3, del medesimo
codice, in forza della quale la disciplina dettata in materia di riduzione
delle emissioni in atmosfera (all’interno della quale risulta ricondotta quella
afferente le emissioni odorigene prevista dal citato art. 272 -bis) non deve
trovare applicazione per le installazione soggette ad AIA, sottoposte
unicamente alle previsioni contenute nel Titolo III-bis della Parte II cod.
ambiente.
Tale deviazione
dallo specifico perimetro d’azione consentito, con l’art. 272-bis cod.
ambiente, alla competenza normativa regionale concreta l’addotta violazione
dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
6.3.4.– Né vale
evidenziare, in senso contrario, che la disciplina regionale impugnata trova
fondamento in titoli di competenza legislativa concorrente e che la lesione
prospettata nel ricorso deve escludersi perché la legge regionale in
contestazione realizza gli standard di tutela garantiti dalla normativa statale
di riferimento.
Vero è che,
secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’ambiente viene «"a
funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome
dettano in altre materie di loro competenza”, salva la facoltà di queste ultime
di adottare norme di tutela ambientale più elevata» pur sempre «nell’esercizio
di competenze, previste dalla Costituzione, che concorrano con quella
dell’ambiente» (sentenze n. 198 e n. 66 del 2018,
n. 199 del 2014;
nello stesso senso, inoltre, sentenze n. 246 e n. 145 del
2013, n. 67 del
2010, n. 104
del 2008 e n.
378 del 2007); tuttavia la valutazione intorno alla «previsione di standard
ambientali più elevati non può essere realizzata nei termini di un mero
automatismo o di una semplice sommatoria – quasi che fosse possibile frazionare
la tutela ambientale dagli altri interessi costituzionalmente rilevanti – ma
deve essere valutata alla luce della ratio sottesa all’intervento normativo e
dell’assetto di interessi che lo Stato ha ritenuto di delineare nell’esercizio
della sua competenza esclusiva». (sentenza n. 147 del
2019)
In relazione al
campo di azione garantito alle Regioni in materia di «emissioni odorigene», il
dato normativo di riferimento, che definisce anche i confini di legittimità del
relativo intervento, è offerto dall’art. 272-bis cod. ambiente: lo spazio di
intervento consentito alle Regioni, in coerenza, va ristretto all’interno del
perimetro di operatività tracciato dalla norma statale, con conseguente
applicazione delle relative regole di esclusione, prima tra tutte quella
tracciata dall’art. 267, comma 3, del medesimo codice.
Se dunque la
competenza esclusiva prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
non esclude aprioristicamente interventi regionali, anche legislativi,
destinati ad integrare il dato normativo nazionale, soprattutto quando
assentiti da quest’ultimo, è tuttavia necessario che ciò avvenga in termini di
piena compatibilità con l’assetto normativo individuato dalla legge statale,
non potendo tali interventi alterarne il punto di equilibrio conseguito ai fini
di tutela ambientale (sentenza n.147 del
2019).
6.4.– La
fondatezza della questione prospettata in riferimento all’art. 1, comma 2,
lettere a) e b), e l’ablazione che ne consegue, assorbono la disamina degli
ulteriori profili di illegittimità costituzionale addotti dalla ricorrente con
riferimento al primo gruppo di questioni, compreso anche quello relativo
all’art. 3 Cost.
7.– Il Presidente
del Consiglio dei ministri denunzia, ancora, l’illegittimità costituzionale
degli artt. 1, comma 2, lettere c) e d), 3, 4, 5, 6, 7 e 9, nonché
dell’Allegato tecnico della legge reg. Puglia n. 32 del 2018, per violazione
dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 7-bis,
comma 8, 19, 22 e 23 cod. ambiente.
