SENTENZA N.
60
ANNO 2014
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo
Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario
Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
- Giuliano AMATO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’art. 1, commi 1 e 3, del decreto-legge
10 novembre 2008, n. 180 (Disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la
valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della
ricerca), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9
gennaio 2009, n. 1, promossi dal Tribunale amministrativo regionale per la
Puglia con ordinanza
del 28 marzo 2012 e dal Consiglio di Stato con ordinanze del 22
novembre 2012 e del 23
gennaio 2013, iscritte rispettivamente al n. 134 del registro ordinanze
2012 e ai numeri 42 e 58 del registro ordinanze 2013, e pubblicate nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell’anno 2012
e numeri 11 e 13, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visti
gli atti di costituzione di P.L. e
di P.M., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’11 febbraio 2014 e nella
camera di consiglio del 12 febbraio 2014 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;
uditi gli avvocati Gennaro Notarnicola
e Pietro Paolo Lettieri per P.L., Angelo Clarizia per P.M. e l’avvocato dello Stato Ettore Figliolia per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1.– Il Consiglio di Stato, in sede
giurisdizionale, con ordinanza del 22 novembre 2012 (r.o.
n. 42 del 2013), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 33 e 97 della Costituzione,
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1 e 3, del
decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180 (Disposizioni urgenti per il diritto
allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema
universitario e della ricerca), convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge 9 gennaio 2009, n. 1 – nel testo ante modifica, ai sensi
dell’art. 11, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49
[Disciplina per la programmazione, il monitoraggio e la valutazione delle
politiche di bilancio e di reclutamento degli atenei, in attuazione della
delega prevista dall’articolo 5, comma 1, della legge 30 dicembre 2010, n. 240
e per il raggiungimento degli obiettivi previsti dal comma 1, lettere b) e c),
secondo i principi normativi e i criteri direttivi stabiliti al comma 4,
lettere b), c), d), e) ed f) e al comma 5].
1.1.– Il rimettente premette di essere
chiamato a pronunciare su un ricorso in appello proposto dalla professoressa
P.M. nei confronti del Ministero dell’istruzione, dell’università e della
ricerca, nonché della Università degli Studi "Magna Graecia”
di Catanzaro, avverso la sentenza del Tribunale amministrativo per il Lazio
(d’ora in avanti TAR) del 22 febbraio 2011, n. 1775.
Al riguardo espone che – come riferito
dall’appellante – la prof.ssa P.M., nel corso del 2008, aveva partecipato alla
procedura di valutazione comparativa indetta dalla citata università, per la
copertura di un posto di professore ordinario presso la facoltà di
giurisprudenza – settore scientifico-disciplinare Ius/14
(Diritto dell’Unione europea), ed era stata dichiarata idonea all’esito della
relativa procedura; che quest’ultima era stata indetta dalla medesima
università presso cui ella già prestava servizio in qualità di professore
associato nel medesimo settore scientifico-disciplinare; che, con delibera in
data 24 novembre 2010, il Consiglio della facoltà di giurisprudenza,
considerate le esigenze didattico-scientifiche della
facoltà stessa, aveva deliberato di chiamare la docente a ricoprire il posto di
ruolo di prima fascia per il menzionato settore scientifico-disciplinare Ius/14; che l’Università non aveva assunto l’appellante
come professore di prima fascia nell’insegnamento da lei già ricoperto in qualità
di professore associato; che ella aveva rivolto formale richiesta alla detta
Università, al fine di essere nominata e immessa in ruolo, ma il Rettore aveva
respinto l’istanza, in asserita ottemperanza al disposto della circolare
ministeriale 27 marzo 2009, n. 478 (emanata in applicazione del d.l. n. 180 del
2008), in quanto l’Università in questione non sarebbe stata legittimata a
procedere all’assunzione sulla base della propria dotazione di posti in
organico.
Il rimettente ricorda che la circolare ministeriale
menzionata, nell’attuare il disposto dell’art. 1 del d.l. n. 180 del 2008, si è
soffermata, in particolare, sul contenuto degli obblighi ricadenti sulle
università cosiddette "virtuose” (ossia sugli atenei che, al pari di quello
catanzarese, non abbiano superato, per quanto riguarda le spese fisse e
obbligatorie relative al personale di ruolo, il limite parametrico di cui
all’art. 51, comma 4, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, recante «Misure per
la stabilizzazione della finanza pubblica», pari al novanta per cento dei
trasferimenti statali sul fondo per il finanziamento ordinario), stabilendo le
modalità concrete con cui determinare il limite di spesa fissato per procedere
alle nuove assunzioni di personale (in base all’art. 1, comma 3, del d.l. n.
180 del 2008, tale limite è fissato in una soglia di spesa pari al cinquanta
per cento di quella relativa al personale a tempo indeterminato
complessivamente cessato dal servizio nell’anno precedente).
Il Consiglio di Stato riferisce,
altresì, che il provvedimento rettorale di cui sopra era stato impugnato dalla
prof.ssa P.M. dinanzi al TAR del Lazio che, dopo avere accolto l’istanza di
sospensione cautelare dell’atto impugnato, aveva respinto nel merito il
ricorso; ed aggiunge che la sentenza in questione è stata impugnata in sede di
appello dalla prof.ssa P.M. la quale ne ha chiesto la riforma articolando i
seguenti motivi: 1) violazione e falsa applicazione dell’art. 1 del d.l. n. 180
del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 1 del 2009; 2)
motivazione illogica e contraddittoria; 3) illegittimità dei provvedimenti
impugnati in primo grado per illegittimità derivata dall’art. 1, comma 3, del
d.l. n. 180 del 2008, stante la violazione degli artt. 3, 33 e 97 Cost.
Con riguardo al motivo sub 1), secondo
l’appellante, il TAR avrebbe dovuto rilevare l’illegittimità delle previsioni
di cui alla circolare ministeriale 27 marzo 2009, la quale avrebbe erroneamente
desunto dalle disposizioni del d.l. n. 180 del 2008 un divieto di assunzione. In
particolare, ad avviso della docente, qualora si ammettesse – come ritenuto dal
TAR – che la citata circolare ministeriale sia conforme alle previsioni di
legge e che a quest’ultima sia effettivamente riferibile il divieto di
assunzione a lei opposto, ne conseguirebbero effetti «illogici e
irragionevoli», tali da palesare l’implausibilità
della proposta ricostruzione interpretativa. La lettura del pertinente quadro
legislativo offerta dal Tribunale sarebbe erronea, in quanto comporterebbe che,
mentre alle università caratterizzate da una deteriore situazione finanziaria
sarebbe, comunque, consentito procedere ad assunzioni dei professori associati
(recte: ricercatori) risultati vincitori di concorsi
espletati alla data di entrata in vigore della legge di conversione – senza il
rispetto di alcuna percentuale e con il solo limite del non aggravio di spesa –
al contrario, la medesima facoltà sarebbe preclusa alle università cosiddette
"virtuose”, anche nelle ipotesi in cui ciò non determini alcun aggravio di spesa.
Sotto tale aspetto, il Tribunale non
avrebbe tenuto adeguatamente conto del fatto che l’assunzione dell’appellante
non avrebbe determinato alcun aggravio di spesa a carico dell’Università degli
Studi "Magna Graecia”, in considerazione del fatto
che: a) essa già prestava servizio presso quell’ateneo in qualità di professore
associato; b) gli oneri complessivi connessi allo status di professore
associato con alcuni anni di anzianità di servizio erano addirittura superiori
a quelli che sarebbero stati connessi all’immissione in servizio in qualità di
professore ordinario.
Inoltre, il TAR non avrebbe considerato
che, nel caso in esame, i divieti e i limiti alle nuove assunzioni non potevano
trovare applicazione dato che l’appellante già prestava servizio presso
l’ateneo catanzarese, con la conseguenza che il passaggio alla qualifica di
professore ordinario costituiva un mero passaggio di livello e, in quanto tale,
inidoneo a determinare l’instaurazione di un nuovo rapporto d’impiego.
Con riguardo al motivo di appello sub
2), in via subordinata rispetto alle argomentazioni sub 1) e per l’ipotesi in
cui l’art. 1, comma 3, del d.l. n. 180 del 2008, sia effettivamente da
interpretare nel senso che per le università ivi contemplate il legislatore
avrebbe inteso fissare un generalizzato limite alle assunzioni, senza
riconoscere le deroghe ammesse nel caso delle università "non virtuose”,
l’appellante ha chiesto che il Collegio sollevi questione di legittimità
costituzionale in ordine alle previsioni di legge ostative alla sua effettiva
immissione in servizio, per violazione degli artt. 3, 33 e 97 Cost.
Il rimettente riferisce che si sono
costituiti in giudizio il Ministero dell’istruzione, dell’università e della
ricerca nonché l’Università degli Studi "Magna Graecia”
di Catanzaro, chiedendo il rigetto dell’appello; che, con ordinanza n. 1333 del
2012, è stata accolta l’istanza di sospensione cautelare degli effetti della
sentenza appellata; che, alla pubblica udienza del 3 luglio 2012, il ricorso è
stato trattenuto in decisione.
1.2.– Il Consiglio di Stato ritiene che,
ai fini della decisione, risulti necessario esaminare le deduzioni
dell’appellante sulla legittimità costituzionale delle previsioni di cui ai
commi 1 e 3 dell’art. 1 del d.l. n. 180 del 2008, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 1 del 2009, in riferimento agli artt. 3, 33 e 97
Cost.
Il collegio, nel riportare il contenuto
dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 180 del 2008, poi convertito (nella
formulazione, rilevante ai fini del giudizio, anteriore alle modifiche di cui
al comma 1, lettera b, dell’art. 11 del d.lgs. n. 49 del 2012), pone in
evidenza come la disposizione in esame imponesse un generale divieto di
procedere a nuove assunzioni nei confronti delle università cosiddette "non virtuose”,
le quali avessero superato, per quanto riguarda le spese fisse e obbligatorie
per il personale di ruolo, il limite parametrico di cui all’art. 51, comma 4,
della legge n. 449 del 1997. Il rimettente sottolinea che, in sede di
conversione, la rigidità del vincolo in questione era stata attenuata,
prevedendo per le medesime università la possibilità di completare le
assunzioni dei ricercatori vincitori dei concorsi di cui al decreto-legge 7
settembre 2007, n. 147 (Disposizioni urgenti per assicurare l’ordinato avvio
dell’anno scolastico 2007-2008 ed in materia di concorsi per ricercatori
universitari), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 25
ottobre 2007, n. 176, e di cui al decreto-legge 3 giugno 2008, n. 97
(Disposizioni urgenti in materia di monitoraggio e trasparenza dei meccanismi
di allocazione della spesa pubblica, nonché in materia fiscale e di proroga di
termini), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2
agosto 2008, n. 129, a condizione che l’attenuazione del vincolo avvenisse
«senza oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica».
Il rimettente, nel riportare, altresì,
il contenuto del comma 3 del citato art. 1 (la cui formulazione non è stata
modificata nel corso del tempo), pone in rilievo come la disposizione in
questione stabilisca nei confronti degli atenei "virtuosi” – quale quello
appellato e i cui effetti sono limitati al triennio 2009-2011 – non già un
divieto assoluto di procedere a nuove assunzioni, ma la possibilità di nuove
assunzioni limitata a un contingente numericamente tale da produrre una spesa
non superiore al cinquanta per cento di quella relativa personale a tempo
indeterminato complessivamente cessato dal servizio nell’anno precedente.
Il rimettente evidenzia come il comma 3
del citato art. 1 non preveda alcuna clausola di salvaguardia diretta a
favorire il completamento delle procedure concorsuali in atto, sia pure ad
invarianza di spesa.
Ad avviso del collegio, non sarebbero
manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art.
1, comma 3, del d.l. n. 180 del 2008, convertito dalla legge n. 1 del 2009, per
la parte in cui prevede che le università "virtuose” siano astrette in modo
rigido al vincolo assunzionale del cinquanta per
cento del costo connesso alle cessazioni di personale verificatesi nell’anno
precedente, senza che alle stesse sia riconosciuta la possibilità di accedere
ad una clausola di salvaguardia – quale quella volta al completamento delle
procedure concorsuali in atto – neppure nel caso in cui ciò si renda possibile
«senza oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica».
1.3.– In punto di rilevanza, il
Consiglio di Stato osserva che l’oggetto principale dell’impugnativa è
rappresentato dalla circolare ministeriale 27 marzo 2009, n. 478, la quale,
nell’interpretare le previsioni dettate dall’art. 1 del d.l. n. 180 del 2008,
poi convertito, ha concluso nel senso che il nuovo regime impediva l’assunzione
del docente universitario in ipotesi quale quella di interesse della
ricorrente.
Ad avviso del giudice a quo, la
circolare in questione – nell’escludere la possibilità di procedere
all’assunzione dell’appellante – avrebbe correttamente interpretato le
disposizioni di legge della cui legittimità costituzionale si dubita, per cui
l’impedimento all’assunzione deriverebbe in via immediata dall’art. 1 del d.l.
n. 180 del 2008, convertito dalla legge n. 1 del 2009, e l’appellante avrebbe
potuto in concreto aspirare all’assunzione solo in assenza (o previa rimozione)
della richiamata disciplina primaria.
In particolare, il rimettente deduce che
la circolare impugnata, laddove non tiene in considerazione il fatto che
l’assunzione non avrebbe determinato alcun aggravio di spesa – ma, al
contrario, avrebbe prodotto nell’immediato un risparmio – avrebbe attuato in
modo coerente il paradigma legislativo di riferimento, il quale non consente di
declinare in modo differenziato il divieto a seconda dell’eventuale risparmio
connesso alla singola assunzione. Al riguardo, il collegio sottolinea come il
comma 3 dell’art. 1 del d.l. n. 180 del 2008, poi convertito, faccia scattare
in modo sostanzialmente automatico il divieto di procedere a nuove assunzioni
non appena risulti superato il parametro della spesa, pari al cinquanta per
cento di quella del personale a tempo indeterminato complessivamente cessato
dal servizio nell’anno precedente. La medesima disposizione, quindi, non
consentirebbe di tenere in considerazione i maggiori o minori oneri conseguenti
alle ulteriori assunzioni, una volta che il richiamato parametro risulti
superato.
Il collegio ritiene, altresì, la
circolare impugnata conforme al pertinente paradigma legislativo per la parte
in cui ammette che gli atenei "non virtuosi” completino le assunzioni dei
docenti vincitori di concorsi – sia pure con il vincolo dell’assenza di oneri
aggiuntivi a carico della finanza pubblica – mentre per gli atenei "virtuosi”
impone un indifferenziato limite alle nuove assunzioni a prescindere dal fatto
che tali assunzioni comportino o meno nuovi o maggiori oneri (che nel caso in
esame, almeno inizialmente, non vi sarebbero, atteso che il trattamento
economico del professore ordinario, all’atto della prima nomina, è, nei fatti,
inferiore a quello del professore associato con alcuni anni di anzianità).
