SENTENZA N. 88
ANNO 2019
Commento
alla decisione di
Guglielmo
Leo
Novità
dalla Consulta in materia di omicidio e lesioni stradali
per g.c. di Diritto
Penale Contemporaneo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta
dai signori:
Presidente:
Giorgio LATTANZI;
Giudici:
Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,
Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO,
Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco
VIGANÒ, Luca ANTONINI,
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nei
giudizi di legittimità costituzionale dell’art.
590-quater del codice penale, inserito dall’art. 1, comma 2, della legge 23
marzo 2016, n. 41 (Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di
lesioni personali stradali, nonché disposizioni di coordinamento al decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e al decreto legislativo 28 agosto 2000, n.
274), e dell’art.
222, commi 2 e 3-ter, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo
codice della strada), come modificato dall’art. 1, comma 6, lettera b), numeri 1)
e 2), della legge n. 41 del 2016, promossi dal Giudice dell’udienza
preliminare del Tribunale ordinario di Roma e dal Tribunale ordinario di
Torino, con ordinanze
del 16 maggio 2017 e dell’8
giugno 2018, iscritte rispettivamente al n. 144 del registro ordinanze 2017
e al n. 139 del registro ordinanze 2018 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2017 e n. 40, prima
serie speciale, dell’anno 2018.
Visti
gli atti di costituzione di F. M. e di M. V., nonché gli atti di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito
nella udienza pubblica del 19 febbraio 2019 il Giudice relatore Giovanni
Amoroso;
uditi
gli avvocati Massimiliano Cataldo per F. M., Riccardo Salomone per M. V. e
l’avvocato dello Stato Carlo Sica per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.–
Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Roma, con
ordinanza del 16 maggio 2017 (r.o. n. 144 del 2017),
ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 590-quater del
codice penale, inserito dall’art. 1, comma 2, della legge 23 marzo 2016, n. 41
(Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali
stradali, nonché disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile
1992, n. 285, e al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274), in riferimento agli
artt. 3, 25, secondo comma, e
27 della Costituzione,
nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza e di equivalenza
dell’attenuante speciale di cui all’art. 589-bis cod. pen.
1.1.–
In punto di fatto il rimettente, che riferisce essere in sede di giudizio
abbreviato, premette che il pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio
dell’imputato per i reati di cui agli artt. 589-bis, secondo e ottavo comma,
cod. pen. e 186, comma 2, lettera c), del decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) e che
all’udienza del 28 febbraio 2017 il difensore dell’imputato ha sollevato
l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 590-quater cod. pen.
In
particolare, il rimettente riferisce che l’imputato è stato tratto a giudizio
per i suddetti reati per avere guidato un’autovettura in stato di ebbrezza e
per avere tamponato un autocarro, in tal modo provocando la morte di uno dei
soggetti trasportati su quest’ultimo mezzo, nonché il ferimento di un altro
trasportato e del guidatore dello stesso (fatto avvenuto dopo l’entrata in vigore
della legge n. 41 del 2016). Rileva, inoltre, che dagli atti emergono diversi
elementi che, all’esito del giudizio abbreviato potrebbero comportare
l’attribuzione di responsabilità concorrenti con quelle dell’imputato, atteso
che il guidatore dell’autocarro tamponato era a sua volta sotto l’effetto di
sostanze stupefacenti del tipo cocaina, sicché anche la sua condotta di guida
potrebbe avere risentito di tale stato contribuendo al sinistro; che il
trasportato deceduto non indossava la cintura di sicurezza; che il tratto di
strada su cui è avvenuto il sinistro presentava illuminazione non funzionante.
L’accertamento
di uno o più di queste concause del sinistro comporterebbe l’applicazione della
circostanza attenuante di cui all’art. 589-bis, settimo comma, cod. pen. con conseguente diminuzione della pena fino alla metà.
Tale diminuente potrebbe però operare solo sulla quantità di pena determinata
ai sensi della circostanza aggravante di cui all’art. 589-bis, secondo comma,
cod. pen., poiché l’art. 590-quater cod. pen. impedisce il bilanciamento delle circostanze
aggravanti ed attenuanti per il reato di omicidio stradale.
In
particolare, il rimettente dà atto che nel capo di imputazione è stata
contestata la circostanza aggravante di aver guidato in stato di ebbrezza (art.
589-bis, secondo comma, cod. pen.); ricorre poi anche
l’aumento di pena previsto dell’art. 589-bis, ottavo comma, cod. pen., per aver provocato la morte di una persona e lesioni
personali ad altre due.
Pertanto,
in caso di condanna, qualora il giudice dovesse riconoscere la sussistenza
della diminuente del concorso di colpa, dovrebbe essere applicato prima
l’aumento di pena per l’aggravante e soltanto dopo la diminuzione di pena per
la circostanza attenuante, stante il predetto divieto di bilanciamento delle
circostanze.
In
punto di non manifesta infondatezza, il rimettente dà atto che la norma
introduce, per i reati di cui agli artt. 589-bis e 590-bis cod. pen., una deroga alla disciplina generale prevista dagli
artt. 63 e seguenti cod. pen. In tal modo – osserva
il rimettente – è stato esteso ai delitti di omicidio stradale e lesioni
personali stradali il meccanismo di limitazione della discrezionalità del
giudice penale nella valutazione degli aumenti e della diminuzione della pena,
già previsto in relazione ad altre ipotesi.
Al
riguardo, il rimettente cita il divieto di prevalenza delle circostanze
attenuanti previsto dall’art. 69, quarto comma, cod. pen.
a seguito della modifica introdotta dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251
(Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di
attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle
circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), con
riferimento alla recidiva reiterata di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.
In
ordine alla legittimità, in via generale, di tale divieto il rimettente
richiama la giurisprudenza di questa Corte secondo cui le deroghe all’ordinaria
disciplina del bilanciamento delle circostanze non devono trasmodare nella
manifesta irragionevolezza; in particolare, le sentenze n. 105 del
2014 e n.
251 del 2012 che hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale del
divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti in particolari ipotesi.
Il
rimettente osserva che, ricorrendo la diminuente di cui al settimo comma
dell’art. 589-bis cod. pen., la pena prevista
dall’art. 589-bis, primo comma, cod. pen. (da due a
sette anni) può ridursi fino al minimo di un anno di reclusione. Ricorrendo,
invece, l’aggravante di cui al secondo comma della medesima disposizione (pena
da otto a dodici anni di reclusione), la pena minima di otto anni di reclusione
potrebbe essere diminuita, ai sensi del settimo comma dell’art. 589-bis cod. pen. in caso di riconoscimento di concorso di colpa della
parte offesa, a quattro anni di reclusione.
Là
dove il divieto di bilanciamento delle circostanze previsto dalla disposizione
censurata non operasse, potrebbe aversi, in caso di prevalenza della
circostanza attenuante, la diminuzione fino alla metà sulla pena prevista per
il delitto base sicché dal minimo edittale di due anni si scenderebbe a un anno
di reclusione.
Il
risultato complessivo è che per effetto dell’art. 590-quater cod. pen. l’imputato subisce un aumento della cornice edittale
pari al quadruplo.
Sottrarre
al giudice la possibilità di valutare nel caso concreto la prevalenza della
diminuente rispetto all’aggravante contestata potrebbe comportare un aumento
sproporzionato di pena anche nel caso di percentuale minima di colpa
dell’imputato; ad esempio – osserva il giudice rimettente – in un caso in cui
fosse accertato nei confronti del soggetto che si sia posto alla guida in stato
di ebbrezza alcoolica una colpa dell’evento mortale pari a una percentuale
dell’1 per cento e del 99 per cento in capo al soggetto rimasto ucciso la pena
minima sarà pur sempre di quattro anni, non potendo in alcun modo essere valutata
la circostanza che la colpa sia minima e quindi come prevalente sulla
circostanza della guida in stato di ebbrezza. In sostanza la pena subisce un
aumento esorbitante e inevitabile solo per effetto dello stato di ebbrezza e
non in relazione all’effettivo contributo causale della condotta del colpevole.
Il legislatore attribuirebbe eccessiva considerazione all’integrazione
dell’aggravante dello stato di ebbrezza, senza tener conto che l’ipotesi di
guida in stato di ebbrezza è punita a titolo contravvenzionale dall’art. 186
cod. strada.
In
sintesi, il divieto di bilanciamento delle circostanze del reato, previsto
dalla disposizione censurata (art. 590-quater cod. pen.),
ha l’effetto che la fattispecie dell’omicidio stradale aggravato dalla guida in
stato di ebbrezza (art. 589-bis, secondo comma, cod. pen.)
risulta punita in misura sproporzionata rispetto alla fattispecie di omicidio
stradale non aggravato così compromettendo anche la finalità rieducativa della
pena.
1.2.–
Nel presente giudizio di costituzionalità si è costituito l’imputato F.M. e,
condividendo le argomentazioni dell’ordinanza di rimessione in punto di
irragionevolezza della cornice edittale del contestato reato, ha concluso per
la dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione censurata.
1.3.–
Con atto depositato il 7 novembre 2017 è intervenuto nel presente giudizio di
legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo di
dichiarare le questioni non fondate, vertendosi in un settore in cui è ampia la
discrezionalità del legislatore e in particolare in relazione a una condotta
che ben può prevedere un trattamento sanzionatorio particolarmente severo
trattandosi di soggetti che avendo già commesso un reato (guida in stato di
ebbrezza) ne provocano un altro più grave.
2.–
Il Tribunale ordinario di Torino, con ordinanza dell’8 giugno 2018 (r.o. n. 139 del 2018), in accoglimento dell’eccezione della
difesa dell’imputata, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost.,
questioni di legittimità costituzionale della medesima disposizione (art.
590-quater cod. pen.), nella parte in cui prevede il
divieto di prevalenza e di equivalenza dell’attenuante speciale contemplata
dall’art. 590-bis, settimo comma, cod. pen.
Inoltre,
ha contestualmente sollevato, in riferimento all’art. 3 Cost., questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 222, commi 2 e 3-ter, cod. strada, come
modificato dall’art. 1, comma 6, lettera b), numeri 1) e 2), della legge n. 41
del 2016, nella parte in cui, in caso di omicidio stradale o di lesioni
personali stradali, prevedono rispettivamente la sanzione amministrativa della
revoca della patente di guida e l’impossibilità di conseguire una nuova patente
di guida prima che siano decorsi cinque anni dalla revoca.