7.1.– Ad avviso
del ricorrente, tramite le citate disposizioni vengono introdotte, in una materia
di esclusiva competenza legislativa statale, ulteriori contenuti ai fini della
presentazione delle istanze per
In particolare,
secondo il ricorrente, i contenuti richiesti dall’art. 3, commi 1 e 2, della
legge regionale impugnata, ai fini del controllo delle emissioni delle sostanze
odorigene, non sono previsti dall’art. 19 cod. ambiente e dall’Allegato IV-bis
alla Parte II del medesimo codice per lo studio preliminare ambientale redatto
dal proponente; né, ancora, coincidono con quelli sanciti dal successivo art.
In questa ottica
le citate disposizioni regionali esonderebbero dagli argini della competenza
normativa, riconosciuta alle Regioni ed alle Province autonome, nei limiti di
quanto previsto dall’art. 7-bis, comma 8, cod. ambiente. Di qui, sempre secondo
il Presidente del Consiglio dei ministri, l’illegittimità della norma regionale
impugnata, che non sarebbe riconducibile ad alcuna delle finalità in vista
delle quali il legislatore statale ha riconosciuto un margine di intervento
alle Regioni nella materia qui considerata.
7.2.– La difesa
della resistente, anche con riferimento a tale gruppo di censure, ha eccepito
l’inammissibilità delle questioni per la genericità delle argomentazioni
addotte.
7.2.1.–
L’eccezione non è fondata.
Infatti, nel
ricorso viene dato puntuale risalto all’art. 1, comma 2, lettere c) e d), della
legge regionale impugnata (che dettano l’estensione della relativa disciplina
regionale ai progetti soggetti a verifica di assoggettabilità a VAS e a VAS),
cui viene giustapposto, con altrettanto adeguata argomentazione, il riferimento
ai commi 1 e 2 dell’art. 3 della stessa legge (che descrivono il contenuto
degli oneri di documentazione e allegazione posti a carico del proponente e
dispongono altresì l’onere di autocertificazione gravante su quest’ultimo in
caso di insussistenza di sorgenti). Disposizioni queste cui viene contrapposto
in primo luogo il limite fissato dall’art. 7-bis, comma 8, cod. ambiente,
quanto agli spazi di intervento normativo riconosciuti alle Regioni in materia
di VIA, nonché altre norme del medesimo codice dedicate a questo tema, al fine
di sottolineare al meglio le ragioni di conflitto con la disciplina sostanziale
poste a fondamento dell’addotta violazione dell’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost..
In questa ottica,
finisce per non assumere rilievo il silenzio serbato dal ricorso quanto alle
altre disposizioni della legge regionale in esame, diverse da quelle contenute
nel citato art. 3, che pure risultano fatte oggetto, quantomeno sul piano della
mera indicazione nominale, delle censure esposte in riferimento al gruppo di
questioni in oggetto. E ciò sia perché l’accoglimento della questione riferita
all’art. 1, comma 2, lettere c) e d), avrebbe comunque un valore assorbente, al
pari di quanto già evidenziato in relazione alle medesime disposizioni
scrutinate sotto il versante del rispetto delle disposizioni statali in tema di
AIA, sia perché l’ablazione dell’art. 3, commi 1 e 2, porterebbe a travolgere
in via consequenziale anche le altre disposizioni impugnate, per la omogeneità
che ne lega i rispettivi contenuti, tale da deprivare di rilievo l’assenza di
argomentazione sul punto.
7.3.– Nel merito,
le censure prospettate dal ricorrente non colgono nel segno.
7.3.1.– Questa
Corte ha recentemente affermato che la normativa in tema di VIA rappresenta,
«anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di protezione
uniforme che si impone sull’intero territorio nazionale, pur nella concorrenza
di altre materie di competenza regionale» (sentenze n. 93 del 2019
e n. 198 del
2018).
Il legislatore
statale ha dunque riservato a se stesso, in via esclusiva, la disciplina dei
procedimenti di verifica ambientale, definendo le modalità attraverso le quali
fissare un equilibrio fra gli interessi e i diversi valori coinvolti. In
particolare, come detto, la disciplina della VIA è mossa dalla necessità di
affiancare alla tutela ambientale anche la semplificazione, razionalizzazione e
velocizzazione dei procedimenti: esigenze che sarebbero frustrate da interventi
regionali che, incidendo sul relativo procedimento, finiscano per appesantirne
il portato, in aperta contraddizione con le scelte del legislatore statale.
