SENTENZA N. 277
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
- Giuliano AMATO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale degli artt. 2 e 3, commi 1 e 2, della legge della Regione
autonoma Sardegna 26 giugno del 2012, n. 13 (Rimodulazione del quadro degli
interventi regionali a sostegno delle politiche del lavoro e disposizioni in
materia di contratti a termine) e degli artt. 1, comma 1, 2, commi 1, 2, 3 e 5,
6, comma 1, della legge della Regione autonoma della Sardegna 13 settembre
2012, n. 17, recante «Finanziamento agli enti locali per il funzionamento dei
Centri servizi per il lavoro (CSL), dei Centri servizi inserimento lavorativo
(CESIL) e delle Agenzie di sviluppo locale e disposizioni varie», promossi dal
Presidente del Consiglio dei ministri con ricorsi notificati il 21-27 agosto
2012 e il 19-21 novembre 2012, depositati in cancelleria il 31 agosto ed il 26
novembre 2012 ed iscritti rispettivamente ai nn. 116
e 180 del registro ricorsi 2012.
Visti gli atti di costituzione della Regione autonoma
Sardegna;
udito nell’udienza pubblica del 24 settembre 2013 il
Giudice relatore Luigi Mazzella;
uditi l’avvocato dello Stato Enrico De Giovanni per il
Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Massimo Luciani
per la Regione autonoma Sardegna.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 21-27
agosto 2012, depositato in cancelleria il successivo 31 agosto e iscritto al n.
116 del registro ricorsi dell’anno 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri
ha promosso questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt.
3, 51, 97 e 117, terzo comma, della Costituzione, degli artt. 2 e 3, commi 1 e
2, della legge della Regione autonoma Sardegna 26 giugno 2012, n. 13
(Rimodulazione del quadro degli interventi regionali a sostegno delle politiche
del lavoro e disposizioni in materia di contratti a termine), intesa
all’attuazione degli accordi istituzionali per la proroga e la prima
concessione degli ammortizzatori sociali in deroga, per gli anni 2011 e 2012.
1.1.– Il ricorrente sospetta
d’illegittimità costituzionale, in primo luogo, l’art. 2 della legge reg.
Sardegna n. 13 del 2012. A suo avviso, infatti, tale disposizione determina un
illegittimo ampliamento dei soggetti destinatari di possibili inquadramenti nei
ruoli regionali del personale.
In particolare, l’impugnato art. 2
dispone che «1. Alla fine del comma 1 dell’art. 4 della legge regionale 13
giugno 2012, n. 12 (Disposizioni urgenti e integrazioni alla legge regionale 4
agosto 2011, n. 16 (Norme in materia di organizzazione e personale), relativa
ai contratti di collaborazioni coordinate e continuative e ulteriori misure di
contenimento della spesa pubblica), sono aggiunte le parole: "e le selezioni
effettuate con modalità analoghe attestate dai relativi dirigenti di servizio o
generali per le figure professionali aventi i requisiti dei trenta mesi
maturati entro i termini stabiliti dall’articolo 6, comma 2, della legge
regionale n. 16 del 2011”. L’art. 4, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 12
del 2012, rubricato «Attuazione del Piano regionale sul precariato di cui
all’articolo 36 della legge regionale n. 2 del 2007, e successive modifiche ed
integrazioni», stabilisce, dunque, nella nuova formulazione che «1. Ai fini
degli inquadramenti di cui all’articolo 36, comma 2, della legge regionale 29
maggio 2007, n. 2 (legge finanziaria 2007), sono comprese le selezioni di
figure professionali destinate alle attività di assistenza tecnica nella
gestione e attuazione del Programma operativo nazionale 2000-2006 – Pon Atas (misure 1.1., 1.2 e 2.2)
e dell’Accordo di programma quadro – APQ – rivolte ai soggetti preselezionati
nell’ambito dei medesimi programmi e le selezioni effettuate con modalità
analoghe attestate dai relativi dirigenti di servizio o generali per le figure
professionali aventi i requisiti dei trenta mesi maturati entro i termini
stabiliti dall’art. 6, comma 2, della legge regionale n. 16 del 2011».
Secondo il ricorrente, la citata
disposizione, come modificata dall’art. 2 della legge reg. n. 13 del 2012 a
decorrere dal giorno stesso della sua pubblicazione (ai sensi di quanto
stabilito dall’art. 5 della stessa legge), comporta la possibilità di
inquadrare anche personale assunto a tempo determinato, e quindi realizzare un inquadramento
riservato di personale, in contrasto con gli artt. 3, 51 e 97 Cost. Il
ricorrente richiama, al riguardo, la sentenza n. 205 del
2006, con cui la Corte costituzionale ha affermato che l’aver prestato
attività a tempo determinato alle dipendenze dell’amministrazione regionale non
può essere considerato un valido presupposto per una riserva di posti, e la
successiva sentenza
n. 235 del 2010, con cui la stessa Corte ha ribadito che le stabilizzazioni
di personale si pongono in contrasto con gli artt. 51 e 97 Cost., nonché con
l’art. 117, terzo comma, Cost., nell’ottica del coordinamento della finanza
pubblica.
1.2.– Il ricorrente censura, altresì,
l’art. 3, commi 1 e 2, della legge reg. Sardegna n. 13 del 2012, là dove
dispone che «1. I contratti a termine di cui all’articolo 6, comma 8, della
legge regionale 4 agosto 2011, n. 16 (Norme in materia di organizzazione e
personale), che non siano stati rinnovati dalle soppresse Province sarde alla
data di approvazione della presente legge, sono stipulati con decorrenza
immediata dai dirigenti competenti in materia di personale delle attuali
gestioni provvisorie. 2. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche nei
casi di raggiungimento dei trentasei mesi di lavoro subordinato maturato dai
soggetti aventi titolo all’assunzione nelle soppresse amministrazioni
provinciali in ordine alle disposizioni straordinarie di cui alla legge
regionale 25 maggio 2012, n. 11 (Norme sul riordino generale delle autonomie
locali e modifiche alla legge regionale n. 10 del 2011)».
Le disposizioni contenute nell’art. 3
della legge regionale impugnata prolungano i termini di durata dei contratti di
lavoro a tempo determinato, che non siano stati rinnovati dalle soppresse
Province sarde e l’art. 3, comma 2, estende tali disposizioni al personale che
aveva raggiunto i trentasei mesi di lavoro subordinato. Al riguardo, il
ricorrente sottolinea che l’instaurazione di rapporti di lavoro flessibile può
avvenire solo nel rispetto delle disposizioni contenute nell’art. 36 del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del
lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), che rappresentano
principi cui la Regione, pur nel rispetto della propria autonomia, non può
derogare. Le norme impugnate, inoltre, si pongono in contrasto con l’art. 9,
comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito in legge,
con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, il
quale stabilisce che, a decorrere dall’anno 2011, le amministrazioni pubbliche
possono avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con
contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del cinquanta
per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2009, nonché
con l’art. 117, terzo comma, Cost. in materia di coordinamento della finanza
pubblica. L’art. 3 impugnato, invece, nel prolungare la durata dei suindicati
contratti si risolve nel superamento dei limiti – fissati dalla legge – per
l’instaurazione di rapporti di lavoro flessibile e comporta, altresì, un
superamento dei limiti di spesa sostenuta per le medesime finalità. Donde la
violazione – a dire del Governo «incontestabile» – anche dell’art. 117, terzo
comma, Cost.
2.– Con memoria depositata il 3 ottobre
2012, la Regione autonoma Sardegna si è costituita, chiedendo che le questioni
di legittimità promosse con il ricorso siano dichiarate inammissibili e,
comunque, infondate.
2.1.– Il ricorso sarebbe, innanzitutto,
inammissibile.
2.1.1.– Risulterebbe, in primis,
inammissibile il complesso delle censure avverso le disposizioni di legge delle
autonomie speciali commisurate anche all’ambito di autonomia garantita dallo
statuto speciale, non figurando in ricorso il minimo accenno alla legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna).
Lamenta, in particolare, la difesa regionale che il ricorrente non solo non
dimostra, ma nemmeno allega, che le disposizioni impugnate eccederebbero dalla
competenza attribuita dall’art. 3, comma l, lettera a), dello statuto speciale,
in base al quale la Regione ha potestà legislativa esclusiva in materia di
«ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato
giuridico ed economico del personale».
2.1.2.– Peraltro, opina la resistente
che le motivazioni addotte dal Governo in relazione agli altri parametri
sarebbero comunque insufficienti a permettere lo scrutinio del merito delle
questioni. Quanto alla prima censura, il ricorrente non deduce alcunché sul
fatto che l’art. 36, comma 2, della legge della Regione autonoma Sardegna 29
maggio 2007, n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale della Regione – legge finanziaria 2007) prevede distinte
fattispecie in tema di superamento del precariato. In particolare, la
contemplata possibilità che il personale precario sia «sottoposto a prove
selettive concorsuali pubbliche, con il riconoscimento di una premialità riferita al servizio prestato sulla base della
legislazione vigente in materia» rimanderebbe ad un concorso espletato senza
alcuna riserva di posti. Il ricorrente, pertanto, avrebbe dovuto quantomeno
spiegare perché la disposizione censurata dovrebbe interpretarsi nel senso
della previsione di una procedura selettiva in tutto riservata al personale
precario dell’amministrazione regionale.
2.1.3.– Un ulteriore profilo
d’inammissibilità del gravame sarebbe rappresentato dal fatto che il ricorrente
abbia inteso muovere le proprie doglianze avverso l’art. 36, comma 2, della
legge reg. n. 2 del 2007, anziché contro le disposizioni della legge reg. n. 13
del 2012. Censurato infatti è, ad avviso della difesa regionale, il meccanismo
di stabilizzazione del precariato e non, invece, la previsione di inserimento
in tale meccanismo di ulteriori, particolari figure professionali (come previsto
dall’art. 2 della legge regionale qui in oggetto). Donde l’aberratio
ictus in cui sarebbe incorso il Presidente del Consiglio dei ministri,
comportante l’inammissibilità del ricorso che mirerebbe a sottoporre
surrettiziamente alla Corte costituzionale una questione per la quale il
ricorrente sarebbe ormai decaduto dalla possibilità di proporre gravame.
2.1.4.– Ancor più evidente sarebbe
l’inammissibilità della censura mossa dal ricorrente all’art. 3 della legge
impugnata. In primo luogo, per mancata precisazione della disposizione di legge
invocata ad integrazione del parametro di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.,
essendo dubbio se si tratti effettivamente di quella contenuta nell’art. 36 del
d.lgs. n. 165 del 200l (richiamato quale parametro interposto). Quanto, poi,
all’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, per palese difetto di
motivazione. Considerato, infatti, che l’art. 3 della legge reg. n. 13 del 2012
si applica ai «contratti a termine di cui all’articolo 6, comma 8, della legge
regionale 4 agosto 2011, n. 16» nonché al «personale al lavoro nelle soppresse
amministrazioni provinciali di cui alla legge regionale 25 maggio 2012, n. 11»,
l’annualità prevista dalla disposizione impugnata, comportante una invarianza
di spesa per il personale rispetto all’anno 2011, già teneva conto delle misure
di contenimento della spesa previste dal d.l. n. 78 del 2010. L’inammissibilità
della questione promossa al riguardo, discenderebbe dal fatto che il ricorrente
aveva l’obbligo di dimostrare il contrasto della disposizione impugnata con il
parametro invocato, non emergente dalla piana lettura delle disposizioni
impugnate, né certamente desumibile, data la successione degli interventi del
legislatore regionale sulla disciplina del personale, in via di presunzione.
2.2.– Secondo la difesa regionale, le
questioni sollevate sarebbero, in ogni caso, infondate.
2.2.1.– Manifestamente infondata
risulterebbe la censura all’art. 2 della legge regionale in oggetto, perché il
Presidente del Consiglio dei ministri sarebbe incorso in un evidente equivoco.
Premette la resistente che l’art. 36,
comma 2, della legge della Regione autonoma Sardegna 29 maggio 2007, n. 2
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della
Regione – legge finanziaria 2007), ha dato mandato alla Giunta regionale sarda
di predisporre un piano pluriennale per il superamento del precariato «sulla
base dì una puntuale ricognizione» del personale. Tale piano includeva solo
alcune tipologie di dipendenti, in particolare il «personale non dirigente che
abbia svolto attività per almeno trenta mesi, anche non continuativi,
nell’ultimo quinquennio» e quello «proveniente da progetti socialmente utili
regionali e interregionali che abbia prestato servizio presso l’Amministrazione
regionale». Al contrario, era, e rimane ancora oggi, escluso sia il personale
«impiegato in attività di formazione nei CRFP», sia il personale «con funzioni
di comunicazione esterna o di addetto stampa, o ai sensi della normativa in
materia di uffici di gabinetto o strutture ausiliarie del Presidente della
Regione o dei componenti della Giunta regionale».