2.1.–
Il rimettente dà atto che procede nei confronti dell’imputata per il delitto di
lesioni personali stradali gravi (art. 590-bis cod. pen.),
con il concorso dell’aggravante di cui al quinto comma di tale disposizione e
la diminuente di cui al successivo settimo comma, perché, alla guida
dell’autovettura, per negligenza, imprudenza, imperizia e violando le norme in
materia di circolazione stradale, in particolare, non rispettando l’indicazione
luminosa del semaforo proiettante luce rossa per i veicoli, investiva un pedone
che stava impegnando l’attraversamento pedonale, procurando a quest’ultimo
«lesioni personali (fratture maxillo-facciali, trauma cranico, frattura
scapola) giudicate guaribili in giorni 60 s.c.», con il concorso di colpa della
parte offesa che a propria volta attraversava l’intersezione stradale con luce
semaforica rossa per i pedoni (fatto avvenuto dopo l’entrata in vigore della legge
n. 41 del 2016).
Il
giudice a quo osserva che, non potendo attribuire all’imputata un grado di
colpa maggiore di quello contenuto nel capo d’imputazione, necessariamente
dovrà tener conto del concorso di colpa della persona offesa che ha
attraversato la strada allorquando il semaforo, proiettando la luce rossa, le
indicava l’obbligo di fermarsi.
Pertanto,
l’applicazione dell’attenuante del settimo comma dell’art. 590-bis cod. pen. rende rilevanti le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 590-quater cod. pen. che
impedisce di ritenere l’attenuante equivalente o prevalente rispetto
all’aggravante – contestata nel capo d’imputazione – di avere l’imputata, alla
guida della propria autovettura, attraversato anch’essa l’incrocio con semaforo
proiettante luce rossa per i veicoli; aggravante prevista dal quinto comma,
numero 2), dell’art. 590-bis cod. pen.
Di
conseguenza, il giudice potrebbe ridurre la pena per l’attenuante del concorso
di colpa esclusivamente fino alla metà della pena prevista per il delitto
aggravato ai sensi del quinto comma dell’art. 590-bis cod. pen.
(pena prevista: da un anno e sei mesi a tre anni) e dunque fino al minimo di
mesi nove di reclusione. Se invece fosse possibile il bilanciamento, in caso di
ritenuta equivalenza delle circostanze la pena minima potrebbe essere quella di
mesi tre di reclusione e, in ipotesi di prevalenza dell’attenuante, la pena
minima potrebbe essere quella di mesi uno e giorni quindici di reclusione.
Il
giudice a quo, in punto di non manifesta infondatezza, richiama la suddetta
ordinanza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Roma
e le argomentazioni in essa contenute.
In
particolare, rileva che questa Corte si è già espressa nel senso della
illegittimità di una disposizione analoga a quella censurata, affermando che le
deroghe al bilanciamento delle circostanze possono essere ritenute
costituzionalmente legittime, purché non trasmodino nella manifesta
irragionevolezza o nell’arbitrio e se non determinano un’alterazione degli
equilibri costituzionalmente imposti nella struttura della responsabilità
penale (sentenza
n. 251 del 2012).
Secondo
il rimettente, per effetto del divieto di cui all’art. 590-quater cod. pen., si ha un indiscriminato incremento del minimo, pari a
sei volte, ed è impedito al giudice di parametrare la pena all’effettivo grado
di colpa dell’imputato in rapporto a quella degli altri soggetti che hanno
concorso a causare l’evento.
Tale
limitazione della discrezionalità del giudice nella valutazione del fatto è
arbitraria e irragionevole, in quanto si tratta di una pena eccessiva che lede
anche il principio di rieducazione del colpevole, perché non proporzionata al
reale disvalore della condotta punita.
2.2.–
Inoltre, il giudice rimettente rileva che, in caso di condanna dell’imputata,
sarà chiamato a fare applicazione della sanzione amministrativa prevista
dall’art. 222 cod. strada disponendo la revoca della patente di guida.
Il
comma 2 di tale disposizione, nella versione precedente a quella attualmente in
vigore, graduava i tempi della sospensione della patente in funzione dei danni
cagionati alla persona offesa. La revoca della patente era prevista per
l’ipotesi di lesioni causate da soggetti che avevano guidato in stato di
alterazione psicofisica da ebbrezza alcoolica o sotto l’effetto di sostanze
stupefacenti.
A
seguito della modifica apportata dalla legge n. 41 del 2016, alla condanna, o
all’applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 del
codice di procedura penale, per i reati di cui agli artt. 589-bis e 590-bis
cod. pen. consegue in ogni caso la revoca della
patente di guida, anche nel caso in cui sia stata concessa la sospensione
condizionale della pena.
Sempre
la legge n. 41 del 2016 ha introdotto altresì il comma 2-ter nell’art. 222 cod.
strada in forza del quale l’interessato non può poi conseguire una nuova
patente di guida prima che siano decorsi cinque anni dalla revoca; tale termine
è raddoppiato nel caso in cui l’interessato sia stato in precedenza condannato
per i reati di cui all’art. 186, commi 2, lettere b) e c), e 2-bis, ovvero di
cui all’art. 187, commi l e 1-bis, cod. strada. Il termine è ulteriormente
aumentato sino a dodici anni nel caso in cui l’interessato non abbia
ottemperato agli obblighi di cui all’art. 189, comma 1, e si sia dato alla
fuga.
Secondo
il giudice rimettente vi è un primo profilo di irragionevolezza: la
contraddittoria contemporanea previsione della sospensione e della revoca della
patente. Inoltre, la scelta del legislatore travalicherebbe i limiti della
ragionevolezza perché sottopone, senza possibilità dì graduazione, alla
medesima sanzione accessoria situazioni la cui ontologica diversità è invece
attestata dalla notevole differenziazione delle sanzioni penali, graduate in
funzione di un diverso disvalore sociale.
L’art.
222, comma 2, cod. strada non lascia al giudice alcuna possibilità di
commisurare la sanzione accessoria alla gravità del danno, alle modalità della condotta,
all’intensità della colpa e al concorso di altri fattori (quali, ad esempio, il
concorso di colpa della persona offesa).
Il
legislatore, pur avendo differenziato sul piano della sanzione penale le
fattispecie delle lesioni colpose (art. 590-bis cod. pen.)
e dell’omicidio colposo (art. 589-bis cod. pen.)
secondo specifiche violazioni del codice della strada e pur avendo attribuito
un diverso disvalore alle condotte dettagliatamente descritte come circostanze
aggravanti, non ha poi trasposto tale distinzione nell’art. 222 cod. strada
laddove ha disciplinato in modo uniforme e indifferenziato la sanzione
amministrativa accessoria della revoca della patente di guida.
Anche
in relazione al perseguimento di finalità preventive il legislatore non può travalicare
i limiti della ragionevolezza senza incorrere in censure di incostituzionalità.
2.3.–
Con atto depositato in data 25 ottobre 2018, si è costituita l’imputata M. V.
che, rappresentata dal difensore, ha aderito alle argomentazioni svolte
nell’ordinanza di rimessione chiedendo la dichiarazione di illegittimità
costituzionale delle disposizioni censurate.
2.4.–
Con atto depositato il 30 ottobre 2018 è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, sostenendo la non fondatezza delle questioni di legittimità
costituzionale.
In
particolare, con riferimento all’art. 222 cod. strada, l’Avvocatura osserva che
l’obbligatorietà dell’irrogazione della sanzione amministrativa della revoca
della patente di guida, con chiara e spiccata finalità preventiva e non
repressiva, in ogni caso di omicidio stradale o di lesioni personali stradali
gravi o gravissime, deriva da una scelta rientrante nei limiti dell’esercizio
ragionevole del potere legislativo.
Considerato
in diritto
1.–
Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Roma, con
ordinanza del 16 maggio 2017 (r.o. n. 144 del 2017),
ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 590-quater del
codice penale, inserito dall’art. 1, comma 2, della legge 23 marzo 2016, n. 41
(Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali
stradali, nonché disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile
1992, n. 285, e al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274), in riferimento
agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27 della Costituzione, nella parte in cui
prevede, in caso di omicidio stradale (art. 589-bis cod. pen.),
il divieto di prevalenza e di equivalenza dell’attenuante speciale di cui al
settimo comma di tale ultima disposizione, secondo cui «qualora l’evento non
sia esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole la pena è
diminuita fino alla metà».
Secondo
il giudice rimettente la norma censurata violerebbe gli artt. 3, 25, secondo
comma, e 27 Cost., in quanto determina un trattamento sanzionatorio di per sé
irragionevole e sproporzionato dal momento che il giudice – non potendo
procedere ad un giudizio di prevalenza o di equivalenza della circostanza
attenuante di cui al settimo comma dell’art. 589-bis cod. pen.
– deve applicare una pena minima di otto anni sulla quale operare la riduzione
della circostanza attenuante, così da dover comminare la pena minima di quattro
anni di reclusione, mentre, se tale divieto non operasse e l’attenuante fosse
ritenuta prevalente sull’aggravante di cui al secondo comma dell’art. 589-bis
cod. pen. (guida in stato di ebbrezza alcoolica),
potrebbe irrogare la pena minima di un anno di reclusione.
Inoltre,
sottraendo al giudice la possibilità di verificare in concreto la prevalenza
della circostanza attenuante di cui all’art. 589-bis, settimo comma, cod. pen., sulle circostanze aggravanti contestate, il divieto
di bilanciamento previsto dalla disposizione censurata comporta uno
sproporzionato aumento di pena anche nel caso in cui si accerti che la condotta
di colui che si è posto alla guida di un veicolo a motore abbia contribuito
causalmente al verificarsi dell’evento letale in una percentuale minima, anche
dell’1 per cento, rispetto alla condotta del soggetto rimasto ucciso.
Osserva
ulteriormente il giudice rimettente che, non essendovi alcuna sostanziale
differenza tra l’ipotesi «speciale» di omicidio stradale di cui all’art.