In questa cornice
non è casuale, a tale riguardo, che l’art. 7-bis, comma 8, cod. ambiente, pur
riconoscendo uno spazio di intervento alle Regioni e Province autonome, ne
definisca tuttavia il perimetro d’azione in ambiti specifici e puntualmente
precisati. Gli enti regionali, infatti, possono disciplinare, «con proprie
leggi o regolamenti l’organizzazione e le modalità di esercizio delle funzioni
amministrative ad esse attribuite in materia di VIA», stabilendo «regole
particolari ed ulteriori» solo e soltanto «per la semplificazione dei
procedimenti, per le modalità della consultazione del pubblico e di tutti i
soggetti pubblici potenzialmente interessati, per il coordinamento dei
provvedimenti e delle autorizzazioni di competenza regionale e locale, nonché
per la destinazione […] dei proventi derivanti dall’applicazione delle sanzioni
amministrative pecuniarie» (sentenza n. 198 del
2018).
Fuori da questi
ambiti, sarebbe dunque preclusa alle Regioni, quale che sia la competenza che
le adducano, la possibilità di incidere sul dettato normativo che attiene ai
procedimenti di verifica ambientale così come definito dal legislatore
nazionale.
7.3.2.– Ciò
precisato, ad avviso del ricorrente, le disposizioni contenute nell’art. 3,
comma 1, della legge reg. Puglia n. 32 del 2018, imponendo al proponente di
allegare all’istanza rivolta all’autorità competente la documentazione relativa
alla individuazione e alla caratterizzazione delle sorgenti odorigene coinvolte
nel progetto in uno alla stima del relativo impatto ambientale, influirebbero,
alterandone il portato, sulle procedure di verifica di assoggettabilità a VIA
(art. 19 cod. ambiente) o di VIA (artt. 21 e 22 cod. ambiente).
Imporrebbero,
infatti, un ulteriore aggravio sia per il proponente che per l’amministrazione,
chiamata verificare il contenuto di tali atti integrativi. Analogo giudizio è
espresso con riferimento all’autocertificazione, che il proponente/gestore deve
rendere in caso di insussistenza di sorgenti odorigene significative.
7.3.3.– Siffatto
assunto non è condivisibile.
Le norme
censurate, infatti, non incidono sulla struttura del procedimento di verifica;
non mettono in gioco il riparto di competenze tra Stato e Regioni; non alterano
l’iter procedurale congegnato dalla legge nazionale; non influiscono sulla
individuazione dei progetti soggetti a verifica di assoggettabilità a VIA o
assoggettati a VIA. In altre parole, non incidono sulla disciplina della VIA
sul versante del relativo procedimento. Ne implementano, piuttosto, i contenuti
sostanziali con indicazioni che il legislatore nazionale, in forza di quanto
espressamente previsto dall’art. 272-bis cod. ambiente, ha specificatamente
consentito alla competenza normativa regionale.
Da qui l’inconferenza del riferimento all’art. 7-bis, comma 8, cod.
ambiente.
7.3.4.– Del resto,
proprio le norme interposte evocate dal ricorrente a sostegno della ritenuta
illegittimità costituzionale contengono un richiamo aperto agli oneri che
gravano sul proponente quanto al tema dell’impatto ambientale correlato alle
possibili emissioni inquinanti legate al progetto da verificare. Richiamo che,
quanto al contenuto sostanziale dei conseguenti adempimenti, non può che
dipendere dal dato normativo di riferimento, in parte qua legato alla natura
delle emissioni da considerare al fine.
