Sentenza n. 573 del 1990

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SENTENZA N.573

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Giovanni CONSO, Presidente

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7, nono comma, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), convertito, con modificazioni, in legge 11 novembre 1983, n. 638, promosso con ordinanza emessa il 9 marzo 1990 dal Pretore di Reggio Emilia nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Gasparini Teresa ed altra e l'I.N.P.S., iscritta al n. 337 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 1990.

Visti gli atti di costituzione di Gasparini Teresa ed altra e dell'I.N.P.S., nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 13 novembre 1990 il Giudice relatore Francesco Greco;

uditi l'avv. Franco Agostini per Gasparini Teresa ed altra, Fabrizio Ausenda per l'I.N.P.S. e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

l.- Gasparini Teresa e Dughetti Elvina, braccianti agricole avventizie, con separati ricorsi, poi riuniti, hanno convenuto dinanzi al Pretore di Reggio Emilia l'I.N.P.S., chiedendo che fosse accertato il loro diritto alla pensione di vecchiaia, avendo maturato i requisiti prescritti, anteriormente al 1984.

Hanno precisato che la sussistenza dei requisito contributivo utile doveva essere valutata in base al disposto dell'art. 9 della legge n. 218 del 1952 e non, invece, come pretendeva l'I.N.P.S., in base al sopravvenuto art. 7, nono comma, del decreto-legge n. 463 del 1983, convertito, con modificazioni, nella legge n. 638 dello stesso anno, il quale aveva elevato il minimo contributivo da 1560 contributi giornalieri (media di 104 giornate lavorative annue) a 4050 (media di 270 giornate).

2.- Il giudice adito, ritenuto che la disposta elevazione del minimo contributivo operava per tutte le pensioni da liquidare come nella specie, con decorrenza successiva al 31 dicembre 1983 e non per quelle da liquidarsi dal quindicennio successivo all'entrata in vigore della nuova legge, in accoglimento dell'eccezione sollevata dalle ricorrenti, ha proposto questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, nono comma, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (conv. in legge n. 638 del 1983), considerata rilevante e non manifestamente infondata.

A parere del giudice remittente risulterebbero violati:

a) l'art. 3 della Costituzione per la disparità di trattamento che si verifica tra le braccianti agricole che entro il 31 dicembre 1983 abbiano perfezionato tutti i requisiti richiesti per la pensione di vecchiaia (età e contribuzione) secondo la disciplina previgente e quelle che abbiano perfezionato il requisito contributivo e non anche quello dell'età per cui devono soggiacere alla nuova legge anche per il requisito contributivo in quanto la liquidazione della pensione avviene dopo il 31 dicembre 1983;

b) l'art. 38 della Costituzione perchè la notevole elevazione della contribuzione preclude di fatto, a persone prossime al raggiungimento dell'età pensionabile, la possibilità di maturare in futuro il diritto a pensione e ciò in palese contrasto con l'esigenza di salvaguardare i diritti quesiti in materia previdenziale (sent. n. 822 del 1988).

3.- L'ordinanza é stata ritualmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale

4.- Nel giudizio dinanzi a questa Corte si sono costituite le parti private e l'I.N.P.S.

Le prime hanno fatto proprie le considerazioni svolte dal giudice a quo, insistendo per la declaratoria di fondatezza della questione.

L'Istituto ha rilevato che i commi dodicesimo e dodicesimo-bis dell'art. 7 della legge n. 638 del 1983 dettano una disciplina di raccordo tra le vecchie e le nuove disposizioni in materia di minimo contributivo, prevedendo che i contributi versati o accreditati relativamente a periodi di lavoro agricolo anteriori al l° gennaio 1984, per un minimo di giornate inferiori a 270 annue, debbano essere rivalutati secondo un coefficiente idoneo a consentire la riconduzione al nuovo e più elevato livello, sicchè il minimo contributivo conseguito in base alla previgente normativa é egualmente utile ai fini pensionistici anche in base a quella sopravvenuta; in tal modo é esclusa qualsiasi incidenza retroattiva di quest'ultima, pregiudizievole delle posizioni assicurative astratte, e la sua efficacia é circoscritta alla sola contribuzione da versare per gli anni successivi al 1983.

5.- É intervenuta anche l'Avvocatura generale dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, che ha concluso per la infondatezza della questione, osservando che trattasi di scelte di merito riservate al legislatore, nella specie, non irrazionali e non arbitrarie.

6.- Nell'imminenza dell'udienza la difesa delle parti private ha depositato una memoria, con la quale ha ribadito le censure di incostituzionalità già esposte.

Ha rilevato, in particolare, che la cosiddetta norma di raccordo fra il previgente ed il nuovo regime contributivo, cioé il dodicesimo comma dell'art. 7 della legge n. 638 del 1983, pur prevedendo un meccanismo di rivalutazione dei contributi versati anteriormente all'entrata in vigore di tale legge in misura inferiore a 270 giornate per anno, non elimina il pregiudizio in danno degli assicurati che abbiano effettuato versamenti in conformità al precedente regime.