Il Consiglio di Stato esclude la
possibilità di una lettura costituzionalmente orientata, suggerita
dall’appellante in relazione al combinato disposto dei commi 1 e 3 del citato
art. 1, in quanto dal disposto testuale dei medesimi commi emergerebbe che, per
le università di cui al comma 3, il vincolo assunzionale
ricondotto nel limite del cinquanta per cento non ammetterebbe deroga alcuna in
relazione ai vincitori di procedure concorsuali in essere alla data di entrata
in vigore della legge (e ciò, neanche nel caso in cui l’ulteriore assunzione,
almeno in una fase iniziale, non comporti alcun onere aggiuntivo per le casse
dell’ateneo).
Il rimettente ritiene, altresì, di non
condividere la tesi secondo cui il passaggio da professore associato a
professore ordinario non determinerebbe l’instaurazione di un nuovo rapporto di
lavoro. Infatti, anche ad ammettere che tra le due qualifiche in questione
sussista un nesso di sostanziale continuità (Consiglio di Stato, sezione sesta,
sentenza 16 novembre 2004, n. 7483), ciò non impedirebbe di ritenere che il
passaggio dall’una all’altra di esse comporti la soluzione di continuità
rispetto al primo rapporto e l’instaurazione di un rapporto lavorativo nuovo e
diverso (sono richiamate le sentenze della Corte costituzionale n. 407 del 2005
e n. 194 del
2002).
Il collegio ritiene di dover fare
applicazione, nel caso di specie, dei principi di cui alla sentenza del
Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 28 maggio 2012, n. 17, la quale ha
chiarito che il divieto di assunzione previsto dall’art. 1 del d.l. n. 180 del
2008, poi convertito, opera anche per l’inquadramento in ruolo, in una fascia
superiore, di docenti già in servizio presso la medesima università, atteso che
il nuovo inquadramento in ruolo del docente è frutto dell’esito positivo di una
procedura concorsuale aperta, che dà luogo ad un’assunzione in senso proprio e
non al mero passaggio di qualifica per effetto di procedura riservata.
Per conseguenza, il rimettente esprime
l’avviso che alla fattispecie in questione si applichino i limiti alle nuove
assunzioni di cui al citato art. 1, comma 3; e, stante il recente
pronunciamento della Adunanza plenaria (sentenza 28 maggio 2012, n. 17),
esclude che, nel caso in esame, possa trovare applicazione la giurisprudenza
amministrativa secondo cui il cosiddetto «blocco delle assunzioni» non potrebbe
applicarsi in relazione ai cosiddetti «passaggi di livello» (Consiglio di
Stato, sesta sezione, sentenza 16 novembre 2004, n. 7483).
In conclusione, il giudice a quo ritiene
che la circolare ministeriale 27 marzo 2009, n. 478 (ossia l’atto in base al
quale l’università ha respinto l’istanza volta all’immissione in servizio della
parte privata quale professore ordinario) non abbia introdotto limiti alle
assunzioni nuovi e diversi rispetto a quelli già desumibili dal richiamato
dettato normativo. La fissazione di un sistema di computo atto a valutare le
retribuzioni medie (attraverso il ricorso al metodo dei cosiddetti «punti
organico») al fine di determinare la spesa complessivamente riferibile al
personale cessato dal servizio nell’anno precedente, costituirebbe un parametro
applicativo di per sé non irragionevole e certamente compatibile con la lettera
e la ratio della disciplina legislativa del 2008.
Il Consiglio di Stato, poi, osserva che
il secondo aspetto, in relazione al quale occorre verificare la sussistenza
della rilevanza della questione di legittimità costituzionale, riguarderebbe il
fatto che il comma 3 dell’art. 1 del d.l. n. 180 del 2008, convertito dalla
legge n. 1 del 2009, trovava applicazione soltanto in relazione al triennio
2009-2011. Da ciò deriverebbe che, al momento in cui l’appello è stato proposto
(la notifica dell’atto di appello risale al marzo 2012), la disposizione
censurata aveva ormai cessato di produrre i suoi effetti e non poteva risultare
preclusiva della possibilità di proporre una nuova istanza di assunzione.
Inoltre, ai fini del giudizio di
rilevanza, andrebbe considerato che, nelle more del giudizio, è entrato in
vigore il d.lgs. n. 49 del 2012, il cui art. 11 ha abrogato il primo periodo
dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 180 del 2008, convertito dalla legge n. 1 del
2009; mentre il comma 3 dell’art. 14 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95
(Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei
servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese
del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1,
della legge 7 agosto 2012, n. 135, ha aggiunto il comma 13-bis all’art. 66 del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo
economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della
finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, il quale ha previsto
ulteriori limiti assunzionali per le università
statali relativamente al triennio 2012-2014, nonché agli anni 2015 e 2016.
Ad avviso del collegio, la circostanza
per cui, nelle more del giudizio, la disposizione su cui si fondava il diniego
di assunzione (ossia l’art. 1, comma 3) abbia cessato di produrre i suoi
effetti, nonché la circostanza per cui l’ulteriore disposizione relativa al
caso delle università "non virtuose” (art. 1, comma 1, primo periodo, assunto a
parametro del vaglio di ragionevolezza sulla disposizione di cui al successivo
comma 3) sia stata espressamente abrogata, non incidono sulla rilevanza della
questione di legittimità costituzionale relativa al richiamato art. 1, comma 3,
in combinato disposto con il comma 1 del medesimo articolo.
Al riguardo, è richiamato l’orientamento
della Corte costituzionale secondo cui è rilevante la questione di legittimità
costituzionale di una disposizione che, medio tempore, sia stata abrogata e
sostituita da altra norma. Ciò in quanto l’abrogazione di una disposizione non
toglie, di per sé, rilevanza alla questione di legittimità costituzionale
avente ad oggetto la disposizione precedente, atteso che, ove un determinato
atto amministrativo sia adottato sulla base di una norma poi abrogata, la
legittimità dell’atto deve essere esaminata, in virtù del principio tempus regit actum,
con riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della
sua adozione (sentenza
n. 177 del 2012).
Il rimettente ritiene che la richiamata
giurisprudenza costituzionale (formatasi sull’ipotesi di questione di
legittimità concernente una legge medio tempore abrogata), possa trovare
applicazione anche in relazione all’ipotesi di norma di legge che, nelle more
del giudizio, abbia aliunde cessato di produrre i
propri effetti (ad esempio, per decorso del lasso temporale al quale era ab initio limitata la sua
efficacia). Pertanto, è dell’avviso che la questione di legittimità
costituzionale, relativa al combinato disposto dei commi 1 e 3 dell’art. 1 del
d.l. n. 180 del 2008, sia rilevante ai fini della definizione del giudizio a
quo, quanto meno in relazione ai profili risarcitori della vicenda.
Al riguardo, il collegio richiama il
comma 3 dell’art. 34 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione
dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo
per il riordino del processo amministrativo), il quale dispone che «Quando, nel
corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più
utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se
sussiste l’interesse ai fini risarcitori» (Consiglio di stato, sezione sesta,
ordinanza 18 giugno 2012, n. 3541).
Il rimettente osserva che, se, per un
verso, è vero che la disposizione sulla quale è stato fondato il diniego di
assunzione (ossia, l’art. 1, comma 3) ha cessato di produrre i suoi effetti
nelle more del giudizio, per altro verso ciò non ha determinato il venire meno,
in punto di fatto, dell’ostacolo all’assunzione in servizio dell’appellante, essendo
entrato in vigore il comma 3 dell’art. 14 del d.l. n. 95 del 2012, il quale ha
introdotto per le università ulteriori limiti alle nuove assunzioni.
1.4.– Il Consiglio di Stato ritiene che
la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 1 e
3 dell’art. 1 del d.l. n. 180 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 1 del 2009, sia, altresì, non manifestamente infondata, in riferimento
agli artt. 3, 33 e 97 Cost.
In primo luogo, osserva che il combinato
disposto delle due richiamate disposizioni potrebbe risultare in contrasto con
il generale canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.
Il rimettente rileva che le disposizioni
censurate potrebbero avere instaurato un sistema il quale – in modo del tutto
irragionevole – avrebbe applicato, per ciò che riguarda i vincoli e i limiti
alle assunzioni (in particolare, per ciò che attiene alla possibilità di
procedere alle assunzioni di vincitori delle procedure già avviate al momento
dell’entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 180 del 2008), un
ingiustificato trattamento di maggior vantaggio per gli atenei "non virtuosi”
rispetto agli atenei "virtuosi”. E, infatti, mentre per gli atenei "non
virtuosi” il rigido divieto di nuove assunzioni sarebbe temperato dalla
rilevantissima eccezione rappresentata dalla possibilità di completare le
assunzioni dei ricercatori vincitori delle procedure selettive ivi
espressamente richiamate (nonché dei vincitori di concorsi comunque espletati
alla data di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n.180 del
2008), al contrario per gli atenei "virtuosi” il limite alle nuove assunzioni
(che possono essere effettuate per un contingente massimo corrispondente ad una
spesa pari al cinquanta per cento di quella relativa al personale a tempo
indeterminato complessivamente cessato dal servizio nell’anno precedente) non
conoscerebbe alcun temperamento o eccezione, neanche nell’ipotesi in cui la
singola assunzione – come nel caso in esame – sarebbe possibile, almeno in una
prima fase, senza aggravio finanziario per le casse dell’università.
Al riguardo, il collegio rileva la
difficoltà di individuare, nelle previsioni di cui al comma 1 del citato art. 1
del d.l. n. 180 del 2008, poi convertito, un effettivo tertium
comparationis per ciò che riguarda la disciplina dei
limiti assunzionali nei confronti delle università
"virtuose” di cui al successivo comma 3, stante i numerosi punti di
eterogeneità che caratterizzano le due disposizioni.
In particolare, il rimettente osserva
che nel caso di atenei "non virtuosi”, al più favorevole trattamento per ciò
che concerne l’assunzione dei vincitori delle procedure selettive già in atto,
fa «da contraltare» un più rigido limite generale alle nuove assunzioni (il
quale si concreta in un divieto sotto ogni aspetto assoluto e generalizzato);
mentre, al contrario, nel caso degli atenei "virtuosi” al meno favorevole
trattamento per ciò che concerne il perfezionamento delle procedure pregresse,
fa «da contraltare» un trattamento oggettivamente di maggior favore per ciò che
concerne i vincoli assunzionali (per i quali è posto
un limite numerico e non un divieto assoluto).
Il giudice a quo rileva come
l’impossibilità di individuare una sorta di "simmetria” tra le due richiamate
disposizioni renda difficile operare un giudizio di legittimità sulla
complessiva scelta legislativa sotto il profilo del rispetto del principio di
eguaglianza e parità di trattamento (a meno di entrare nel merito delle scelte
rimesse all’interpositio legislatoris).
Esso ritiene, tuttavia, che il concreto
assetto disciplinare risultante dal combinato operare delle disposizioni
censurate possa palesare evidenti profili di irragionevolezza, in
considerazione degli effetti concreti che quell’assetto è in grado di determinare.
Al riguardo, osserva che, anche a volere
considerare l’oggettivo carattere di maggior rigore che caratterizza la
disciplina in esame per ciò che riguarda i divieti generali di assunzione a
carico degli atenei "non virtuosi”, l’effetto pratico prodotto dalla norma è
quello di consentire a tale tipologia di atenei un rilevante numero di
assunzioni di ricercatori (viene richiamata l’ipotesi in cui, alla data di
entrata in vigore del d.l. n. 180 del 2008, la singola università avesse in
corso di svolgimento numerose procedure concorsuali).
Il collegio pone in evidenza come, in
definitiva, il complessivo assetto della disciplina dettato dal citato comma 1,
sarebbe tale da consentire che, nei fatti, l’eccezione (possibilità di assumere
i ricercatori vincitori dei concorsi in precedenza espletati) travalichi del
tutto la regola (divieto generalizzato di nuove assunzioni), sino a renderla
nei fatti inoperante.
Diversamente, i limiti e vincoli assunzionali, complessivamente imposti agli atenei
"virtuosi”, non presenterebbero alcuna possibile deroga o eccezione, neanche
per l’ipotesi in cui – come nel caso in esame – la singola assunzione non
potrebbe comunque produrre alcun aggravio di spesa per l’ateneo.
Il Consiglio di Stato ritiene, sotto
tale aspetto, che il combinato operare delle due richiamate disposizioni sia
irragionevole anche per un diverso profilo, da esaminarsi sotto l’angolo
visuale del generale obiettivo di contenimento della spesa di cui al d.l. n.
180 del 2008.
Al riguardo, il giudice a quo sottolinea
che, mentre nel caso degli atenei "non virtuosi” il limite "fisiologico”
all’espansione della spesa per nuove assunzioni è rappresentato dall’assenza di
oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica, ossia, nei fatti,
dall’invarianza degli oneri per il personale registrati nel corso dell’anno
precedente, al contrario, nel caso degli atenei "virtuosi” il medesimo limite
"fisiologico” all’espansione della spesa per nuove assunzioni è posto ad un
livello di gran lunga inferiore, ossia nella richiamata misura del cinquanta
per cento della spesa per il personale cessato dal servizio nel corso dell’anno
precedente.
Pertanto, il rimettente dubita della
legittimità costituzionale del combinato disposto delle disposizioni
richiamate, sotto il profilo della manifesta irragionevolezza, in quanto: 1) la
scelta normativa risulterebbe maggiormente penalizzante nei confronti degli
enti che abbiano tenuto comportamenti "virtuosi” (e maggiormente compatibili
con il perseguimento degli obiettivi di contenimento di spesa fissati),
rispetto agli enti che abbiano operato in senso contrastante rispetto a tali
obiettivi; 2) il risultato concreto della richiamata scelta legislativa sarebbe
nel senso di consentire ai soli soggetti meno virtuosi di disporre di deroghe
tali da vanificare la tenuta concreta del principio di contenimento della spesa
cui il complessivo intervento normativo mirava.
Peraltro, il collegio ritiene che non si
potrebbe pervenire a conclusioni diverse rispetto a quelle delineate neanche
qualora si considerasse che le deroghe consentite dal comma 1 del citato art.
1, in favore degli atenei "non virtuosi”, riguardino la sola assunzione di
ricercatori universitari, mentre nel caso in esame si fa questione
dell’assunzione di un professore ordinario.
In proposito, il rimettente osserva che,
se si riguarda alla questione sotto il più generale angolo visuale della
coerenza e ragionevolezza del complessivo disegno normativo delineato nel 2008,
ciò che viene in rilievo è la possibilità, in sé, di potere fruire di eccezioni
ai divieti e ai limiti alle nuove assunzioni e non la circostanza puntuale
relativa alla tipologia di assunzioni oggetto della deroga legale.
Anche sotto tale aspetto, il collegio
sottolinea che è censurata non la disparità di trattamento tra le ipotesi
disciplinate al comma 1 e quelle disciplinate al comma 3 del richiamato art. 1
(censura resa complicata dal carattere eterogeneo delle previsioni in questione
e dalla difficoltà di individuare un effettivo tertium
comparationis nell’ambito di un giudizio di
eguaglianza), quanto, piuttosto, il carattere complessivamente irragionevole ed
ingiustificato della scelta normativa operata nel corso dell’anno 2008.