In particolare,
quanto allo studio preliminare ambientale predisposto dal proponente ex art. 19
cod. ambiente, in forza del quale l’autorità competente procederà alla verifica
degli impatti ambientali del progetto ed il cui contenuto risulta determinato
dall’Allegato IV-bis alla Parte II, del medesimo codice, la normativa statale
prevede espressamente (art. 3 del citato Allegato) l’onere, per il proponente,
di provvedere alla descrizione di tutti i probabili effetti rilevanti del
progetto sull’ambiente, e tra questi anche quelli inerenti alle emissioni, oggi
da aggiornare in relazione ai parametri afferenti quella di matrice odorigena.
Ancora, in tema di
VIA, lo studio di impatto ambientale previsto dall’art. 22 cod. ambiente, da
allegare alla relativa istanza ex art. 23, comma 1, lettera b), dello stesso
codice, deve contenere, ai sensi del comma 3 dell’art. 22, tra le altre
informazioni, la descrizione dei probabili effetti significativi del progetto
sull’ambiente (lettera b), quella inerente alle misure previste per evitare,
prevenire o ridurre e, possibilmente, compensare i probabili impatti ambientali
significativi e negativi (lettera c), nonché il progetto di monitoraggio dei
potenziali impatti ambientali significativi e negativi derivanti dalla
realizzazione e dall’esercizio del progetto (lettera e). Ciò in linea, del
resto, con i contenuti del detto studio, ulteriormente definiti dall’Allegato
VII alla Parte II cod. ambiente, in forza del quale il proponente deve
provvedere, tra l’altro, alla descrizione dei probabili impatti ambientali
rilevanti del progetto proposto, dovuti, in particolare all’emissione di
inquinanti (punto 5, lettera c); alla descrizione dei metodi di previsione
utilizzati per individuare e valutare gli impatti ambientali significativi del
progetto (punto 6); alla descrizione delle misure previste per evitare,
prevenire, ridurre o, se possibile, compensare gli impatti ambientali
significativi e negativi identificati del progetto e, ove pertinenti, delle
eventuali disposizioni di monitoraggio (punto 7).
7.3.5.–
All’evidenza, dunque, si tratta di incombenze rispetto alle quali si sovrappone
il disposto delle norme regionali censurate, ma solo sul piano del contenuto
delle relative informazioni da offrire all’autorità competente in ordine alla
documentazione che permetta l’individuazione e la caratterizzazione delle
sorgenti odorigene significative nonché alla stima dell’impatto delle relative
emissioni.
Il tutto senza
incidere sulle connotazioni dei rispettivi procedimenti, a differenza di quanto
sostenuto dalla difesa del ricorrente, in parte qua smentita dal tenore
letterale dell’art. 3, comma 4, della legge regionale censurata; disposizione,
questa, attraverso la quale vengono fatte salve le previsioni normative vigenti
inerenti l’istruttoria tecnico amministrativa alla quale dovranno accedere le
informazioni afferenti il tema delle potenziali emissioni odorigene.
Di qui la non
fondatezza delle questioni in oggetto.
8.– Il ricorrente
ha anche impugnato l’art. 3, comma 5, della legge reg. Puglia n. 32 del 2018,
per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), in riferimento
all’art. 279 cod. ambiente.
8.1.– La
disposizione censurata prevede che la «violazione da parte del gestore delle
prescrizioni impartite e dei valori limite fissati nel provvedimento, anche in
esito alle attività di cui al comma 2, determina l’applicabilità del sistema
sanzionatorio già previsto dalle norme di settore».
Il ricorrente –
dopo aver premesso che la previsione appare sommariamente formulata, in quanto
il comma 2 richiamato non prevede attività in senso stretto, se non
«dichiarative» – ritiene che la disposizione impugnata, nel riferirsi al
«sistema sanzionatorio già previsto dalle norme di settore» abbia inteso
richiamarsi alla disciplina statale e dunque all’art. 279 cod. ambiente, che
definisce le sanzioni penali e amministrative previste per le violazioni nel
campo delle emissioni in atmosfera.