589-bis cod. pen. e le altre forme di omicidio
colposo sanzionate dall’art. 589 cod. pen. (in caso
di colpa medica o di infortunio sul lavoro), non risponde a equità un
trattamento sanzionatorio che consente solo nell’ipotesi di omicidio colposo non
stradale aggravato, attraverso il giudizio di bilanciamento delle circostanze,
l’irrogazione di una pena minima di sei mesi, mentre per l’omicidio stradale
aggravato, ricorrendo l’attenuante suddetta, la pena minima è di quattro anni
di reclusione.
Altresì,
il trattamento sanzionatorio che consegue al divieto di equivalenza e di
prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 589-bis, settimo comma,
cod. pen. si porrebbe in contrasto anche con il
principio di necessaria finalizzazione rieducativa della pena, trattandosi di
pena percepita come ingiusta dal reo.
2.–
Il Tribunale ordinario di Torino, con ordinanza dell’8 giugno 2018 (r.o. n. 139 del 2018), ha sollevato questioni di
legittimità costituzionale del medesimo art. 590-quater cod. pen., negli stessi termini, denunciando la sospetta
violazione degli artt. 3 e 27 Cost., in quanto il divieto di prevalenza o di
equivalenza della circostanza attenuante di cui al settimo comma dell’art.
590-bis cod. pen. e il conseguente obbligo di
riconoscere la diminuzione solo sulla pena aggravata, comportano che al
soggetto al quale sia contestata una delle aggravanti di cui all’art. 590-bis
cod. pen., in caso di lesioni personali stradali
gravi, debba essere applicata una pena minima che, ove sia riconosciuto il
concorso di colpa della parte offesa, è di nove mesi di reclusione (un anno e
mesi sei di reclusione, ridotti della metà), mentre là dove fosse possibile il
bilanciamento e segnatamente la prevalenza dell’attenuante, la pena minima
irrogabile sarebbe pari a un mese e quindici giorni di reclusione (tre mesi di
reclusione, ridotti della metà), così determinando un trattamento sanzionatorio
irragionevole e in contrasto con la finalità rieducativa della pena.
Ritiene
il giudice rimettente che la disposizione censurata assoggetta a sanzione
eccessiva chi è ritenuto responsabile di lesioni stradali con colpa minima,
aggravate (come nella specie) ai sensi del quinto comma dell’art. 590-bis cod. pen. (attraversamento di un’intersezione stradale con il
semaforo disposto al rosso) e, nel complesso, impedisce al giudice di
parametrare la pena all’effettivo grado di colpa dell’imputato in rapporto a
quella degli altri soggetti che hanno concorso a causare l’evento.
2.1.–
Inoltre, lo stesso Tribunale ordinario di Torino ritiene che l’art. 222, commi
2 e 3-ter, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della
strada) – come modificato, dall’art. 1, comma 6, lettera b), numeri 1) e 2),
della legge n. 41 del 2016 – nella parte in cui prevede, in caso di condanna
per il reato di omicidio stradale o di lesioni personali stradali gravi o
gravissime, rispettivamente la revoca della patente di guida (comma 2) e
l’impossibilità di conseguire una nuova patente di guida prima che siano
decorsi cinque anni dalla revoca (comma 3-ter), contrasti con l’art. 3 Cost.
sotto il profilo della violazione dei principi di proporzionalità,
ragionevolezza e uguaglianza, in quanto sottopone – senza possibilità di
commisurare la sanzione amministrativa accessoria alla gravità del danno, alle
modalità della condotta, all’intensità della colpa e al concorso di altri
fattori – alla medesima sanzione accessoria della revoca della patente
situazioni, la cui ontologica diversità emerge dalla notevole differenziazione
delle sanzioni penali, graduate in funzione del diverso disvalore sociale,
ponendo sullo stesso piano tutte le ipotesi di lesioni gravi o gravissime (art.
590-bis cod. pen.) e di omicidio stradale (art.
589-bis cod. pen.).
3.–
Le due ordinanze di rimessione pongono questioni di costituzionalità
strettamente connesse e pertanto i relativi giudizi incidentali possono essere
riuniti e decisi con un’unica pronuncia.
4.–
La questione avente ad oggetto l’art. 222, comma 3-ter, cod. strada, sollevata
dal solo Tribunale ordinario di Torino, è inammissibile per difetto di
rilevanza.
La
disposizione censurata prevede che, nel caso di applicazione della sanzione
accessoria della revoca della patente di guida di cui al quarto periodo del
comma 2 del medesimo art. 222 per i reati di cui agli artt. 589-bis, primo
comma, e 590-bis cod. pen., l’interessato non può
conseguire una nuova patente di guida prima che siano decorsi cinque anni dalla
revoca. Tale termine è raddoppiato nel caso in cui l’interessato sia stato in
precedenza condannato per i reati di cui all’art. 186, commi 2, lettere b) e
c), e 2-bis, ovvero di cui all’art. 187, commi 1 e 1-bis, cod. strada. Il
termine è ulteriormente aumentato sino a dodici anni nel caso in cui
l’interessato non abbia ottemperato agli obblighi di cui all’art. 189, comma 1,
e si sia dato alla fuga.
Nel
precedente comma 3-bis della medesima disposizione, non investito dalle censure
del giudice rimettente, è prevista una durata di quindici anni per poter
conseguire una nuova patente nel caso di condanna per i reati di cui all’art.
589-bis, secondo, terzo e quarto comma, cod. pen., e
di dieci anni nel caso di condanna per il reato di cui all’art. 589-bis, quinto
comma, cod. pen.
La
disposizione censurata disciplina quindi, con riferimento a plurime fattispecie,
il conseguimento di una nuova patente di guida dopo l’applicazione da parte del
giudice penale della sanzione amministrativa della revoca della stessa in caso
di condanna per il reato di omicidio stradale o di lesioni personali stradali
gravi o gravissime. Ma il conseguimento di una nuova patente di guida, dopo un
periodo di tempo più o meno lungo, determinato per legge, non è oggetto del
giudizio a quo.
Il
giudice non deve fare applicazione di tale disposizione. In caso di pronuncia
di condanna per il reato di omicidio stradale o di lesioni personali stradali,
gravi o gravissime, è chiamato solo ad applicare – automaticamente e in ogni
caso, per quanto si viene ora a dire – la sanzione amministrativa della revoca
della patente. Ma non determina il periodo di tempo necessario per conseguire
una nuova patente di guida, che è fissato dalla legge e che rileva nel
procedimento amministrativo successivamente promosso dall’interessato per
ottenere il provvedimento autorizzatorio.
In
sede di possibile contestazione, innanzi al giudice competente, della
legittimità dell’eventuale diniego del provvedimento autorizzatorio perché
richiesto prima del decorso del tempo previsto per legge, può aver ingresso la
censura di sospetta illegittimità costituzionale della norma che tale
presupposto pone fissando la durata del periodo di tempo prima del quale non è
possibile il rilascio della nuova patente di guida.
5.–
Le questioni aventi ad oggetto l’art. 590-quater cod. pen.,
sollevate dal GUP del Tribunale ordinario di Roma e dal Tribunale ordinario di
Torino, sono invece ammissibili.
Oggetto
dei due giudizi a quibus – il primo in sede di
giudizio abbreviato innanzi al giudice dell’udienza preliminare, il secondo in
sede dibattimentale nelle forme del rito ordinario – è la responsabilità penale
di due imputati, accusati dei reati rispettivamente di omicidio stradale e di
lesioni personali stradali gravi, sicché si pone per entrambi i giudici
rimettenti il problema di applicare la disposizione censurata.
Per
quantificare la pena i giudici rimettenti devono tener conto del divieto –
posto dalla disposizione censurata (art. 590-quater cod. pen.)
– di bilanciamento delle circostanze aggravanti di cui all’art. 589-bis,
secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma, cod. pen.
– quanto all’omicidio stradale – e all’art. 590-bis, secondo, terzo, quarto,
quinto e sesto comma, cod. pen. – quanto alle lesioni
personali stradali gravi o gravissime – con le concorrenti circostanze
attenuanti, diverse da quelle previste dagli artt. 98 e 114 cod. pen. La disposizione censurata prevede che le attenuanti
non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto alle aggravanti.
La
prospettiva di dover fare applicazione della disposizione censurata è concreta,
avendo entrambi i giudici rimettenti identificato la circostanza aggravante e
quella attenuante, ricorrenti nel caso di specie, e per le quali opera il
divieto di bilanciamento.
Il
GUP del Tribunale ordinario di Roma, nel processo per omicidio stradale, deve
tener conto dell’aggravante (ex art. 589-bis, secondo comma, cod. pen.) della guida in stato di ebbrezza alcolica oltre la
soglia di tasso alcolemico di cui all’art. 186, comma 2, lettera c), cod.
strada, e l’attenuante di cui al settimo comma dell’art. 589-bis cod. pen. perché l’evento, nella specie, non era stato esclusiva
conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole in quanto la parte
offesa, all’interno del veicolo tamponato, era anch’essa in colpa non avendo
indossato la cintura di sicurezza. Inoltre, il guidatore di tale veicolo era
sotto l’effetto di stupefacenti e nel tratto di strada dove era avvenuto il
sinistro l’illuminazione non era funzionante.
A sua
volta il Tribunale ordinario di Torino, nel processo per lesioni personali
stradali gravi, deve tener conto dell’aggravante del quinto comma dell’art.
590-bis cod. pen., contestata in ragione della
violazione dell’indicazione luminosa del semaforo proiettante luce rossa per i
veicoli, e l’attenuante di cui al settimo comma dell’art. 590-bis cod. pen. perché l’evento non era stato esclusiva conseguenza
dell’azione o dell’omissione del colpevole in quanto la parte offesa, investita
mentre attraversava la strada, era anch’essa in colpa non avendo rispettato
l’indicazione luminosa del semaforo proiettante luce rossa per i pedoni.
Con
queste puntuali indicazioni entrambi i giudici rimettenti hanno soddisfatto
l’onere motivazionale della rilevanza delle sollevate questioni di legittimità
costituzionale, non essendo necessaria in particolare alcuna ulteriore, più
specifica, motivazione in ordine alla possibile colpevolezza degli imputati,
che è ancora sub iudice.
6.–
Parimenti ammissibile è la questione di costituzionalità sollevata dal
Tribunale ordinario di Torino e avente ad oggetto l’art. 222, comma 2, cod.
strada.