Ad avviso del Consiglio di Stato, impostati
in tal modo i termini concettuali della questione, non sembrerebbe ostare al
giudizio di non manifesta infondatezza la circostanza per cui il comma 1 del
citato art. 1 non consente deroghe per il caso di assunzioni di professori
ordinari (ossia, per ipotesi assimilabili a quella all’origine dei fatti di
causa).
Il rimettente ritiene, altresì, non
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del
combinato disposto dei commi 1 e 3 dell’art. 1 del d.l. n. 180 del 2008, poi
convertito, in riferimento all’art. 33 Cost., in materia di limiti e vincoli
all’autonomia universitaria.
Al riguardo, osserva che, se, per un
verso, il legislatore può imporre legittimamente vincoli e limiti al pieno
esercizio di tale autonomia, laddove siffatta imposizione risulti finalizzata
al perseguimento di interessi e finalità di rilievo costituzionale (come, nel
caso di specie, il perseguimento di imprescindibili obiettivi di sostenibilità
del bilancio), per altro verso, l’imposizione di tali vincoli potrebbe
risultare costituzionalmente illegittima laddove – per le medesime ragioni
sopra esposte – essa non rinvenga un’effettiva giustificazione nel
perseguimento dei richiamati obiettivi di carattere economico e finanziario.
Infine, il collegio censura il combinato
disposto dei commi 1 e 3 del citato art. 1, in riferimento all’art. 97 Cost.
sotto il profilo del buon andamento e dell’imparzialità nella disciplina e
nella gestione dell’amministrazione pubblica.
A tal proposito, rileva che, se per un
verso, può ammettersi l’incidenza dell’interpositio legislatoris sulle variabili sottese ad alcune tra le
principali scelte organizzative e gestionali delle amministrazioni pubbliche
(come quelle relative alla provvista di personale), per altro verso, non può
ammettersi la legittimità costituzionale di tali interventi, laddove gli stessi
presentino carattere di irragionevolezza e incidano in modo contraddittorio ed
ingiustificato sulle richiamate variabili organizzative.
2.– Con memoria depositata in data 28 febbraio
2013 si è costituita in giudizio la professoressa P.M. la quale, nel far
proprie le argomentazioni dell’ordinanza di rimessione, chiede l’accoglimento
della sollevata questione di legittimità costituzionale.
3.– Con atto depositato in data 2 aprile
2013, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di
legittimità costituzionale sia dichiarata non fondata.
Quanto alla censura mossa in riferimento
all’art. 3 Cost. – in relazione alla circostanza che la disposizione sul blocco
delle assunzioni applicabile alle università "non virtuose”, nel prevedere la
possibilità di assunzione dei ricercatori vincitori delle procedure concorsuali
in precedenza espletate, predisporrebbe a favore di queste ultime un sistema di
maggior favore rispetto a quello previsto per le università "virtuose” – la
difesa erariale sottolinea la disomogeneità dei termini di comparazione.
Al riguardo, il Presidente del Consiglio
dei ministri sottolinea che, mentre per le università "non virtuose”, le
assunzioni ammesse sono solo quelle ivi indicate – essendo stato istituito per
la restante tipologia e provvista di personale universitario un regime di
blocco assunzionale assoluto – per gli atenei
"virtuosi” è prevista la possibilità di assunzione di tutte le categorie di
personale entro il limite del cinquanta per cento della spesa relativa al
personale cessato, con il vincolo di destinare non meno del sessanta per cento
delle risorse investibili al reclutamento di ricercatori a tempo indeterminato.
La difesa erariale evidenzia come anche per le università "virtuose” sia
prevista una clausola di salvaguardia per l’assunzione dei ricercatori
selezionati attraverso le procedure concorsuali di cui all’art. 1, comma 648,
della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2007), nei
limiti delle risorse residue previste dal comma 650 del predetto art. 1.
Pertanto, ad avviso del Presidente del
Consiglio dei ministri, i numerosi e considerevoli tratti distintivi delle
discipline raffrontate renderebbero non fondata la censura di irragionevole
disparità di trattamento.
La difesa statale ritiene non
convincente la tesi del rimettente, in quanto non tiene conto dell’esigenza di
tutelare l’affidamento dei ricercatori vincitori di concorsi espletati prima
dell’entrata in vigore della norma, i quali, se aspirassero ad essere assunti
da un’università "non virtuosa”, in mancanza della clausola di salvaguardia,
verrebbero del tutto pregiudicati dal divieto di effettuare nuove assunzioni di
cui al citato art. 1, comma 1, del d.l. n. 180 del 2008.
Il paventato pregiudizio non si
verificherebbe nel caso di università "virtuose”, in quanto la disposizione di
cui al successivo comma 3 ammette nuove assunzioni, sebbene entro il predetto
limite di spesa del cinquanta per cento dei risparmi per il personale cessato
dal servizio.
La suddetta difesa sottolinea come il
combinato disposto delle due richiamate disposizioni sia del tutto coerente, se
analizzato dal punto di vista della tutela dei diritti dei ricercatori
vincitori dei concorsi già espletati, perché entrambe le norme, secondo
modalità diverse in ragione degli interessi che le stesse sono destinate a
soddisfare, assicurano la realizzazione di tale esigenza evitando di
compromettere in modo definitivo le chance professionali e di vita di candidati
che si trovano in una fase cruciale per l’effettuazione delle proprie scelte professionali.
Il Presidente del Consiglio dei ministri rileva come il meccanismo del "blocco
delle assunzioni”, delineato dal legislatore nel 2008, persegua non solo
finalità di carattere finanziario, ma anche di incentivazione del ricambio
generazionale del personale docente.
In particolare, le due disposizioni
risulterebbero coerenti nel predisporre un sistema che, se per un verso mira a
guidare l’ateneo al rientro nei parametri di legge (riguardo al rapporto tra
spese fisse e obbligatorie per il personale di ruolo e l’entità dei
trasferimenti statali sul fondo di finanziamento ordinario), dall’altro
salvaguarda la figura del ricercatore, consentendone le assunzioni in deroga al
divieto (comma 1) e prevedendo, per le università "virtuose”, la destinazione
di una quota non inferiore al sessanta per cento delle somme disponibili per le
nuove assunzioni a favore di professionalità (ricercatori e contrattisti) che
intraprendono la carriera universitaria (comma 3).
Ad avviso della difesa statale, le
differenze tra le due regole previste dai commi 1 e 3 dell’art. 1 andrebbero
interpretate alla luce degli scopi complessivi che la normativa è diretta a
realizzare ed in ragione dei quali le dedotte censure di disparità di
trattamento non risulterebbero fondate data la unitaria linea di politica
legislativa volta a valorizzare la figura del ricercatore.
La circostanza che la normativa in esame
persegue finalità ulteriori e diverse rispetto al mero risparmio di spesa
varrebbe – secondo il Presidente del Consiglio dei ministri – a confutare anche
la censura secondo cui l’assunzione dei vincitori dei concorsi espletati
costituirebbe un’eccezione di portata tale da travalicare la regola (divieto
generalizzato di nuove assunzioni) sino a renderla, nei fatti, inoperante.
Si tratterebbe, in primo luogo, di un
assunto meramente ipotetico, che oblitera l’opposta ed espressa previsione
secondo cui le assunzioni devono avvenire «senza oneri aggiuntivi per la
finanza pubblica» ed, in secondo luogo, di una conclusione che non terrebbe
conto della complessiva ratio della normativa.
Quanto alle censure mosse in riferimento
agli artt. 33 e 97 Cost., la difesa dello Stato sottolinea come gli argomenti a
sostegno delle stesse costituiscano dei corollari dell’articolata ricostruzione
operata con riguardo all’assunta lesione dell’art. 3 Cost.
4.– In data 26 settembre 2013, la
prof.ssa P.M. ha depositato memoria illustrativa, insistendo per l’accoglimento
delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Consiglio di Stato
con l’ordinanza r.o. n. 42 del 2013.
La parte privata pone in evidenza come,
in virtù dell’art. 1 del d.l. n. 180 del 2008, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 1 del 2009, mentre le università "non virtuose” possono assumere
i ricercatori – e dunque anche i professori associati e ordinari – risultati
vincitori di concorsi espletati alla data di entrata in vigore della legge n. 1
del 2009, senza alcuna percentuale e con il solo limite del non aggravio della
spesa pubblica, le università "virtuose” non possono assumere lo stesso
personale, se si superano i limiti di spesa prefissati, ancorché l’assunzione
non comporti alcun aggravio di spesa. Peraltro, le università "virtuose” sono
tenute a destinare le somme a disposizione, per una quota non inferiore al
sessanta per cento, all’assunzione dei ricercatori a tempo indeterminato e per
una quota non superiore al dieci per cento all’assunzione di professori
ordinari.
Da qui l’irragionevolezza della
disciplina di cui al comma 3 del citato art. 1, letto in correlazione con
quanto previsto dal comma 1 dello stesso articolo. La parte privata evidenzia
come la norma censurata determini, infatti, un’evidente disparità di
trattamento tra coloro che hanno partecipato a concorsi e/o procedure
comparative indette da università in deficit e coloro che hanno partecipato
alle stesse procedure indette da università "virtuose”. Questi ultimi,
risultati vincitori di concorsi e/o procedure comparative, già bandite prima
dell’entrata in vigore della legge n. 1 del 2009, verrebbero immotivatamente
penalizzati solo perché già dipendenti, seppure con diversa qualifica, presso
università "virtuose” anziché presso università con un bilancio deficitario.
Conseguentemente, ad avviso della parte privata, la disposizione si manifesterebbe
irragionevole anche in riferimento agli obiettivi perseguiti dal legislatore.
La prof.ssa P.M. rileva, inoltre, come
la norma in questione leda anche il principio di autonomia costituzionalmente
riconosciuto alle università, atteso che il divieto di procedere
all’«assunzione» di nuovo personale, che non comporta aggravi di spesa pubblica
e che, quindi, non determina una riduzione degli stanziamenti di bilancio di
cui le università dispongono, inciderebbe, senza ragione, sulla libera scelta
della loro destinazione, con violazione dell’art. 33 Cost.
Infine, ad avviso della parte privata,
la norma censurata violerebbe il canone della ragionevolezza consistente
nell’apprezzamento di conformità tra la regola introdotta e la causa normativa
che la deve assistere (sentenza n. 211 del
2011). Nel caso di specie, mentre le università in deficit possono assumere
il personale vincitore dei precedenti concorsi, qualora ciò non comporti aggravi
di spesa, il divieto di assunzione dello stesso personale per le università
"virtuose” non appare coerente con la ratio
dell’intera disposizione, finalizzata esclusivamente al contenimento dei costi
della spesa pubblica e non già alla compressione degli organici delle
università.
Alla luce delle suddette
argomentazioni,la prof.ssa P.M. insiste per l’accoglimento delle questioni di
legittimità costituzionale prospettate dal collegio rimettente.
5.– In data 21 gennaio 2014, la parte
privata ha depositato parere pro veritate del prof. Luigi Ventura a sostegno
dell’illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3, 33 e 97 Cost.,
dell’art. 1, comma 3, del d.l. n. 180 del 2008, poi convertito, nonché, in via
consequenziale, dell’art. 66, comma 13-bis, del d.l. n. 112 del 2008,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, inserito dall’art.
14, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 135 del 2012, norma contenente la disciplina del «blocco delle
assunzioni» per il periodo successivo al triennio 2009-2011.
Nel parere si sottolinea la completezza
della motivazione della ordinanza di rimessione in punto di rilevanza, in
quanto, il Consiglio di Stato ha osservato, da un lato, che l’esito del giudizio
amministrativo, dipende dall’esito del giudizio di legittimità costituzionale
(per essere l’impugnata circolare ministeriale – sulla cui base è stato
adottato il provvedimento rettorale di diniego dell’assunzione di P.M. –
conforme alla disposizione legislativa censurata) e, dall’altro, che lo ius superveniens non ha
comportato il venire meno della rilevanza della sollevata questione, quantomeno
ai fini risarcitori, in quanto la legittimità dell’atto amministrativo,
adottato sulla base di una norma poi abrogata, deve essere esaminata, in virtù
del principio tempus regit actum, con riguardo alla situazione di fatto e di diritto
esistente al momento della sua adozione (sentenze n. 177 del 2012,
n. 209 del 2010
e n. 509 del
2000).
Inoltre, sempre in punto di
ammissibilità della sollevata questione, si osserva che, nell’ordinanza di
rimessione, è stata implicitamente esclusa la possibilità di un’interpretazione
costituzionalmente orientata della norma censurata sulla base del dato
letterale del testo di legge che, nel prevedere il limite del cinquanta per
cento al vincolo assunzionale, non ammetterebbe
alcuna deroga con riguardo ai vincitori di procedure concorsuali in atto.
Sotto il profilo dell’ammissibilità, nel
parere si rileva, altresì, che il collegio rimettente ha chiarito il petitum, nel senso di una pronuncia additiva, ed, in
particolare, di una pronuncia di illegittimità costituzionale del comma 3
dell’art. 1 del d.l. n. 180 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 1 del 2009, nella parte in cui prevede che le "università virtuose”
siano astrette in modo rigido al vincolo assunzionale
del cinquanta per cento, senza riconoscere loro la possibilità di accedere ad
una «clausola di salvaguardia», quale quella del completamento delle procedure
concorsuali in atto, neanche nel caso in cui ciò possa avvenire senza oneri
aggiuntivi a carico della finanza pubblica.
In punto di non manifesta infondatezza,
si osserva che il principio di eguaglianza in senso soggettivo (art. 3 Cost.), inteso
come divieto di trattamento diseguale tra soggetti che versino in condizioni
analoghe, non può cedere e, dunque, essere oggetto di bilanciamento con altri
principi, anche se di rango costituzionale. Nel caso di specie, il principio di
eguaglianza in senso soggettivo (ovvero in senso cosiddetto "forte”) sarebbe
stato violato in quanto, mentre gli atenei "non virtuosi”, in virtù della
clausola di salvaguardia e, dunque, in deroga al "blocco delle assunzioni”,
potrebbero procedere ad assunzioni di un numero considerevole di docenti
(ricercatori) già vincitori di concorso, gli atenei "virtuosi”, in
considerazione del limite assunzionale del cinquanta
per cento ed in difetto della suddetta clausola di salvaguardia, sarebbero
discriminati nell’assunzione di docenti già vincitori, anche se ciò non
comportasse un maggiore onere finanziario a carico dell’amministrazione.
Peraltro, tale limite assunzionale del cinquanta per cento, valevole per le
università "virtuose”, non potrebbe giustificarsi neanche alla luce
dell’obiettivo, perseguito dal legislatore, del contenimento della spesa
pubblica. Nel caso di specie, l’avanzamento di carriera dalla seconda alla
prima fascia di docenza comporterebbe, peraltro, una riduzione di costi, in
quanto il trattamento economico ad inizio carriera sarebbe inferiore rispetto a
quello già maturato.