Rileva ancora la difesa regionale che
l’art. 4 della legge reg. n. 12 del 2012 (precedente alla legge regionale
oggetto del presente giudizio e, per quanto consta alla difesa regionale, non
impugnato dal Presidente del Consiglio dei ministri), senza nulla innovare
quanto alla disciplina sostanziale di superamento del precariato nel rispetto
del pubblico concorso, delineata dall’art. 36, comma 2, della legge reg. n. 2
del 2007, si è limitato ad aggiungere alla platea dei dipendenti oggetto del
piano (previsto dal medesimo art. 36, comma 2, della legge reg. n. 2 del 2007)
anche le «figure professionali destinate alle attività di assistenza tecnica
nella gestione e attuazione del Programma operativo nazionale 2000-2006 – Pon Atas (misure 1.1.,1.2 e 2.2)
e dell’Accordo di programma quadro – APQ – rivolte ai soggetti preselezionati
nell’ambito dei medesimi programmi». Orbene, l’art. 2 della legge reg. n. 13
del 2012, ancora una volta senza modificare il meccanismo previsto dalla legge
reg. n. 2 del 2007, avrebbe solo ampliato ulteriormente il novero dei
dipendenti oggetto del piano di superamento del precariato, inserendovi le
figure professionali assunte con «selezioni effettuate con modalità analoghe [a
quelle destinate alle attività di assistenza tecnica per i programmi Atas e APQ] attestate dai relativi dirigenti di servizio o
generali per le figure professionali aventi i requisiti dei trenta mesi
maturati entro i termini stabiliti dall’articolo 6, comma 2, della legge
regionale n. 16 del 2011». Sicché, il legislatore regionale, lungi dal violare
il principio del pubblico concorso, avrebbe semplicemente aggiunto un’altra
categoria di dipendenti che può ambire a partecipare alle procedure di
superamento del precariato, nel rispetto delle condizioni previste dall’art. 3,
comma 2, della legge reg. n. 2 del 2007. Meccanismo, questo, immune da censure
di legittimità costituzionale, tant’é che con la recente sentenza n. 30 del
2012 la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo
l’art. 7 della legge della Regione autonoma Sardegna 19 gennaio 2011, n. 1
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della
Regione – legge finanziaria 2011) perché il legislatore regionale aveva
alterato il meccanismo previsto dall’art. 36, comma 2, della legge reg. n. 2
del 2007 (qui, invece, rimasto intatto), stabilendo una riserva di posti e una
più favorevole modalità di svolgimento del concorso attraverso l’esenzione da
eventuali prove preselettive (punto 6.2. del Considerato in diritto della sentenza n. 30 del
2012).
La difesa regionale ribadisce che nel
caso in esame, invece, a vantaggio delle categorie dei lavoratori comprese nel
piano di superamento del precariato, sarebbe stato previsto il solo
«riconoscimento di una premialità riferita al
servizio prestato sulla base della legislazione vigente in materia» ai sensi
dell’ultimo periodo dell’art. 36, comma 2, della legge reg. n. 2 del 2007.
2.2.1.1.– La Regione autonoma Sardegna
si sofferma, inoltre, sulle ulteriori modificazioni dell’art. 2 della legge in
esame, pubblicata nel Bollettino Ufficiale della stessa Regione in data 28
giugno 2012 (data di entrata in vigore in forza dell’art. 5 della medesima
legge), seguite alla sentenza n. 212 del
2012, depositata in data 30 luglio 2012, con cui è stata dichiarata
l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, della legge reg. n. 16 del
2011 (richiamato dall’art. 2 della legge in oggetto, là dove si fa riferimento
alle «figure professionali aventi i requisiti dei trenta mesi maturati entro i
termini stabiliti dall’articolo 6, comma 2, della legge regionale n. 16 del
2011»). Successivamente è intervenuta la legge della Regione autonoma Sardegna
13 settembre 2012, n. 17, recante «Finanziamento agli enti locali per il
funzionamento dei Centri servizi per il lavoro (CSL), dei Centri servizi
inserimento lavorativo (CESIL) e delle Agenzie di sviluppo locale e
disposizioni varie», pubblicata nel della medesima Regione in data 20 settembre
2012 ed entrata in vigore in pari data, ai sensi dell’art. 7 della medesima
legge. Per effetto di tale intervento normativo, il comma l dell’articolo 4
della legge reg. n. 12 del 2012, già emendato dall’art. 2 oggetto del presente
scrutinio, è stato ulteriormente modificato attraverso la sostituzione delle
parole «entro i termini stabiliti dall’articolo 6, comma 2, della legge
regionale n. 16 del 2011» con le parole «entro i termini stabiliti
dall’articolo 3, comma 5, della legge regionale n. 3 del 2009».
La difesa regionale fa presente che le
modifiche introdotte da ultimo con la legge reg. n. 17 del 2012, per un verso,
confermerebbero l’infondatezza del ricorso, per l’altro, risulterebbero satisfattive delle pretese statali.
Con quest’ultima novella, infatti,
l’intera normativa sul superamento del precariato si riallaccia al paradigma
dell’art. 3, comma 5, della legge della Regione autonoma Sardegna 7 agosto
2009, n. 3 (Disposizioni urgenti nei settori economico e sociale), così
limitando il personale che è soggetto alla disposizione in esame a quello che
ha conseguito «i requisiti richiesti dalle rispettive amministrazioni ai sensi
delle vigenti normative», come recita lo stesso art. 3, comma 5. Inoltre, la
norma regionale appena citata prevede che questi lavoratori siano soggetti alle
disposizioni dell’art. 36 della legge reg. n. 2 del 2007, così escludendo ogni
possibile deviazione dal principio del pubblico concorso, pienamente rispettato
dal predetto disposto.
La difesa regionale aggiunge che l’art.
l, comma 558, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria
2007), tuttora vigente, prevede che «A decorrere dalla data di entrata in
vigore della presente legge, gli enti di cui al comma 557 [ossia tutti gli enti
sottoposti al patto di stabilità, comprese le Regioni], fermo restando il
rispetto delle regole del patto di stabilità interno, possono procedere, nei
limiti dei posti disponibili in organico, alla stabilizzazione del personale non
dirigenziale in servizio a tempo determinato da almeno tre anni, anche non
continuativi, o che consegua tale requisito in virtù di contratti stipulati
anteriormente alla data del 29 settembre 2006 o che sia stato in servizio per
almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore alla data di
entrata in vigore della presente legge, nonché del personale di cui al comma
1156, lettera f), purché sia stato assunto mediante procedure selettive di
natura concorsuale o previste da norme di legge. Alle iniziative di
stabilizzazione del personale assunto a tempo determinato mediante procedure
diverse si provvede previo espletamento di prove selettive».
Secondo la difesa regionale, basterebbe
leggere l’art. 36 della legge reg. n. 2 del 2007 per comprendere che esso si
muove esattamente nel solco tracciato dal legislatore statale con l’art. l,
comma 558, della legge n. 296 del 2006. Tale circostanza, atteso il doppio
rinvio che caratterizza la vigente disciplina regionale (quello operato
dall’art. 3, comma 5, della legge reg. n. 3 del 2009 alla legge reg. n. 2 del
2007 e quello operato dall’art. 4, comma l, della l. reg. n. 12 del 2012 – come
modificato – alla legge reg. n. 3 del 2009), si ripercuoterebbe direttamente
sull’impugnato art. 2, dimostrando l’infondatezza delle censure.
2.2.2.– Secondo la difesa regionale è,
altresì, infondata la censura rivolta all’art. 3 della legge impugnata, con
l’interposizione dell’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010.
In primo luogo, perché, come detto, i contratti
a tempo determinato scaduti nel biennio 2011-2012 dovevano già tenere conto
della limitazione di spesa prevista nel d.l. n. 78 del 2010, sicché un loro
rinnovo non potrebbe violare quel parametro interposto.
Inoltre, per quanto concerne specificamente
il secondo comma dell’impugnato art. 3, perché, con la disposizione in esame,
il legislatore regionale si sarebbe fatto carico della gestione transitoria del
personale delle Province sarde soppresse a seguito del referendum regionale
celebratosi nella primavera del 2012, ricorrendo, pertanto, quelle
«straordinarie esigenze di interesse pubblico» spesso assunte dalla
giurisprudenza costituzionale come condizione giustificatrice di una deroga
alle disposizioni statali in tema di gestione del personale delle
amministrazioni pubbliche (viene richiamata ancora la sentenza n. 30 del
2012, in tema di pubblico concorso).
3.– Con memoria depositata il 2 aprile
2013 il Presidente del Consiglio dei ministri ha insistito argomentatamente
affinché le disposizioni impugnate siano dichiarate illegittime, in
accoglimento del ricorso proposto.
3.1.– Contro l’eccepita inammissibilità
del ricorso per omessa considerazione dell’autonomia garantita alla Regione
autonoma Sardegna dallo statuto speciale, rileva il ricorrente di avere invero
dato atto dell’autonomia regionale, sostenendo – a suo dire a ragione ed in
aderenza a pacifici principi affermati dalla Corte costituzionale – che tale
amministrazione è comunque tenuta a rispettare l’art. 117 Cost.
3.2.– Sotto altro profilo, evidenzia il
ricorrente che la sentenza
n. 212 del 1012 «non fa superare i rilievi di incostituzionalità formulati,
in quanto le modifiche apportate al comma 1 dell’articolo 4 della l.r. n.
12/2012, introdotte dall’articolo 2, comma 2 della l.r. n. 17/2012, sono state
a loro volta impugnate dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 16 novembre
2012, ed il relativo procedimento pende attualmente dinanzi alla Corte
Costituzionale. […] Inoltre, considerato il lasso di tempo intercorso tra
l’entrata in vigore delle norme censurate e le loro modifiche, le disposizioni
regionali impugnate potrebbero aver, medio tempore, prodotto effetti».
4.– Con memoria depositata il 29 marzo
2013 la Regione autonoma Sardegna ha chiesto, in via principale, dichiararsi
l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2
della legge reg. n. 13 del 2012; in subordine, dichiararsi la cessazione della
materia del contendere in relazione alla questione di legittimità
costituzionale del predetto art. 2; in via ulteriormente subordinata,
dichiararsi l’infondatezza della medesima questione; ancora, in via principale,
dichiararsi l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale
dell’art. 3 della legge reg. n. 13 del 2012; in via subordinata, dichiararsene
l’infondatezza.
4.1.– La difesa regionale insiste
nell’eccepita inammissibilità del ricorso sotto i vari profili enucleati nella
memoria di costituzione ed argomenta ampiamente in tal senso, anche alla luce
di alcune novità normative e della più recente giurisprudenza costituzionale.
4.1.1.– In particolare, la stessa difesa
ribadisce che, con l’ulteriore novella (di cui all’art. 2, comma 2, della legge
reg. n. 17 del 2012) dell’art. 4, comma 1, della legge reg. n. 12 del 2012, è
scomparso dal testo della legge reg. n. 12 del 2012 ogni riferimento alla legge
reg. n. 16 del 2011, che è stata dichiarata illegittima con sentenza n. 212 del
2012. A questo proposito, la resistente segnala di aver versato in atti la
nota della Regione autonoma della Sardegna 22 marzo 2013, prot.
n. 8589/1.15.6, con cui la direzione generale del personale ha attestato che
l’art. 2 impugnato non è stato oggetto di applicazione, né lo è stata la legge
reg. n. 16 de1 2011, annullata con la citata sentenza n. 212 del
2012. Di qui la richiesta di dichiarare la cessazione della materia del
contendere quanto alla questione avente ad oggetto l’art. 2 della legge reg. n.
13 del 2012, poiché il nuovo testo dell’art. 4 della legge reg. n. 12 del 2012 varrebbe
a superare tutte le censure del ricorrente.
4.2.– La Regione autonoma Sardegna
sostiene ulteriormente, in subordine, la non fondatezza del gravame.