Essendo
il giudice rimettente investito della cognizione di un processo per il reato di
lesioni personali stradali gravi, si ha che, in caso di condanna, consegue per
l’imputato la revoca della patente di guida in applicazione dell’art. 222,
comma 2, quarto periodo, cod. strada, che il giudice è chiamato ad applicare
per irrogare la conseguente sanzione amministrativa.
È
vero che tale disposizione prevede che è il prefetto che emette il
provvedimento di revoca della patente e di inibizione alla guida sul territorio
nazionale. Ma si tratta di un mero atto amministrativo conseguenziale di
esecuzione dell’ordine giudiziale; la pronuncia della revoca della patente,
quale sanzione amministrativa che accede alla dichiarazione di responsabilità
penale per i reati di omicidio stradale e di lesioni personali stradali gravi o
gravissime, è demandata al giudice, come previsto espressamente dal comma 1
dell’art. 222.
È
d’altra parte sufficiente, sotto il profilo della rilevanza, che il giudice
rimettente abbia indicato la condotta dell’imputato causativa dell’evento
lesivo (investimento di un pedone) e la colpa addebitata a quest’ultimo
(mancato rispetto del semaforo rosso). Ciò implica un plausibile giudizio
prognostico di responsabilità dell’imputato che rende concreta la possibilità
per il giudice rimettente di dover fare applicazione della disposizione
censurata.
7.–
Nel merito, vanno esaminate innanzi tutto le questioni di costituzionalità
dell’art. 590-quater cod. pen.
8.–
Vanno premessi l’ambito e la portata del contesto normativo in cui si inserisce
la disposizione censurata, che prevede: «Quando ricorrono le circostanze
aggravanti di cui agli articoli 589-bis, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto
comma, 589-ter, 590-bis, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma, e
590-ter, le concorrenti circostanze attenuanti, diverse da quelle previste
dagli articoli 98 e 114, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti
rispetto a queste e le diminuzioni si operano sulla quantità di pena
determinata ai sensi delle predette circostanze aggravanti».
Tale
disposizione è stata inserita dall’art. 1, comma 2, della legge n. 41 del 2016,
che ha sostituito l’originario art. 590-bis cod. pen.
con gli attuali articoli da 590-bis a 590-quinquies cod. pen.,
a decorrere dal 25 marzo 2016, ai sensi di quanto disposto dall’art. 1, comma
8, della medesima legge.
La
disposizione denunciata assegna alle aggravanti ad effetto speciale dei due
nuovi reati – omicidio stradale (art. 589-bis cod. pen.)
e lesioni personali stradali gravi o gravissime (art. 590-bis cod. pen.) – un regime particolare: l’esclusione dal giudizio di
comparazione tra circostanze previsto in generale dall’art. 69 cod. pen.
In
vero nell’originaria formulazione dell’art. 69, quarto comma, cod. pen. questo particolare regime di esclusione accomunava
tutte le circostanze aggravanti (in realtà, anche quelle attenuanti), per le
quali la legge stabiliva una pena di specie diversa o determinava la misura
della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato (cosiddette
circostanze a effetto speciale). Apparteneva alla discrezionalità del
legislatore, che intendesse dare particolare rilievo ad una circostanza del
reato, conformarla come circostanza ad effetto speciale. In tal caso non si
sarebbe posta l’esigenza di comparazione con le circostanze attenuanti, che
avrebbero operato dopo quelle ad effetto speciale.
Questa
generale fattispecie di esclusione della comparazione delle circostanze è
venuta meno nel 1974 (decreto-legge 11 aprile 1974 n. 99, recante
«Provvedimenti urgenti sulla giustizia penale», convertito, con modificazioni,
in legge 7 giugno 1974, n. 220) con la riformulazione del quarto comma dell’art.
69 cod. pen. in termini diametralmente opposti. Si
prevedeva infatti che il regime del bilanciamento delle circostanze attenuanti
e aggravanti si applicasse anche a qualsiasi circostanza per la quale la legge
stabiliva una pena di specie diversa o determinava la misura della pena in modo
indipendente da quella ordinaria del reato.
Il
legislatore però ben presto ha sentito la necessità, per alcune aggravanti
solitamente qualificate come "privilegiate”, di reintrodurre in modo mirato
l’esclusione della comparazione tra circostanze per perseguire una politica di
più rigoroso contrasto di alcune condotte delittuose.
Un’ipotesi
che è venuta all’esame di questa Corte è stata l’aggravante prevista dall’art.
1 del decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 625 (Misure urgenti per la tutela
dell’ordine democratico e della sicurezza pubblica), convertito, con
modificazioni, in legge 6 febbraio 1980, n. 15, per i reati commessi per
finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, e quelle
contemplate per il nuovo reato previsto dall’art. 280 cod. pen.
(attentato per finalità terroristiche o di eversione). Con due pronunce quasi
coeve (sentenze
n. 38 e n.
194 del 1985) questa Corte ha dichiarato non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’una e dell’altra disposizione accedendo a
un’interpretazione adeguatrice secondo cui il giudice
poteva sì tener conto delle attenuanti, ma solo dopo aver calcolato
l’aggravamento di pena per la circostanza aggravante privilegiata (ciò che il
giudice rimettente riteneva non fosse possibile fare).
Ha
affermato questa Corte (sentenza n. 38 del
1985) che «[n]ell’art. 69 cod. pen., infatti, l’obbligatorietà del giudizio di
bilanciamento ha una sua razionalità nell’essenza stessa di quella valutazione,
che è giudizio di valore globale del fatto». Ma il legislatore può sospendere
l’applicazione dell’art. 69 cod. pen., togliendo al
giudice il potere discrezionale di operare il bilanciamento a compensazione
delle aggravanti o a favore delle attenuanti in un’ottica di inasprimento
sanzionatorio. Si tratta di una «grave limitazione» che in sé non è
illegittima, ma non può accompagnarsi anche alla irrilevanza ex lege delle
circostanze attenuanti. Con questa limitazione, si è quindi riconosciuto che
appartiene alla discrezionalità del legislatore introdurre speciali ipotesi di
circostanze aggravanti privilegiate che sono sottratte al bilanciamento di cui
all’art. 69 cod. pen.
In
seguito numerose sono state le disposizioni che, in riferimento a particolari
reati, hanno previsto aggravanti speciali sottratte alla comparazione dell’art.
69 cod. pen., tra le quali spicca l’aggravante del
metodo e dell’agevolazione mafiosa (art. 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n.
152, recante «Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità
organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa»,
convertito, con modificazioni, in legge 12 luglio 1991, n. 203). Questa
clausola di esclusione della comparazione è oggi prevista dall’art. 416-bis.1
cod. pen. (Circostanze aggravanti e attenuanti per
reati connessi ad attività mafiose) ‒ articolo inserito dall’art. 5,
comma 1, lettera d), del decreto legislativo 1º marzo 2018, n. 21, recante
«Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice
nella materia penale a norma dell’articolo 1, comma 85, lettera q), della legge
23 giugno 2017, n. 103» ‒ che stabilisce, al secondo comma, che le
circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli artt. 98 e 114 cod. pen., concorrenti con l’aggravante di cui al primo comma
della medesima disposizione, non possono essere ritenute equivalenti o
prevalenti rispetto a questa e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità
di pena risultante dall’aumento conseguente alla predetta aggravante.
Il
quarto comma dell’art. 69 cod. pen. è stato in
seguito novellato introducendo un’eccezione di carattere generale al
bilanciamento delle circostanze, ma solo come divieto di prevalenza delle
attenuanti. L’art. 3, comma 1, della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche
al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti
generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato
per i recidivi, di usura e di prescrizione), ha così riformulato il quarto
comma dell’art. 69 cod. pen.: «Le disposizioni del
presente articolo si applicano anche alle circostanze inerenti alla persona del
colpevole, esclusi i casi previsti dall’articolo 99, quarto comma, nonché dagli
articoli 111 e 112, primo comma, numero 4), per cui vi è divieto di prevalenza
delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti, ed a
qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie
diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella
ordinaria del reato».
Ancora
più recentemente l’art. 5, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 21 del 2018 ha
introdotto l’art. 69-bis cod. pen. che prevede per i
delitti di cui all’art. 407, comma 2, lettera a), numeri da 1) a 6) del codice
di procedura penale un generale divieto di bilanciamento di circostanze
aggravanti e attenuanti nell’ipotesi in cui chi ha determinato altri a
commettere il reato, o si è avvalso di altri nella commissione del delitto, ne
è il genitore esercente la responsabilità genitoriale ovvero il fratello o la
sorella e che le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena
risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti.
9.–
In questo contesto normativo, che prevede plurime ipotesi di divieto di
bilanciamento tra circostanze aggravanti "privilegiate” e circostanze
attenuanti, si inserisce la disposizione censurata che contempla analogo
divieto con riferimento alle circostanze aggravanti di cui ai commi secondo,
terzo, quarto, quinto e sesto, sia dell’art. 589-bis (omicidio stradale), sia
dell’art. 590-bis (lesioni personali stradali gravi o gravissime) cod. pen.
Tale
divieto segna un marcato irrigidimento della disciplina di contrasto di tali
condotte lesive del bene della vita e dell’integrità fisica delle persone.
Per
lungo tempo l’omicidio stradale e le lesioni personali stradali gravi o
gravissime hanno costituito solo ipotesi circostanziate dei corrispondenti
reati comuni.
Già
l’art. 1 della legge 11 maggio 1966, n. 296, recante «Modifiche degli articoli
589 (omicidio colposo) e 590 (lesioni personali colpose) del codice penale»,
nel riformulare l’art. 589 cod. pen. (omicidio
colposo), prevedeva il fatto commesso con violazione delle norme sulla
disciplina della circolazione stradale, limitandosi ad aumentare il minimo
della pena dell’omicidio colposo (da sei mesi di reclusione ad un anno). E
parimenti il successivo art. 2 prevedeva distintamente la condotta di lesioni
personali colpose gravi e gravissime con violazione delle norme sulla
disciplina della circolazione stradale.
Solo
nel 2006 (legge 21 febbraio 2006, n. 102, recante «Disposizioni in materia di
conseguenze derivanti da incidenti stradali») c’è stato un primo deciso
inasprimento delle pene con la riformulazione del secondo comma dell’art. 589
cod. pen. e del terzo comma dell’art. 590 cod. pen. In particolare, la pena per l’omicidio colposo per
violazione delle norme sulla circolazione stradale è stata elevata nel minimo
(da uno a due anni di reclusione) con il limite massimo di cinque anni di
reclusione.