In ragione di
tanto, ad avviso del ricorrente, la norma censurata delinea surrettiziamente
fattispecie incriminatrici nuove, consistenti nella «violazione da parte del
gestore delle prescrizioni impartite e dei valori limite fissati nel
provvedimento», da punire, per l’appunto, con le sanzioni previste dal citato
art. 279 cod. ambiente.
La previsione
andrebbe dunque ad incidere sull’«ordinamento penale», materia riservata in via
esclusiva al legislatore statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera
l), Cost.
8.2.– Per quanto
il riferimento all’art. 279 cod. ambiente non sia particolarmente dettagliato,
il ricorso consente comunque di pervenire ad una puntuale ricostruzione del
tenore della censura.
Non emergono,
dunque, ragioni ostative alla disamina nel merito della questione; e, del
resto, la stessa eccezione sollevata in parte qua dalla difesa della Regione
non è stata in alcun modo argomentata.
8.3.– Nel merito,
la questione non è fondata nei termini precisati di seguito.
8.3.1.– Seguendo
il medesimo circuito interpretativo tracciato dal ricorso, occorre muovere
dalla considerazione di fondo che informa la prospettazione del ricorrente, in
forza della quale le emissioni odorigene si inquadrano all’interno dei fenomeni
di inquinamento atmosferico di cui alla Parte V cod. ambiente, come del resto
oggi confermato dalla specifica collocazione dell’art. 272-bis.
Di qui la
correlazione alla disciplina sanzionatoria prevista da tale cornice normativa,
identificata dal ricorrente nel disposto dell’art. 279 cod. ambiente.
8.3.2.– Tale articolo,
composto da più commi, descrive un complesso quadro sanzionatorio: prende in
considerazione condotte diverse e prevede sia illeciti amministrativi, sia
reati contravvenzionali.
Il ricorso, come
anticipato, reca un riferimento all’art. 279 cod. ambiente non altrimenti
dettagliato: a tale apparente indeterminatezza può tuttavia ovviarsi, per un
verso, considerando il tenore della censura, prospettata in ragione della
ritenuta violazione della lettera l) del secondo comma dell’art. 117 Cost.; per
altro verso, dando rilievo al contenuto della norma censurata, che pone un
esplicito riferimento alle sole condotte legate alle violazioni «delle
prescrizioni impartite e dei valori limite fissati nei provvedimenti».
8.3.3.– Ciò
impone, in linea con la prospettazione del Presidente del Consiglio dei
ministri, di restringere il campo del richiamo operato dalla norma censurata
alla sola fattispecie prevista dal comma 2 dell’evocato art. 279 cod. ambiente.
Disposizione, questa, che, per l’appunto, punisce con l’arresto fino ad un anno
o con l’ammenda fino a 10.000 euro chi, nell’esercizio di uno stabilimento,
«viola i valori limite di emissione stabiliti dall’autorizzazione, dagli
Allegati I, II, III o V alla parte quinta del presente decreto, dai piani e dai
programmi o dalla normativa di cui all’articolo 271».
8.3.4.– Sempre
muovendo dal parametro costituzionale evocato, il campo di indagine (afferente
al richiamo che la disposizione censurata opera alla detta norma statale) si
riduce ulteriormente alle sole condotte che si sostanziano nella violazione dei
valori limite previsti nelle autorizzazioni. L’art. 279, comma 2, cod.
ambiente, attualmente, non sanziona più penalmente la violazione delle
prescrizioni impartite dal titolo abilitativo reso ai sensi dell’art. 269 dello
stesso codice: in forza delle modifiche apportate dall’art. 1, comma 1, lettera
o), numeri 2) e 3), del d.lgs. n. 183 del 2017, infatti, la violazione delle
citate prescrizioni non è più sanzionata penalmente, ma dà luogo all’illecito
amministrativo previsto dal nuovo comma 2-bis dello stesso art. 279.
La norma
censurata, dunque, vista in una prospettiva esclusivamente penale, quale quella
imposta dal parametro costituzionale evocato, assegna un rilievo essenziale
alla presenza di un atto amministrativo che abbia recepito le relative
indicazioni quanto ai valori limite previsti dalla stessa disciplina regionale.
