Sentenza n. 233 del 2020

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SENTENZA N. 233

 

ANNO 2020

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente: Mario Rosario MORELLI;

 

Giudici: Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA,

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 38, 45, 47 e 74, comma 2, della legge della Regione Basilicata 29 giugno 2018, n. 11 (Collegato alla Legge di stabilità regionale 2018), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 23-30 agosto 2018, depositato in cancelleria il 31 agosto 2018, iscritto al n. 57 del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2018.

 

Visto l’atto di costituzione della Regione Basilicata;

 

udito nella udienza pubblica del 20 ottobre 2020 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;

 

udito l’avvocato dello Stato Marco Corsini per il Presidente del Consiglio dei ministri;

 

deliberato nella camera di consiglio del 21 ottobre 2020.

 

Ritenuto in fatto

 

1.– Con ricorso notificato il 23-30 agosto 2018 e depositato il successivo 31 agosto (reg. ric. n. 57 del 2018), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato diverse disposizioni della legge della Regione Basilicata 29 giugno 2018, n. 11 (Collegato alla Legge di stabilità regionale 2018), e, tra queste, gli artt. 38, 45, 47 e 74, comma 2.

 

1.1.– L’art. 38 della legge regionale in esame proroga dal 30 giugno al 31 dicembre 2018 il termine previsto dall’art. 14, comma 2, della legge della Regione Basilicata 30 dicembre 2017, n. 39 (Disposizioni in materia di scadenza di termini legislativi e nei vari settori di intervento della Regione Basilicata), per l’adeguamento delle procedure regionali in materia di ricerca e coltivazione delle acque minerali, termali e di sorgente ai principi di tutela della concorrenza, di libertà di stabilimento, di trasparenza e di non discriminazione. Ad avviso del ricorrente, la norma impugnata, determinando un differimento di ulteriori 6 mesi della scadenza delle concessioni in corso, prolungherebbe l’inoperatività dei principi comunitari e nazionali a tutela della concorrenza. Ne risulterebbero così violati l’art. 117, primo comma, della Costituzione, per il mancato rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario; l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. che riserva la tutela della concorrenza alla competenza esclusiva statale, nonché l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, atteso che ulteriori proroghe al vigente assetto concessorio cristallizzerebbero gli oneri imposti al concessionario per un tempo maggiore di quello originariamente previsto, pregiudicando il «doveroso aggiornamento degli strumenti di tutela ambientale posti a presidio della risorsa che il carattere temporaneo della concessione necessariamente implica». La disposizione in oggetto contravverrebbe inoltre a quanto affermato da questa Corte in materia di proroga delle concessioni, nella specie per lo sfruttamento termominerale (è citata la sentenza n. 117 del 2015), che ha ritenuto la proroga automatica contraria al necessario rispetto delle procedure ad evidenza pubblica imposte dalla normativa comunitaria e nazionale di attuazione.

 

1.2.– L’art. 47 della censurata legge regionale interviene in materia di edilizia, sostituendo l’art. 5 della legge della Regione Basilicata 24 luglio 2017, n. 19 (Collegato alla legge di Stabilità regionale 2017), già oggetto di precedente giudizio da parte di questa Corte e dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza n. 86 del 2019. La nuova disposizione dispone in particolare che il completamento funzionale delle opere edilizie realizzate in assenza o difformità del titolo abilitativo possa essere autorizzato dai Comuni, attraverso i responsabili degli uffici tecnici, anche nel caso di immobili e aree paesaggisticamente tutelate.