È
seguito nel 2008 (decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, recante «Misure urgenti
in materia di sicurezza pubblica», convertito, con modificazioni, nella legge
24 luglio 2008, n. 125) un ulteriore inasprimento delle pene e, soprattutto, è
stato introdotto per la prima volta – nell’art. 590-bis cod. pen. – il divieto di bilanciamento delle circostanze
aggravanti "privilegiate” con le circostanze attenuanti, diverse da quelle
previste dagli artt. 98 e 114 cod. pen.
In
particolare, vengono contemplate nuove aggravanti a effetto speciale. Nel
novellato art. 589 cod. pen. si prevede, nel comma 3,
che si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è
commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione
stradale da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’art. 186,
comma 2, lettera c), cod. strada, o da soggetto sotto l’effetto di sostanze
stupefacenti o psicotrope. Analoga aggravante viene introdotta nell’art. 590,
comma 3, cod. pen. nel caso di lesioni personali
gravi o gravissime.
Ma
ciò che maggiormente rileva al fine del presente giudizio di legittimità
costituzionale è l’art. 590-bis cod. pen. sul computo
delle circostanze dei due reati; disposizione questa che, anticipando negli
stessi termini quella attualmente censurata, già prevedeva: «Quando ricorre la
circostanza di cui all’articolo 589, terzo comma, ovvero quella di cui
all’articolo 590, terzo comma, ultimo periodo, le concorrenti circostanze
attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114, non possono
essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni si
operano sulla quantità di pena determinata ai sensi delle predette circostanze
aggravanti».
In
seguito, l’allarme sociale suscitato dal ricorrente fenomeno delle "vittime
della strada” – alcune migliaia di morti sull’asfalto ogni anno e ancor di più
feriti in modo grave o gravissimo – ha indotto il legislatore, con la legge n.
41 del 2016, a fare un salto di livello nell’azione di contrasto di condotte
gravemente colpevoli nella guida di veicoli a motore.
Si
abbandona la fattispecie del mero reato circostanziato e si introducono due
nuovi reati speciali – omicidio stradale e lesioni personali stradali gravi o
gravissime – accompagnati, in parallelismo, da plurime aggravanti
"privilegiate” in quanto presidiate dalla clausola di esclusione della
comparazione con le attenuanti (art. 590-quater cod. pen.),
che ripete, con un ambito più ampio, l’analoga regola posta in precedenza
dall’art. 590-bis cod. pen.
Al
legislatore però non è sfuggito che possono esserci condotte che, seppur legate
con nesso di causalità all’evento dannoso (sia morte, sia lesioni gravi o
gravissime), possono in concreto avere un’efficienza causale non esclusiva. Per
moderare il notevole maggior rigore della risposta sanzionatoria il legislatore
ha introdotto – nel settimo comma sia dell’art. 589-bis che dell’art. 590-bis
cod. pen. – un’inedita attenuante ad effetto speciale
del tutto particolare perché attiene all’efficienza causale e che vale – in via
eccezionale – a derogare al principio dell’equivalenza delle concause (art. 41
cod. pen.).
Si
tratta di un’attenuante tutt’affatto speciale nel panorama delle circostanze
del reato proprio perché afferisce al rapporto causale retto dal generale
principio dell’equivalenza delle cause (art. 41 cod. pen.),
che vuole che il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute,
anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il
rapporto di causalità fra l’azione od omissione e l’evento; e ciò è vero anche
quando la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto
illecito altrui.
Nei
reati puniti a titolo di colpa l’eventuale concorso della colpa della parte
offesa non solo non esclude né interrompe il rapporto di causalità, ma neppure
vale come circostanza attenuante, bensì può essere tenuta in conto dal giudice,
sotto il profilo della modalità della condotta del colpevole, nella graduazione
della pena ai sensi dell’art. 133 cod. pen.
Costituisce, invece, circostanza attenuante comune solo l’essere concorso a
determinare l’evento, insieme con l’azione o l’omissione del colpevole, il
fatto doloso della persona offesa (art. 62, primo comma, numero 5, cod. pen.); ciò che è ben diverso dal concorso del fatto colposo
della parte offesa che invece – sia detto incidentalmente – rileva sul piano
civilistico del risarcimento del danno (artt. 2056 e 1227 del codice civile).
Solo in caso di cooperazione colposa (art. 113 cod. pen.)
può venire in rilievo la «minima importanza» dell’apporto del concorrente come
circostanza attenuante (ex art. 114 cod. pen.), la
quale – in caso di omicidio stradale o di lesioni personali stradali – è
espressamente sottratta al divieto di bilanciamento previsto dall’art.
590-quater cod. pen.
Il
legislatore del 2016, nel creare due reati colposi di nuovo conio (artt.
589-bis e 590-bis cod. pen.), che in precedenza per
lungo tempo avevano costituito invece reati comuni aggravati dalla violazione
delle norme sulla circolazione stradale, li ha accompagnati con la contestuale
introduzione di questa attenuante che non solo è a effetto speciale, ma ha
anche un contenuto marcatamente diverso da quello delle circostanze attenuanti
comuni. Il suo presupposto è dato dal carattere non esclusivo dell’efficienza
causale della condotta dell’imputato; circostanza che ricade nel divieto di
bilanciamento posto dalla disposizione censurata diversamente dalla circostanza
attenuante dell’apporto di «minima importanza» del concorrente nella
cooperazione colposa.
10.–
Ciò premesso, quanto all’ambito e alla portata del divieto di bilanciamento
delle circostanze del reato, previsto dalla disposizione oggetto di scrutinio,
è poi preliminare all’esame del merito delle censure prospettate dai giudici
rimettenti l’esatta delimitazione – nel contesto del quadro normativo di
riferimento come sopra sommariamente descritto – del perimetro delle questioni
di costituzionalità.
Pur
censurando entrambi la speciale preclusione del bilanciamento delle circostanze
privilegiate sia nell’omicidio stradale che nelle lesioni personali stradali
gravi o gravissime, recata dalla disposizione oggetto di scrutinio, essi non
pongono in dubbio la legittimità della scelta del legislatore del 2016 di
assegnare alle circostanze aggravanti a effetto speciale, sia dell’art. 589-bis
sia dell’art. 590-bis cod. pen., il particolare
regime, certamente di rigore, previsto dall’art. 590-quater cod. pen. che replica la stessa disciplina derogatoria
dell’ordinario bilanciamento delle circostanze, anche a effetto speciale, ai
sensi dell’art. 69 cod. pen., già prevista dal
previgente art. 590-bis.
Nessuna
questione di costituzionalità è attualmente posta con tale ampiezza con
riferimento all’art. 590-quater cod. pen., così come
in passato nessuna questione è stata sollevata con riferimento al simmetrico
art. 590-bis cod. pen. nel testo precedente la legge
n. 41 del 2016.
Entrambi
i giudici rimettenti sollevano invece una questione di costituzionalità più
specifica che può porsi solo con riferimento al riformulato quadro normativo a
seguito della riforma del 2016 perché il divieto di bilanciamento è censurato
unicamente in riferimento all’attenuante a effetto speciale del settimo comma
dell’art. 589-bis e del simmetrico (e di identico contenuto) settimo comma
dell’art. 590-bis cod. pen.: la circostanza – ignota
al richiamato quadro normativo prima della riforma del 2016 – che ha come
presupposto essere la condotta dell’imputato la causa non esclusiva
dell’evento.
Il
divieto di bilanciamento è poi censurato, rispettivamente, a due aggravanti
specifiche: per l’omicidio stradale, l’aggravante di cui al secondo comma
dell’art. 589-bis cod. pen. (guida in stato di
ebbrezza alcoolica); per le lesioni personali stradali, l’aggravante di cui al
quinto comma, numero 2), dell’art. 590-bis cod. pen.
(attraversamento di un’intersezione stradale quando il semaforo proietta luce
rossa per i veicoli).
Questa
limitazione delle questioni di costituzionalità è peraltro pienamente aderente
all’oggetto dei giudizi a quibus perché – come si è
già posto in rilievo – entrambi i giudici rimettenti si confrontano con due
reati colposi in cui, ricorrendo il concorso di colpa della parte offesa, la
condotta dell’imputato appare essere causa non esclusiva dell’evento.
Nella
fattispecie delle lesioni personali stradali, aggravate dall’inosservanza
dell’indicazione semaforica, il Tribunale ordinario di Torino riferisce che il
pedone investito aveva attraversato la strada nonostante il semaforo
proiettasse luce rossa per i pedoni.
Nella
fattispecie dell’omicidio stradale, aggravato dalla guida in stato di ebbrezza
alcolica, il GUP del Tribunale ordinario di Roma riferisce che la parte offesa
non indossava la cintura di sicurezza. Aggiunge poi, in termini assolutamente generici,
che l’illuminazione pubblica non era funzionante e che il guidatore del veicolo
tamponato era sotto l’effetto di sostanze stupefacenti.
Peraltro,
in vero, il GUP, in via meramente argomentativa, rileva che l’efficienza
causale non esclusiva della condotta dell’imputato potrebbe essere anche di
«minima importanza» perché ipotizza che «si accerti un grado di colpa pari
all’1% in capo all’imputato (poiché per il restante 99% la colpa è dell’altro
conducente rimasto ucciso nel sinistro)». Ma lo stesso GUP ritiene che non sia
questo il caso di specie perché neppure ipotizza che la condotta colposa
dell’imputato (essersi posto alla guida in stato di ebbrezza alcoolica) abbia
avuto – o possa aver avuto – una così ridotta efficienza causale. Né tanto meno
fa alcuna comparazione con il trattamento del concorrente nella cooperazione
colposa (art. 113 cod. pen.) il cui apporto, in
termini di efficienza causale, sia stato di «minima importanza» (art. 114 cod. pen.); fattispecie questa che, rilevando come circostanza
attenuante, è espressamente esclusa dal divieto di bilanciamento previsto dalla
disposizione censurata. Sicché, l’ipotesi estrema della condotta del colpevole
che risulti essere di «minima importanza» rispetto al concorso di colpa della
parte offesa e all’eventuale concorso di altre cause dell’evento, non
appartiene in realtà alle sollevate questioni di costituzionalità; né potrebbe
esserlo per difetto di rilevanza.