4.2.1.– Contro il censurato art. 2 della
legge reg. n. 13 del 2012, la difesa regionale ribadisce che l’anzidetta
disposizione – tanto più a seguito della successiva novellazione,
ad opera dell’art. 2 della legge reg. n. 17 del 2012, dell’art. 4 (già
modificato dal primo) della legge reg. n. 12 del 2012 – non disciplina in alcun
modo il meccanismo di superamento del precariato vigente per il personale
precario della Regione Sardegna, ma si limita a prevedere quali figure
professionali debbano essere ricomprese in queste procedure amministrative,
invero regolate da altre fonti regionali.
Non vi sarebbe poi alcuna violazione
degli artt. 3 e 51 Cost., come invece lamentato dal ricorrente.
Rispetto all’art. 3 Cost., la
disposizione in esame non introdurrebbe alcun privilegio o vantaggio personale,
che sia in contrasto con il principio di uguaglianza, e sarebbe conforme al
principio di ragionevolezza, essendo nella piena facoltà del legislatore
regionale disciplinare in maniera diversa tipologie diverse di figure
professionali. Tanto è vero che anche il legislatore statale, nel disciplinare
le forme di superamento del precariato, avrebbe usualmente avuto cura di
distinguere tra le diverse categorie di figure professionali.
Quanto all’art. 51 Cost., la norma
censurata non porrebbe alcuna differenziazione tra personale di sesso maschile
e personale di sesso femminile.
Lo stesso metodo di stabilizzazione del
personale precario previsto dalla Regione autonoma Sardegna, a prescindere
dalla sua esorbitanza dall’ambito del presente giudizio, sarebbe conforme al
principio del pubblico concorso di cui all’art. 97 Cost.
Sottolinea, infatti, la difesa regionale
che, diversamente dalla fattispecie scrutinata con esito demolitorio
dalla sentenza
n. 212 del 2012, il meccanismo di selezione del personale precario in
esame, stante il rinvio all’art. 36, comma 2, della legge reg. n. 2 del 2007,
prevede che possano essere stabilizzate unicamente quelle figure professionali
assunte sulla base di procedure concorsuali; richiede espressamente la
pubblicità delle prove concorsuali; dispone un riconoscimento di premialità che si spiega esclusivamente con l’espletamento
di concorsi aperti al pubblico, dato che esso non avrebbe senso per i soli
concorsi cosiddetti "interni”.
4.2.2.– Quanto al secondo motivo di ricorso,
concernente l’art. 3 della legge reg. n. 13 del 2012, contesta la resistente
che esso darebbe luogo ad un «prolungamento dei termini di durata dei contratti
di lavoro a tempo determinato», posto che la disposizione censurata non prevede
un "prolungamento ex lege” della durata dei contratti
in essere, bensì rimette al dirigente competente al ramo della struttura
interessata il potere di stipulare nuovi contratti con il personale precario,
in tal modo inserendosi nel più vasto procedimento di riforma del governo
locale nella Regione autonoma Sardegna, seguito alla consultazione referendaria
del 2012.
Viene ricordato che, al fine di portare
a regime la riforma degli enti locali sardi, il legislatore regionale, con
l’art. 1, comma 3, della legge reg. n. 11 del 2012, come novellato dall’art. l
della legge della Regione autonoma Sardegna 27 febbraio 2013, n. 5 (Proroga dei
termini di cui all’articolo 1 della legge regionale 25 maggio 2012, n. 11,
recante «Norme sul riordino generale delle autonomie locali e modifiche alla
legge regionale n. 10 del 2011»), ha previsto che «Al fine di assicurare il
rispetto dei principi di cui agli articoli l, 5, 114, 116 e 118 della
Costituzione, nonché di cui all’articolo 43 dello Statuto ed in attesa del
riordino e della sua applicazione volta a realizzare un nuovo assetto, gli
organi provinciali in carica assumono in via provvisoria, e sino al 30 giugno
2013, la gestione delle funzioni amministrative attribuite alle otto Province
che saranno soppresse all’esito dei referendum svoltisi il 6 maggio 2012 e
provvedono alla ricognizione di tutti i rapporti giuridici, dei beni e del
personale dipendente ai fini del successivo trasferimento». In attuazione della
suddetta previsione, le gestioni provvisorie delle Province di Olbia, Carbonia
Iglesias, Medio Campidano, Ogliastra hanno comunicato
alla Direzione Regione Enti Locali gli esiti della ricognizione sopra
menzionata, quale passaggio imprescindibile per la redistribuzione delle
risorse necessarie allo svolgimento delle funzioni pubbliche già attribuite
alle Province.
Conseguentemente, a parere della difesa
regionale, il temporaneo rinnovo dei contratti previsto dalla disposizione
impugnata è necessario affinché la Regione possa compiere quel lavoro di
ricognizione generale della situazione amministrativa delle soppresse Province,
onde consentire il passaggio al nuovo ordinamento locale entro il 30 giugno
2013. Sussisterebbero, dunque, quelle «straordinarie esigenze di interesse
pubblico» che giustificano una deroga alle disposizioni statali in tema di
gestione del personale delle amministrazioni pubbliche (è nuovamente citata la sentenza n. 30 del
2012, in tema di pubblico concorso). La disposizione in esame, inoltre,
sarebbe strumentale al riordino del sistema di governo locale della Regione e,
dunque, funzionale ad un sicuro e imponente risparmio di spesa per la pubblica
amministrazione.
Per altro verso, prosegue la difesa
regionale, la straordinarietà del caso di specie, relativo alla soppressione
delle quattro Province regionali sarde, dimostrerebbe l’infondatezza della
censura con cui il ricorrente lamenta la pretesa violazione dell’art. 9, comma
28, del d.l. n. 78 del 2010, alla luce dell’interpretazione costituzionalmente
orientata delle disposizioni ivi contenute, secondo cui «Lo Stato, quindi, può
agire direttamente sulla spesa delle proprie amministrazioni con norme puntuali
e, al contempo, dichiarare che le stesse norme sono efficaci nei confronti
delle Regioni "a condizione di permettere l’estrapolazione, dalle singole
disposizioni statali, di principi rispettosi di uno spazio aperto all’esercizio
dell’autonomia regionale” (sentenza n. 182 del
2011)» (così la sentenza n. 139 del
2012). Poiché la disposizione in esame interviene nel procedimento di
soppressione delle Province regionali e di riallocazione delle risorse economiche,
materiali e umane già in servizio presso le stesse, con notevoli effetti di
contenimento della spesa pubblica regionale, la Regione autonoma Sardegna
ritiene di avere certamente rispettato il "principio” generale di contenimento
della spesa, con riflessi positivi sui saldi di finanza pubblica assolutamente
maggiori di quelli ascrivibili all’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010.
Né varrebbe l’obiezione che essa dovesse comunque conseguire un certo risparmio
di spesa proprio nel settore del personale assunto con i cosiddetti "contratti
atipici”, perché la Regione, virtuosamente, realizza ben altri e più cospicui
risparmi grazie alla ridefinizione dell’assetto dei livelli territoriali di
governo (implicante, altresì, la riduzione della spesa per il personale).
Osserva, infine, la difesa regionale che
l’art. 6, comma 8, della legge reg. n. 16 del 2011 è stato dichiarato
costituzionalmente illegittimo anche e soprattutto perché «dispone[va] uno
stanziamento per finanziare la stipulazione dei contratti». Al contrario, la
disposizione oggetto del presente giudizio non dispone alcuno stanziamento
economico. Nemmeno ricorrerebbe il secondo elemento sintomatico di violazione
del richiamato principio di contenimento della spesa pubblica, ossia l’ampliamento
della pianta organica, come rilevato nella sentenza n. 212 del
2012, sicché non vi sarebbe alcuna ragione per attribuire alla norma
censurata un aumento della spesa pubblica.
5.– Con ricorso notificato il 19
novembre 2012, depositato in cancelleria il successivo 26 novembre e iscritto
al n. 180 del registro ricorsi dell’anno 2012, il Presidente del Consiglio dei
ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale della legge della
Regione autonoma Sardegna 13 settembre 2012, n. 17, recante «Finanziamento agli
enti locali per il funzionamento dei Centri servizi per il lavoro (CSL), dei
Centri servizi inserimento lavorativo (CESIL) e delle Agenzie di sviluppo
locale e disposizioni varie», per violazione dell’art. 3, lettera a) dello
statuto speciale, approvato con legge cost. n. 3 del 1948, e successive
modificazioni e integrazioni, nonché dell’articolo 117, terzo comma, Cost.
Nel dettaglio, il Governo impugna partitamente le seguenti disposizioni: art. 1, comma 1, per
lesione dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ai
sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.; art. 2, commi 1, 2 e 3, per violazione
degli artt. 3, 51 e 97 Cost., nonché dei richiamati principi stabiliti
dall’art. 117, terzo comma, Cost.; art. 2, comma 5, per violazione del solo
art. 117, terzo comma, Cost.; art. 6, comma 1, per violazione di quest’ultimo
parametro, nonché dell’art. 81, quarto comma, Cost.
5.1.– Premette il ricorrente che la legge
della Regione autonoma Sardegna n. 17 del 2012, con cui è stato tra l’altro
approvato il finanziamento agli enti locali per il funzionamento dei Centri
servizi per il lavoro (CSL), dei Centri servizi inserimento lavorativo (CESIL)
e delle Agenzie di sviluppo locale, eccederebbe dalle competenze legislative
statutarie di cui all’art. 3, lettera a), in materia di «ordinamento degli
uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico
del personale», nonché dalla competenza legislativa concorrente in materia di
coordinamento di finanza pubblica prevista, per le Regioni ordinarie, dall’art.
117, terzo comma, Cost. ed estesa alle Regioni a statuto speciale, quale forma
di autonomia più ampia, ai sensi e per effetto dell’art. 10 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda
della Costituzione).
5.1.1.– In particolare, il Presidente
del Consiglio dei ministri censura l’art. 1, comma 1, della legge in esame, il
quale, nel sostituire il comma 8 dell’art. 6 della legge regionale n. 16 del
2011, dispone che «Nelle more di una sua riorganizzazione, al fine di garantire
l’esercizio del servizio pubblico disciplinato dalla legge regionale 5 dicembre
2005, n. 20 (Norme in materia di promozione dell’occupazione, sicurezza e
qualità del lavoro. Disciplina dei servizi e delle politiche per il lavoro.
Abrogazione della legge regionale 14 luglio 2003, n. 9 in materia di lavoro e
servizi dell’impiego), al quale sono preposti i Centri servizi per il lavoro
(CSL), i Centri servizi inserimento lavorativo (CESIL) e le Agenzie di sviluppo
locale di cui all’articolo 6, comma 1, lettera e), della legge regionale 5
marzo 2008, n. 3 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), è autorizzata nell’anno
2012, a titolo di trasferimento alle competenti amministrazioni locali, la
spesa di euro 12.000.000 a valere sulle disponibilità recate dal fondo
regionale per l’occupazione di cui all’UPB S06.06.004». Rappresenta il
ricorrente che, con sentenza n. 212 del
2012, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo, in quanto lesivo
del principio di coordinamento di finanza pubblica, l’art. 6, comma 8, della
legge regionale n. 16 del 2011 – nella parte in cui disponeva uno stanziamento
per finanziare la stipulazione dei contratti a tempo determinato per la
prosecuzione dell’attività lavorativa del personale in servizio presso i Centri
servizi per il lavoro, i Centri servizi inserimento lavorativo e le Agenzie di
sviluppo locale – e ciò perché tale disposizione regionale non richiamava e,
quindi, non teneva conto del limite fissato dall’art. 9, comma 28, del d.l. n.
78 del 2010, secondo cui, a decorrere dall’anno 2011, le amministrazioni
pubbliche possono avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni
o con contratti di collaborazione coordinata e continuativa solo nel limite del
cinquanta per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno
2009. L’attuale formulazione del comma 8 dell’art. 6 della legge regionale n.
16 del 2011, come introdotta dalla disposizione impugnata, sarebbe dunque
parimenti viziata, in quanto neppure essa richiama il limite del cinquanta per
cento della spesa, violando, in tal modo, i principi, inderogabili dalla
Regione ancorché autonoma, stabiliti dall’art. 117, terzo comma, Cost.
nell’ambito del coordinamento della finanza pubblica.