Ciò a differenza della disposizione statale cui si richiama implicitamente,
secondo l’impostazione sottesa al ricorso. L’art. 279, comma 2, cod. ambiente
contiene, infatti, un più ampio riferimento anche alla violazione dei valori
limite emergenti «dagli Allegati I, II, III o V alla parte quinta del presente
decreto, dai piani e dai programmi o dalla normativa di cui all’articolo 271» così
da dare rilievo anche a condotte che sembrano prescindere dal contenuto o
meglio dalla presenza stessa di un atto amministrativo abilitativo.
8.3.5.– Così
ricostruiti sia il perimetro della censura sia, in via interpretativa, il
tenore della disposizione censurata, letta attraverso il richiamo alla norma
statale evocata a supporto della questione, la doglianza del ricorrente deve
ritenersi infondata.
L’impugnazione del
ricorrente, infatti, risulta rivolta nei confronti di una norma regionale che,
così interpretata, richiama una disposizione statale nella parte in cui questa
prevede sanzioni penali per la violazione di dati prescrittivi (i valori
limite) definiti da uno specifico provvedimento amministrativo
(l’autorizzazione riconducibile all’art. 269 cod. ambiente).
Secondo la
giurisprudenza della Corte «la legislazione regionale – pur non potendo
costituire fonte diretta e autonoma di norme penali, né nel senso di introdurre
nuove incriminazioni, né in quello di rendere lecita un’attività penalmente sanzionata
dall’ordinamento nazionale (a quest’ultimo riguardo, ex plurimis,
sentenze n. 185
del 2004, n.
504, n. 213
e n. 14 del
1991) – può, tuttavia, "concorrere a precisare, secundum
legem, i presupposti di applicazione di norme penali
statali”; […] ciò, particolarmente, quando la legge statale "subordini effetti
incriminatori o decriminalizzanti ad atti amministrativi (o legislativi)
regionali” (il riferimento è, in particolare, alle cosiddette norme penali in
bianco: sentenze n.
63 del 2012 e n.
487 del 1989)» (da ultimo, sentenza n. 46 del
2014).
Se dunque «resta
preclusa al legislatore regionale una specifica ed autonoma determinazione
delle fattispecie cui sono collegate le pene previste dalla legislazione
statale (sentenza
n. 387 del 2008; cfr. pure le sentenze n. 210 del 1972
e n. 104 del
1957)», per altro verso questa Corte ha ritenuto legittime norme regionali
che si limitano «ad operare un mero rinvio a norme penali di matrice statale» (sentenza n. 295 del
2009).
Da qui
l’infondatezza della censura rivolta alla norma oggetto di scrutinio,
interpretata in termini coerenti al contenuto del ricorso.
9.– Il ricorrente
ha infine addotto l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 della legge reg.
Puglia n. 32 del 2018 per violazione dell’art. 123 Cost., in relazione all’art.
44, commi 1 e 2, della legge della Regione Puglia 12 maggio 2004, n. 7 (Statuto
della Regione Puglia), nonché dell’art. 117, sesto comma, Cost. in relazione
agli artt. 7, comma 7, e 7-bis, comma 8, cod. ambiente.
9.1.– La
disposizione censurata prevede, al comma 1, che «[l]a Giunta regionale con
propria deliberazione provvede all’aggiornamento dell’allegato annesso alle
presenti disposizioni». Il successivo comma 2 dispone che
9.2.– Ad avviso
del ricorrente, la norma regionale impugnata reca, all’evidenza, una ipotesi di
delegificazione che, tuttavia, contrasta, sotto molteplici profili, con la
disciplina contenuta nello statuto reg. Puglia; sotto altri profili, con alcune
disposizioni del cod. ambiente in tema di AIA e di VIA.