Pertanto,
le due fattispecie all’esame dei giudici rimettenti sono sovrapponibili in quanto
accomunate dal fatto che in entrambe ricorre la circostanza attenuante
dell’efficacia (meramente) non esclusiva della condotta dell’imputato perché a
determinare l’evento ha concorso anche il comportamento colposo della parte
offesa (settimo comma sia dell’art. 589-bis, sia dell’art. 590-bis cod. pen.); circostanza che, in applicazione della disposizione
censurata, non può essere bilanciata rispettivamente con l’aggravante della
guida in stato di ebbrezza (secondo comma dell’art. 589-bis cod. pen.) e con l’aggravante dell’attraversamento di
un’intersezione con il semaforo rosso (quinto comma, numero 2, dell’art.
590-bis cod. pen.).
Solo
con riferimento a tale speciale circostanza attenuante – nella misura in cui
questa sussiste in ragione di un generico concorso di colpa della parte offesa
(o anche di altre concause), che rende "non esclusivo” l’apporto causale della
condotta dell’imputato – sono poste le questioni di legittimità costituzionale.
11.–
Tutto ciò premesso, le questioni di legittimità costituzionale dell’art.
590-bis (rectius: 590-quater: ord.
n. 244 del 2019) cod. pen.
non sono fondate.
12.–
Non vi è dubbio che la legge n. 41 del 2016, al culmine del (sopra descritto)
progressivo sviluppo normativo lungo la direttrice costante del sempre più
incisivo contrasto delle condotte gravemente colpose nella conduzione di
veicoli a motore, che maggiormente pongono a rischio la vita e l’integrità
fisica delle persone, ha inasprito la risposta sanzionatoria in termini di pene
irrogabili, soprattutto nel minimo.
Quanto
all’omicidio stradale, oggetto del giudizio a quo innanzi al GUP del Tribunale
ordinario di Roma, per l’aggravante a effetto speciale in questione, contestata
all’imputato per aver guidato in stato di ebbrezza alcolica (secondo comma
dell’art. 589-bis cod. pen.), è prevista una pena
della reclusione da otto a dodici anni.
L’aggravamento
sanzionatorio rispetto al regime previgente – quello introdotto dal
decreto-legge n. 92 del 2008, come convertito, in vigore fino alla legge n. 41
del 2016 – è marcato perché la pena prima prevista per la medesima condotta era
quella della reclusione da tre a dieci anni.
Però
nel regime vigente – e non anche in quello precedente – il carattere non
esclusivo dell’efficienza causale della condotta dell’imputato comporta (ex
art. 589-bis, settimo comma, cod. pen.) una
diminuzione di pena fino alla metà e quindi il minimo della pena può ridursi
fino a quattro anni.
La
stessa condotta – omicidio stradale con guida in stato di ebbrezza alcolica –
che prima era sanzionata con una pena minima di tre anni di reclusione, dopo la
legge n. 41 del 2016 lo è con una pena minima di quattro anni di reclusione ove
ricorra, in ipotesi, il concorso di colpa della parte offesa e, quindi,
l’efficienza causale della condotta dell’imputato non abbia carattere esclusivo.
Infatti, ove ricorra l’attenuante in esame, la diminuzione fino alla metà può
essere operata, per effetto della preclusione di cui all’art. 590-quater cod. pen., solo sulla pena prevista per la fattispecie
aggravata.
Quanto
alle lesioni stradali gravi – oggetto del giudizio a quo innanzi al Tribunale
ordinario di Torino – è ora prevista la pena della reclusione da un anno e sei
mesi a tre anni, ove ricorra l’aggravante di cui al quinto comma, numero 2),
dell’art. 590-bis cod. pen., stante l’attraversamento
di un’intersezione stradale con il semaforo disposto al rosso per i veicoli.
Ricorrendo l’attenuante del settimo comma dell’art. 590-bis cod. pen. la pena, per effetto della preclusione censurata, è
diminuita fino a nove mesi di reclusione.
Si
tratta di sanzioni indubbiamente severe perché nelle ipotesi attenuate
all’esame dei giudici rimettenti la pena minima per l’omicidio è di quattro
anni di reclusione e quella minima per le lesioni gravi è di nove mesi di
reclusione.
Esse
rientrano, però, nell’ambito dell’esercizio non irragionevole della
discrezionalità del legislatore che ha ritenuto, secondo una non sindacabile
opzione politica in materia penale, di contrastare in modo più energico
condotte gravemente lesive dell’incolumità delle persone, che negli ultimi anni
hanno creato diffuso allarme sociale.
Ha
affermato questa Corte (sentenza n. 179 del
2017) che dal principio di legalità sancito all’art. 25 Cost. discende che
«le scelte sulla misura della pena sono affidate alla discrezionalità politica
del legislatore» sempre che il trattamento sanzionatorio sia proporzionato alla
violazione commessa e non comprometta la finalità di rieducazione del condannato.
Con riferimento ad altra disposizione incriminatrice, pure «caratterizzata da
un consistente inasprimento del trattamento sanzionatorio», la Corte ha
ritenuto che a essa non appartengono «valutazioni discrezionali di dosimetria
sanzionatoria penale, di esclusiva pertinenza del legislatore» e che nella
fattispecie non erano stati superati «i limiti costituzionali alla previsione
di risposte punitive rigide», tenuto anche conto della graduabilità della pena
tra il minimo e il massimo che offre al giudice la possibilità di renderla
maggiormente proporzionata alla gravità della condotta contestata (sentenza n. 233 del
2018).
Secondo
la costante giurisprudenza di questa Corte, le valutazioni sulla dosimetria
della pena appartengono alla «rappresentanza politica, […] attraverso la
riserva di legge sancita nell’art. 25 Cost.» (sentenza n. 236 del
2016), e sono assoggettate al giudizio di legittimità costituzionale solo a
fronte di scelte palesemente arbitrarie del legislatore che, per la loro
manifesta irragionevolezza, evidenzino un uso distorto della discrezionalità a
esso spettante (ex multis, sentenze n. 142 del
2017, n. 148
e n. 23 del 2016,
n. 81 del 2014,
n. 394 del 2006;
ordinanze n. 249
e n. 71 del 2007,
n. 169 e n. 45 del 2006).
Da ultimo questa Corte (sentenza n. 40 del
2019) ha precisato che « fermo restando che non spetta alla Corte
determinare autonomamente la misura della pena (sentenza n. 148 del
2016), l’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale che
riguardano l’entità della punizione risulta condizionata non tanto dalla
presenza di un’unica soluzione costituzionalmente obbligata, quanto dalla
presenza nel sistema di previsioni sanzionatorie che, trasposte all’interno
della norma censurata, garantiscano coerenza alla logica perseguita dal
legislatore (sentenza
n. 233 del 2018)».
13.–
Solo in caso di trattamenti sanzionatori manifestamente sproporzionati e di
sperequazioni punitive di particolare gravità, questa Corte è intervenuta a
riequilibrare la risposta sanzionatoria dell’ordinamento. Ma ciò è avvenuto
considerando la coerenza interna del regime sanzionatorio e l’offensività della
condotta.
Proprio
in tema di bilanciamento di circostanze questa Corte è intervenuta più volte a
riequilibrare situazioni sperequate che vedevano condotte ritenute dal
legislatore di minore offensività, le quali in ragione del divieto di
prevalenza di specifiche circostanze attenuanti finivano per essere sanzionate
in modo sproporzionato.
In
passato – come già ricordato – è stata ritenuta la legittimità, in generale,
della tecnica legislativa del divieto di prevalenza o equivalenza delle
circostanze attenuanti su specifiche circostanze aggravanti in ragione di
speciali esigenze di contrasto di condotte particolarmente lesive
dell’integrità delle persone (sentenze n. 194
e n. 38 del 1985).
È
vero che il giudizio di bilanciamento delle circostanze consente al giudice di
apprezzare meglio lo specifico disvalore della condotta penalmente sanzionata.
Ma quando ricorrono particolari esigenze di protezione di beni
costituzionalmente tutelati, quale il diritto fondamentale e personalissimo
alla vita e all’integrità fisica, ben può il legislatore dare un diverso ordine
al gioco delle circostanze richiedendo che vada calcolato prima l’aggravamento
di pena di particolari circostanze. Come già evidenziato (sentenza n. 251 del
2012), «[d]eroghe al bilanciamento […] sono
possibili e rientrano nell’ambito delle scelte del legislatore» e sono
sindacabili da questa Corte «soltanto ove trasmodino nella manifesta
irragionevolezza o nell’arbitrio» (sentenza n. 68 del
2012).
Questa
«anomalia sanzionatoria» (sentenza n. 179 del
2017) si è verificata in ipotesi di particolari attenuanti cui il
legislatore stesso ha assegnato un essenziale ruolo di riequilibrio della
fattispecie penale.
Talvolta,
quando il reato base, in ragione della sua formulazione, ha una portata ampia,
il legislatore ritaglia ipotesi di minore gravità. È ciò che si è verificato
per i fatti di "spaccio” di sostanze stupefacenti "di lieve entità”,
circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 5, del decreto del Presidente
della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di
disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), prima della sua
trasformazione in reato autonomo. La stessa tecnica legislativa ricorre per i
fatti di ricettazione «di particolare tenuità» (attenuante prevista dall’art.
648, secondo comma, cod. pen.); per i fatti di minore
gravità di abusi sessuali riconducibili alla nozione di violenza sessuale (art.
609-bis, terzo comma, cod. pen.); per i fatti di
bancarotta fraudolenta, bancarotta semplice e ricorso abusivo al credito quando
hanno cagionato un «danno patrimoniale di speciale tenuità» (art. 219, terzo
comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, recante «Disciplina del
fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della
liquidazione coatta amministrativa»).