Invero, mentre secondo tale regime era consentito conseguire il requisito contributivo utile di 104 giornate annue operando la media dei versamenti nell'ambito dei quindici anni o più corrispondenti all'anzianità assicurativa, il suddetto meccanismo di rivalutazione é limitato, ai sensi dell'art. 7, comma dodicesimo-bis, della citata legge n. 638 del 1983 in guisa tale che, per effetto della rivalutazione stessa, "non possono comunque essere computati più di 270 contributi giornalieri per anno"; in tal modo opera bensì la rivalutazione, ma risulta impedita la compensazione di un anno con l'altro e abolito il criterio della contribuzione media.

Considerato in diritto

1.-Il Pretore di Reggio Emilia dubita della legittimità costituzionale dell'art. 7, nono comma, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, in legge 11 novembre 1983, n. 638, interpretato nel senso che la disposta modificazione in aumento del requisito contributivo minimo e complessivo delle braccianti agricole avventizie per il conseguimento del diritto a pensione operi retroattivamente, in quanto violerebbe:

a) l'art. 3 della Costituzione per la disparità di trattamento che determina fra i lavoratori che abbiano perfezionato tutti i requisiti per la pensione anteriormente al 1984 e le lavoratrici che, successivamente a tale data, debbano perfezionare il solo requisito dell'età e, ciò nonostante, soggiacciono alla nuova e meno favorevole disciplina in ordine al regime contributivo;

b) l'art. 38 della Costituzione perchè la notevole elevazione del requisito contributivo preclude di fatto, a persone prossime al raggiungimento dell'età pensionabile, al momento dell'entrata in vigore della norma innovativa, la possibilità di maturare in futuro il diritto a pensione.

2. - La questione non è fondata.

Il nono comma dell'art. 7 del decreto-legge n. 463 del 1983, convertito, con modificazioni, in legge n. 638 del 1983, per le pensioni di vecchiaia, di anzianità, di invalidità ed ai superstiti degli operai agricoli, da liquidarsi con decorrenza successiva al 31 dicembre 1983, a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per la invalidità, vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, ha elevato il requisito minimo di contribuzione annua da 104 a 270 giornate di contribuzione effettiva, volontaria o figurativa. Ma il dodicesimo comma dello stesso articolo (testo della legge di conversione) ha previsto la contemporanea rivalutazione dei contributi a suo tempo versati, rispettivamente per gli uomini del 2,60% e per le donne ed i ragazzi del 3,86%. In tal modo il loro ammontare diventa di valore pari a quelli corrisposti per 270 giornate lavorative o, nella peggiore ipotesi, leggermente inferiore. Ma in base al comma tredicesimo dello stesso articolo può ovviarsi a tale situazione versando contributi volontari.

In tale situazione non risultano violati i richiamati precetti costituzionali. Non sussiste, infatti, la lamentata discriminazione tra lavoratrici che abbiano perfezionato il requisito contributivo prima del 31 dicembre 1983 e lavoratrici che lo abbiano perfezionato dopo.

Non viene nemmeno lesa la legittima aspettativa di lavoratrici prossime al conseguimento della pensione, in quanto, per effetto delle citate disposizioni, esse hanno ugualmente diritto alla pensione.

Trovano, quindi, conferma i principi già affermati da questa Corte (sentenza n. 349 del 1985) secondo cui le disposizioni modificatrici in senso sfavorevole della precedente disciplina dei rapporti di durata, anche se incidenti su diritti soggettivi, emanate dal legislatore ai fini pensionistici, non devono concretare un regolamento irrazionale ed arbitrario, lesivo delle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti e frustrare l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica che è elemento fondamentale dello Stato di diritto. In particolare, senza una inderogabile esigenza, non può effettuarsi in una fase avanzata del rapporto tra lavoratori ed I.N.P.S. una modifica legislativa che alteri in senso sfavorevole, in misura notevole ed in maniera definitiva, un trattamento pensionistico in precedenza spettante, con la conseguente irrimediabile vanificazione delle aspettative nutrite dal lavoratore.

3.-Non può in questa sede prendersi in esame la censura, dedotta nella memoria delle ricorrenti, dell'impossibilità della utilizzazione della media contributiva annuale che deriva dal comma dodicesimo-bis dell'articolo in esame, introdotto ex novo dalla legge di conversione, secondo cui per effetto della rivalutazione non possono comunque essere computati più di 270 contributi giornalieri per anno. Invero, la citata norma avrebbe dovuto costituire oggetto di una specifica denuncia di illegittimità costituzionale.

Peraltro, dagli atti non risulta nemmeno se per alcuni anni le ricorrenti abbiano versato contributi per più di 104 giornate lavorative e per altri anni in meno.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, nono comma, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini) convertito, con modificazioni, in legge 11 novembre 1983, n. 638, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, sollevata dal Pretore di Reggio Emilia con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/12/90.

Giovanni CONSO, PRESIDENTE

Francesco GRECO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 28/12/90.