Nel parere si evidenzia poi
l’irragionevolezza dei limiti imposti dal legislatore, con la norma censurata,
all’autonomia universitaria (art. 33 Cost.), in quanto l’obiettivo del contenimento
della spesa pubblica non sarebbe bilanciabile con il principio di eguaglianza.
Infine, si sottolinea come la norma
censurata sia affetta da un vizio di illegittimità costituzionale anche sotto
il profilo dell’assunta violazione dell’art. 97 Cost. (nella parte in cui si
prevede che agli impieghi pubblici si accede mediante concorso, salvi i casi
stabiliti dalla legge), in quanto, ingiustificatamente, degrada la posizione
del vincitore di concorso, riconducibile a quella di diritto soggettivo all’assunzione,
a quella di mero interesse legittimo.
6.– Il Tribunale amministrativo
regionale per la Puglia, con ordinanza del 28 marzo 2012 (r.o.
n. 134 del 2012), ha sollevato, in riferimento all’art. 3 Cost., questione di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, secondo periodo, del d.l. n.
180 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 1 del 2009, nel
testo ante modifica, ai sensi dell’art. 11, comma 1, lettera b), del d.lgs. n.
49 del 2012, «nella parte in cui subordina la non operatività del blocco delle
assunzioni per i ricercatori universitari all’avvenuto espletamento – vale a
dire, all’avvenuta conclusione – della procedura concorsuale alla data di
entrata in vigore della legge 9 gennaio 2009, n. 1, di conversione del
decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180».
6.1.– Il rimettente premette di essere
investito di un ricorso proposto dal dott. P.L. nei confronti dell’Università
degli studi di Bari e del Ministero dell’istruzione, dell’università e della
ricerca, per l’annullamento – previa concessione di misure cautelari – della
nota a firma del Rettore, protocollo n. 26729-VII/2 del 28 aprile 2011,
pervenuta in data 2 maggio 2011, recante diniego di assunzione in ordine ad un
posto di ricercatore presso la facoltà di giurisprudenza per il settore
scientifico-disciplinare Ius/01 (Diritto privato), e
per l’accertamento del diritto del ricorrente all’assunzione con decorrenza dal
25 gennaio 2010 o, quanto meno, dal 1° novembre 2010.
Il giudice a quo espone che il dott.
P.L. è stato dichiarato vincitore – con decreto rettorale n. 12350 del 22
dicembre 2009 – della procedura di valutazione comparativa, di cui al concorso
per la copertura di un posto di ricercatore, bandito dall’Università degli
studi di Bari con decreto rettorale n. 10053 del 10 ottobre 2005; che lo
stesso, tuttavia, non è stato assunto; che la impugnata nota rettorale
protocollo n. 26729-VII/2 del 28 aprile 2011 ha dichiarato l’impossibilità di
assumere il ricorrente, stante il superamento, al termine sia dell’anno 2009
che del 2010, del valore del novanta per cento nel rapporto tra spese fisse per
il personale di ruolo e il fondo di funzionamento ordinario.
Il rimettente deduce, altresì, che P.L.
ha impugnato la nota rettorale protocollo n. 26729-VII/2 del 28 aprile 2011; che
i motivi a fondamento dell’impugnativa si concretano: 1) nella assunta
violazione ed erronea applicazione dell’art. 1 del d.l. n. 180 del 2008,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 1 del 2009, anche in relazione
all’art. 1, comma 646, della legge
n. 296 del 2006 e agli artt. 3 e 97 Cost., eccesso di
potere per erronea presupposizione, erronea motivazione, carente istruttoria,
illogicità, ingiustizia manifesta; 2) nella assunta illegittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 180 del 2008, convertito dalla
legge n. 1 del 2009, per contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost.; che il
ricorrente ha chiesto anche l’accertamento del suo diritto all’assunzione; che
si è costituita l’Università degli studi di Bari, resistendo al gravame; che,
nella pubblica udienza del giorno 11 gennaio 2012, la causa è passata in
decisione.
6.2.– Il collegio ritiene che la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, secondo periodo,
del d.l. n. 180 del 2008, convertito, dalla legge n. 1 del 2009, assuma
rilevanza pregiudiziale ai fini della decisione del giudizio a quo e sia non
manifestamente infondata.
6.3.– Sotto il profilo della rilevanza, il
giudice a quo premette che la nota rettorale impugnata si basa sulla
considerazione della impossibilità per l’amministrazione di emanare il
provvedimento di nomina del richiedente a ricercatore universitario, con
decorrenza dall’inizio dell’anno accademico (1° novembre 2010) oppure in corso
d’anno, ai sensi dell’art. 6 della legge 19 ottobre 1999, n. 370 (Disposizioni
in materia di università e di ricerca scientifica e tecnologica), in quanto, la
normativa vigente, non riconosce alla detta Università la facoltà di procedere
ad assunzioni di personale, all’infuori delle ipotesi espressamente previste
(ricercatori cofinanziati dal Ministero), avendo superato al termine sia
dell’anno 2009 che del 2010, il valore del novanta per cento nel rapporto tra
spese fisse per il personale di ruolo e il fondo di funzionamento ordinario.
Essendo detto provvedimento chiaramente
applicativo della preclusione assunzionale di cui
all’art. 1, comma 1, del d.l. n. 180 del 2008, convertito dalla legge n. 1 del
2009, ne conseguirebbe – ad avviso del rimettente – la rilevanza della
questione di legittimità costituzionale della citata previsione normativa ai
fini della decisione del giudizio a quo, tenuto conto dei motivi del ricorso
(sub 1 e 2), che si incentrano sulla valutazione della costituzionalità della
disposizione de qua, ostativa alla assunzione del ricorrente.
Invero, secondo il rimettente,
unicamente la declaratoria di illegittimità costituzionale della prescrizione
di cui all’art. 1, comma 1, secondo periodo, del d.l. n. 180 del 2008,
convertito dalla legge n. 1 del 2009 – nei termini di seguito esposti –
potrebbe consentire al ricorrente di essere assunto dall’Università degli studi
di Bari. Non inciderebbe, infatti, ai fini della valutazione della rilevanza
della questione, la clausola di salvezza contenuta nell’art. 1, comma 646,
della legge n. 296 del 2006, la cui applicazione è invocata dal ricorrente,
avendo lo stesso partecipato ad una procedura di concorso già avviata alla data
del 30 settembre 2006.
Il rimettente richiama il contenuto di
tale ultima disposizione, secondo cui: «Ai fini dell’applicazione dei commi 643
e 645, sono fatte salve le assunzioni conseguenti a bandi di concorso già
pubblicati ovvero a procedure già avviate alla data del 30 settembre 2006 e i
rapporti di lavoro costituiti all’esito dei medesimi sono computati ai fini
dell’applicazione dei predetti commi».
Ad avviso del Tribunale amministrativo
regionale, tale previsione normativa dovrebbe ritenersi superata dal d.l. n.
180 del 2008, poi convertito. In tal senso deporrebbe la constatazione per cui,
quando il legislatore d’urgenza del 2008-2009 ha inteso fare salve determinate
assunzioni contemplate dalla legge n. 296 del 2006, lo ha fatto espressamente
(si fa riferimento al comma 3 dell’art. 1 del d.l. n. 180 del 2008 che fa salve
le assunzioni di cui all’art. 1, comma 648, della legge n. 296 del 2006).
Per il resto, secondo il ricorrente, si
dovrebbe ritenere che il regime del blocco assunzionale
disposto dall’art. 1, comma 1, del d.l. n. 180 del 2008, convertito dalla legge
n. 1 del 2009, rappresenti un implicito superamento di ogni altra previsione
normativa previgente (ivi compreso l’art. 1, comma 646, della legge n. 296 del
2006) e trovi applicazione ratione temporis ad ogni procedura di concorso svoltasi nell’arco
temporale cui la norma fa espresso riferimento (e, quindi, anche a quella
riguardante il ricorrente).
Nel caso di specie, quest’ultimo è,
infatti, vincitore di un concorso per ricercatore universitario bandito nel
2005 e conclusosi con il decreto rettorale di approvazione degli atti del 22
dicembre 2009.
Pertanto, secondo il Tribunale, con
riferimento alla posizione del ricorrente troverebbe applicazione la regola
generale del blocco delle assunzioni di cui al primo periodo dell’art. 1, comma
1, del d.l. n. 180 del 2008, convertito dalla legge n. 1 del 2009.
Il giudice a quo esclude che, nel caso
di specie, possa ravvisarsi un’ipotesi di progressione di carriera da un
livello professionale di grado inferiore ad uno superiore (per esempio, da
ricercatore universitario confermato a professore associato, ovvero da
professore associato a professore ordinario), come tale non rientrante
nell’ambito di operatività del blocco assunzionale di
cui all’art. 1, comma 1, primo periodo, del d.l. n. 180 del 2008, poi
convertito (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 21 aprile 2010, n.
2217; Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 16 novembre 2004, n. 7483;
Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 27 novembre 2001, n. 5958; TAR Bari,
sezione prima, sentenza 16 marzo 2012, n. 572; TAR Palermo, sezione terza,
sentenza 1° aprile 2011, n. 647; TAR Campobasso, sentenza 2 ottobre 2003, n.
697).
Il rimettente pone in evidenza come il
primo comma, secondo periodo, dell’art. 1 del d.l. n. 180 del 2008, poi
convertito, relativo alla specifica posizione dei ricercatori vincitori di
concorso (esentati, a determinate condizioni, dal blocco assunzionale
di cui al primo periodo) lasci chiaramente intendere che gli stessi
ricercatori, al di fuori delle ipotesi previste dal secondo periodo di detto
comma, rientrano nell’ambito operativo del divieto assunzionale.
In particolare, la situazione del dott.
P.L. – vincitore di un concorso per ricercatore universitario – sarebbe
sicuramente riconducibile entro l’alveo del divieto di assunzioni di cui
all’art. 1, comma 1, del d.l. n. 180 del 2008.
Ad avviso del rimettente, la parte
privata, in base alla scansione temporale del concorso al quale ha partecipato,
non potrebbe fruire della eccezione al divieto contenuto nell’art. 1, comma 1,
secondo periodo, del detto decreto-legge.
In virtù di tale disposizione: «Alle
stesse università è data facoltà di completare le assunzioni dei ricercatori
vincitori […] di concorsi espletati alla data di entrata in vigore della legge
di conversione del presente decreto, senza oneri aggiuntivi a carico della
finanza pubblica».
Essendosi il concorso, cui ha
partecipato il dott. P.L., concluso con il decreto rettorale di approvazione
degli atti emesso il 22 dicembre 2009 (e, quindi, in data successiva rispetto a
quella del 10 gennaio 2009 che stabiliva l’entrata in vigore della legge di
conversione n. 1 del 2009), in base all’art. 1, comma 1, secondo periodo, del
d.l. n. 180 del 2008 (letto a contrario), all’Università degli studi di Bari
non sarebbe data la facoltà di completare le assunzioni dei ricercatori
vincitori di concorso espletati in data successiva all’entrata in vigore della
legge di conversione n. 1 del 2009, dovendosi, applicare nei confronti del
ricorrente la regola generale del blocco assunzionale
di cui all’art. 1, comma 1, primo periodo, del citato d.l. n. 180 del 2008.
6.4.– Il Tribunale amministrativo
ritiene che l’art. 1, comma 1, secondo periodo, di tale provvedimento normativo
si ponga in contrasto con il principio di parità di trattamento di cui all’art.
3 Cost., prevedendo una disciplina differente per situazioni giuridiche
identiche.
Al riguardo, la disposizione censurata
subordina la non operatività del blocco delle assunzioni al dato «neutro» e
«casuale» dell’espletamento ovvero della conclusione della procedura
concorsuale prima della data di entrata in vigore della legge di conversione n.
1 del 2009 e, quindi, al dato fortuito della celerità ovvero della lentezza con
cui si è svolto un determinato concorso, celerità o lentezza certamente non
imputabili al partecipante, ma semmai a responsabilità e, in ipotesi, alla mera
volontà dell’amministrazione.
Nel caso di specie – ad avviso del
rimettente – il blocco delle assunzioni di cui alla legge di conversione n. 1
del 2009 discriminerebbe irragionevolmente la posizione del ricorrente rispetto
a coloro che hanno partecipato alla stessa procedura selettiva –ovvero anche a
procedure concorsuali successive – e, tuttavia, hanno avuto la "fortuna” di
vedere "espletata” la procedura prima della data di entrata in vigore della
legge n. 1 del 2009 e, quindi, di rientrare nella esenzione di cui all’art. 1,
comma 1, secondo periodo, del d.l. n. 180 del 2008, poi convertito.
Si tratterebbe, per lo più, di soggetti la
cui assunzione – possibile perché ratione temporis non rientrante, in base all’attuale formulazione
dell’art. 1, comma 1, secondo periodo, del d.l. n. 180 del 2008, nell’ambito
operativo del blocco – verosimilmente andrebbe ad incidere, in termini negativi,
sugli equilibri finanziari dell’Università degli studi di Bari, equilibri che –
secondo le valutazioni contenute nel gravato provvedimento – impedirebbero
l’assunzione del ricorrente.
Pertanto, secondo il giudice a quo, la
subordinazione disposta dall’art. 1, comma 1, secondo periodo, del d.l. n. 180
del 2008, convertito dalla legge n. 1 del 2009, dell’esenzione dal divieto di
assunzioni all’espletamento della procedura concorsuale prima dell’entrata in
vigore della legge di conversione n. 1 del 2009, attribuirebbe
all’amministrazione universitaria un inammissibile potere di determinare quali
candidati assumere e quali no, anche nell’ambito della stessa procedura
selettiva, dandosi origine ad inaccettabili disparità di trattamento a fronte
di identiche posizioni, in violazione del principio costituzionale di cui
all’art. 3 Cost.
Al riguardo, il rimettente richiama la sentenza della
Corte costituzionale n. 35 del 2004 che ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 6, comma 2, della legge 13 maggio 1997, n. 132 (Nuove
norme in materia di revisori contabili), nella parte in cui non prevede che
siano esonerati dall’esame per l’iscrizione nel registro dei revisori contabili
anche coloro che fossero iscritti o acquisissero il diritto ad essere iscritti
nell’albo professionale dei dottori commercialisti o nell’albo professionale
dei ragionieri e periti commerciali in base ad una sessione di esame in corso
alla data di entrata in vigore della medesima legge.
Nella citata pronuncia, la Corte –
premesso che rientra nella discrezionalità del legislatore, allorché introduce
una disciplina transitoria di favore che consente, in assenza dei requisiti di
legge previsti a regime, ma in presenza di determinati altri requisiti (nella
specie, conseguimento del diritto di iscrizione nell’albo dei ragionieri o in
quello dei dottori commercialisti), l’iscrizione in un registro e l’esercizio
di una professione (nella specie di revisore contabile), fissare una data entro
la quale questi ultimi requisiti debbano essere posseduti dagli interessati e
dopo la quale invece valga la disciplina definitiva – ha ritenuto
manifestamente irragionevole la scelta del legislatore che, nel riaprire la
disciplina transitoria per la iscrizione nel registro dei revisori contabili,
ha omesso di considerare che, al momento della entrata in vigore della legge,
vi era una sessione di esami ancora parzialmente in corso, sicché lo
sbarramento temporale rigido introdotto determinava una discriminazione
ingiustificata tra coloro che avevano o avrebbero sostenuto lo stesso esame,
nella stessa sessione annuale, prima e dopo la data indicata, in base alla
casuale durata delle prove.