Con
riferimento a queste particolari circostanze attenuanti la Corte ha ritenuto
che il divieto, applicato a esse, della prevalenza di tutte le circostanze
attenuanti sull’aggravante della recidiva ex art. 99, quarto comma, cod. pen., divieto introdotto nell’art. 69, quarto comma, cod. pen., conducesse a sanzionare condotte di minore
offensività con pene non proporzionate. Ha, quindi, dichiarato, di volta in
volta, l’illegittimità costituzionale di tale ultima disposizione nella parte
in cui prevedeva il divieto di prevalenza di ciascuna di tali specifiche
attenuanti in comparazione con l’aggravante privilegiata della recidiva
reiterata (sentenze
n. 251 del 2012, n. 105 e n. 106 del 2014,
e n. 205 del
2017). Il legislatore può schermare l’ordinario bilanciamento di
circostanze del reato, secondo i criteri dell’art. 69 cod. pen.,
ma non fino al punto di sanzionare condotte di minore gravità con pene
eccessive perché sproporzionate rispetto al canone della necessaria
offensività.
Ma
nella fattispecie in esame, l’attenuante ad effetto speciale che viene in gioco
non attiene all’offensività. Sia l’omicidio stradale che le lesioni personali
stradali, ove ricorra l’attenuante di cui al settimo comma degli artt. 589-bis
e 590-bis cod. pen., offendono comunque, anche
nell’ipotesi così attenuata, il bene della vita e quello dell’integrità
personale. L’attenuante speciale non identifica una fattispecie di minore
offensività, ma si colloca sul piano del tutto distinto dell’efficienza causale
dove opera il principio non già di proporzionalità, bensì quello di equivalenza
delle concause dell’evento.
Maggiore,
pertanto, è la discrezionalità del legislatore nel dimensionare l’incidenza di
tale, eccezionale e del tutto particolare, attenuante nel calcolo della pena. È
vero che il minimo della pena per il reato base (due anni di reclusione per
l’omicidio stradale comune) è raddoppiato (quattro anni di reclusione) ove
ricorrano a un tempo la suddetta circostanza aggravante (guida in stato di
ebbrezza alcolica di cui al secondo comma dell’art. 589-bis cod. pen.) e l’attenuante dell’efficacia causale non esclusiva
dell’azione o dell’omissione del colpevole di cui al settimo comma dell’art.
589-bis cod. pen. (in ragione del concorso della
colpa della parte offesa o di altre concause). Ma tale differenziale
sanzionatorio può dirsi rientrare nella discrezionalità del legislatore,
esercitata nel limite della non irragionevolezza.
Il
maggior rigore conseguente al divieto di bilanciamento di tale circostanza
attenuante a effetto speciale trova ragione nel più incisivo contrasto di
condotte altamente pericolose e che da tempo ‒ come già rilevato ‒
creano diffuso allarme sociale per il grave pregiudizio che arrecano alla
sicurezza stradale, quale appunto la guida di veicoli a motore in stato di
ebbrezza alcolica o di alterazione psico-fisica conseguente all’assunzione di
sostanze stupefacenti o psicotrope.
Altresì,
per il reato di lesioni personali stradali vi è analogo – in vero anche più
accentuato – differenziale sanzionatorio. Ma anche in tal caso la condotta di
chi, alla guida di un veicolo a motore, attraversa un’intersezione con il
semaforo disposto al rosso, così commettendo il reato di lesioni personali
stradali gravi, aggravate da tale circostanza cosiddetta privilegiata (come nel
giudizio pendente innanzi al Tribunale ordinario di Torino), pone gravemente in
pericolo l’incolumità altrui e parimenti può dirsi non irragionevole
l’esercizio della discrezionalità del legislatore nell’escludere che
l’attenuante in esame (quella del settimo comma dell’art. 590-bis cod. pen.) possa essere valutata dal giudice come equivalente o
prevalente rispetto a tale aggravante.
14.– Nè giova la comparazione che fa il GUP del Tribunale
ordinario di Roma con altre ipotesi di omicidio colposo.
Il
legislatore del 2016 – innovando rispetto ai precedenti (sopra richiamati)
interventi normativi (del 1966, del 2006 e del 2008), che si erano mossi nel
solco del reato comune di omicidio colposo introducendo solo specifiche
circostanze aggravanti – ha reso autonoma la fattispecie penale dell’omicidio
stradale. Ciò costituisce tipico esercizio di discrezionalità legislativa,
espressione di una scelta politica in materia penale, in ragione di una diversa
valutazione del rischio al quale sono esposti i beni della vita e
dell’incolumità personale a causa di condotte giudicate particolarmente
pericolose e quindi da contrastare con più severe sanzioni.
La
diversità di fattispecie tra omicidio stradale e omicidio colposo comune
costituisce ragione sufficiente del trattamento sanzionatorio differenziato.
Naturalmente
trovano applicazione ogni possibile ulteriore circostanza attenuante nonché
eventuali diminuenti per la scelta del rito, che valgono a ridurre
ulteriormente il rigore sanzionatorio insito nel divieto di bilanciamento delle
circostanze aggravanti, quale previsto dalla disposizione censurata.
15.–
In conclusione, avendo il legislatore introdotto un’attenuante a effetto
speciale legata all’apporto causale del colpevole, non è irragionevole che,
quando la valutazione sia limitata all’alternativa dell’efficacia "esclusiva”,
o non esclusiva, della condotta del colpevole, l’attenuante non possa essere
bilanciata con le aggravanti "privilegiate” e segnatamente, quanto al reato di
omicidio stradale (nel giudizio a quo innanzi al GUP del Tribunale ordinario di
Roma), con l’aggravante di cui al secondo comma dell’art. 589-bis cod. pen. per aver guidato in stato di ebbrezza alcolica oltre
la soglia di cui all’art. 186, comma 2, lettera c), cod. strada, e, quanto al
reato di lesioni personali stradali gravi (nel giudizio a quo innanzi al
Tribunale ordinario di Torino), con l’aggravante di cui al quinto comma, numero
2), dell’art. 590-bis cod. pen. per aver attraversato
un’intersezione stradale con il semaforo disposto al rosso.
Rientra
nella discrezionalità del legislatore, esercitata non irragionevolmente,
graduare l’effetto diminuente della pena di questa attenuante a effetto
speciale in riferimento alle menzionate aggravanti "privilegiate” allorché
ricorra un generico concorso della colpa della parte offesa o di altre concause
che rendono non esclusivo l’apporto causale dell’azione o dell’omissione del
colpevole.
16.–
Occorre ora passare all’esame della questione di legittimità costituzionale
dell’art. 222, comma 2, cod. strada, sollevata solo dal Tribunale ordinario di
Torino.
17.–
Giova premettere che inizialmente il comma 2 dell’art. 222 cod. strada, quale
introdotto dall’art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2006, n. 102
(Disposizioni in materia di conseguenze derivanti da incidenti stradali),
prevedeva solo la sospensione della patente di guida, peraltro secondo una ben
chiara progressione sanzionatoria: quando dal fatto derivava una lesione
personale colposa la sospensione della patente era da quindici giorni a tre
mesi; se invece derivava una lesione personale colposa grave o gravissima la
sospensione della patente era fino a due anni; nel caso di omicidio colposo la
sospensione era fino a quattro anni.
Solo
successivamente la revoca della patente, come sanzione amministrativa
accessoria alla condanna penale per il reato di omicidio (comune) colposo
aggravato, è stata introdotta dal decreto-legge n. 92 del 2008 che ha
modificato il comma 2 dell’art. 222 cod. strada, aggiungendo un quarto periodo
così formulato: «Se il fatto di cui al terzo periodo è commesso da soggetto in
stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera c),
ovvero da soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, il
giudice applica la sanzione amministrativa accessoria della revoca della
patente». Il richiamo del fatto di cui al precedente terzo periodo comportava
che tale sanzione amministrativa conseguiva solo alla condanna per omicidio
colposo.
La
possibilità di revoca della patente è poi stata estesa al reato di lesioni
colpose (comuni) gravi e gravissime dalla legge 29 luglio 2010, n. 120
(Disposizioni in materia di sicurezza stradale), che ha aggiunto il richiamo
anche del secondo periodo del medesimo comma 2, sempre e solo in caso di guida
in stato di ebbrezza alcoolica (con tasso alcolemico superiore a quello
previsto dall’art. 186, comma 2, lettera c, cod. strada) o sotto l’effetto di
sostanze stupefacenti.
Da
ultimo, con la legge n. 41 del 2016 il legislatore non solo ha introdotto due
nuovi reati (omicidio stradale e lesioni personali stradali gravi o
gravissime), elevando le pene con la previsione di plurime circostanze
aggravanti "privilegiate” e aggravando il regime sanzionatorio con il già
esaminato divieto di bilanciamento con le circostanze attenuanti, ma ha
modificato anche il regime delle sanzioni amministrative accessorie, dettando
una disciplina più rigorosa quanto alla revoca della patente di guida. La
quale, peraltro, fuori dalle ipotesi in cui ricorra uno dei due reati suddetti,
è anche contemplata, a determinate condizioni, dagli artt. 186, 186-bis e 187
cod. strada in caso di guida sotto l’influenza dell’alcool ovvero in stato di
alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti.
Attualmente,
la disposizione di cui all’art. 222 cod. strada, recante le sanzioni
amministrative accessorie all’accertamento di reati, prevede, al comma 1, la
regola di carattere generale per cui, se da una violazione delle norme del
codice della strada derivano danni alle persone, il giudice applica con la
sentenza di condanna le sanzioni amministrative accessorie della sospensione o
della revoca della patente.
Ciò
che però rileva maggiormente è il comma 2, rimasto immutato nei primi tre
periodi, che stabilisce che quando dal fatto derivi una lesione personale
colposa la sospensione della patente è da quindici giorni a tre mesi, mentre se
la lesione personale colposa è grave o gravissima la sospensione della patente
è fino a due anni. Nel caso poi di omicidio colposo la sospensione è fino a
quattro anni.
Il
quarto periodo – come appena ricordato – è stato invece riformulato dalla legge
n. 41 del 2016, che ha previsto che in caso di condanna o di patteggiamento
della pena per i reati di omicidio stradale e di lesioni personali stradali
gravi o gravissime consegue sempre la revoca della patente di guida, anche ove
sia stata concessa la sospensione condizionale della pena.
Ne è
risultato, nel complesso, un marcato inasprimento delle sanzioni accessorie
atteso che la revoca della patente è prevista indistintamente per tutte le
ipotesi di reati cosiddetti stradali, sia nel caso in cui ricorrono le
fattispecie cosiddette semplici, sia nel caso in cui sussistono le fattispecie
aggravate, mentre la disciplina previgente delle sanzioni amministrative
accessorie era maggiormente graduata.