5.1.2.– L’art. 2, comma 1, della legge
in esame, nel modificare l’art. 3, comma 5, della legge regionale n. 3 del
2009, proroga al 30 giugno 2011 il termine (in precedenza fissato al 18 agosto
2009) per l’acquisizione dei requisiti che consentono ai lavoratori precari
assunti con contratto di lavoro a termine o con forme contrattuali flessibili o
atipiche, di partecipare alle procedure di stabilizzazione previste dal piano
pluriennale per il superamento del precariato di cui all’art. 36 della legge
regionale n. 2 del 2007. La disposizione regionale in oggetto, nel prorogare i
termini entro i quali devono maturarsi i requisiti che consentono la
partecipazione alle procedure di stabilizzazione, si porrebbe in contrasto con
l’art. 1, comma 558, della legge n. 296 del 2006, il quale stabilisce che «A
decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, gli enti di cui
al comma 557 fermo restando il rispetto delle regole del patto di stabilità
interno, possono procedere, nei limiti dei posti disponibili in organico, alla
stabilizzazione del personale non dirigenziale in servizio a tempo determinato
da almeno tre anni, anche non continuativi, o che consegua tale requisito in
virtù di contratti stipulati anteriormente alla data del 29 settembre 2006 o
che sia stato in servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, nel
quinquennio anteriore alla data di entrata in vigore della presente legge [...]
». Pertanto, la disposizione regionale in esame non rispettando, ai fini della
stabilizzazione, i limiti temporali previsti dalla norma statale richiamata,
violerebbe i principi di uguaglianza, di buon andamento e d’imparzialità
dell’amministrazione, di cui agli artt. 3, 51 e 97 Cost., nonché i principi
stabiliti dall’art. 117, terzo comma, Cost. in materia di coordinamento della
finanza pubblica ai quali la Regione, pur nel rispetto della sua autonomia, non
potrebbe mai derogare.
5.1.3– L’art. 2, comma 2, della legge in
esame, nel modificare l’art. 4, comma 1, della legge regionale n. 12 del 2012
(come modificato dall’art. 2, comma 1, della legge regionale n. 13 del 2012)
proroga al 30 giugno 2011 il termine entro il quale ulteriori figure
professionali di lavoratori precari acquisiscono i requisiti per partecipare
alle procedure di stabilizzazione. Premette il ricorrente che l’articolo in
esame, nella parte modificata dall’art. 2, comma 1, della legge regionale n. 13
del 2012, è stato già impugnato innanzi alla Corte costituzionale, in quanto
amplierebbe la platea dei destinatari di inquadramenti nei ruoli regionali e
comporta, pertanto, un inquadramento riservato di personale in contrasto con
gli artt. 3, 51, 97 e 117, terzo comma, Cost. Con l’attuale modifica
legislativa, la disposizione regionale in oggetto proroga i termini entro i
quali devono maturarsi i requisiti che consentono la partecipazione alle
procedure di stabilizzazione e si pone in contrasto con l’art. 1, comma 558,
della legge n. 296 del 2006 per i motivi già esposti al punto 5.1.2. In
definitiva, la norma in questione, secondo il ricorrente, non rispetta, ai fini
della stabilizzazione, i limiti temporali previsti dalla normativa statale
richiamata. Sicché, oltre ad essere censurata per le stesse richiamate
motivazioni già deliberate in riferimento all’art. 2, comma 1, della legge
regionale n. 13 del 2012, lo è pure per violazione del suddetto principio di coordinamento
di finanza pubblica di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., perché la Regione,
ferma restando la sua autonomia, non sarebbe ammessa a derogarvi.
5.1.4.– L’art. 2, comma 3, ricomprende
tra i requisiti utili ai fini della stabilizzazione nei ruoli regionali «sia i
periodi lavorativi svolti attraverso contratti di tirocinio formativo
retribuito, sia le altre attività lavorative eventualmente svolte in precedenza
presso gli enti locali territoriali e le altre pubbliche amministrazioni». Tale
disposizione, inserendo tra i requisiti utili ai fini della stabilizzazione nei
ruoli regionali anche le attività derivanti da tirocini formativi ovvero
periodi di lavoro prestato in amministrazioni estranee a quella regionale,
comporta un inquadramento riservato di personale e pertanto viola i principi di
uguaglianza, di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione, nonché
il principio del pubblico concorso di cui agli artt. 3, 51 e 97 Cost., nonché
il principio di coordinamento di finanza pubblica di cui all’art. 117, terzo
comma, Cost., cui si ribadisce che la Regione, fatto salvo il rispetto della
sua autonomia, non può derogare.
5.1.5.– L’art. 2, comma 5, della citata
legge regionale estende agli operatori di tutela ambientale che hanno prestato servizio
presso le amministrazioni provinciali l’applicazione dell’art. 3 della legge
regionale n. 13 del 2012, che autorizza la stipula dei contratti a termine del
personale in servizio presso i Centri servizi per il lavoro e i Centri servizi
inserimento lavorativo non rinnovati dalle soppresse Province sarde in favore
del medesimo personale delle gestioni provvisorie.
Evidenzia il
ricorrente di avere già impugnato l’art. 3 della legge regionale n. 13 del 2012
per contrasto con l’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, il quale
stabilisce che, a decorrere dall’anno 2011, le amministrazioni pubbliche
possono avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con
contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del cinquanta
per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2009, e,
dunque, per violazione del principio costituzionale di cui all’articolo 117,
comma terzo, in materia di coordinamento della finanza pubblica. Richiama,
all’uopo, nuovamente la sentenza n. 212 del
2012 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima, in quanto
lesiva del principio di coordinamento di finanza pubblica fissato dall’art. 9,
comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, la disposizione di cui all’art. 6, comma 8,
della legge regionale n. 16 del 2011. L’ora impugnato art. 2, comma 5, estende
ad altri soggetti l’applicazione del citato art. 3 della legge reg. n. 13 del
2012 e, pertanto, attira su di sé le medesime censure già dedotte in
riferimento ad esso, pedissequamente riportate. La disposizione regionale in
esame, in definitiva, nell’estendere ad una ulteriore categoria l’applicazione
del disposto di cui all’art. 3 della legge reg. n. 13 del 2012, violerebbe il
principio di coordinamento di finanza pubblica di cui all’art. 117, terzo
comma, della Costituzione, dal rispetto del quale la Regione, seppure autonoma,
non potrebbe prescindere.
5.1.6.– Infine, l’art. 6, comma l,
nell’integrare l’art 4 della legge della Regione autonoma Sardegna 18 dicembre
1995, n. 37 (Norme in materia di funzionamento e di assegnazione di personale
ai Gruppi consiliari), di seguito al comma 1 introduce il comma 1-bis, il quale
dispone che i gruppi consiliari possono stipulare contratti di lavoro autonomo
concernenti prestazioni d’opera intellettuale per oggetti determinati di durata
non superiore a quella della legislatura. Il Governo sostiene che tale
disposizione, nel consentire ai gruppi consiliari la facoltà di stipulare contratti
a tempo determinato senza quantificazione numerica o di spesa, si pone in
contrasto con il già richiamato art. 9, comma 28, del d.l. 78 del 2010 e con il
rigoroso limite di spesa alle pubbliche amministrazioni a decorrere dall’anno
2011. Conseguentemente, sarebbe violato il principio costituzionale di cui
all’art. 117, comma terzo, in materia di coordinamento della finanza pubblica.
La medesima disposizione, inoltre, non prevedendo i mezzi finanziari per far
fronte alla spesa, lederebbe il principio dell’obbligo della copertura
finanziaria di cui all’art. 81, quarto comma, Cost.
6. – Con memoria depositata il 21
dicembre 2012 si è costituita la Regione autonoma Sardegna, chiedendo che anche
le questioni di legittimità costituzionale promosse con il predetto ricorso
siano dichiarate inammissibili o, comunque, non fondate.
6.1.– Il ricorso sarebbe, innanzitutto,
inammissibile.
6.1.1.– In particolare, l’impugnazione
sarebbe irricevibile per difetto di rituale notificazione. L’Avvocatura
generale dello Stato ha inteso notificare "in proprio” l’atto introduttivo del
presente giudizio, ai sensi dell’art. 55 della legge 18 giugno 2009, n. 69
(Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività,
nonché in materia di processo civile). Secondo la difesa regionale, però, ivi
si prevede la possibilità di «notificazione di atti civili, amministrativi e
stragiudiziali», ai quali gli atti adottati nell’ambito del processo
costituzionale non sarebbero in alcun modo assimilabili. Contro le opposte
conclusioni cui questa Corte è pervenuta nella sentenza n. 310 del
2011 varrebbe il rilievo che, se con la disposizione in esame il
legislatore ha certamente inteso escludere dal novero delle notificazioni che
possono essere fatte "in proprio” dal difensore gli atti del processo penale,
eguale intenzione ha manifestato nei confronti degli atti del processo
costituzionale, non a caso (così come quelli penali) non menzionati tra quelli
notificabili con mezzi propri. Ciò sarebbe da imputare, per un verso, alla
particolare rilevanza che gli atti del processo penale rivestono in relazione
ai diritti di libertà della persona; per l’altro, alla particolare rilevanza
che gli atti del processo costituzionale rivestono (oltre che sovente – essi
pure – in relazione ai diritti della persona) in relazione all’interesse
pubblico alla certezza del diritto. Donde la necessità per entrambe le
categorie di atti della qualificata attività dell’ufficiale giudiziario.
6.1.2.– Il ricorso sarebbe
inammissibile, altresì, per la mancata considerazione delle competenze
legislative di cui la Regione autonoma Sardegna è tributaria in forza del suo
statuto speciale. Il ricorrente si sarebbe limitato a censurare l’intera legge
regionale in esame, in maniera del tutto apodittica e senza una pur minima
argomentazione, in quanto eccedente dalle competenze legislative di cui
all’art. 3, lettera a), dello statuto speciale, concernente «ordinamento degli
uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico
del personale», ma senza specificare quale sarebbe la materia di appartenenza
delle disposizioni censurate. Di più, nell’elencazione dei singoli profili di
illegittimità, non avrebbe fatto, invero, il minimo cenno allo Statuto speciale
per la Sardegna di cui alla legge cost. n. 3 del 1948, parametrando
tutti i pretesi vizi esclusivamente all’art. 117, terzo comma, Cost.
6.1.3.– Inammissibili, poi, sarebbero le
censure articolate dal Presidente del Consiglio dei ministri per relationem rispetto a differenti impugnazioni in via
principale di precedenti atti normativi della Regione autonoma Sardegna, in
spregio al principio di autosufficienza dell’atto introduttivo del processo
costituzionale, secondo il quale tutti gli elementi richiesti per
l’ammissibilità della questione debbono risultare esclusivamente dal
provvedimento di rinvio. Per tale ragione, dunque, la Regione autonoma Sardegna
eccepisce l’inammissibilità delle censure formulate dal ricorrente avverso
l’art. 2, comma 2, della legge reg. n. l7 del 2012, nella misura in cui il
motivo intende riproporre «le stesse motivazioni deliberate in riferimento
all’art. 2, comma l, della legge regionale n. 13/2012», nonché avverso l’art.
2, comma 5, della medesima legge reg. n. l7 del 2012, in quanto fondate sulle
«stesse censure già dedotte in riferimento al citato art. 3 della legge
regionale n. 13/2012». In senso contrario non basterebbe il fatto di avere
testualmente riportato le censure già formulate nel precedente gravame. E ciò,
in sintesi, perché quegli atti aggredivano diversi atti normativi, i quali, per
quanto di contenuto analogo, non consentirebbero al ricorrente di incardinare
ritualmente una nuova e diversa impugnazione limitandosi a richiamare le difese
allora svolte. Il Governo, insomma, non potrebbe fare proprie e spendere
avverso la legge reg. n. 17 del 2012 le medesime censure prospettate avverso la
diversa legge reg. n. 13 del 2012. Con la conseguenza, appunto,
dell’inammissibilità delle censure mosse in questa sede all’art. 2, commi 2 e
5, della legge reg. n. 17 del 2012.
6.1.4.– La difesa regionale segnala,
inoltre, che, qualora si censuri la violazione dell’art. 117, terzo comma,
Cost., per uno "sconfinamento” del legislatore regionale dal suo ambito
riservato, sarebbe obbligatoria l’indicazione del principio fondamentale della
materia ritenuto violato. Di contro, il ricorrente non avrebbe specificato, se
non nelle citazioni virgolettate del diverso ricorso avverso le disposizioni
della legge reg. n. 13 del 2012, quali disposizioni legislative statali,
operanti in concreto tale coordinamento, sarebbero state violate. Di qui
«l’inammissibilità della censura per mancata (e invece doverosa) indicazione
del parametro interposto».