Dalla disamina di detta pronuncia – ad
avviso del rimettente – si desumerebbe il principio in forza del quale uno
sbarramento legislativo temporale ancorato al dato «casuale» della durata della
procedura selettiva, quale quello fissato dall’art. 1, comma 1, secondo
periodo, del d.l. n. 180 del 2008, poi convertito, creerebbe una ingiustificata
e inammissibile disparità di trattamento, in violazione dell’art. 3 Cost., tra
soggetti che hanno partecipato alla stessa procedura concorsuale.
Alla luce delle argomentazioni di cui
sopra, il collegio solleva, in riferimento all’art. 3 Cost., la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, secondo periodo, del d.l. n.
180 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 1 del 2009, nella
parte in cui subordina la non operatività del blocco delle assunzioni per i
ricercatori universitari all’avvenuto espletamento – e quindi alla conclusione
- della procedura concorsuale alla data di entrata in vigore della legge n. 1
del 2009 di conversione del d.l. n. 180 del 2008.
7.– Con memoria depositata il 23 luglio
2012 si è costituito in giudizio il dott. P.L., chiedendo l’accoglimento della
sollevata questione di legittimità costituzionale.
Il ricorrente nel giudizio a quo, nel
condividere le argomentazioni esposte nell’ordinanza di rimessione, chiede
dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art 1, comma 1, secondo
periodo, del d.l. n. 180 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 1 del 2009 «nella parte in cui subordina la non operatività del blocco delle
assunzioni per i ricercatori universitari all’avvenuto espletamento – e,
quindi, all’avvenuta conclusione – della procedura concorsuale alla data di
entrata in vigore della legge 9 gennaio 2009, n. 1 di conversione del
decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180».
Ad avviso della parte privata, sarebbe
evidente la irragionevolezza della norma censurata che fa salve le assunzioni
di vincitori di concorso già espletati ad una determinata data, omettendo di
considerare che la conclusione del procedimento amministrativo costituisce
circostanza del tutto accidentale, indipendente non solo dalla volontà dei
candidati, ma anche dalla data di inizio della procedura concorsuale.
8.– Con atto depositato in data 24
luglio 2012, è intervenuto il Presidente del Consiglio del ministri,
rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la
questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o,
comunque, non fondata.
In primo luogo, la difesa statale
eccepisce l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, per
difetto di descrizione puntuale della fattispecie del giudizio a quo che non
consentirebbe di verificare la sua effettiva rilevanza.
Nel merito, il Presidente del Consiglio
dei ministri ritiene la questione destituita di fondamento.
Al riguardo, richiama la giurisprudenza
consolidata della Corte costituzionale secondo cui deve essere dichiarata
l’illegittimità costituzionale di una norma solo qualora non sia possibile
darne interpretazioni costituzionalmente orientate e trovare significati
compatibili sia con il tenore del testo che con il principio dell’art. 3 Cost.
(ex plurimis,
sentenze n. 496
del 2002 e n.
194 del 1990).
La legge n. 1 del 2009, nell’obiettivo
di incentivare le università a comportamenti virtuosi e nell’ottica di guidare
l’ente universitario ad un miglioramento qualitativo del servizio e di
contenimento delle spese fisse, preclude alle università "non virtuose” –
quelle la cui spesa per il personale dipendente superi il novanta per cento dei
trasferimenti statali sul fondo per il finanziamento ordinario – di bandire
nuove procedure concorsuali e valutazioni comparative, nonché di assumere
personale.
Nello stesso articolo si prevede,
tuttavia, che le università "non virtuose” possano completare le assunzioni di
ricercatori vincitori di concorsi di cui all’art. 3, comma 1, del decreto-legge
7 settembre 2007, n. 147 (Disposizioni urgenti per assicurare l’ordinato avvio
dell’anno scolastico 2007-2008 ed in materia di concorsi per ricercatori
universitari), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 25
ottobre 2007, n. 176, all’art. 4-bis, comma 17, del decreto-legge 3 giugno del
2008, n. 97 (Disposizioni urgenti in materia di monitoraggio e trasparenza dei
meccanismi di allocazione della spesa pubblica, nonché in materia fiscale e di
proroga di termini), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge 2 agosto 2008, n. 129, e, comunque, di concorsi espletati alla data di
entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.
Secondo la difesa dello Stato sarebbe
necessario verificare se nei confronti del ricercatore, vincitore di un
concorso bandito nel 2005 e la cui assunzione era già contemplata nella
clausola di salvaguardia contenuta nella finanziaria 2007 (art. 1, comma 646,
della legge n. 296 del 2006), debba applicarsi il blocco delle assunzioni di
cui al comma 1 dell’art. 1 del d.l. n. 180 del 2008, convertito dalla legge n.
1 del 2009, sulla base dell’interpretazione strettamente letterale del testo,
che omette di richiamare le clausole poste in deroga al blocco del turn over da precedenti leggi.
Il Presidente del Consiglio dei ministri
ritiene che l’interpretazione della disposizione censurata possa essere
ricondotta ad un risultato compatibile sia con il tenore del testo, che con il
principio di cui all’art. 3 Cost.
In particolare, ad avviso della difesa
statale, se il legislatore ha inteso salvare dal blocco delle assunzioni i
partecipanti a concorsi, non ancora conclusi, banditi sulla base di leggi del
2007 e del 2008, non ancora espletati, a maggior ragione si dovrebbe ritenere
che egli abbia inteso tutelare la posizione di procedure concorsuali già
avviate e fatte oggetto di clausole di salvaguardia ad opera di precedenti
interventi normativi (come quelle poste dal comma 4 dell’art. 51 della legge n.
449 del 1997 e dal comma 646 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006, invocato
dal ricorrente), di cui non si poteva immaginare, dato il notevole lasso di
tempo trascorso, che fossero ancora in corso di svolgimento.
Tale conclusione, raggiunta sul piano
dell’interpretazione logica, trova conferma, secondo la difesa dello Stato, sul
piano dell’interpretazione genetica della norma, nell’esame dei lavori
preparatori della legge n. 1 del 2009.
In sede di esame al Senato del disegno
di legge di conversione del d.l. n. 180 del 2008, si legge nel dossier di
documentazione: «al comma 1 è stato aggiunto un periodo finale che fa salve,
rispetto al divieto posto, le assunzioni relative alle procedure concorsuali
per ricercatore già espletate e a quelle che si stanno espletando, senza che
ciò comporti oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica. Si citano, in
particolare, le procedure avviate sulla base degli artt. 3, comma 1, d.l. n.
147 del 2007 e 4-bis, comma 17, d.l. n. 97 del 2008» (dossier studio n. 35 e 44
del 10 dicembre 2008).
La difesa statale evidenzia come la
disposizione corrispondente del testo approvato dava già per scontata e salva
la deroga al blocco delle assunzioni contemplata da precedenti discipline
normative, aggiungendo "solamente” quelle iniziate sulla base di bandi emanati
in virtù di provvedimenti più recenti e che, pertanto, si poteva immaginare
fossero ancora in corso alla data di entrata in vigore del decreto (recte: legge di conversione).
9.– In data 1° ottobre 2013, il dott.
P.L. ha depositato memoria illustrativa insistendo per l’accoglimento della questione
di legittimità costituzionale sollevata dal TAR Puglia
In primo luogo, la parte privata
sottolinea la persistente rilevanza della questione di legittimità
costituzionale anche dopo l’abrogazione del primo periodo dell’art. 1, comma 1,
del d.l. n. 180 del 2008, convertito dalla legge n. 1 del 2009, in forza del
d.lgs. n. 49 del 2012.
Sul punto, il dott. P.L. precisa che, a
seguito della detta abrogazione, il ricorrente è stato assunto dall’Università
di Bari, con decorrenza dal 1° dicembre 2012. Egli pone in evidenza che, pur
dopo tale assunzione, permarrebbe la rilevanza della proposta questione, in
quanto la domanda formulata nel giudizio a quo è quella di accertamento del
diritto all’assunzione, con decorrenza, ai sensi dell’art. 6, comma 1, della
legge n. 370 del 1999, dalla data (25 gennaio 2010) della chiamata con delibera
del Consiglio di Facoltà ovvero quantomeno dal 1° novembre 2010.
Quanto alla assunta irragionevolezza
della norma censurata, il dott. P.L. rileva come siano stati assunti in
servizio ricercatori vincitori di concorsi banditi nella stessa sessione del
suo concorso (terza sessione 2005), nonché i ricercatori vincitori di concorsi
banditi anche successivamente, in quanto espletati prima dell’entrata in vigore
della legge di conversione n. 1 del 2009.
Il dott. P.L. sottolinea che, dopo il
bando del concorso da lui vinto, è stato consentito, in virtù della stessa
norma censurata, il reclutamento "straordinario” di ricercatori vincitori di
concorsi di cui all’art. 3, comma 1, del d.l. n. 147 del 2007, convertito dalla
legge n. 176 del 2007, nonché all’art. 4-bis, comma 17, del d.l. n. 97 del
2008, convertito dalla legge n. 129 del 2008. La suddetta circostanza, ad
avviso del dott. P.L., aggraverebbe i profili discriminatori della norma
censurata nella parte in cui ha consentito che il protrarsi di un procedimento
amministrativo oltre ogni ragionevole durata andasse a discapito di chi aveva
subito incolpevolmente il ritardo (il ricorrente ha vinto un concorso per
ricercatore durato oltre quattro anni, tre in più rispetto alla durata
stabilita dalla legge) e che vincitori di concorsi banditi successivamente
fossero oggetto di piani di reclutamento "straordinari” sottratti al blocco
delle assunzioni.
Il dott. P.L. sottolinea la pertinenza
del richiamo contenuto nell’ordinanza di rimessione alla sentenza della Corte
costituzionale (n.
35 del 2004) in base alla quale è stata dichiarata l’illegittimità
costituzionale di una norma che prevedeva la possibilità di iscriversi al
registro dei revisori contabili senza sostenere alcuna ulteriore prova per chi
avesse conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione di
commercialista entro la data di entrata in vigore della legge n. 132 del 1997,
data in cui erano in corso le prove orali dell’esame di abilitazione. Nella
detta pronuncia, la Corte ha ritenuto irragionevole la previsione dello
sbarramento temporale, che, nel caso di specie, andava a discriminare
ingiustificatamente la situazione giuridica di più soggetti in base alla data
in cui un certo procedimento amministrativo si era concluso in loro favore.
La parte privata richiama un altro
precedente (sentenza
n. 209 del 1995) con cui la Corte ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 9, comma 2, del decreto legislativo 23 novembre 1988,
n. 509 (Norme per la revisione delle categorie delle minorazioni e malattie
invalidanti, nonché dei benefici previsti dalla legislazione vigente per le
medesime categorie, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, della legge 26 luglio
1988, numero 291), «nella parte in cui non prevede che restino salvi anche i
diritti dei cittadini per i quali il riconoscimento dell’esistenza dei
requisiti sanitari all’epoca della domanda, presentata anteriormente alla data
di cui al comma primo, sia intervenuto, da parte della competente commissione
medica, posteriormente a tale data». Alla luce delle suddette argomentazioni, il
dott. P.L. insiste per l’accoglimento della questione di legittimità
costituzionale sollevata dal rimettente.
10.– Il Consiglio di Stato, in sede
giurisdizionale, con ordinanza – e sentenza parziale – del 23 gennaio 2013 (r.o. n. 58 del 2013), ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3 e 97 Cost., questione
di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 180 del 2008,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 1 del 2009 – nel testo ante
modifica ai sensi dell’art. 11, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 49 del 2012
– «nella parte in cui nel prevedere il divieto di assunzione – a carico delle
università "non virtuose” – non prevede anche una sospensione del termine di
durata delle idoneità conseguite nei concorsi di ricercatore e professore
universitario, per tutto il tempo in cui opera il divieto di assunzione».
10.1.– Il rimettente premette che è
stato investito della decisione di quattro appelli proposti da diversi soggetti
(professori associati confermati o ricercatori confermati presso l’Università
degli studi "Mediterranea” di Reggio Calabria). Essi hanno superato, con
valutazione di idoneità, rispettivamente i concorsi per professore ordinario e
per professore associato banditi nel giugno 2008, oppure, nella qualità di
professori associati confermati o ricercatori confermati presso la indicata
Università, hanno conseguito una valutazione di idoneità presso altro Ateneo,
sempre nella seconda sessione del 2008.
Essi hanno chiesto all’Università
"Mediterranea” di essere assunti nella qualifica per la quale sono risultati
idonei, ma a tali richieste la suddetta Università ha opposto un diniego, fondato
sulla ritenuta applicabilità del cosiddetto "blocco delle assunzioni” disposto
dal d.l. n. 180 del 2008 (art. 1, commi 1 e 3), poi convertito, in quanto
l’Università medesima risultava aver superato il limite del novanta per cento
del rapporto tra le spese fisse e la misura del fondo di finanziamento
ordinario, alla data del 31 dicembre 2010.
Contro il diniego le parti private hanno
proposto separati ricorsi al TAR della Calabria, sezione di Reggio Calabria, il
quale, con sentenza 12 agosto 2011, n. 666 li ha respinti. Tale pronuncia è
stata impugnata con quattro separati appelli, contenenti censure d’identico
tenore, salvo una censura aggiuntiva per i ricorrenti che hanno conseguito
l’idoneità presso università diverse da quella in cui prestano servizio
attualmente come ricercatori o professori associati.
Per quanto qui rileva, il Consiglio di
Stato, sezione sesta, riunite le impugnazioni, ha ritenuto prioritaria, per
ragioni di ordine logico, la decisione del terzo motivo di appello e, rilevata
sul punto l’esistenza di un contrasto di giurisprudenza, ne ha rimesso l’esame
e la soluzione all’Adunanza plenaria. Quest’ultima si è pronunciata sul solo
terzo motivo e lo ha respinto con sentenza parziale 28 maggio 2012, n. 17
rimettendo per il prosieguo gli atti alla sezione, che ha esaminato e respinto
tutte le censure, tranne quella, contenuta nel primo motivo di appello, con la
quale si è dedotto che « l’idoneità nei concorsi universitari ha una durata di
cinque anni, sicché il divieto di assunzione, imposto alle università "non
virtuose”, rischia di tradursi in una definitiva penalizzazione per gli idonei,
ove in ipotesi l’Università non rientri nei parametri di legge durante l’arco
temporale di durata dell’idoneità».
Tale questione è stata ritenuta dal
collegio rilevante e non manifestamente infondata.