 

Ad avviso del Governo, la norma impugnata si porrebbe in contrasto con gli artt. 31, 33, 34 e 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)», in base ai quali, in caso di interventi eseguiti in assenza o difformità del titolo edilizio, è sempre prevista la demolizione o il ripristino dello stato dei luoghi, mentre la previsione regionale introdurrebbe nuove ipotesi in cui è possibile sostituire la demolizione con una sanzione pecuniaria, nonché nuove ipotesi di sanatoria diverse da quelle previste dal legislatore statale. Anche alla luce della giurisprudenza costituzionale richiamata nel ricorso (sentenze n. 140 del 2018, n. 233 del 2015 e n. 277 del 2013), la norma impugnata sarebbe quindi costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

 

1.3.– Gli artt. 45 e 74, comma 2, della medesima legge reg. Basilicata n. 11 del 2018, in materia sanitaria, prevedono, rispettivamente, che la Giunta regionale adotti gli atti amministrativi necessari affinché le prestazioni di specialistica ambulatoriale erogate ai cittadini non residenti in Basilicata non siano computabili nel tetto di spesa regionale al fine di regolare le necessarie compensazioni nell’ambito delle disponibilità finanziarie del Servizio sanitario nazionale (SSN), e che i pagamenti delle prestazioni erogate in eccedenza rispetto al tetto di spesa siano effettuati solo dopo la definizione degli accordi assunti in sede di Conferenza delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano.

 

Secondo il ricorrente, dette disposizioni contrasterebbero con l’art. 1, comma 574, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», ai sensi del quale le Regioni possono programmare – in deroga ai tetti di spesa fissati dal comma 14 dell’art. 15 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 135 – solo l’acquisto di prestazioni di assistenza ospedaliera di alta specialità e di prestazioni erogate da istituti di ricovero e cura a carattere scientifico a favore di cittadini residenti in Regioni diverse e ricomprese negli accordi per la compensazione delle mobilità regionale. In ogni caso, le Regioni sono tenute all’adozione di misure alternative per garantire l’invarianza dell’effetto finanziario connesso a questa deroga. Le norme regionali in esame invece introdurrebbero una deroga non prevista dalle norme statali, suscettibile di determinare oneri non quantificabili e non coperti, in violazione dei principi di contenimento della spesa sanitaria, di coordinamento della finanza pubblica e della necessaria copertura finanziaria di cui agli artt. 81 e 117, terzo comma, Cost. quale limite alla legislazione regionale.

 

2.– Con atto depositato il 2 ottobre 2018, la Regione Basilicata si è costituita in giudizio, contestando la sola censura relativa agli artt. 45 e 74 della legge regionale impugnata. Secondo la Regione, non vi sarebbe la denunciata deroga ai tetti di spesa indicati, poiché la previsione regionale subordinerebbe all’accordo raggiunto in sede di Conferenza Stato-Regioni il riconoscimento delle eventuali ulteriori prestazioni di specialistica ambulatoriale ex art. 25 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale) rese dai centri privati accreditati delle Regione Basilicata in favore di cittadini non residenti. Per la ricorrente, la giusta sede per raggiungere l’equilibrio tra il diritto alla tutela della salute e la limitatezza delle risorse finanziarie in materia di mobilità sanitaria interregionale, sarebbe proprio la «Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le Regioni», organismo competente in materia di mobilità sanitaria. Le disposizioni regionali in esame, al fine di evitare sconfinamenti nelle attribuzioni statali e dubbi di costituzionalità, sarebbero dunque tese – secondo la difesa regionale – a recuperare la giusta direzione disciplinando la materia nel rispetto delle decisioni assunte dalla predetta Conferenza.

 

 

 

Considerato in diritto

 

.– Riservate a separate pronunce le questioni promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri su altre disposizioni della legge della Regione Basilicata 29 giugno 2018, n. 11 (Collegato alla Legge di stabilità regionale 2018), lo scrutinio deve essere qui limitato agli artt. 38, 45, 47 e 74, comma 2, della menzionata legge regionale, censurati complessivamente per violazione degli artt. 81, 117, primo e secondo comma, lettere e) e s), della Costituzione, anche in relazione agli artt. 31, 33, 34 e 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia (Testo A)» e all’art. 1, comma 574, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)».