6.1.5.– La Regione autonoma Sardegna
evidenzia, infine, che l’intero apparato argomentativo del ricorrente, se si
escludono le citazioni del primo ricorso avverso le diverse disposizioni della
legge reg. n. 13 del 2012, è del tutto insufficiente ai fini dello scrutinio
nel merito delle questioni. In particolare, quanto all’art. l, comma l, della
legge reg. n. 17 del 2012, esso è stigmatizzato solamente perché «non richiama
il limite del 50% della spesa fissato dall’art. 9, comma 28, del decreto-legge
n. 78 del 2010». Inoltre, dell’art. 2, comma l, della legge reg. n. 17 del 2012
è denunciata la mera violazione dei principi di uguaglianza, di buon andamento
e d’imparzialità dell’amministrazione di cui agli artt. 3, 51 e 97 Cost.,
nonché dei principi stabiliti dall’art. 117, terzo comma, Cost., motivata,
quest’ultima, solamente con l’affermazione che non sarebbero rispettati «i
limiti temporali previsti dalla norma statale richiamata», senza però allegare,
né provare, che tali limiti costituiscano principi fondamentali della materia.
Similmente carente, sotto il profilo della violazione del principio di
coordinamento di finanza pubblica costituita dallo sforamento dei predetti
limiti temporali, risulterebbe la censura dell’art. 2, comma 2.
6.2.– Nel merito, in caso di rigetto
delle eccezioni d’inammissibilità del gravame sopra formulate, la difesa
regionale deduce la non fondatezza delle censure ivi prospettate.
6.2.1.– Manifestamente infondata è a suo
avviso, anzitutto, la censura rivolta all’art. l, comma l, della legge in
esame. E ciò perché, diversamente da quanto prevedeva l’art. 6 della legge reg.
n. 16 del 2011 (già dichiarato illegittimo da questa Corte con sentenza n. 212 del
2012), la disposizione oggetto del presente giudizio nulla dice circa il
reclutamento di personale da parte delle amministrazioni pubbliche, né destina
tali fondi al rinnovo dei contratti a tempo determinato, come reso palese dal
semplice raffronto delle due norme. Non varrebbe obiettare che lo stanziamento
previsto dall’art. l, comma l, della legge reg. n. 17 del 2012 sarebbe comunque
(tutto) destinato al rinnovo dei contratti a tempo determinato. E ciò in quanto
lo stanziamento indicato è ora preordinato «a garantire l’esercizio del
servizio pubblico», il quale consta di risorse non meramente umane (e tanto
meno assunte esclusivamente a tempo determinato), ma anche e soprattutto
materiali. Non solo: i servizi sociali per il lavoro generalmente presuppongono
anche il finanziamento e lo svolgimento di particolari programmi di inserimento
al lavoro, per i quali si stanziano risorse che esulano dalla mera
organizzazione degli uffici (banche dati, momenti ed eventi per incrociare
domande e offerta di lavoro).
6.2.2.– Quanto alla censura delle misure
di superamento del precariato di cui all’art. 2, comma l, della legge
impugnata, oppone la difesa regionale l’argomento che l’art. l, comma 558,
della legge n. 296 del 2006, non fissa alcun limite temporale entro il quale è
necessario aver acquisito il periodo di anzianità rilevante per poter
partecipare alle procedure di stabilizzazione del personale. A suo parere, il
legislatore statale ha previsto, invece, tre differenti possibilità, tutte
indipendenti l’una dall’altra (come testimonierebbe l’utilizzo della particella
disgiuntiva "o”), per alcune delle quali non vi sarebbe alcuna "ghigliottina”
temporale. Donde l’infondatezza del gravame sul punto.
6.2.3.– Anche in ordine al comma 2
dell’art. 2 della legge in esame, la piana lettura dell’art. l, comma 558,
della l. 296 del 2006 dimostrerebbe l’infondatezza del gravame, come indicato
al precedente paragrafo.
6.2.4.– Sarebbe, nondimeno,
manifestamente infondata la censura dell’art. 2, comma 3, della legge reg. n.
17 del 2012. Esso prevede, infatti, espressamente che l’attività di tirocinio o
lavorativa dev’essere stata svolta presso gli «enti
locali territoriali e le altre pubbliche amministrazioni». Sicché, il
legislatore regionale non avrebbe fatto altro che equiparare il lavoro svolto
alle dipendenze della Regione autonoma Sardegna a quello svolto al servizio di
altri enti, anche in occasione di tirocinio formativo, nell’esercizio della
propria competenza esclusiva in materia di «ordinamento degli uffici e degli
enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale»
(ai sensi dell’art. 3, comma l, lettera a), dello statuto speciale), nonché
nell’esercizio della competenza legislativa residuale nella materia di
«formazione professionale», in base al disposto congiunto degli artt. 117,
commi terzo e quarto, Cost. e 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
6.2.5.– Neppure il comma 5 dell’art. 2
della legge regionale in esame sarebbe affetto dai vizi denunciati dal
ricorrente. Come già rilevato anche a proposito dell’impugnazione dell’art. 3
della legge reg. n. 13 del 2012, i contratti a tempo determinato scaduti nel
biennio 2011-2012 dovevano già tenere conto della limitazione di spesa prevista
dall’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, sicché un rinnovo dei contratti
a termine, altresì per questa ulteriore categoria di lavoratori (operatori di
tutela ambientale, ex disinfestatori), non potrebbe violare quel parametro
interposto.
In secondo luogo, con la disposizione in
esame, il legislatore regionale si sarebbe fatto carico anche della gestione
transitoria del personale delle Province sarde soppresse a seguito del
referendum regionale celebratosi nella primavera del 2012, in presenza di
quelle «straordinarie esigenze di interesse pubblico» che la giurisprudenza
costituzionale ha sovente inteso assumere come condizione giustificatrice di
una deroga alle disposizioni statali in tema di gestione del personale delle
amministrazioni pubbliche (è citata, per tutte, la sentenza n. 30 del
2012).
6.2.6.– La difesa regionale deduce,
infine, l’infondatezza delle argomentazioni spese dal ricorrente a sostegno
delle questioni di legittimità dell’art. 6 della legge reg. n. 17 del 2012,
promosse in relazione agli artt. 117, terzo comma, e 81 Cost.
A suo avviso, infatti, i gruppi
consiliari non possono certo essere equiparati alle amministrazioni pubbliche,
in quanto composti dai rappresentanti del corpo elettorale che esercitano un
mandato elettivo nel Consiglio regionale, e, pur essendo articolazioni
dell’Assemblea regionale necessarie per il suo corretto funzionamento, non per
questo equiparabili agli uffici dell’amministrazione regionale. Tanto che non
ve n’é menzione nell’«Elenco delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto
economico consolidato dello Stato», redatto dall’1STAT ai sensi dell’art. l,
comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza
pubblica), e pubblicato, per l’anno 2012, in Gazzetta Ufficiale n. 227 del 28
settembre 2012.
In ogni caso, poi, la prospettiva del
ricorrente sarebbe fuorviante.
L’art. 4 della legge reg. n. 37 del 1995
prevede al primo comma che «I Gruppi consiliari non possono stipulare contratti
per prestazioni d’opera, fatta eccezione per il conferimento di incarichi
libero-professionali per oggetti determinati, da adottarsi con contratti aventi
forma scritta e la cui durata non può superare quella della legislatura nella
quale detti contratti sono sottoscritti». Pertanto, a parere della Regione
resistente, la disposizione ora gravata, nel prevedere che «I Gruppi consiliari
possono altresì stipulare contratti di lavoro autonomo concernenti prestazioni
d’opera intellettuale per oggetti determinati, da adottarsi in forma scritta,
la cui durata non può superare quella della legislatura nella quale detti
contratti sono sottoscritti», non impone nuove spese a carico della Regione, ma
si limita a modificare la tipologia degli incarichi per prestazioni d’opera
intellettuale che i gruppi consiliari possono affidare. In questa prospettiva,
dunque, la disposizione in esame non rientra nella materia del «coordinamento
della finanza pubblica», bensì in quella dell’«ordinamento degli uffici e degli
enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del
personale», di competenza esclusiva della Regione ai sensi dell’art. 3, comma
l, lettera a), dello statuto speciale. È richiamata la più volte menzionata sentenza n. 212 del
2012, con cui questa Corte ha affermato che una disposizione di legge
regionale della Sardegna ivi scrutinata, ove si prevedeva la possibilità di
assegnare funzioni dirigenziali in via transitoria e fino all’espletamento dei
concorsi pubblici per l’accesso alla qualifica dirigenziale (art. 4, comma 5,
della legge reg. n. 16 del 2011), «non può essere qualificata come norma di
spesa, costituendo invece una norma di organizzazione». Anche la norma qui in
esame, come quella suaccennata, «di per se stessa, non determina alcun
incremento della spesa», perché si limita a ridefinire le tipologie di incarico
professionale che possono essere affidate dai gruppi consiliari della Regione
autonoma Sardegna.
Per le medesime ragioni, sarebbe pure
infondata la denunciata lesione dell’art. 81, quarto comma, Cost. Ciò, in
quanto, se la disposizione in questione è norma di organizzazione e non di
spesa, allora «neppure sussiste violazione dell’art. 81, quarto comma, Cost.»
(come si legge ancora nella sentenza n. 212 del
2012).
7.– Con ulteriori memorie depositate in
prossimità dell’udienza la Regione autonoma Sardegna ha ancora diffusamente
argomentato le proprie posizioni, concludendo nel senso dell’inammissibilità e,
in ogni caso, della non fondatezza di tutte le questioni promosse con i
predetti ricorsi.
Considerato in diritto
1.– Con ricorso notificato il 21-27
agosto 2012, depositato in cancelleria il successivo 31 agosto e iscritto al n.
116 del registro ricorsi dell’anno 2012, il Presidente del Consiglio dei
ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli articoli 2 e
3, commi 1 e 2, della legge della Regione autonoma Sardegna 26 giugno 2012, n.
13 (Rimodulazione del quadro degli interventi regionali a sostegno delle
politiche del lavoro e disposizioni in materia di contratti a termine), intesa
all’attuazione degli accordi istituzionali per la proroga e la prima
concessione degli ammortizzatori sociali in deroga, per gli anni 2011 e 2012,
in riferimento agli articoli 3, 51, 97 e 117, terzo comma, della Costituzione.
1.1.– L’impugnato art. 2 integra l’art.
4, comma 1, della legge della Regione autonoma Sardegna 13 giugno 2012, n. 12, recante
«Disposizioni urgenti e integrazioni alla legge regionale 4 agosto 2011, n. 16
(Norme in materia di organizzazione e personale), relativa ai contratti di
collaborazioni coordinate e continuative e ulteriori misure di contenimento
della spesa pubblica». In particolare, la disposizione regionale in esame
aggiunge alle procedure selettive di cui all’art. 4, comma 1, della citata
legge reg. n. 12 del 2012, finalizzate agli inquadramenti di cui all’art. 36,
comma 2, della legge regionale 29 maggio 2007, n. 2, recante «Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione (legge
finanziaria 2007)», in attuazione del "Piano regionale sul precariato” ivi
previsto, «le selezioni effettuate con modalità analoghe attestate dai relativi
dirigenti di servizio o generali per le figure professionali aventi i requisiti
dei trenta mesi maturati entro i termini stabiliti dall’articolo 6, comma 2,
della legge regionale n. 16 del 2011». Secondo il ricorrente, ciò comporta la
possibilità di inquadrare anche personale assunto a tempo determinato, così
realizzando un inquadramento riservato di personale, in contrasto con gli artt.
3, 51 e 97 Cost., nonché con l’art. 117, terzo comma, Cost., nell’ottica del
coordinamento della finanza pubblica.
1.2.– L’impugnato art. 3 dispone la
stipulazione immediata da parte dei dirigenti delle gestioni provvisorie dei
contratti a termine di cui all’art. 6, comma 8, della legge della Regione
autonoma Sardegna 4 agosto 2011, n. 16 (Norme in materia di organizzazione e
personale), che non siano stati rinnovati dalle soppresse Province sarde alla
data di approvazione della presente legge, e ciò anche nei casi di
raggiungimento dei trentasei mesi di lavoro subordinato maturato dai soggetti
aventi titolo all’assunzione nelle soppresse amministrazioni provinciali in
ordine alle disposizioni straordinarie di cui alla legge della Regione autonoma
Sardegna 25 maggio 2012, n. 11 (Norme sul riordino generale delle autonomie
locali e modifiche alla legge regionale n. 10 del 2011).
Ne discende, ad avviso del ricorrente,
la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., nella materia del
coordinamento della finanza pubblica, in quanto la norma in oggetto, nel
prolungare la durata dei suddetti contratti, determina il superamento dei
limiti fissati dalla legge per l’instaurazione di rapporti di lavoro flessibile
e travalica, altresì, il tetto della spesa sostenuta per le medesime finalità.