Il giudicante, dopo avere riportato il
contenuto dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 180 del 2008, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 1 del 2009 – nel testo vigente ed applicabile ratione temporis prima che il
primo periodo fosse soppresso dal d.lgs. n. 49 del 2012 – osserva che detta
disposizione si limita a porre un divieto di assunzione per le università "non
virtuose”, senza considerare la possibile penalizzazione per i vincitori di
procedure concorsuali per i quali il rischio non è solo il differimento
dell’assunzione, ma anche quello della perdita definitiva della chance di
assunzione, tutte le volte in cui l’università non virtuosa non rientri nei
parametri di legge nell’arco temporale di durata dell’idoneità (pari a cinque
anni).
In tal modo, secondo il rimettente, una
misura che mira a razionalizzare la finanza pubblica e l’organizzazione
universitaria, si traduce anche in una penalizzazione per soggetti che hanno
partecipato, con esito vittorioso, ad un concorso pubblico.
Tale penalizzazione si potrebbe ritenere
giustificata dalle superiori esigenze di finanza e organizzazione pubblica solo
se sia un sacrificio temporalmente limitato (differimento dell’assunzione) e
non anche se sia un sacrificio definitivo (perdita della chance di assunzione)
che sarebbe manifestamente sproporzionato rispetto alle finalità perseguite.
L’art. 1, comma 1, del d.l. n. 180 del
2008, poi convertito, si limita, invece, a vietare le assunzioni alle università
"non virtuose”, senza preoccuparsi del decorso del termine di durata delle
idoneità.
In tal modo, la disposizione avrebbe
come possibile effetto una penalizzazione definitiva dei vincitori di concorsi.
Ad avviso del rimettente, tale
penalizzazione sembra contrastare con il principio di razionalità e
ragionevolezza della legge, dando luogo ad eccesso di potere legislativo,
nonché con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione,
atteso che, a causa del divieto delle assunzioni, in combinazione con il
decorso del termine di durata delle idoneità, si toglie efficacia a procedure
concorsuali già espletate, sicché le università devono bandire all’occorrenza
nuove procedure, sostenendo aggravi di tempi e di costi.
La citata disposizione normativa –
secondo il Collegio – avrebbe dovuto prevedere, per il periodo di operatività
del divieto di assunzioni, una sospensione del termine di durata delle
idoneità.
Pertanto, il rimettente considera
rilevante nel giudizio in corso e non manifestamente infondata, in riferimento
agli artt. 3 e 97 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art.
1, comma 1, del d.l. n. 180 del 2008, convertito dalla legge n. 1 del 2009,
nella parte in cui, nel prevedere il divieto di assunzione – a carico delle università
"non virtuose” – non stabilisce anche una sospensione del termine di durata
delle idoneità conseguite nei concorsi di ricercatore e professore
universitario, per tutto il tempo in cui opera il divieto di assunzione, così
determinando l’effetto sproporzionato, irragionevole ed in contrasto con il
principio di buon andamento dell’amministrazione, che il termine di durata
dell’idoneità decorre durante il periodo in cui opera il divieto di assunzione.
Siffatto divieto si traduce anche in una perdita, definitiva per gli idonei,
della chance di assunzione tutte le volte in cui le università non rientrino
nei parametri di legge durante il periodo di validità dell’idoneità.
11.– Con atto depositato in data 16
aprile 2013, è intervenuto il Presidente del Consiglio del ministri,
rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la
questione di legittimità costituzionale sia dichiarata non fondata.
In ordine alla censura mossa in
riferimento all’art. 3 Cost., la difesa erariale osserva, in primo luogo, come
il conseguimento dell’idoneità non determina un dovere di assunzione da parte
dell’università.
Il Presidente del Consiglio dei ministri
ricorda che la disciplina per il conseguimento dell’idoneità a professore
universitario era dettata dal decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo
2000, n. 117 (Regolamento recante modifiche al d.P.R. 19 ottobre 1998, n. 390,
concernente le modalità di espletamento delle procedure per il reclutamento dei
professori universitari di ruolo e dei ricercatori a norma dell’articolo 1
della legge 3 luglio 1998, n. 210) e dalla legge 3 luglio 1998, n. 210 (Norme
per il reclutamento dei ricercatori e dei professori universitari di ruolo) –
poi sostituiti dalle procedure di reclutamento di cui alla legge 30 dicembre
2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle Università, di personale
accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità
e l’efficienza del sistema universitario) – che prevedevano apposite procedure
locali in relazione alle esigenze di ciascun ateneo, il quale indiceva i
singoli bandi.
La difesa dello Stato deduce che la
posizione di coloro che ottenevano l’idoneità non è, pertanto, assimilabile
alle graduatorie dei pubblici concorsi, atteso che l’assunzione è rimessa ai
singoli atenei i quali hanno la facoltà e non il dovere di provvedere alla
chiamata in servizio.
Il Presidente del Consiglio dei ministri
sottolinea come l’idoneità, ai sensi della legge n. 210 del 1998, attesti solo
la qualificazione scientifica e l’attitudine a svolgere le funzioni di
professore universitario e come sia un mero presupposto della nomina in ruolo.
La stessa si differenzierebbe, pertanto, dalle idoneità conseguite in altre
procedure concorsuali ove l’utile collocamento nelle graduatorie finali di
merito determina nell’interessato una ben precisa posizione giuridica
soggettiva.
In particolare, in base all’art. 2 della
legge n. 210 del 1998 (articolo abrogato dall’art. 1, comma 22, della legge 4
novembre 2005, n. 230, recante «Nuove disposizioni concernenti i professori e i
ricercatori universitari e delega al Governo per il riordino del reclutamento
dei professori universitari»), l’università che ha emanato il bando poteva, nel
caso di procedure relative a professori associati e ordinari, entro sessanta
giorni dalla data di accertamento della regolarità formale degli atti da parte
del rettore: 1) nominare in ruolo, previa delibera motivata assunta dal
consiglio che ha richiesto il bando, uno dei due idonei, il quale, in caso di
rinuncia, perde il titolo alla nomina in ruolo anche da parte degli altri
atenei; 2) non nominare in ruolo, previa delibera motivata assunta dal
consiglio di facoltà che ha richiesto il bando, nessuno dei due idonei.
In attuazione di tale norma, l’art. 5,
comma 4, del d.P.R. n. 117 del 2000, ha disposto che per le procedure
concernenti posti da professore ordinario o associato, entro sessanta giorni
dalla data di accertamento della regolarità degli atti, il consiglio di facoltà
che ha richiesto il bando, sulla base dei giudizi espressi dalla commissione e
con riferimento alle proprie specifiche esigenze didattiche e scientifiche,
propone la nomina di uno dei candidati dichiarati idonei ovvero decide di non
procedere alla chiamata di nessuno di loro.
Il comma 8 dell’art. 5 del d.P.R. n. 117
del 2000, ha previsto che, nel caso in cui il candidato, risultato idoneo nelle
procedure di valutazione comparativa relative a posti di professore associato e
ordinario, non venga chiamato dalla facoltà che ha richiesto il bando nel
termine di cui al comma 4, può essere nominato in ruolo a seguito di chiamata
da parte di altra università entro un triennio dalla data di accertamento della
regolarità degli atti.
La difesa dello Stato evidenzia come non
esista, quindi, un dovere di assunzione da parte degli atenei e come il
conseguimento dell’idoneità non possa considerarsi omogeneo ad una graduatoria.
Quest’ultima comporta la formazione di
un elenco sulla base del punteggio conseguito ai fini dell’assunzione
nell’ambito dell’ente che ha bandito il concorso; l’idoneità a professore
universitario, conseguita nell’ambito delle valutazioni comparative ai sensi
della legge n. 210 del 1998, invece, oltre a determinare la mera facoltà – e
non il dovere – per gli atenei di nominare in ruolo gli idonei, non implicava
affatto la costituzione di una graduatoria: in particolare, tali procedure
prevedevano l’attribuzione della idoneità ad un unico candidato o a due, a
seconda della normativa vigente al momento della indizione della procedura.
La difesa statale rileva come si tratti
di conclusioni avallate dalla giurisprudenza amministrativa, secondo la quale,
in materia di assunzione all’impiego, gli interessati non vantano un diritto
soggettivo alla nomina, ma solo un interesse legittimo, in quanto si rientra
nella potestà organizzatoria della pubblica
amministrazione per cui, quando, nelle more del completamento della procedura
concorsuale, subentrano circostanze preclusive all’assunzione stessa, sia di
natura normativa che organizzativa o finanziaria, l’amministrazione può
congelare l’assunzione o annullare la procedura di reclutamento (ex plurimis, TAR Lazio, terza sezione, sentenza 13 aprile
2005, n. 2719).
Quanto alla durata delle idoneità, il
Presidente del Consiglio dei ministri ricorda come la legge n. 210 del 1998 e
il d.P.R. n. 117 del 2000, di attuazione, prevedessero il termine di tre anni
dalla data di accertamento della regolarità degli atti. Successivamente, l’art.
1, comma 6, della legge n. 230 del 2005 ha stabilito che l’idoneità conseguita
dai candidati nelle procedure di valutazione comparativa, ai sensi della legge
n. 210 del 1998 e del d.P.R. n. 117 del 2000, ha una durata di cinque anni.
La difesa dello Stato sottolinea come
l’art. 1, commi 1 e 3, del d.l. n. 180 del 2008, poi convertito, non ha inciso
sull’effettività della durata dell’idoneità ma, al contrario, ha dettato un
doppio regime per quanto concerne il meccanismo delle assunzioni.
La difesa dello Stato ricorda come la
giurisprudenza amministrativa abbia affermato che la disciplina in oggetto
persegue non solo finalità di carattere finanziario, ma anche scopi di
organizzazione generale, con l’obiettivo di incentivare le università a
comportamenti virtuosi nell’ottica del conseguimento dei livelli qualitativi di
autodisciplina sinteticamente descritti nella stessa struttura del fondo di
finanziamento ordinario e nella più generale architettura del sistema di
finanziamento pubblico delle università. Pertanto, il divieto di assunzione di
nuovo personale non persegue solo lo scopo di evitare l’incremento di spesa, ma
mira alla finalità di guidare l’ente universitario al rientro nei parametri,
costringendolo a sospendere il reclutamento di personale e concorrendo a
sostenere quella complessiva opera di miglioramento qualitativo del servizio
universitario che il legislatore si è prefisso (Consiglio di Stato, Adunanza
plenaria, sentenza 28 maggio 2012, n. 17).
In tale ottica, secondo il Presidente
del Consiglio dei ministri, l’art. 1, commi 1 e 3, non disporrebbe un blocco
assoluto di assunzioni e non pregiudicherebbe l’effettività dell’idoneità
conseguita dai professori associati e ordinari, potendo questi ultimi essere
chiamati da atenei "virtuosi” per i quali non vige il divieto di reclutamento
in oggetto.
Peraltro, la difesa erariale osserva
che, quando il cosiddetto blocco delle assunzioni è stato assoluto, il
legislatore ha appositamente previsto una proroga delle idoneità conseguite
nelle procedure di valutazione comparativa per la copertura di posti di professore
ordinario o associato. Questo, è avvenuto – ricorda il Presidente del Consiglio
dei ministri – con le leggi finanziarie per il 2003 e il 2004.
La difesa dello Stato osserva che, a
decorrere dal 2008, il legislatore, anziché prevedere un blocco assunzionale assoluto, ha previsto una disciplina diversa
basata sul criterio del doppio regime sopra richiamato.
Pertanto, ad avviso del Presidente del
Consiglio dei ministri, atteso che il legislatore non ha previsto blocchi
assoluti delle assunzioni nelle università, ma solamente vincoli parziali delle
stesse, coerentemente ha ritenuto di non prevedere – come in passato – la
proroga delle idoneità a professore universitario.
Le proroghe degli anni 2003-2004 si
configurano, quindi, – secondo la difesa erariale – quali norme eccezionali non
suscettibili di alcuna applicazione analogica, in quanto sprovviste del
requisito della identità di ratio giustificatrice.
Alla luce delle suddette argomentazioni,
il Presidente del Consiglio dei ministri esclude la assunta illegittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 180 del 2008, in riferimento
all’art. 3 Cost., in quanto la ratio della norma
sopra evidenziata non si porrebbe in contrasto con il principio di
ragionevolezza ed eguaglianza, siccome inserita nel sistema legislativo diretto
ad un generale contenimento della spesa pubblica, che ha coinvolto anche altre
categorie di pubblici dipendenti, nonché al riequilibrio e al bilanciamento dei
profili professionali universitari al fine del rispetto di altri principi
costituzionali, tra cui quello del buon andamento di cui all’art. 97 Cost.
Le disposizioni di legge in esame, non
ponendo un divieto assoluto delle assunzioni, lungi dal produrre riflessi
preclusivi assoluti tali da incidere sull’effettività della durata
dell’idoneità si limitano – ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri
– a disciplinare le facoltà di assunzioni delle università, in un’ottica di
razionalizzazione dell’utilizzo delle risorse pubbliche.
Secondo la difesa dello Stato, il
rimettente avrebbe erroneamente ritenuto che le università "virtuose” siano
soggette a vincoli più rigorosi di quelli stabiliti per le "non virtuose”: alle
prime si applicherebbe la regola che consente nuove assunzioni nei limiti del
cinquanta per cento del costo connesso alle cessazioni del personale
verificatesi nell’anno precedente, con l’asserita omissione di misure di
salvaguardia delle procedure concorsuali già espletate; viceversa agli atenei
"non virtuosi”, a fronte del divieto assoluto di effettuare nuove assunzioni,
sarebbe consentito di completare le assunzioni dei ricercatori sopra
richiamati. Ciò si risolverebbe in un ingiustificato trattamento di maggior
vantaggio a favore di tali ultimi atenei, in violazione dell’art. 3 Cost.,
sotto il profilo della ragionevolezza, dell’art. 33 Cost., in quanto si
imporrebbe un vincolo all’autonomia universitaria non giustificato dal
perseguimento di finalità e di interessi di rilievo costituzionale, dell’art.
97 Cost., in quanto la norma inciderebbe in termini rilevanti e contraddittori
sulle scelte organizzative e gestionali delle università.
Tale tesi, ad avviso della difesa
statale, non terrebbe conto dell’esigenza di tutelare l’affidamento dei
ricercatori vincitori di concorsi espletati prima dell’entrata in vigore della
norma, i quali, se aspirassero ad essere assunti da un’università "non
virtuosa”, in mancanza di una clausola di salvaguardia verrebbero del tutto
pregiudicati dal previsto divieto di effettuare nuove assunzioni.
Inoltre, il rimettente avrebbe
trascurato di considerare che il paventato pregiudizio non si verifica nel caso
di università "virtuosa”, posto che la disposizione di cui al successivo comma
3 ammette nuove assunzioni, sebbene entro il limite di spesa del cinquanta per
cento delle economie prodottesi in dipendenza delle cessazioni del servizio di
personale.
Il combinato disposto delle due
richiamate disposizioni risulterebbe – ad avviso della difesa erariale – del
tutto coerente, se analizzato dal punto di vista della tutela dei diritti dei
ricercatori vincitori di concorsi già espletati, poiché entrambe le norme,
secondo modalità diverse a seconda degli interessi che le stesse sono destinate
a perseguire, assicurano la soddisfazione di tale esigenza, così evitando di
compromettere le chance professionali e di vita dei candidati.