 

2.– È impugnato, in prima battuta, l’art. 38 della legge reg. Basilicata n. 11 del 2018, a tenore del quale «[i]l termine di cui al comma 2 dell’art. 14 della L.R. 30 dicembre 2017, n. 39 è differito al 31.12.2018».

 

Detta norma interviene sul comma 2 dell’art. 14 della legge reg. Basilicata 30 dicembre 2017, n. 39 (Disposizioni in materia di scadenza di termini legislativi e nei vari settori di intervento della Regione Basilicata), prorogando di 6 mesi (dal 30 giugno al 31 dicembre 2018) la durata delle concessioni per lo sfruttamento di acque minerali e termali nelle more dell’adeguamento delle procedure regionali alle regole della concorrenza.

 

Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la nuova previsione regionale, dilazionando la scadenza delle concessioni in corso, prolungherebbe di fatto l’inoperatività dei principi comunitari e nazionali a tutela della concorrenza, violando l’art. 117, primo comma, Cost., che impone anche alle Regioni, nell’esercizio della loro potestà legislativa, il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, e l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che riserva allo Stato la potestà legislativa esclusiva in ordine alla tutela della concorrenza.

 

Un autonomo profilo lesivo è, inoltre, evidenziato in relazione alla potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di ambiente, ex art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto ulteriori proroghe del vigente assetto concessorio cristallizzerebbero gli oneri imposti al concessionario per un tempo maggiore di quello originariamente previsto, pregiudicando il «doveroso aggiornamento degli strumenti di tutela ambientale posti a presidio della risorsa che il carattere temporaneo della concessione necessariamente implica».

 

3.– La questione è fondata.

 

 

La norma impugnata introduce una seconda proroga ex lege delle concessioni per lo sfruttamento di acque minerali e termali. Già l’art. 14 della menzionata legge reg. n. 39 del 2017, infatti, prima della novella legislativa in esame fissava al 30 giugno 2018 un prolungamento dell’efficacia dei provvedimenti concessori in atto nelle more dell’adeguamento legislativo delle procedure regionali in materia di principi di tutela della concorrenza, di libertà di stabilimento, di trasparenza e di non discriminazione.

 

3.1.– Non vi è dubbio che anche l’attività di sfruttamento delle acque minerali e termali, nonché delle acque di sorgente – come definite prima dal decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 105 (Attuazione della direttiva 80/777/CEE relativa alla utilizzazione e alla commercializzazione delle acque minerali naturali) e dal decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 339 (Disciplina delle acque di sorgente e modificazioni al D. Lgs. 25 gennaio 1992, n. 105, concernente le acque minerali naturali, in attuazione della direttiva 96/70/CE), entrambi poi abrogati e sostituiti dal decreto legislativo 8 ottobre 2011, n. 176 (Attuazione della direttiva 2009/54/CE, sull’utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali naturali) – ricada nel campo applicativo della direttiva 2006/123/CE, attuata con il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno), dal momento che tali fonti hanno ad oggetto «qualunque attività economica, di carattere imprenditoriale o professionale, svolta senza vincolo di subordinazione, diretta allo scambio di beni o alla fornitura di altra prestazione» (art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 59 del 2010).

 

Al fine di garantire la libera circolazione dei servizi e l’apertura del mercato a una concorrenza non falsata e più ampia possibile negli Stati membri, l’art. 12 della direttiva da ultimo richiamata prevede l’obbligo per gli stessi di adottare «una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento» e il conseguente rilascio di un’«autorizzazione» per una durata adeguata, ma pur sempre limitata, senza possibilità di «prevedere la procedura di rinnovo automatico», né di «accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami».