I principi fondamentali di coordinamento
della finanza pubblica nella specie violati sono individuati dal ricorrente
nelle disposizioni sui rapporti di lavoro flessibile contenute nell’art. 36 del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del
lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), là dove ribadiscono il
limite di trentasei mesi complessivi di lavoro a termine – mediante il rinvio
alla normativa generale sul rapporto di lavoro a tempo determinato di cui al
decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva
1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso
dall’UNICE, dal CEEP e dal CES) – e nell’art. 9, comma 28, del decreto-legge 31
maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e
di competitività economica), convertito in legge, con modificazioni, dall’art.
1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, il quale stabilisce che, a
decorrere dall’anno 2011, le amministrazioni pubbliche possono avvalersi di
personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di
collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del cinquanta per cento
della spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2009.
2.– Con successivo ricorso notificato il
19 novembre 2012, depositato in cancelleria il successivo 26 novembre e
iscritto al n. 180 del registro ricorsi dell’anno 2012, il Presidente del
Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale, in
riferimento all’art. 3, lettera a), della legge costituzionale 26 febbraio
1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), e successive modificazioni e
integrazioni, nonché agli artt. 3, 51, 97 e 117, terzo comma, Cost., della
legge della Regione autonoma Sardegna 13 settembre 2012, n. 17, recante
«Finanziamento agli enti locali per il funzionamento dei Centri servizi per il
lavoro (CSL), dei Centri servizi inserimento lavorativo (CESIL) e delle Agenzie
di sviluppo locale e disposizioni varie», e segnatamente dei seguenti articoli:
1, comma 1; 2, commi 1, 2, 3 e 5; 6, comma 1.
2.1.– Viene censurato, anzitutto, l’art.
1, comma 1, il quale, nel sostituire il comma 8 dell’art. 6 della legge reg. n.
16 del 2011, dispone che, al fine di garantire l’esercizio del servizio
pubblico disciplinato dalla legge della Regione autonoma Sardegna 5 dicembre
2005, n. 20 (Norme in materia di promozione dell’occupazione, sicurezza e
qualità del lavoro. Disciplina dei servizi e delle politiche per il lavoro.
Abrogazione della legge regionale 14 luglio 2003, n. 9 in materia di lavoro e
servizi dell’impiego), nelle more di una riorganizzazione di esso, al quale
sono preposti i Centri servizi per il lavoro (CSL), i Centri servizi
inserimento lavorativo (CESIL) e le Agenzie di sviluppo locale di cui
all’articolo 6, comma 1, lettera e), della legge della Regione autonoma
Sardegna 5 marzo 2008, n. 3 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale della Regione – legge finanziaria 2008), «è autorizzata
nell’anno 2012, a titolo di trasferimento alle competenti amministrazioni
locali, la spesa di euro 12.000.000 a valere sulle disponibilità recate dal
fondo regionale per l’occupazione di cui all’UPB S06.06.004».
A parere del Governo, tale norma
violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., «nell’ottica del coordinamento della
finanza pubblica, cui la regione, pur nel rispetto della sua autonomia, non può
derogare», perché – al pari del citato art. 6, comma 8, della legge reg. n. 16
del 2011 nella sua formulazione originaria (dichiarato illegittimo dalla Corte
costituzionale con sentenza n. 212 del
2012) – non richiama il tetto di spesa fissato dall’art. 9, comma 28, del
d.l. n. 78 del 2010, secondo cui, a decorrere dall’anno 2011, le
amministrazioni pubbliche possono avvalersi di personale a tempo determinato o
con convenzioni o con contratti di collaborazione coordinata e continuativa
solo nel limite del cinquanta per cento della spesa sostenuta per le stesse
finalità nell’anno 2009.
2.2.– Il Governo censura, altresì,
l’art. 2, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2012, il quale, nel
modificare l’art. 3, comma 5, della legge della Regione autonoma Sardegna 7
agosto 2009, n. 3 (Disposizioni urgenti nei settori economico e sociale),
proroga al 30 giugno 2011 il termine (precedentemente fissato al 18 agosto
2009) per l’acquisizione dei requisiti che consentono ai lavoratori precari,
assunti con contratto di lavoro a termine o con forme contrattuali flessibili o
atipiche, di partecipare alle procedure di stabilizzazione previste dal piano
pluriennale per il superamento del precariato di cui all’art. 36 della legge
reg. n. 2 del 2007.
Ad avviso del ricorrente, la norma
regionale impugnata, nel prorogare i termini entro i quali devono maturarsi i
requisiti che consentono la partecipazione alle procedure di stabilizzazione,
violerebbe, non solo i principi di uguaglianza, di buon andamento e
d’imparzialità dell’amministrazione di cui agli artt. 3, 51 e 97 Cost., ma
anche i principi stabiliti dall’art. 117, terzo comma, Cost. nell’ottica del
coordinamento della finanza pubblica e, segnatamente, i limiti temporali
previsti dall’art. 1, comma 558, della legge 27 dicembre 2006, n. 296
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
– legge finanziaria 2007), inderogabili da parte della Regione.
2.3.– L’art. 2, comma 2, della legge
reg. Sardegna n. 17 del 2012, fissando al 30 giugno 2011 il termine entro il
quale ulteriori figure professionali di lavoratori precari acquisiscono i
requisiti per partecipare alle procedure di stabilizzazione, modifica l’art. 4,
comma 1, della legge reg. n. 12 del 2012 nella parte già novellata dal predetto
art. 2, comma 1, della legge reg. n. 13 del 2012 (già impugnato con il primo
ricorso). Esso è censurato per le medesime ragioni spiegate contro quest’ultima
norma regionale e inoltre perché, al pari del citato art. 2, comma 1, della
legge reg. n. 17 del 2012, non rispetta, ai fini della stabilizzazione, i
limiti temporali previsti dalla normativa statale di riferimento sopra
richiamata.
2.4.– Il Presidente del Consiglio dei
ministri impugna, inoltre, l’art. 2, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 17
del 2012 nella parte in cui ricomprende tra i requisiti utili ai fini della
stabilizzazione nei ruoli regionali «sia i periodi lavorativi svolti attraverso
contratti di tirocinio formativo retribuito, sia le altre attività lavorative
eventualmente svolte in precedenza presso gli enti locali territoriali e le
altre pubbliche amministrazioni». In tal modo, secondo il ricorrente, si
realizzerebbe un inquadramento riservato di personale, in violazione dei
principi di uguaglianza, di buon andamento e d’imparzialità
dell’amministrazione, nonché del principio del pubblico concorso di cui agli
artt. 3, 51 e 97 Cost., come pure di quello di coordinamento di finanza pubblica
di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.
2.5.– L’art. 2, comma 5, della legge
reg. Sardegna n. 17 del 2012, che estende agli operatori di tutela ambientale
che abbiano prestato servizio presso le amministrazioni provinciali
l’applicazione dell’impugnato art. 3 della legge reg. n. 13 del 2012, è,
secondo il ricorrente, da ritenere illegittimo per i motivi suesposti in
relazione a quest’ultima disposizione.
2.6.– È censurato, infine, l’art. 6,
comma 1, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2012, il quale, nell’integrare
l’art 4 della legge della Regione autonoma Sardegna 18 dicembre 2005, n. 37
(Norme in materia di funzionamento e di assegnazione di personale ai Gruppi
consiliari), dispone, senza quantificazione numerica o di spesa, che i gruppi
consiliari possono stipulare contratti di lavoro autonomo concernenti
prestazioni d’opera intellettuale per oggetti determinati di durata non
superiore a quella della legislatura. Il Governo ascrive a tale norma la
lesione dell’art. 117, terzo comma, Cost., con l’interposizione dell’anzidetto
art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, e dell’art. 81, quarto comma, Cost.,
perché non sono previsti i mezzi finanziari per far fronte alla spesa.
3.– In considerazione della loro
connessione oggettiva, i giudizi riguardanti le disposizioni regionali
suindicate devono essere riuniti, per essere decisi con un’unica pronuncia.
4.– Di entrambi i ricorsi la Regione
autonoma Sardegna eccepisce, in linea generale, alcuni profili
d’inammissibilità.
Tutte le eccezioni d’inammissibilità dei
ricorsi nella loro interezza devono essere rigettate.
4.1.– L’omessa menzione dei parametri
statutari denunciata dalla resistente non sussiste. Quanto all’art. 3, lettera
a), dello statuto speciale, perché l’eccedenza dalle competenze legislative ivi
previste risulta espressamente denunciata nell’incipit del secondo ricorso e
traspare chiaramente, altresì, da tutta l’impostazione del primo. Con riguardo
all’art. 7 dello stesso statuto, che assegna alla Regione autonoma «una propria
finanza, coordinata con quella dello Stato», perché il ricorrente ha lasciato
intendere, senza equivoci, che tale prerogativa, invero non riconducibile ad
una assorbente competenza legislativa regionale di fonte statutaria nel settore
finanziario (artt. 3 e seguenti dello statuto speciale), non esime neppure la
Regione resistente dal rispetto del parametro, espressamente evocato, dell’art.
117, terzo comma, Cost. E con ciò lo stesso ricorrente ha mostrato,
evidentemente, di ritenere quest’ultimo parametro idoneo ad attribuire alla
Regione stessa un’autonomia più ampia nella materia del coordinamento della
finanza pubblica. D’altro canto, la giurisprudenza più recente di questa Corte
ha sistematicamente scrutinato alla luce dell’art. 117, terzo comma, Cost.
l’osservanza, da parte della legislazione della Sardegna, dei principi
fondamentali in subiecta materia, reputandola
esplicitamente o implicitamente esulante da qualunque competenza legislativa
statutaria (vedi, tra le ultime, sentenze n. 212 e n. 30 del 2012).
E, più in generale, si è affermato che anche le Regioni e le Province ad
autonomia differenziata sono tenute al rispetto dei principi di coordinamento
della finanza pubblica (sentenze n. 3 del 2013, n. 229 del 2011
e n. 179 del
2007).
4.2.– Anche l’eccezione di difetto di
motivazione è priva di fondamento, perché il Governo, seppur stringatamente, ha
argomentato in maniera adeguata ogni singola censura. E anche quando non ha neppure
sommariamente individuato il principio fondamentale di coordinamento della
finanza pubblica a suo avviso violato, il ricorrente ha illustrato nel modo
dovuto le questioni di legittimità delle norme regionali denunciate sotto tale
profilo, in relazione agli altri parametri costituzionali volta per volta
specificamente evocati.
4.3.– Dev’essere,
altresì, disattesa l’eccezione d’inammissibilità delle questioni ricondotte
dalla difesa regionale alla volontà del ricorrente di aggredire essenzialmente
il meccanismo di stabilizzazione del personale precario, istituito con legge
reg. n. 2 del 2007, invero non impugnato a suo tempo, posto che, in realtà, il
Governo ha inteso chiaramente censurare le norme in oggetto per le modifiche o
integrazioni dell’originario piano di superamento del precariato da esse
variamente apportate ai criteri ricognitivi degli aventi titolo a rientrarvi
(selezioni iniziali di riferimento, termini di scadenza dei periodi di lavoro
rilevante, equipollenza di altre attività lavorative).
4.4.– Va, infine, rigettata l’eccezione
d’inammissibilità del ricorso iscritto al n. 180 del relativo registro
dell’anno 2012, perché notificato "in proprio”, non ravvisandosi alcun serio
motivo per discostarsi dall’orientamento in base al quale questa Corte ha
ritenuto ammissibile tale forma di notificazione nel giudizio di legittimità
costituzionale in via principale (sentenza n. 310 del
2011).
5.– Ciò premesso, ai fini della trattazione,
vanno affrontate per prime le questioni di legittimità costituzionale delle
disposizioni regionali concernenti il piano di superamento del precariato
delineato dall’art. 36, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 2 del 2007, a
partire dall’art. 2 della legge reg. n. 13 del 2012, nonché dall’art. 2, comma
2, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2012, proseguendo con l’art. 2, comma 1,
della legge reg. n. 17 del 2012, per finire con l’art. 2, comma 3, della
medesima legge regionale. Vanno poi esaminate, nell’ordine, le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge reg. Sardegna n. 13 del 2012
e dell’art. 2, comma 5, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2012, riguardanti
la prosecuzione dei rapporti di lavoro a termine di specifiche categorie di
lavoratori già operanti presso le (soppresse) amministrazioni provinciali; la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge reg.
n. 17 del 2012, afferente "il servizio pubblico del sistema dei servizi per il
lavoro”; le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, della
legge da ultimo citata, incidente sulle forme di collaborazione "intellettuale”
presso i gruppi consiliari.