Peraltro, la difesa dello Stato
sottolinea come costituiscano delle mere eventualità sia la possibilità che i
vincitori di procedure concorsuali vedano differito il momento dell’effettiva
assunzione, sia la possibilità che alcuni perdano la chance di assunzione.
Sotto il profilo teleologico, il
Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea che la disposizione in esame,
se certamente rientra tra quelle con finalità di contenimento dei costi e degli
oneri finanziari, è altresì rivolta ad incentivare il ricambio generazionale
del personale docente, come evidenziato dal Consiglio di Stato, Adunanza
plenaria, nella sentenza n. 17 del 2012.
Il perseguimento di finalità ulteriori e
diverse rispetto al mero risparmio di spesa varrebbe a confutare anche la
censura secondo cui l’assunzione dei vincitori dei concorsi espletati
costituirebbe un’eccezione di portata tale da travalicare e rendere inoperante
la regola del divieto generalizzato di nuove assunzioni.
Le disposizioni in esame risulterebbero
del tutto coerenti nel predisporre un sistema che, se, per un verso, mira a
guidare l’ateneo al rientro (o al mantenimento) dei parametri di legge riguardo
al rapporto tra spese fisse e obbligatorie per il personale di ruolo ed entità
dei trasferimenti statali sul FFO, dall’altro, salvaguarda la figura del
ricercatore, sia consentendone le assunzioni in deroga al divieto, sia
disponendo, per le università "virtuose”, la destinazione di una quota non
inferiore al sessanta per cento delle somme disponibili per le nuove assunzioni
a favore di personalità che intraprendono la carriera universitaria.
Pertanto, ad avviso della difesa dello
Stato, le differenze tra le regole previste ai commi 1 e 3 dell’art. 1 del d.l.
n. 180 del 2008, poi convertito, dovrebbero essere interpretate alla luce degli
scopi complessivi che la normativa è diretta a realizzare, in ragione dei quali
andrebbe esclusa la assunta disparità di trattamento, stante l’unitaria linea
di politica legislativa volta a valorizzare la figura del ricercatore.
Inoltre, la difesa erariale osserva che
l’art. 33, ultimo comma, Cost., prevede il diritto delle università di darsi
ordinamenti autonomi «nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato». Pertanto,
dato che la Costituzione demanda alle leggi dello Stato di porre limiti
all’autonomia universitaria, non potrebbe ritenersi incostituzionale una legge
per il solo fatto che ponga dei limiti a detta autonomia.
L’Avvocatura dello Stato richiama la
giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo cui il legislatore può
modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti di
durata anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi
perfetti, purché tali modifiche non trasmodino in regolamenti irrazionali,
frustranti l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, quale
elemento fondante dello Stato di diritto (sentenze n. 236 e n. 24 del 2009,
n. 11 del 2007,
n. 409 del 2005,
n. 446 del 2002,
n. 416 del 1999,
n. 360 del 1995,
n. 573 del 1990,
n. 822 del 1988
e n. 349 del 1985).
Nel caso di specie, ad avviso della
difesa statale, il limite imposto dal legislatore per esigenze di finanza
pubblica e di razionalizzazione delle assunzioni presso le università, non
risulta né irragionevole, né sproporzionato.
Analoghe considerazioni varrebbero in
riferimento all’asserita violazione del principio di buon andamento di cui
all’art. 97 Cost.
L’infondatezza di detta censura di
incostituzionalità risulterebbe evidente, considerati gli obiettivi perseguiti
dalla disposizione censurata di contenimento della spesa pubblica, di
razionalizzazione delle assunzioni presso le università nonché di ricambio
generazionale del personale docente.
Tali norme, di regolazione e non di
divieto assoluto delle assunzioni, si limiterebbero, infatti, a disciplinare le
facoltà di assunzione delle università in un’ottica di efficiente utilizzo
delle risorse pubbliche.
La previsione legislativa censurata non
soltanto sarebbe conforme al principio dell’autonomia universitaria, ma
corrisponderebbe, ad avviso della difesa dello Stato, ad esigenze organizzative
e di buona amministrazione degli atenei, nonché all’interesse generale al
contenimento della spesa pubblica.
Pertanto, il Presidente del Consiglio
dei ministri esclude l’assunta violazione degli artt. 3 e 97 Cost.
1.– Il Consiglio di Stato, in sede
giurisdizionale, con l’ordinanza indicata in epigrafe (r.o.
n. 42 del 2013), dubita, in riferimento agli artt. 3, 33 e 97 della
Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1 e 3, del
decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180 (Disposizioni urgenti per il diritto
allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema
universitario e della ricerca), come convertito, con modificazioni, dall’art.
1, comma 1, della legge 9 gennaio 2009, n. 1, nel testo anteriore alla modifica
di cui all’art. 11, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 29 marzo 2012,
n. 49 [Disciplina per la programmazione, il monitoraggio e la valutazione delle
politiche di bilancio e di reclutamento degli atenei, in attuazione della
delega prevista dall’articolo 5, comma 1, della legge 30 dicembre 2010, n. 240
e per il raggiungimento degli obiettivi previsti dal comma 1, lettere b) e c),
secondo i principi normativi e i criteri direttivi stabiliti al comma 4,
lettere b), c), d), e) ed f) e al comma 5].
Ad avviso del rimettente, la normativa
censurata violerebbe:
a) l’art. 3 Cost., sotto il profilo del
principio di ragionevolezza ed uguaglianza, in quanto il combinato disposto
dell’art. 1, commi 1 e 3, del d.l. n. 180 del 2008, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 1 del 2009, avrebbe previsto, per quanto riguarda
i vincoli e i limiti alle assunzioni, un ingiustificato trattamento di maggior
vantaggio per gli atenei "non virtuosi” rispetto agli atenei "virtuosi”.
Infatti, mentre per i primi il divieto di nuove assunzioni sarebbe temperato
dalla rilevantissima eccezione costituita dalla possibilità di assumere i
ricercatori vincitori delle procedure selettive già in atto, al contrario per gli
atenei "virtuosi” il limite alle assunzioni, corrispondente ad una spesa pari
al cinquanta per cento di quella relativa al personale a tempo indeterminato
cessato dal servizio nell’anno precedente, non conoscerebbe alcun temperamento
o eccezione, neanche nell’ipotesi in cui la singola assunzione, come nel caso
oggetto del giudizio a quo, sarebbe possibile, almeno nella prima fase, senza
nessun aggravio finanziario per le casse dell’università. Inoltre, il concreto
assetto disciplinare, risultante dal combinato operare delle disposizioni
censurate, presenterebbe evidenti profili di irragionevolezza, considerando che
esso, come determinato dal comma 1 dell’art. 1, sarebbe tale da consentire che
l’eccezione (possibilità di assunzione dei vincitori dei concorsi in precedenza
espletati) travalichi del tutto la regola (divieto generalizzato di nuove
assunzioni) fino a renderla nei fatti inoperante, mentre i limiti e vincoli assunzionali, imposti agli atenei "virtuosi”, non
presenterebbero alcuna possibile deroga o eccezione, neanche nell’ipotesi in
cui, come nel caso in esame, la singola assunzione non potrebbe produrre alcun
aggravio di spese per l’ateneo. Infine, il combinato operare delle due
richiamate disposizioni si presenterebbe nel complesso irragionevole e
ingiustificato, sotto l’angolo visuale del generale obiettivo di contenimento
della spesa che caratterizza la previsione del d.l. n. 180 del 2008,
considerando che, mentre nel caso degli atenei "non virtuosi”, il limite
"fisiologico” all’espansione della spesa per nuove assunzioni è rappresentato
dall’assenza di oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica, al contrario
per gli atenei "virtuosi”, il medesimo limite all’espansione della spesa per
nuove assunzioni è posto ad un livello di gran lunga inferiore, ossia nella
richiamata misura del cinquanta per cento della spesa per il personale cessato
dal servizio nel corso dell’anno precedente. Tale scelta normativa risulterebbe
più penalizzante nei confronti degli enti che abbiano tenuto comportamenti virtuosi
e compatibili con il perseguimento degli obiettivi fissati, rispetto agli enti
che abbiano operato in contrasto con tali obiettivi. La normativa in esame non
sarebbe qui censurata sotto il profilo della disparità di trattamento tra le
ipotesi disciplinate nel comma 1 e quelle regolate nel comma 3 del menzionato
art. 1 del d.l. n. 180 del 2008 (il che sarebbe reso difficoltoso dal carattere
eterogeneo delle previsioni in questione e dalla oggettiva difficoltà di
individuare un effettivo tertium comparationis
nell’ambito di un giudizio di parità di trattamento). La censura avrebbe ad
oggetto, piuttosto, «il carattere complessivamente irragionevole e
ingiustificato della scelta normativa operata nel 2008»;
b) l’art. 33 Cost., in tema di limiti e vincoli
all’autonomia universitaria, in quanto, ancorché il legislatore possa
legittimamente vincolare e limitare il pieno esercizio di detta autonomia,
laddove ciò risulti finalizzato al perseguimento di interessi e finalità di
rilievo costituzionale – come, nella specie, sono da considerare gli obiettivi
di sostenibilità di bilancio – si deve, tuttavia, ritenere che l’imposizione di
tali vincoli e limiti possa rivelarsi costituzionalmente illegittima laddove,
per le ragioni in precedenza esposte, essa non trovi una effettiva
giustificazione nel perseguimento dei richiamati obiettivi di carattere
economico e finanziario;
c) l’art. 97 Cost., sotto il profilo dei
principi di buon andamento e d’imparzialità della pubblica amministrazione, in
quanto, se può ammettersi l’interpositio legislatoris, tale da incidere in modo rilevante sulle
variabili sottese ad alcune tra le principali scelte organizzative e gestionali
delle amministrazioni pubbliche – come quelle relative alla provvista di
personale – non si potrebbe ammettere la legittimità costituzionale di tali
interventi qualora essi presentino caratteri di non ragionevolezza ed incidano
in modo contraddittorio e ingiustificato sulle richiamate variabili
organizzative.
2.– Il Tribunale amministrativo
regionale per la Puglia (d’ora in avanti, TAR), con l’ordinanza indicata in
epigrafe (r.o. n. 134 del 2012), ha sollevato, in
riferimento all’art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art.
1, comma 1, secondo periodo, del d.l. n. 180 del 2008, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 1 del 2009, nella parte in cui subordina la non
operatività del blocco delle assunzioni per i ricercatori universitari
all’avvenuto espletamento – vale a dire, all’avvenuta conclusione – della
procedura concorsuale alla data di entrata in vigore della legge di conversione
n. 1 del 2009.
Ad avviso del rimettente, la norma
censurata, nel testo anteriore alla modifica di cui all’art. 11, comma 1,
lettera b), del d.lgs. n. 49 del 2012, violerebbe l’art. 3 Cost., sotto il
profilo dei principi di uguaglianza e di parità di trattamento, in quanto
subordinerebbe la non operatività del blocco delle assunzioni al dato neutro e
casuale dell’espletamento, ovvero della conclusione, della procedura
concorsuale prima della data di entrata in vigore della legge di conversione n.
1 del 2009 e, quindi, al dato fortuito della celerità o della lentezza con cui
la detta procedura si è svolta. In tal guisa la disposizione: 1)
discriminerebbe irragionevolmente la posizione del ricorrente (dichiarato
vincitore di concorso per ricercatore universitario con decreto rettorale del
22 dicembre 2009, cioè dopo la data di entrata in vigore della legge di
conversione n. 1 del 2009) rispetto a coloro che hanno partecipato alla stessa
procedura selettiva o anche a procedure concorsuali successive e, tuttavia,
hanno avuto la "fortuna” di vedere espletata la procedura prima della data di
entrata in vigore della legge n. 1 del 2009 e, quindi, di beneficiare
dell’esenzione di cui all’art. 1, comma 1, secondo periodo, del d.l. n. 180 del
2008; 2) attribuirebbe all’amministrazione universitaria un inammissibile
potere di determinare quali candidati assumere e quali no, anche nell’ambito
della stessa procedura selettiva, dando origine ad inaccettabili disparità di
trattamento a fronte di identiche posizioni.
3.– Il Consiglio di Stato, in sede
giurisdizionale, con l’ordinanza indicata in epigrafe (r.o.
n. 58 del 2013), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.,
questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 180
del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 1 del 2009, nel testo
anteriore alla modifica di cui all’art. 11, comma 1, lettera b), del d.lgs. n.
49 del 2012, «nella parte in cui, nel prevedere il divieto di assunzione – a
carico delle Università "non virtuose” – non prevede anche una sospensione del
termine di durata delle idoneità conseguite nei concorsi di ricercatore e
professore universitario, per tutto il tempo in cui opera il divieto di
assunzione, così determinando l’effetto sproporzionato, irragionevole e in
contrasto con il principio di buon andamento dell’amministrazione, che il
termine di durata dell’idoneità decorre durante il periodo in cui opera il
divieto di assunzione, sicché il divieto di assunzione imposto alle Università
si traduce anche in una perdita definitiva, per gli idonei, della chance di
assunzione, tutte le volte in cui le Università non rientrino nei parametri di
legge durante il periodo di validità dell’idoneità».
Ad avviso del rimettente, la
disposizione censurata violerebbe gli artt. 3 e 97 Cost., perché «l’idoneità
nei concorsi universitari ha una durata di cinque anni, sicché il divieto di
assunzione, imposto alle Università non virtuose, rischia di tradursi in una
definitiva penalizzazione per gli idonei, ove, in ipotesi, l’Università non
rientri nei parametri di legge durante l’arco temporale di durata
dell’idoneità».
Il Consiglio di Stato, dopo aver
richiamato il disposto dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 180 del 2008, convertito
dalla legge n. 1 del 2009, osserva che esso «si limita a porre un divieto di
assunzione per le Università non virtuose, senza considerare la possibile
penalizzazione per i vincitori di procedure concorsuali, per i quali il rischio
non è solo il differimento dell’assunzione, ma anche quello della perdita
definitiva della chance di assunzione, tutte le volte in cui l’Università non
virtuosa non rientri nei parametri di legge durante l’arco temporale di durata
dell’idoneità (pari a cinque anni)».
In tal modo, una misura mirante a
razionalizzare la finanza pubblica e l’organizzazione universitaria si
tradurrebbe anche in una penalizzazione per soggetti che hanno partecipato, con
esito vittorioso, ad un concorso pubblico. Invero, tale sarebbe il possibile
effetto della norma censurata che, quindi, si porrebbe in contrasto «con il
principio di razionalità e ragionevolezza della legge, dando luogo ad eccesso
di potere legislativo, nonché con il principio di buon andamento della pubblica
amministrazione, atteso che, a causa del divieto delle assunzioni, in
combinazione con il decorso del termine di durata delle idoneità, si toglie
efficacia a procedure concorsuali già espletate, sicché le Università devono
bandire all’occorrenza nuove procedure, sostenendo aggravi di tempi e di
costi».
La disposizione, dunque, avrebbe dovuto
prevedere, in concomitanza con il dovere di assunzione e per tutta la sua
durata, una sospensione del termine di scadenza delle idoneità.