 

3.2.– In applicazione dei principi del diritto europeo in materia, questa Corte ha ripetutamente affermato che il rinnovo o la proroga automatica delle concessioni del demanio marittimo (da ultimo, sentenza n. 1 del 2019) e, per quanto qui di interesse, delle acque termominerali (sentenza n. 117 del 2015), viola l’art. 117, primo comma, Cost., per contrasto con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario in tema di libertà di stabilimento e di tutela della concorrenza, dal momento che altri possibili operatori non avrebbero la possibilità, alla scadenza della concessione, di concorrere per la gestione se non nel caso in cui il vecchio gestore non chieda la proroga o la chieda senza un valido programma di investimenti.

 

3.3.– La disciplina interna e sovranazionale favorisce l’ingresso nel mercato di altri operatori economici e osta «all’introduzione di barriere tali da alterare la concorrenza tra imprenditori (sentenze n. 340, n. 233 e n. 180 del 2010), la cui efficacia non può venire paralizzata neppure transitoriamente, a causa dell’inerzia della Regione nell’approvazione del piano regionale di settore delle acque» (sentenza n. 117 del 2015). Ne segue che l’automatica proroga delle concessioni termominerali disposta dalla norma impugnata contrasta con tali regole, espressive del diritto dell’Unione e proprie della sfera di competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza.

 

3.4.– Non è sufficiente ad evitare la declaratoria di illegittimità costituzionale la durata limitata, circoscritta a soli 6 mesi, della proroga disposta dal legislatore regionale. Deve essere sottolineato, infatti, che questa ulteriore dilazione del termine si è aggiunta a una precedente proroga semestrale, consolidando nel tempo l’assetto concessorio “in deroga”. I principi garantiti dalla normativa interna e sovranazionale possono risultare compromessi da una pluralità di proroghe che, anche se di breve durata, realizzino sommandosi tra di loro un’alterazione del mercato, ostacolando, senza soluzione di continuità, l’accesso al settore di nuovi operatori.

 

In tal senso, la proroga, anche se di breve durata, è pur sempre un elemento che evidenzia la volontà regionale di “non aggiornare in senso concorrenziale” la propria disciplina.

 

Di qui, dunque, l’accoglimento della questione con riferimento ai parametri del 117, primo e secondo comma, lettera e), Cost., con assorbimento della dedotta violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

 

4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha altresì impugnato l’art. 47 della legge reg. Basilicata n. 11 del 2018, il quale ha sostituito l’art. 5 della legge regionale 24 luglio 2017, n. 19 (Collegato alla legge di Stabilità regionale 2017).

 

La nuova disposizione consente «il completamento delle opere edilizie per le quali il mancato completamento delle opere costituisce pregiudizio al decoro e/o alla qualità urbana dell'area e il completamento funzionale è oggetto di un apposito progetto sul quale si esprime l’Ufficio tecnico comunale, nel caso in cui sia stato riconosciuto che il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile in quanto la demolizione delle opere realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo potrebbe pregiudicare strutturalmente la restante parte delle opere esistenti e sia stata pagata la relativa sanzione». Aggiunge, poi, che «[n]el caso di immobili o aree tutelate paesaggisticamente, le opere non devono costituire elemento retrattore alla corretta fruizione del paesaggio».

 

4.1.– Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, l’articolo in esame si pone in contrasto con gli artt. 31, 33, 34 e 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, alla luce dei quali è sempre prevista, quale regola generale, la demolizione o il ripristino dello stato dei luoghi in caso di interventi realizzati in assenza o difformità del titolo edilizio.

 

Secondo la prospettazione del ricorrente, la norma regionale, introdurrebbe invece nuove ipotesi di sanatoria di abusi edilizi, diverse da quelle previste dal legislatore nazionale. Per questa ragione, essa dovrebbe ritenersi incostituzionale per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di governo del territorio.

 

4.2.– La questione è fondata.