9.2.1.– Sotto il
primo versante, il ricorrente, dopo avere premesso che le norme degli statuti
regionali condizionano la validità delle norme prodotte da una legge della
medesima Regione, le quali non possono discostarsene, pena la violazione
dell’art. 123 Cost., evidenzia che, in base all’art. 44, comma 1, secondo
periodo, dello statuto reg. Puglia, la «legge regionale indica le norme da
delegificare e i principi che
La disposizione
censurata si discosta, secondo il ricorrente, dalle sopra citate previsioni
statutarie perché: a) affida la modifica dell’Allegato alla legge reg. Puglia
n. 32 del
9.2.2.– Sotto
altro profilo, ad avviso del ricorrente la fattispecie di delegificazione
introdotta dalla normativa regionale in esame contrasta altresì con l’art. 117,
sesto comma, Cost. nella misura in cui è diretta a delegificare previsioni
espressamente destinate ad applicarsi ai procedimenti di AIA e VIA di
competenza sia statale, sia regionale.
Muovendo dal dato
certo in forza del quale la disciplina contenuta nell’Allegato di cui si
discute ricade certamente nella materia esclusiva statale della tutela
dell’ambiente e dell’ecosistema ex art. 117, comma secondo, lettera s), Cost.,
deve altresì evidenziarsi, secondo il ricorrente, che, in forza dell’evocato
parametro costituzionale, nelle materie di legislazione statale esclusiva le
Regioni possono esercitare potestà regolamentare solo sulla base di una delega
dello Stato.
Con riguardo alla
disciplina relativa all’AIA, tale delega scaturisce dall’art. 7, comma 7, cod.
ambiente che, tuttavia, si riferisce esclusivamente ai titoli di competenza
legislativa regionale. In riferimento, poi, alla VIA, l’art. 7-bis, comma 8,
cod. ambiente riconosce uno spazio d’intervento alle leggi e ai regolamenti
regionali esclusivamente in riferimento alle procedure di propria competenza e
per profili strettamente delimitati.
Di qui le ragioni
di illegittimità costituzionale prospettate.
9.3.–
Ad avviso della
resistente, con particolare riguardo alle censure prospettate in riferimento
all’art. 123 Cost., la disposizione impugnata non darebbe luogo ad alcuna
delegificazione; prevede, piuttosto, l’aggiornamento di un contenuto meramente
tecnico, quale quello descritto nell’Allegato, così da riportare l’atto in
questione all’interno delle competenze espressamente proprie della Giunta
Regionale.
Non rileva,
inoltre, il mancato riferimento all’adozione di un regolamento, perché si
prevede comunque la forma tipica dei provvedimenti normativi generali propria
delle deliberazioni della Giunta, senza peraltro escludere aprioristicamente
l’acquisizione del parere della commissione consiliare competente in materia,
non incompatibile con i primi.
9.4.– La questione
prospettata in riferimento all’art. 123 Cost. merita l’accoglimento.
9.4.1.– In primo
luogo va smentita la tesi difensiva della Regione resistente in forza della
quale nel caso non ci si troverebbe innanzi a una delegificazione.
Vero è che la
stessa legge, all’art. 1, comma 2, demandava alla Giunta regionale la
possibilità di modificare i contenuti del detto Allegato, senza che lo Stato
avesse mai sollevato contestazione alcuna. Ma tale circostanza, come già
evidenziato, è notoriamente ininfluente sull’attuale possibilità dello Stato di
agire per rilevare, ora, i vizi della nuova disposizione legislativa che
reitera violazioni già presenti in fonti legislative regionali previgenti e mai
impugnate.
Certa dunque la
forza di legge ascritta all’Allegato, la previsione in forza della quale se ne
consente l’aggiornamento non può avere altro significato che quello
dell’attribuzione alla Giunta regionale della potestà di innovare il dato
legislativo, dando sostanza alla funzione tipicamente propria dei fenomeni di
delegificazione.