4.– Le questioni di legittimità
costituzionale, riassunte nei paragrafi che precedono, censurano sotto vari
profili le stesse norme di legge. Pertanto, i relativi giudizi vanno riuniti,
per essere decisi con unica pronuncia.
5.– In merito all’asserita
irragionevolezza del combinato disposto dei commi 1 e 3 dell’art. 1 del d.l. n.
180 del 2008 (r.o. n. 42 del 2013), in quanto
realizzerebbe un ingiustificato trattamento di maggior vantaggio per gli atenei
"non virtuosi” rispetto agli atenei "virtuosi” (tra i quali si colloca
l’Università Magna Graecia di Catanzaro), la
questione non è fondata.
Questa Corte ha più volte ribadito che
una disposizione deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima non
quando sia possibile trarne un significato in contrasto con il dettato
costituzionale, ma quando non sia possibile dedurne alcun significato conforme
a Costituzione.
Il rimettente muove dall’assunto che la
facoltà di completare le assunzioni dei ricercatori vincitori dei concorsi
espletati, di cui al comma 1 dell’art. 1 del d.l. n. 180 del 2008, sia limitata
ai soli atenei "non virtuosi”, mentre quelli "virtuosi” incorrerebbero nel
limite complessivo del cinquanta per cento di cui al comma 3 del citato art. 1.
Da qui discenderebbe la conseguenza che gli atenei "non virtuosi” ben
potrebbero, nel completare le assunzioni dei ricercatori di cui sopra,
oltrepassare il limite del cinquanta per cento che, invece, è operativo per le
università "virtuose”.
Orbene, il citato comma 1, nel testo –
rilevante ai fini del presente giudizio – in vigore quando fu adottato il
provvedimento impugnato ed applicabile alla fattispecie in forza del principio tempus regit actum
(sentenze n. 177
del 2012 e n.
209 del 2010), così disponeva:
«Le università statali che, alla data
del 31 dicembre di ciascun anno, hanno superato il limite di cui all’art. 51,
comma 4, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, fermo restando quanto previsto
dall’articolo 12, comma 1, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248,
convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, non possono
procedere all’indizione di procedure concorsuali e di valutazione comparativa,
né all’assunzione di personale. Alle stesse università è data facoltà di
completare le assunzioni dei ricercatori vincitori dei concorsi di cui
all’articolo 3, comma 1, del decreto-legge 7 settembre 2007, n. 147,
convertito, con modificazioni dalla legge 25 ottobre 2007, n. 176 e
all’articolo 4-bis, comma 17, del decreto-legge 3 giugno 2008, n. 97,
convertito, con modificazioni, dalla legge 2 agosto 2008, n. 129, e comunque di
concorsi espletati alla data di entrata in vigore della legge di conversione
del presente decreto, senza oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica».
A sua volta, il comma 3 dell’art. 1 (la
cui formulazione non è stata modificata nel corso del tempo) stabilisce quanto
segue:
«Il primo periodo del comma 13,
dell’articolo 66 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, è sostituito dai seguenti:
per il triennio 2009-2011, le università statali, fermi restando i limiti di
cui all’articolo 1, comma 105, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, possono
procedere, per ciascun anno, ad assunzioni di personale nel limite di un
contingente corrispondente ad una spesa pari al cinquanta per cento di quella
relativa al personale a tempo indeterminato complessivamente cessato dal
servizio nell’anno precedente. Ciascuna università destina tale somma per una
quota non inferiore al 60 per cento all’assunzione di ricercatori a tempo
indeterminato, nonché di contrattisti ai sensi dell’articolo 1, comma 14, della
legge 4 novembre 2005, n. 230, e per una quota non superiore al 10 per cento
all’assunzione di professori ordinari. Sono fatte salve le assunzioni dei
ricercatori per i concorsi di cui all’articolo 1, comma 648, della legge 27
dicembre 2006, n. 296, nei limiti delle risorse residue previste dal predetto
articolo 1, comma 650».
Ciò posto, la ricostruzione del dato
normativo operata dal rimettente si fonda su un erroneo presupposto
interpretativo; infatti, ritenere che le università "virtuose” siano escluse
dalla possibilità di completare le assunzioni dei ricercatori di cui al comma 1
dell’art. 1 equivale a sovvertire la ratio
dell’intervento legislativo censurato, che presenta un carattere sanzionatorio
(sia pure con qualche deroga) per gli atenei "non virtuosi” e una natura
premiale (sia pure entro i limiti dettati dall’attuale contesto
economico-finanziario) per gli atenei "virtuosi”. Pertanto, secondo un
argomento a minori ad maius, i commi 1 e 3 dell’art.
1 del d.l. n. 180 del 2008 devono essere interpretati nel senso che anche le
università rispettose dei parametri legislativi possono completare le
assunzioni dei ricercatori vincitori dei concorsi di cui al comma 1, e,
conseguentemente, il limite del cinquanta per cento (comma 3) deve essere
inteso come relativo alla assunzione di personale ulteriore rispetto ai ricercatori
di cui al comma 1.
Così definito l’ambito di operatività
delle norme suddette, le censure mosse dal rimettente risultano non fondate.
6.– Anche le questioni sollevate
dall’ordinanza di rimessione con riferimento agli artt. 33 e 97 Cost. non sono
fondate.
Invero, entrambe muovono dall’assunto
che il legislatore può legittimamente imporre vincoli e limiti all’esercizio
dell’autonomia universitaria (art. 33 Cost.), quando tale imposizione risulti
finalizzata al perseguimento di interessi e finalità di rilievo costituzionale
(come, nel caso di specie, il perseguimento di imprescindibili obiettivi di
sostenibilità di bilancio), oppure può incidere anche in modo rilevante «sulle
variabili sottese ad alcune fra le principali scelte organizzative e gestionali
delle amministrazioni pubbliche (come quelle relative alla provvista di
personale)» (art. 97 Cost.).
Tuttavia, la legittimità costituzionale
di tali interventi non potrebbe ammettersi laddove essi risultino frutto di
scelte irragionevoli e ingiustificate.
Come si è visto nel paragrafo che
precede, una interpretazione della normativa censurata conforme a Costituzione
conduce ad escludere il carattere irragionevole di essa. Ne deriva la non
fondatezza delle questioni anche con riferimento ai parametri ora indicati.
7.– La questione di legittimità
costituzionale, sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia
(r.o. n. 134 del 2012), relativa all’art. 1, comma 1,
secondo periodo, del d.l. n. 180 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 1 del 2009, per contrasto con l’art. 3 Cost. «nella parte in cui
subordina la non operatività del blocco delle assunzioni per i ricercatori
universitari all’avvenuto espletamento – vale a dire all’avvenuta conclusione –
della procedura concorsuale alla data di entrata in vigore della legge 9
gennaio 2009, n. 1, di conversione del decreto-legge 10 novembre 2008 n. 180»,
è inammissibile.
Ad avviso del rimettente, la posizione
della parte privata, vincitore di un concorso per ricercatore universitario
bandito nel 2005 e concluso con decreto rettorale di approvazione degli atti in
data 22 dicembre 2009, sarebbe senz’altro riconducibile nell’ambito applicativo
del divieto di assunzione di cui all’art. 1, comma 1, del d.l. n. 180 del 2008,
e non potrebbe fruire delle eccezioni a tale divieto previste dall’art. 1,
comma 1, secondo periodo, del citato decreto-legge. Infatti, la legge di
conversione di quest’ultimo è entrata in vigore il 10 gennaio 2009, cioè ben
prima dell’espletamento (o conclusione) della procedura concorsuale. Pertanto,
la norma censurata si porrebbe in contrasto con il principio di parità di
trattamento di cui all’art. 3 Cost., per le ragioni esposte nel precedente
paragrafo 2.
Si deve, però, osservare che rientra
nella discrezionalità del legislatore – nel momento in cui, per esigenze di
contenimento della spesa pubblica, ritenga di stabilire, nei confronti delle
università statali che si trovano in determinate condizioni, un blocco nelle
assunzioni di personale – la determinazione sia delle modalità di tale blocco,
sia di eventuali eccezioni, sia dei tempi entro i quali queste ultime sono
destinate ad operare.
In particolare, appartiene alla detta
sfera discrezionale (nel cui esercizio il legislatore incontra il solo limite
della manifesta irragionevolezza) l’individuazione della data alla quale fare
riferimento per l’assunzione di una o più categorie di personale sottratte al
blocco: nella specie, i ricercatori vincitori dei concorsi nella norma stessa
indicati e, comunque, «di concorsi espletati alla data di entrata in vigore
della legge di conversione del presente decreto, senza oneri aggiuntivi a
carico della finanza pubblica». Il riferimento alla data di entrata in vigore
della legge di conversione non può certo essere definito manifestamente
irragionevole, specialmente avuto riguardo alla natura transitoria della
disciplina introdotta, destinata a venir meno con il ritorno dell’ateneo tra le
università "virtuose”. Anzi, di norma e in via generale, «il riferimento alla
data di entrata in vigore della stessa legge che introduce una disciplina
transitoria può rispondere ad un ovvio criterio di ragionevolezza» (sentenza n. 35 del
2004, paragrafo 2 del Considerato in diritto). In realtà, il rimettente
omette di considerare che il discrimine nella applicazione di diverse
discipline normative, basato su dati cronologici, non può dirsi fonte di
ingiustificata disparità di trattamento perché, secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte, lo stesso naturale fluire del tempo è valido
elemento diversificatore delle situazioni giuridiche
(ex plurimis,
sentenza n. 94
del 2009, paragrafo 7.2 del Considerato in diritto, e sentenza n. 341 del
2007, paragrafo 3.2 del Considerato in diritto, ordinanza n. 61 del
2010).
Il richiamo alla sentenza di questa
Corte n. 35 del 2004, non è pertinente, perché, come la stessa sentenza ha
cura di precisare, «nella specie, la vicenda legislativa presenta una
particolarità». E, dopo aver esposto i punti salienti della fattispecie, la
Corte stessa è giunta alla conclusione che, «poiché il legislatore ha dato alla
nuova disciplina, per questa parte, un contenuto quasi "provvedimentale”,
di proroga di un precedente regime, esso non poteva, senza incorrere in un
vizio di manifesta irragionevolezza, ignorare i connotati concreti della
situazione nella quale interveniva. Non poteva, cioè, trascurare la circostanza
che vi era una sessione di esami ancora parzialmente in corso in quel momento e
che, quindi, lo "sbarramento” temporale rigido che si intendeva introdurre
avrebbe prodotto una discriminazione ingiustificata tra coloro che avevano o
avrebbero sostenuto lo stesso esame, nella stessa sessione annuale, prima o
dopo la data indicata, in base alla casuale durata delle prove».
Come si vede, si tratta di un caso
particolare, non comparabile con la vicenda qui in esame.
Da ultimo, si deve osservare che
l’ordinanza di rimessione presenta un petitum incerto, perché non indica se a questa Corte
sia chiesta una pronuncia di illegittimità costituzionale che cancelli la norma
censurata, sia pure «nella parte in cui subordina la non operatività del blocco
per le assunzioni per i ricercatori universitari all’avvenuto espletamento –
vale a dire, all’avvenuta conclusione – della procedura concorsuale alla data
di entrata in vigore della legge 9 gennaio 2009, n. 1 di conversione del
decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180» (in tal caso, però, la posizione dei ricercatori
vincitori di concorsi espletati resterebbe priva di qualsiasi riferimento
cronologico), oppure una pronuncia additiva, dai contenuti non chiariti (ordinanza n. 318
del 2013).
Ne deriva l’inammissibilità della
questione.
8.– Le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 180 del 2008, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 1 del 2009, «nella parte in cui, nel prevedere il
divieto di assunzione – a carico delle università "non virtuose” – non prevede
anche una sospensione del termine di durata delle idoneità conseguite nei
concorsi di ricercatore e professore universitario, per tutto il tempo in cui
opera il divieto di assunzione, così determinando l’effetto sproporzionato,
irragionevole e in contrasto con il principio di buon andamento
dell’amministrazione, che il termine di durata dell’idoneità decorre durante il
periodo in cui opera il divieto di assunzione, sicché il divieto di assunzione imposto
alle università si traduce anche in una perdita definitiva, per gli idonei,
della chance di assunzione, tutte le volte in cui le università non rientrino
nei parametri di legge durante il periodo di validità dell’idoneità», sollevate
dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (r.o.
n. 58 del 2013) in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., sono inammissibili.
Il rimettente deduce che l’idoneità nei
concorsi universitari ha una durata di cinque anni, «sicché il divieto di
assunzione, imposto alle università non virtuose, rischia di tradursi in una
definitiva penalizzazione per gli idonei, ove in ipotesi l’università non
rientri nei parametri di legge durante l’arco temporale di durata
dell’idoneità». Dopo aver trascritto la disposizione censurata, il giudice a
quo ribadisce che essa «si limita a porre un divieto di assunzione per le
università "non virtuose”, senza considerare la possibile penalizzazione per i
vincitori di procedure concorsuali, per i quali il rischio non è solo il
differimento dell’assunzione, ma anche quello della perdita definitiva della
chance di assunzione, tutte le volte in cui l’università non virtuosa non
rientri nei parametri di legge durante l’arco temporale di durata dell’idoneità
(pari a cinque anni)».
Come si vede, la questione è sollevata
in relazione ad una mera eventualità, perciò in termini ipotetici e astratti o
comunque prematuri, che la rendono non rilevante nel giudizio a quo. Ne deriva
l’inammissibilità della stessa (ex plurimis, sentenza n. 317 del
2009, ordinanze n. 96 del 2010,
n. 77 del 2009,
n. 311 e n. 56 del 2007).
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara
non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità
costituzionale dei commi 1 e 3 dell’art. 1 del decreto-legge 10 novembre 2008,
n. 180 (Disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del
merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 gennaio 2009, n. 1,
sollevate dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, in riferimento agli
artt. 3, 33 e 97 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe (r.o. n. 42 del 2013);
2) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1,
secondo periodo, del d.l. n. 180 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 1 del 2009, «nella parte in cui subordina la non operatività del
blocco delle assunzioni per i ricercatori universitari all’avvenuto
espletamento – vale a dire, all’avvenuta conclusione – della procedura
concorsuale alla data di entrata in vigore della legge 9 gennaio 2009, n. 1, di
conversione del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180», sollevata dal
Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, in riferimento all’art. 3
Cost., con l’ordinanza indicata in epigrafe (r.o. n.
134 del 2012);
3) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1,
del d.l. n. 180 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 1 del
2009, «nella parte in cui, nel prevedere il divieto di assunzione – a carico
delle università "non virtuose” – non prevede anche una sospensione del termine
di durata delle idoneità conseguite nei concorsi di ricercatore e professore
universitario, per tutto il tempo in cui opera il divieto di assunzione»,
sollevate dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, in riferimento agli
artt. 3 e 97 Cost., con l’ordinanza indicata in epigrafe (r.o.
n. 58 del 2013).
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 marzo 2014.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Alessandro CRISCUOLO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 28 marzo 2014.