 

L’articolo impugnato, che, come detto, ha sostituito l’art. 5 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, ne riproduce sostanzialmente il contenuto. Come la disposizione precedente, infatti, anche il nuovo art. 5 consente il completamento delle opere edilizie allorquando a) il mancato completamento delle opere costituisca pregiudizio al decoro e/o alla qualità urbana dell’area e il completamento funzionale è oggetto di un apposito progetto sul quale si esprime l’ufficio tecnico comunale; b) sia stato riconosciuto che il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile in quanto la demolizione delle opere realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo potrebbe pregiudicare strutturalmente la restante parte delle opere esistenti; c) sia stata pagata la relativa sanzione e d) per immobili o aree tutelate paesaggisticamente, le opere non devono costituire elemento retrattore alla corretta fruizione del paesaggio.

 

4.2.1.– Il precedente art. 5 della legge reg. n. 19 del 2017 è già stato dichiarato illegittimo da questa Corte con la sentenza n. 86 del 2019, per contrasto con i principi fondamentali fissati dal legislatore statale in materia di governo del territorio agli artt. 31 e 34 del d.P.R. n. 380 del 2001.

 

In tale occasione, questa Corte ha affermato che «la demolizione degli immobili abusivi acquisiti al patrimonio del Comune, con le sole deroghe previste dal comma 5 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001, costituisce un principio fondamentale della legislazione statale che vincola la legislazione regionale di dettaglio in materia di “misure alternative alle demolizioni”» (nello stesso senso sentenza n. 140 del 2018). Il legislatore statale ha dunque scelto, nel porre i principi fondamentali del governo del territorio, di sanzionare le violazioni più gravi della normativa urbanistico-edilizia – quali sono la realizzazione di opere in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali rispetto a esso – in ragione della gravità del pregiudizio recato all’interesse pubblico, imponendo la rimozione dell’opera abusiva e, con essa, il ripristino dell’ordinato assetto del territorio». Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune (art. 31, comma 3).

 

Tale principio implica, pertanto, che l’opera abusiva debba, di regola, essere demolita e che possa essere conservata in via eccezionale previa deliberazione del consiglio comunale, relativa alla singola opera, che constati l’esistenza di prevalenti interessi pubblici (art. 31, comma 5).

 

Anche per le ipotesi di illeciti regolate dagli artt. 33 e 34 del d.P.R. n. 380 del 2001, per le quali a certe condizioni è previsto che la misura di ripristino sia sostituita da una sanzione pecuniaria, in ogni caso non è mai consentito il completamento dell’opera abusiva, con il quale gli effetti dell’illecito sarebbero portati a ulteriore compimento.

 

Non diversamente dal previgente art. 5 della legge reg. n. 19 del 2017, anche l’attuale art. 47 della legge reg. n. 11 del 2018 configura il completamento delle opere realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo quale esito ordinario della realizzazione di tale opera, introducendo una regola del tutto estranea alla normativa statale di principio. Come già affermato da questa Corte, viene così ad essere invertito «il rapporto fra “regola” (la demolizione) ed “eccezione” (le misure alternative alla demolizione), delineato dal legislatore statale all’art. 31, comma 5, del t.u. edilizia e si contraddice la scelta fondamentale espressa dal medesimo legislatore statale di sanzionare con l’obbligo della rimozione degli interventi abusivi e del ripristino dell’ordinato assetto del territorio le più gravi violazioni della normativa urbanistico-edilizia in ragione della entità del pregiudizio arrecato all’interesse pubblico» (sentenza n. 86 del 2019).

 

5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha infine censurato gli artt. 45 e 74, comma 2, della legge reg. Basilicata n. 11 del 2018, per violazione degli artt. 81 e 117, terzo comma, Cost., in riferimento all’art. 1, comma 574, della legge n. 208 del 2015.

 

Il combinato disposto delle due norme impugnate consente di non computare nel tetto di spesa regionale le prestazioni di specialistica ambulatoriale erogate da strutture sanitarie accreditate a cittadini non residenti in Basilicata, stabilendo altresì che le prestazioni erogate in eccedenza rispetto al tetto di spesa siano rimborsate solo dopo la definizione degli accordi assunti in sede di Conferenza delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano.