6.– Per comprendere meglio i termini
delle questioni di legittimità dell’art. 2 della legge reg. Sardegna n. 13 del
2012 e dell’art. 2, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2012, che
possono essere esaminate congiuntamente, è utile premettere, in sintesi, la
sequenza normativa del piano regionale di assorbimento del precariato, cui
afferiscono entrambe le impugnate disposizioni testé richiamate.
L’art. 36 della legge reg. Sardegna n. 2
del 2007 ha stabilito che possano conseguire il rapporto di lavoro a tempo
indeterminato i lavoratori con trenta mesi anche non continuativi di lavoro
(svolto in forza di contratti di natura flessibile o atipica con
l’amministrazione, gli enti o le aziende regionali) al 30 giugno 2007, e
all’uopo ha predisposto un piano di superamento del precariato in base al quale
il rapporto a tempo indeterminato è conseguibile con due distinte procedure: 1)
a domanda, in caso di rapporto di lavoro instaurato «sulla base di procedure
selettive di natura concorsuale»; 2) previo superamento di «prove selettive
concorsuali pubbliche», in caso di rapporto di lavoro instaurato senza pubblica
selezione, con mero riconoscimento di una premialità
riferita al servizio prestato.
L’art. 4 della legge reg. n. 12 del 2012
ha introdotto ulteriori specifiche tipologie di selezione di personale alla
base dell’inquadramento a domanda, di cui si è detto sub 1).
L’art. 2, comma 1, della legge reg. n.
13 del 2012, impugnato con il primo ricorso, ha aggiunto al citato art. 4 altre
selezioni (effettuate con modalità analoghe a quelle già previste) ai fini
della stabilizzazione di personale che avesse maturato trenta mesi «entro i
termini stabiliti dall’articolo 6, comma 2, della legge regionale n. 16 del
2011».
Infine, l’art. 2, comma 2, della legge
reg. n. 17 del 2012, censurato con il secondo ricorso, ha ulteriormente modificato
l’art. 4 della citata legge reg. n. 12 del 2012 nella parte aggiunta
dall’impugnato art. 2, fissando definitivamente al 30 giugno 2011 il termine
entro il quale il personale destinatario delle selezioni contemplate dalla
prima novella deve aver maturato i trenta mesi di lavoro precario utili ai fini
della stabilizzazione. E ciò ha fatto, richiamando l’art. 3, comma 5, della
legge reg. n. 3 del 2009, contestualmente innovato dall’art. 4, comma 1, della
stessa legge reg. n. 17 del 2012 (verosimilmente anche alla luce della caducazione nelle more intervenuta – con sentenza n. 212 del
2012 di questa Corte – dell’art. 6, comma 2, della legge reg. n. 16 del
2011).
6.1.– La difesa della Regione resistente
sostiene che la prima norma impugnata (art. 2 della legge reg. n. 13 del 2012),
modificata dopo pochi mesi con la seconda, non ha avuto medio tempore alcuna
applicazione, donde prospetta la sopravvenuta cessazione della relativa materia
del contendere. A ben vedere, però, l’art. 2 della legge reg. n. 13 del 2012
prevede ulteriori selezioni specifiche in aggiunta alle procedure utili per
ottenere la stabilizzazione ai sensi dell’art. 36, comma 2, della legge reg. n.
2 del 2007, mentre l’art. 2, comma 2, della legge reg. n. 17 del 2012 si limita
a ridefinire il termine di esaurimento delle selezioni aggiunte dalla prima
novella. La seconda modifica, dunque, s’innesta sulla nuova previsione
introdotta dalla prima e ne presuppone la perdurante vigenza, intervenendo
solamente sul termine di acquisizione dei requisiti per l’inquadramento a
domanda sulla base delle selezioni aggiuntive già introdotte dalla precedente
disposizione. Sicché, la materia del contendere non è cessata affatto, perché
la variazione del termine apportata dall’art. 2, comma 2, della legge reg. n.
17 del 2012 lascia inalterata la prima integrazione dell’art. 4 della legge
reg. n. 12 del 2012 con le selezioni contemplate dall’art. 2 della legge reg.
n. 13 del 2012.
6.2.– Secondo il Presidente del
Consiglio dei ministri, la disposizione dettata dall’art. 2 della legge reg.
Sardegna n. 13 del 2012 comporta un inquadramento riservato di personale
(assunto a tempo determinato), in contrasto con gli artt. 3, 51 e 97 Cost.,
nonché con l’art. 117, terzo comma, Cost., nell’ottica del coordinamento della
finanza pubblica.
Il ricorrente impugna, inoltre, l’art.
2, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2012, perché, nel modificare l’art.
4, comma 1, della legge reg. n. 12 del 2012 (come già interpolato dal censurato
art. 2 della legge reg. n. 13 del 2012), proroga al 30 giugno 2011 il termine
entro il quale ulteriori figure professionali di lavoratori precari
acquisiscono i requisiti per partecipare alle procedure di stabilizzazione. In
tal modo, la norma in esame non rispetterebbe, ai fini della stabilizzazione, i
limiti temporali previsti dalla normativa statale di cui all’art. 1, comma 558,
della legge n. 296 del 2006, incorrendo non solo nei vizi già denunciati a
carico dell’art. 2 della legge regionale n. 13 del 2012, ma anche nella
violazione del principio di coordinamento di finanza pubblica di cui all’art.
117, terzo comma, Cost., al quale la Regione, pur nel rispetto della sua
autonomia, non potrebbe mai derogare.
6.3.– Le questioni di legittimità
costituzionale di entrambe le disposizioni regionali succitate sono fondate in
riferimento agli artt. 3, 51 e 97 Cost.
6.3.1.– Se, infatti, l’art. 36, comma 2,
della legge reg. Sardegna n. 2 del 2007, con alcune esclusioni, disponeva la
stabilizzazione del personale con trenta mesi di lavoro precario all’attivo,
sempreché fosse stato assunto con procedure selettive concorsuali pubbliche,
l’impugnato art. 2 della legge reg. n. 13 del 2012 integra le categorie di
personale destinatarie d’inquadramento a domanda con ulteriori figure
professionali. E le identifica con quelle reclutate mediante selezioni
(analoghe a quelle specifiche già introdotte dall’art. 4 della legge reg. n. 12
del 2012 nella sua formulazione originaria) precedentemente non comprese e non
rigorosamente rispondenti ai caratteri di stretta concorsualità
pubblica previsti dalla normativa di riferimento del 2007. Ciò comporta la
violazione degli anzidetti parametri evocati, atteso che la Corte ha
ripetutamente dichiarato l’illegittimità di norme che disponevano
stabilizzazioni di personale precario delle pubbliche amministrazioni senza
prevedere la necessità del superamento di un concorso pubblico (ex plurimis,
sentenze n. 51
del 2012, n.
7 del 2011, n.
235 del 2010), ed ha più volte ritenuto eccessivamente generico, al fine di
autorizzare una successiva stabilizzazione senza concorso, il requisito del
previo superamento di una qualsiasi selezione, ancorché pubblica, «perché tale
previsione non garantisce che la previa selezione abbia natura concorsuale e
sia riferita alla tipologia e al livello delle funzioni che il personale
successivamente stabilizzato è chiamato a svolgere» (sentenza n. 127 del
2011, che richiama le sentenze n. 235 del 2010
e n. 293 del
2009).
6.3.2.– Le medesime ragioni che
inficiano l’art. 2 della legge reg. Sardegna n. 13 del 2012 minano, altresì,
l’art. 2, comma 2, della legge reg. n. 17 del 2012, che modifica il precedente
testo normativo riguardo al termine ultimo del periodo di lavoro temporaneo
utile per l’assunzione in pianta stabile del personale selezionato a norma
della prima disposizione impugnata.
6.3.3.– La seconda disposizione
censurata (art. 2, comma 2, della legge reg. n. 17 del 2012) è ulteriormente
viziata dal denunciato contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., per
violazione del principio fondamentale di coordinamento di finanza pubblica che
si evince dalla normativa statale in tema di stabilizzazione di cui all’art. 1,
comma 558, della legge n. 296 del 2006. Diversamente da quanto opinato dalla
Regione resistente, infatti, la citata normativa statale ammetteva alla
stabilizzazione soltanto personale non dirigenziale che avesse già maturato tre
anni di servizio alla data di entrata in vigore della medesima legge n. 296 del
2006 (in servizio in quel momento o alla luce del lavoro svolto nell’ambito del
quinquennio precedente), ovvero che fosse destinato a maturarli in forza di
contratti stipulati prima del 29 settembre 2006 e quindi, al massimo, tenuto
conto del triennio di servizio necessario, entro il 28 settembre 2009.
Per converso, la stabilizzazione del
personale regionale in esame, ricomprendendo lavoratori che abbiano svolto il
periodo utile di lavoro precario sino al 30 giugno 2011, sfora il limite
previsto dall’art. 1, comma 558, della legge n. 296 del 2006, in spregio all’art.
117, terzo comma, Cost. In proposito, questa Corte ha già avuto modo di
affermare che «le norme statali in tema di stabilizzazione dei lavoratori
precari costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza
pubblica» (sentenze n. 18 del 2013
e n. 310 del
2011).
La violazione del parametro
costituzionale anzidetto non è scongiurata dallo ius superveniens di cui all’art. 4, comma 6, del decreto-legge
31 agosto 2013, n. 101 (Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi
di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni), convertito in legge, con
modificazioni, nella legge 30 ottobre 2013, n. 125. Esso ha previsto, ma solo a
decorrere dal 1° settembre 2013 (data di entrata in vigore del citato d.l.),
l’avvio di nuove procedure concorsuali miranti all’assunzione a tempo
indeterminato, anche con contratti a tempo parziale, a favore di personale non
dirigenziale, con contratto a tempo determinato, che presenti, tra gli altri, i
requisiti di cui all’art. 1, comma 558, della legge n. 296 del 2006. Tuttavia,
diversamente dalla sopravvenuta disposizione statale con forza di legge, che
riserva il concorso a soggetti che possano vantare i periodi di lavoro precario
come cristallizzati dalla norma interposta richiamata dal Governo ricorrente,
la disposizione regionale impugnata, operativa già nel corso del 2012, incide,
prorogandola, sulla durata complessiva dei periodi di lavoro precario
spendibili per avere accesso alla procedura prevista dal piano regionale di
stabilizzazione. Stabilizzazione che, oltre tutto, si realizza nella
fattispecie in esame mediante inquadramento a domanda e, per di più, senza alcuna
considerazione per i vigenti vincoli finanziari e di assunzione, che sono,
invece, condizionanti secondo la nuova normativa statale sopra richiamata.
Pertanto, dev’essere
dichiarata l’illegittimità costituzionale, tanto dell’art. 2 della legge reg.
n. 13 del 2012, quanto dell’art. 2, comma 2, della legge reg. n. 17 del 2012.
7.– La questione di legittimità
costituzionale dell’art. 2, comma, 1, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2012,
sollevata in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., è parimenti fondata.
Il ricorrente lamenta a ragione la
lesione di principi fondamentali in materia di coordinamento pubblico, perché
la norma impugnata non rispetta, ai fini della stabilizzazione, i limiti
temporali previsti dalla normativa statale (art. 1, comma 558, della legge n.
296 del 2006).
Già si è detto supra,
infatti, che, contrariamente a quanto prospettato dalla Regione resistente, la
legge n. 296 del 2006 prevede un termine al triennio di lavoro utile per tutte
le categorie di personale stabilizzando, coincidente, al più tardi, con il 28
settembre 2009.
Di contro, la norma in esame, di
stabilizzazione del personale regionale, interessa tutti i lavoratori i quali
abbiano svolto il periodo prescritto di lavoro precario sino al 30 giugno 2011.
In tal modo, però, essa supera il limite previsto dall’art. 1, comma 558, della
legge n. 296 del 2006 e si pone in non sanabile contrasto con l’art. 117, terzo
comma, Cost., in quanto «le norme statali in tema di stabilizzazione dei
lavoratori precari costituiscono principi fondamentali di coordinamento della
finanza pubblica» (sentenze n. 18 del 2013
e n. 310 del
2011, già citate). Conclusione, questa, che non è minimamente scalfita, per
quanto si è detto al punto 6.3.3, in fine, dallo ius superveniens di cui all’art. 4, comma 6, del d.l. n. 101
del 2013.
Ne consegue l’illegittimità
costituzionale dell’art. 2, comma 1, della legge reg. n. 17 del 2012.