18.–
Ciò premesso, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 222, comma
2, cod. strada è fondata nei termini che seguono.
19.–
La disposizione censurata prevede la sanzione amministrativa della revoca della
patente, estesa indistintamente a tutte le ipotesi – sia aggravate dalle
circostanze "privilegiate”, sia non aggravate – di omicidio stradale e di
lesioni personali stradali gravi o gravissime.
Si è
sopra esaminato (paragrafi n. 8 e n. 9) lo sviluppo normativo che ha condotto
da ultimo alla configurazione di due nuove fattispecie di reato colposo (art.
589-bis e art. 590-bis cod. pen.), connotate dalla
previsione di plurime circostanze aggravanti "privilegiate” con un
differenziato trattamento sanzionatorio di maggior rigore, nonché dal divieto
di bilanciamento tra circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli
artt. 98 e 114 cod. pen., e quelle aggravanti a
effetto speciale così introdotte.
L’aggravamento
della risposta sanzionatoria, voluto dal legislatore del 2016, è quindi
risultato articolato in più livelli. In perfetta simmetria le due citate
disposizioni prevedono – per l’omicidio stradale e per le lesioni personali
stradali – l’ipotesi base del reato colposo (al primo comma); l’ipotesi
maggiormente aggravata della guida in stato di ebbrezza alcolica oltre una
certa soglia di tasso alcolemico o sotto l’effetto di stupefacenti (ai commi
secondo e terzo); nonché un’ipotesi intermedia perché aggravata in misura
minore (ai commi quarto, quinto e sesto), ma comunque con una pena aumentata
rispetto all’ipotesi base.
Il
disvalore della condotta in violazione delle norme sulla disciplina della
circolazione stradale è quindi articolato secondo una precisa graduazione. Il
divario è di tutta evidenza se si pongono in comparazione le ipotesi base del
primo comma dell’art. 589-bis e dell’art. 590-bis cod. pen.
con le condotte, sanzionate con la pena più elevata, rientranti nel secondo e
nel terzo comma di entrambe le disposizioni. La pena prevista ove ricorrano
tali aggravanti privilegiate è marcatamente più elevata della pena base, come
risulta in particolare dal fatto che i minimi di pena delle fattispecie
circostanziate sono sensibilmente incrementati.
Invece,
per la sanzione amministrativa della revoca della patente di guida vi è un
indifferenziato automatismo sanzionatorio, che costituisce possibile indice di
disparità di trattamento e irragionevolezza intrinseca.
In
generale, questa Corte (sentenza n. 50 del
1980) ha affermato che «[i]n linea di principio, previsioni sanzionatorie
rigide non appaiono […] in armonia con il "volto costituzionale” del sistema
penale; ed il dubbio d’illegittimità costituzionale potrà essere, caso per
caso, superato a condizione che, per la natura dell’illecito sanzionato e per
la misura della sanzione prevista, quest’ultima appaia ragionevolmente
"proporzionata” rispetto all’intera gamma di comportamenti riconducibili allo
specifico tipo di reato».
Più
recentemente, tali principi sono stati ribaditi da questa Corte (sentenza n. 222 del
2018) che, con riferimento ai reati fallimentari, ha evidenziato che la
gravità dei fatti concreti, riconducibili alle fattispecie penali, può essere
marcatamente differente, censurando proprio la «rigidità applicativa» di una
sanzione accessoria fissa.
In
particolare, un profilo di irragionevolezza è già stato rilevato da questa
Corte in un’ipotesi di automatismo della "revoca” amministrativa della patente
di guida, prevista dall’art. 120, comma 2, cod. strada (sentenza n. 22 del
2018).
Orbene,
nell’art. 222 cod. strada l’automatismo della risposta sanzionatoria, non
graduabile in ragione delle peculiarità del caso, può giustificarsi solo per le
più gravi violazioni contemplate dalle due citate disposizioni, quali previste,
come ipotesi aggravate, sanzionate con le pene rispettivamente più gravi, dal
secondo e dal terzo comma sia dell’art. 589-bis, sia dell’art. 590-bis cod. pen. Porsi alla guida in stato di ebbrezza alcolica (oltre
la soglia di tasso alcolemico prevista dal secondo e dal terzo comma sia
dell’art. 589-bis, sia dell’art. 590-bis cod. pen.) o
sotto l’effetto di stupefacenti costituisce un comportamento altamente
pericoloso per la vita e l’incolumità delle persone, posto in essere in spregio
del dovuto rispetto di tali beni fondamentali; e, pertanto, si giustifica una
radicale misura preventiva per la sicurezza stradale consistente nella sanzione
amministrativa della revoca della patente nell’ipotesi sia di omicidio
stradale, sia di lesioni personali gravi o gravissime.
Al di
sotto di questo livello vi sono comportamenti pur gravemente colpevoli, ma in
misura inferiore sicché non è compatibile con i principi di eguaglianza e
proporzionalità la previsione della medesima sanzione amministrativa. In tal
caso, l’automatismo della sanzione amministrativa più non si giustifica e deve
cedere alla valutazione individualizzante del giudice.
Oltre
all’irragionevolezza intrinseca di una sanzione amministrativa fissa per tali
ultimi comportamenti, c’è anche che nell’art. 222 cod. strada rimane vigente la
prescrizione del secondo e del terzo periodo del comma 2, i quali prevedono
rispettivamente che, quando dal fatto commesso con violazione del codice della
strada derivi una lesione personale colposa grave o gravissima, la sospensione
della patente è fino a due anni, mentre nel caso di omicidio colposo la
sospensione è fino a quattro anni. Quindi coesistono nella stessa norma (comma
2 dell’art. 222 cod. strada) prescrizioni che si sovrappongono senza una chiara
delimitazione di applicabilità.
Nel
caso di condanna per il reato di omicidio stradale ex art. 589-bis cod. pen. è prevista, dal quarto periodo del comma 2 dell’art.
222 cod. strada, la sanzione amministrativa della revoca della patente. Invece,
il precedente terzo periodo prevede, in caso di omicidio colposo con violazione
delle norme del codice della strada, la sospensione della patente fino a
quattro anni.
Analogamente,
nel caso di condanna per il reato di lesioni personali stradali gravi o
gravissime ex art. 590-bis cod. pen. è prevista,
sempre dal quarto periodo del comma 2 dell’art. 222 cod. strada, la sanzione
amministrativa della revoca della patente. Invece il precedente secondo periodo
prevede, in caso di lesioni colpose con violazione delle norme del codice della
strada, la sospensione della patente fino a due anni.
Vi è,
quindi, anche una poco coerente sovrapposizione di fattispecie sanzionate, o
no, con la revoca della patente, che si aggiunge all’irragionevolezza
intrinseca della sanzione indifferenziata per ipotesi marcatamente diverse in
termini di gravità della condotta.
20.–
In conclusione, la revoca della patente di guida non può essere "automatica”
indistintamente in ognuna delle plurime ipotesi previste sia dall’art. 589-bis
(omicidio stradale) sia dall’art. 590-bis cod. pen.
(lesioni personali stradali), ma si giustifica solo nelle ben circoscritte
ipotesi più gravi sanzionate con la pena rispettivamente più elevata come
fattispecie aggravate dal secondo e dal terzo comma di entrambe tali
disposizioni (guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti).
Negli altri casi, che il legislatore stesso ha ritenuto di non pari gravità,
sia nelle ipotesi non aggravate del primo comma delle due disposizioni
suddette, sia in quelle aggravate dei commi quarto, quinto e sesto, il giudice
deve poter valutare le circostanze del caso ed eventualmente applicare come
sanzione amministrativa accessoria, in luogo della revoca della patente, la
sospensione della stessa come previsto – e nei limiti fissati – dal secondo e
dal terzo periodo del comma 2 dell’art. 222 cod. strada.
Pertanto,
tale comma è costituzionalmente illegittimo, nel suo quarto periodo, nella parte
in cui non prevede, ove non ricorrano le circostanze aggravanti privilegiate di
cui al secondo e al terzo comma sia dell’art. 589-bis, sia dell’art. 590-bis
cod. pen., la possibilità per il giudice di
applicare, in alternativa alla sanzione amministrativa della revoca della
patente di guida, quella della sospensione della patente, secondo il disposto
del secondo e del terzo periodo del comma 2 dell’art. 222 cod. strada.
In
questi casi il giudice, secondo la gravità della condotta del condannato,
tenendo conto degli artt. 218 e 219 cod. strada, potrà sia disporre la sanzione
amministrativa della revoca della patente di guida, sia quella, meno
afflittiva, della sospensione della stessa per la durata massima prevista dal
secondo e dal terzo periodo del medesimo comma 2 dell’art. 222 cod. strada.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti
i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 222, comma 2, quarto periodo, del decreto legislativo 30 aprile 1992,
n. 285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui non prevede che, in caso
di condanna, ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma
dell’art. 444 del codice di procedura penale, per i reati di cui agli artt.
589-bis (Omicidio stradale) e 590-bis (Lesioni personali stradali gravi o
gravissime) del codice penale, il giudice possa disporre, in alternativa alla
revoca della patente di guida, la sospensione della stessa ai sensi del secondo
e terzo periodo dello stesso comma 2 dell’art. 222 cod. strada allorché non
ricorra alcuna delle circostanze aggravanti previste dai rispettivi commi
secondo e terzo degli artt. 589-bis e 590-bis cod. pen.;
2) dichiara inammissibile la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 222, comma 3-ter, cod. strada, sollevata
dal Tribunale ordinario di Torino, in riferimento all’art. 3 della
Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 590-quater cod. pen.,
inserito dall’art. 1, comma 2, della legge 23 marzo 2016, n. 41 (Introduzione
del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali, nonché
disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e
al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274), sollevate, in riferimento agli
artt. 3, 25, secondo comma, e 27 Cost., dal Giudice dell’udienza preliminare
del Tribunale ordinario di Roma e dal Tribunale ordinario di Torino, con le
ordinanze indicate in epigrafe.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 19 febbraio 2019.
F.to:
Giorgio
LATTANZI, Presidente
Giovanni
AMOROSO, Redattore
Filomena
PERRONE, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il 17 aprile 2019.