 

5.1.– Ad avviso del ricorrente, entrambi gli articoli impugnati si porrebbero in contrasto con la legislazione nazionale in quanto, ai sensi dell’art. 1, comma 574, della legge n. 208 del 2015, le Regioni possono programmare, in deroga ai tetti di spesa, solo l’acquisto di prestazioni di assistenza ospedaliera di alta specialità e di prestazioni erogate da parte di istituti di ricovero e cura a carattere scientifico a favore di cittadini residenti fuori Regione. Sempre ad avviso del ricorrente, per garantire l’invarianza dell’effetto finanziario connesso a questa deroga le Regioni devono garantire in ogni caso l’adozione di misure alternative volte in particolare a ridurre le prestazioni di bassa complessità acquistate da erogatori privati accreditati.

 

Le norme regionali in esame introdurrebbero, quindi, una deroga ai tetti di spesa non ammessa dalle norme statali, determinando oneri non quantificabili e non coperti, in violazione dei principi di contenimento della spesa sanitaria, di coordinamento della finanza pubblica e della necessaria copertura finanziaria sanciti dall’art. 81, terzo comma, e dall’art. 117, terzo comma, Cost.

 

5.2.– Le questioni sono fondate.

 

Il finanziamento dei Servizi sanitari regionali, nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, è basato su un modello di allocazione territoriale delle risorse che prevede l’attribuzione di quote pro-capite per ciascun cittadino residente e il finanziamento delle strutture erogatrici con corrispettivi unitari per ciascuna prestazione. Da qui, in presenza di diffusi fenomeni di mobilità attiva o passiva dei pazienti, la necessità di compensare i costi sostenuti per prestazioni rese a cittadini provenienti da ambiti regionali diversi.

 

Infatti, la spesa relativa alle prestazioni sanitarie offerte ai non residenti è, inizialmente, a carico delle Regioni in cui sono ubicate le strutture che erogano l’assistenza; solo in un secondo momento intervengono i rimborsi delle altre Regioni da cui provengono i pazienti assistiti, corrisposti a consuntivo e dopo un’operazione di compensazione che, data la sua complessità, è disciplinata da appositi accordi approvati dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.

 

Nell’intento di razionalizzare anche l’acquisto di prestazioni sanitarie di assistenza ambulatoriale ed ospedaliera da soggetti privati accreditati, l’art. 15, comma 14, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini), convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 135, ha applicato una riduzione sia dell’importo che dei volumi d’acquisto di dette prestazioni, in una misura percentuale fissa applicata dalla Regione o dalla Provincia autonoma di riferimento a tutti i contratti e accordi vigenti nell’esercizio 2012, tale da ridurre la spesa complessiva annua, rispetto alla spesa consuntivata per l’anno 2011 (dello 0,5 per cento per il 2012, dell’1 per cento per il 2013 e del 2 per cento a decorrere dall’anno 2014).

 

Questa Corte ha più volte qualificato detta disposizione come «espressione di un principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica», diretto a stabilire «un generale obiettivo di riduzione della spesa relativa all’acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati per l’assistenza specialistica ambulatoriale e per l’assistenza ospedaliera», consistente in «un rilevante aggregato della spesa di parte corrente (ex plurimis, sentenze n. 218 e n. 153 del 2015, n. 289 del 2013, n. 69 del 2011) [che] lascia ciascuna Regione (…) libera di darvi attuazione (…) in modo graduato e differenziato, purché il risultato complessivo sia pari a quello indicato nella legge statale” (ex plurimis, sentenza n. 211 del 2012)» (sentenza n. 183 del 2016).