Restano assorbiti gli ulteriori profili
d’illegittimità sollevati dal Presidente del Consiglio dei ministri.
8.– La questione di legittimità
costituzionale dell’art. 2, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2012,
sollevata per contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. nell’ottica del
coordinamento della finanza pubblica, nonché con gli artt. 3, 51 e 97 Cost., è
fondata sotto il profilo della lesione dei principi di uguaglianza e di buon
andamento dell’amministrazione.
Con la norma impugnata, invero, il
legislatore regionale ha parificato ai periodi di lavoro utile ai fini della
stabilizzazione regolata dall’art. 36, comma 2, della legge reg. n. 2 del 2007,
svolti secondo quanto da esso previsto in forza di contratto di lavoro a
termine, o di forme contrattuali flessibili o atipiche, presso
l’amministrazione regionale, gli enti o le agenzie regionali rientranti nel
comparto di contrattazione regionale di cui alla legge della Regione autonoma
Sardegna 13 novembre 1998, n. 31 (Disciplina del personale regionale e
dell’organizzazione degli uffici della Regione), i periodi lavorativi di
tirocinio formativo retribuito e le pregresse attività lavorative presso gli
enti locali territoriali e le altre pubbliche amministrazioni. Gli uni e gli
altri, però, non sono omogenei rispetto al lavoro precario prestato presso
l’amministrazione regionale. I periodi di lavoro in tirocinio, perché non sono
equivalenti a quelli di lavoro reso, ancorché in posizione precaria, a
beneficio della suddetta amministrazione, presentando una significativa
componente formativa che è nell’esclusivo interesse del lavoratore tirocinante.
I periodi di lavoro presso gli enti locali territoriali e le altre pubbliche
amministrazioni, perché non vi è alcuna garanzia che siano utilmente spendibili
nel preconizzato svolgimento in pianta stabile di funzioni di competenza
regionale. In entrambi i casi, insomma, si tratta di esperienze non
assimilabili per qualità e pregnanza a quelle direttamente maturate presso l’amministrazione
regionale sarda, la cui equiparazione risulta, pertanto, lesiva dei principi di
parità di trattamento e di buon andamento dell’attività regionale desumibili
agli artt. 3 e 97 Cost.
L’art. 2, comma 3, della legge reg. n.
17 del 2012 dev’essere, dunque, dichiarato
illegittimo, con conseguente assorbimento della censura della medesima
disposizione prospettata in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.
9.– La questione di legittimità
costituzionale dell’art. 3, commi 1 e 2, della legge reg. Sardegna n. 13 del
2012, promossa in relazione all’art. 117, terzo comma, Cost., è fondata nei
termini di seguito precisati.
Tali disposizioni sanciscono il
prolungamento dei termini di durata dei contratti di lavoro a tempo determinato
di cui all’art. 6, comma 8, della legge reg. Sardegna n. 16 del 2011, in quanto
non rinnovati dalle soppresse Province sarde, prescrivendone la stipulazione
immediata ad iniziativa dei dirigenti delle attuali gestioni provvisorie
competenti in materia di personale.
A breve distanza dalla data di entrata
in vigore della legge reg. n. 13 del 2012, questa Corte ha dichiarato
illegittimo, in quanto lesivo del principio di coordinamento di finanza
pubblica, l’art. 6, comma 8, della legge regionale n. 16 del 2011, là dove
disponeva uno stanziamento per finanziare la stipulazione dei contratti a tempo
determinato onde poter proseguire l’attività lavorativa del personale in
servizio presso i Centri servizi per il lavoro (CSL), i Centri servizi
inserimento lavorativo (CESIL) e le Agenzie di sviluppo locale. E ciò, proprio
perché tale disposizione regionale non si atteneva al limite fissato dall’art.
9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010 (sentenza n. 212 del
2012, già citata).
Il venir meno della norma che già
autorizzava la stipulazione dei contratti a termine formanti oggetto del
prescritto rinnovo non priva di attualità la questione in esame. La
disposizione in questa sede impugnata, infatti, non fa altro che imporre alle
gestioni provvisorie delle Province soppresse il sostanziale rinnovo dei
contratti («a tempo determinato per la prosecuzione dell’attività lavorativa
del personale in servizio [presso CSL, CESIL e Agenzie di sviluppo locale] alla
data di promulgazione della legge regionale n. 3 del 2008», come recitava il caducato art. 6, comma 8, cit.) che, alla data di
approvazione della legge reg. n. 13 del 2012, le amministrazioni provinciali
non avessero ancora concluso.
Pertanto, avendo già questa Corte ravvisato
l’illegittimità della norma che aveva rimesso alle Province la stipulazione di
tali rinnovi contrattuali (con la conseguenza della sopravvenuta invalidità di
quelli sottoscritti nelle more), altrettanto deve dirsi della norma in esame,
che ribadisce un ulteriore prolungamento della loro durata presso le gestioni
provvisorie. E ciò, sempre per violazione dell’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78
del 2010, pacificamente riconosciuto nella giurisprudenza di questa Corte come
principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica (a partire dalla
sentenza n. 173
del 2012).
Tanto basta per dichiarare
l’illegittimità dell’art. 3 della legge reg. Sardegna n. 13 del 2012.
10.– Per le medesime ragioni è fondata,
altresì, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 5, della
legge reg. Sardegna n. 17 del 2012, che ha esteso agli operatori di tutela
ambientale già in servizio presso le amministrazioni provinciali le disposizioni
dell’art. 3 della legge reg. n. 13 del 2012. E ciò perché, al pari della
predetta norma, e per gli stessi vizi denunciati a suo carico (il che
giustifica in tale contesto la sostanziale ripetizione dei motivi di censura a
suo tempo enunciati avverso il citato art. 3), la disposizione in oggetto viola
l’art. 117, terzo comma, Cost., con l’interposizione del principio fondamentale
di coordinamento di finanza pubblica di cui all’art. 9, comma 28, del d.l. n.
78 del 2010.
L’obiezione della difesa regionale
secondo cui, trattandosi di contratti scaduti nel biennio 2011-2012, la
resistente si sarebbe già attenuta (fino a prova contraria) al limite di spesa
di fonte statale, non regge. All’opposto, proprio perché la legge regionale non
prevede chiaramente il rispetto del limite di spesa imposto dal legislatore
statale a decorrere dal 2011 (e quindi anche per gli anni successivi), è la
Regione autonoma Sardegna che avrebbe dovuto fornire adeguati elementi di
riscontro all’asserita osservanza di essi.
Peraltro, per gli enti locali (comprese
le Province) il vincolo finanziario in oggetto è stato introdotto con
l’integrazione apportata al sopra richiamato art. 9, comma 28, del d.l. n. 78
del 2010 dall’art. 4, comma 102, della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di
stabilità 2012), che è entrata in vigore il 1° gennaio 2012 (art. 36). Sicché,
non v’è alcuna garanzia che la spesa del 2011 relativa ai contratti di lavoro
in oggetto presso gli enti provinciali fosse già stata spontaneamente contenuta
nei limiti stabiliti dalla norma statale menzionata.
Va, quindi, dichiarata l’illegittimità
costituzionale, altresì, dell’art. 2, comma 5, della legge reg. n. 17 del 2012.
11.– Anche la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2012,
che ha introdotto il nuovo disposto dell’art. 6, comma 8, della legge reg. n.
16 del 2011, è fondata, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.
Con la più volte citata sentenza n. 212 del
2012 questa Corte ha dichiarato illegittimo, in quanto lesivo del principio
di coordinamento di finanza pubblica, l’art. 6, comma 8, della legge regionale
n. 16 del 2011, là dove disponeva uno stanziamento per finanziare la
stipulazione dei contratti a tempo determinato per la prosecuzione
dell’attività lavorativa del personale in servizio presso i Centri servizi per
il lavoro, i Centri servizi inserimento lavorativo e le Agenzie di sviluppo
locale. E ciò perché tale disposizione regionale non richiamava e, quindi, non
considerava il tetto di spesa fissato dall’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del
2010.
Orbene, neppure la nuova formulazione
dell’art. 6, comma 8, della legge reg. n. 16 del 2011, quale risulta dalla
disposizione in esame, tiene conto del limite posto dall’art. 9, comma 28, del
d.l. n. 78 del 2010.
È pur vero che la lettera della norma
impugnata, come rilevato dalla difesa regionale, differisce dal testo
originario dello stesso art. 6, comma 8, già dichiarato illegittimo dalla
Corte, che disponeva uno stanziamento direttamente inteso a finanziare la
stipulazione dei contratti a tempo determinato per la prosecuzione
dell’attività lavorativa del personale in servizio presso i CSL, i CESIL e le
Agenzie di sviluppo locale. La differenza lessicale si coglie nel senso che,
nel testo sostituito dall’ora censurato art. 1, comma 1, la spesa ivi prevista
è collegata, in effetti, al più generico fine di garantire l’esercizio del
servizio pubblico disciplinato dalla legge reg. n. 20 del 2005 al quale sono
preposti i Centri servizi per il lavoro (CSL), i Centri servizi inserimento
lavorativo (CESIL) e le Agenzie di sviluppo locale.
Milita, tuttavia, a favore della
sussistenza del vizio denunciato anche a carico della nuova disposizione, il
dato decisivo che la spesa stanziata è la stessa della norma previgente caducata e che essa incide anche stavolta sulle
disponibilità recate dal fondo regionale per l’occupazione. Sicché, anche a
prescindere dall’esposizione al sospetto di una (non espressamente denunciata)
elusione del giudicato costituzionale, la norma impugnata non esclude e,
dunque, consente che la spesa ivi autorizzata possa essere tuttora utilizzata
per attingere lavoratori a termine o con altre tipologie di lavoro flessibile,
ma una volta di più senza richiamare il rispetto del limite di cui all’art. 9,
comma 28, del d.l. n. 78 del 2010. In tale prospettiva, la possibilità che ne
deriva alla Regione, di procedere ad assunzioni a tempo determinato comportanti
una spesa superiore a quella massima stabilita dalla legislazione statale di
principio, determina una patente violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.
Pertanto, dev’essere
dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge
reg. n. 17 del 2012.
12.– Le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 6, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2012,
invece, non sono fondate.
La norma impugnata, infatti, si limita
ad ampliare ai contratti di lavoro autonomo le tipologie degli incarichi per
prestazioni d’opera intellettuale che i gruppi consiliari possono affidare, per
oggetti determinati e durata non superiore a quella della legislatura, senza
con ciò incrementarne il numero e il costo. Così intesa, non si tratta di una
norma di spesa, ma di organizzazione (sentenza n. 7 del
2011), ergo rientrante nella materia dell’«ordinamento degli uffici e degli
enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del
personale», di competenza esclusiva della Regione ai sensi dell’art. 3, comma
l, lettera a), dello statuto speciale. In tale prospettiva, oltre tutto, la
norma in oggetto si presta ad un’interpretazione rigorosamente aderente ai
vincoli posti dall’art. 117, terzo comma, Cost., con l’interposizione dell’art.
9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, e dall’art. 81, quarto comma, Cost.
In buona sostanza, la prevista
utilizzazione dei professionisti intellettuali con contratti di lavoro autonomo
(e non più, come in passato, soltanto con incarichi libero-professionali), è sì
possibile, ma solo nell’implicito e doveroso rispetto dei limiti posti dal
legislatore statale con l’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010 e, dunque,
a parità di spesa complessiva, donde l’insussistenza del dedotto contrasto con
i parametri costituzionali evocati.
per
questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2 della legge della Regione
autonoma Sardegna 26 giugno 2012, n. 13 (Rimodulazione del quadro degli
interventi regionali a sostegno delle politiche del lavoro e disposizioni in
materia di contratti a termine);
2) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione
autonoma Sardegna n. 13 del 2012;
3) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge della
Regione autonoma Sardegna 13 settembre 2012, n. 17, recante «Finanziamento agli
enti locali per il funzionamento dei Centri servizi per il lavoro (CSL), dei
Centri servizi inserimento lavorativo (CESIL) e delle Agenzie di sviluppo
locale e disposizioni varie»;
4) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, commi 1, 2, 3 e 5 della legge
della Regione autonoma Sardegna n. 17 del 2012;
5) dichiara
non fondate le questioni di legittimità dell’art. 6, comma 1, della legge della
Regione autonoma Sardegna n. 17 del 2012, promosse, in riferimento agli articoli
117, terzo comma, e 81 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei
ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 novembre 2013.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Luigi MAZZELLA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 22 novembre
2013.