9.4.2.– Ciò posto,
va rimarcato che lo statuto reg. Puglia, nel definire i tratti della potestà
regolamentare della Giunta regionale (art. 44, commi 1, primo periodo, e 2), ha
altresì dettato il procedimento da seguire in caso di delegificazione,
disponendo a tal fine che la stessa debba essere prevista da una legge, la
quale individui le norme da delegificare e contenga i principi che
9.4.3.– Lo statuto
impone dunque, per una delegificazione conforme al suo dettato, la forma del
regolamento, sottoposto al parere preventivo delle commissioni consiliari
permanenti competenti per materia (implicitamente favorevole se non reso entro
trenta giorni), così permettendo, per un verso il coinvolgimento dell’organo
rappresentativo nell’attività di delegificazione, per altro verso, in ragione
di quanto previsto dall’art. 53 dello stesso statuto, di sottoporre l’atto di
delegificazione alla pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione,
prevista per le leggi e per i regolamenti e non per gli atti privi della forma
regolamentare.
9.4.4.– Ciò
precisato, le disposizioni censurate contenute nell’impugnato art. 6 si pongono
in contrasto con lo statuto, dando corpo all’addotta violazione dell’art. 123
Cost.
Le disposizioni
censurate, infatti, demandano alla Giunta il compito di aggiornare l’Allegato
tecnico, rendendo dunque possibili modifiche allo stesso senza precisare le
forme che dovrà assumere l’attività di delegificazione e dunque legittimando
strumenti diversi da quello regolamentare.
Difettano,
inoltre, della imprescindibile indicazione dei principi di massima chiamati a
delimitare l’operato della Giunta nel procedere alla delegificazione, dovendosi
escludere che gli stessi possano ricavarsi dalle indicazioni offerte dal comma
2 dell’impugnato art. 6: disposizione, questa, il cui contenuto, tanto criptico
quanto generico, non consente di superare la doglianza del ricorrente in parte qua.
È appena il caso
di ricordare che, secondo il costante orientamento di questa Corte, tracciato
con continuità precedentemente e successivamente alla riforma del Titolo V
della Parte seconda Cost., lo statuto, nell’ordinamento regionale, costituisce
fonte sovraordinata rispetto alla legge regionale. Quest’ultima, dunque, se si
pone in contrasto con la fonte statutaria interposta, viola l’art. 123 Cost.
(sentenze n. 119
del 2006; n.
993 del 1988 e n. 48 del 1983).
Di qui
l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 della legge reg. Puglia n. 32 del
2018 per violazione dell’art. 123 Cost.
9.5.– La
fondatezza della questione sotto questo profilo, portando a una integrale
ablazione della norma in questione, assorbe lo scrutinio sia dell’ulteriore
censura prospettata dal Governo, sempre in riferimento alla ritenuta violazione
dell’art. 123 Cost. (in relazione all’implicito limite statutario della potestà
regolamentare regionale riferito alle materie di competenza esclusiva dello
Stato), sia della questione prospettata in relazione all’art. 117, sesto comma,
Cost.
per questi motivi
1) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 1, comma 2, lettere a) e b), della legge della Regione Puglia 16
luglio 2018, n. 32 (Disciplina in materia di emissioni odorigene);
2) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 6 della legge reg. Puglia n. 32 del 2018;
3) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2,
lettere c) e d), 3, 4, 5, 6, 7 e 9 e dell’Allegato tecnico della legge reg.
Puglia n. 32 del 2018, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in
riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione e in
relazione agli artt. 7-bis, comma 8, 19, 22 e 23 del decreto legislativo 3
aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), con il ricorso indicato in
epigrafe;
4) dichiara non fondata, nei termini di cui
in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma
5, della legge reg. Puglia n. 32 del 2018, promosse dal Presidente del
Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost. e in relazione all’art. 279 del d.lgs. n. 152 del 2006, con il ricorso
indicato in epigrafe.
Così deciso in
Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5
giugno 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI,
Presidente
Augusto Antonio
BARBERA, Redattore
Roberto MILANA,
Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 16 luglio 2019.