 

 

La legge di stabilità 2016 (legge 31 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato»), art. 1, commi da 574 a 578, ha introdotto deroghe a quanto previsto dal prima citato art. 15, comma 14, del d.l. n. 95 del 2012, relativamente alla riduzione del 2 per cento dell’importo e dei volumi della spesa per l’acquisto da privati accreditati delle prestazioni ospedaliere ed ambulatoriali, comprese anche le prestazioni rese a pazienti non residenti in Regione. In particolare, è consentito alle Regioni e alle Province autonome di programmare l’acquisto di prestazioni di assistenza ospedaliera di alta specialità nonché di prestazioni erogate da parte degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS), in deroga ai limiti previsti (riduzione del 2 per cento) a favore di cittadini residenti in Regioni diverse da quelle di appartenenza se ricomprese in specifici accordi sanciti o da sancire in sede di Conferenza Stato-Regioni.

 

Tuttavia, per garantire l’invarianza dell’effetto finanziario connesso alla deroga, le Regioni e le Province autonome devono provvedere ad adottare misure alternative, volte a ridurre le prestazioni inappropriate di bassa complessità erogate in regime ambulatoriale, di pronto soccorso, in ricovero ordinario, in riabilitazione e lungo degenza, anche a valere su altre aree della spesa sanitaria.

 

5.3.– La mancata soddisfazione di tale condizione ha portato questa Corte a ritenere illegittime, proprio con particolare riguardo alla Regione Basilicata, disposizioni contenute in precedenti leggi di stabilità regionale relative alla mobilità sanitaria attiva, che escludevano dal tetto di spesa per talune prestazioni la quota riferita a quelle erogate in favore dei cittadini non residenti in Basilicata, realizzando un operazione non consentita dal citato art. 15, comma 4, del d.l. n. 95 del 2012 (sentenze n. 238 del 2018, n. 183 del 2016). In particolare, la sentenza n. 238 del 2018 ha accertato l’incostituzionalità dell’art. 33 del precedente collegato alla legge di stabilità regionale 2017 (legge reg. Basilicata n. 19 del 2017), disposizione poi abrogata dal comma 3, dell’art. 45 oggi impugnato.

 

5.4.– Ad analoghe conclusioni si deve pervenire nel presente giudizio.

 

a menzionata deroga concessa dal legislatore statale è subordinata, come si è visto, all’adozione di misure alternative, volte, in particolare, a ridurre le prestazioni inappropriate di bassa complessità, acquistate dagli erogatori privati accreditati, tali da assicurare il rispetto degli obiettivi di riduzione della spesa sanitaria, al fine di garantire, in ogni caso, l’invarianza dell'effetto finanziario connesso alla deroga. Di dette misure alternative, anche a valere su altre aree della spesa sanitaria, non vi è tuttavia traccia nelle disposizioni censurate che invece si riferiscono (in particolare l’art. 45) alle (sole e diverse) compensazioni che sono operate, a consuntivo, tra le Regioni interessate dalla mobilità.

 

Ne deriva, quindi, che l’aver previsto la non computabilità nei tetti di spesa delle prestazioni di specialistica ambulatoriale, senza l’adozione di misure alternative atte a garantire l’invarianza dell’effetto finanziario, è passibile di determinare oneri aggiuntivi non consentiti dalla legislazione nazionale (sentenza n. 238 del 2018).

 

 

Di qui, dunque, l’accoglimento delle questioni prospettate per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., con contestuale assorbimento delle censure prospettate in relazione all’art. 81, terzo comma, Cost.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe;

 

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 38, della legge della Regione Basilicata 29 giugno 2018, n. 11 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2018);

 

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 47, della legge reg. Basilicata n. 11 del 2018;

 

3) dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 45 e 74, comma 2, della legge reg. Basilicata n. 11 del 2018.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 ottobre 2020.

 

F.to:

 

Mario Rosario MORELLI, Presidente

 

Augusto Antonio BARBERA, Redattore

 

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

 

Depositata in Cancelleria il 9 novembre 2020.