SENTENZA N. 241
ANNO 2012
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
composta dai signori:
-
Alfonso QUARANTA Presidente
-
Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
-
Sabino CASSESE ”
-
Giuseppe TESAURO ”
- Paolo
Maria NAPOLITANO ”
-
Giuseppe FRIGO ”
-
Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
-
Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
-
Sergio MATTARELLA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1,
comma 6, e dell’art. 2, commi 1, 2, 2-bis, 2-ter, 2-quater, 3, 5-bis, 5-ter, 6,
9, 35-octies, 36, 36-bis, 36-quater, 36-quinquies e 36-decies del decreto-legge
13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione
finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14
settembre 2011, n. 148, promossi dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, dalla
Regione siciliana e dalla Regione autonoma Sardegna con ricorsi notificati il
14-16, il 15 ed il 15 novembre 2011, depositati in cancelleria il 18, il 22, il
23 ed il 24 novembre 2011 e rispettivamente iscritti ai nn.
135, 139, 140 e 160 del registro ricorsi 2011.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 3 luglio 2012 il Giudice relatore Franco Gallo;
uditi gli avvocati Ulisse Corea per
Ritenuto in fatto
1.–
Le impugnazioni che vengono qui all’esame riguardano gli artt. 1 e 2 del citato
decreto-legge.
In particolare, quanto all’art. 1, è
impugnato il solo comma 6 dalla Regione autonoma Sardegna; dell’art. 2, il
comma 1 è censurato dalla Regione siciliana; il comma 2 dalle Regioni
siciliana, Friuli-Venezia Giulia e Sardegna; i commi 2-bis, 2-ter, 2-quater
dalle Regioni siciliana, Friuli-Venezia Giulia e Sardegna; il comma 3 da tutte
le ricorrenti tranne
Le questioni sono proposte in
riferimento agli articoli: a) 3, 117 e 119 della Costituzione; b) 48-bis e 50,
comma quinto, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto
speciale per
2.– Il comma 6 dell’art. 1 del
decreto-legge n. 138 del
3.– Il comma 1 dell’art. 2 del
decreto-legge n. 138 del 2011 è impugnato dalla Regione siciliana. Esso
ribadisce l’operatività: a) dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2013 della
«riduzione» – prevista dall’art. 9, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010,
n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di
competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio
2010, n. 122 – del trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti
delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della
pubblica amministrazione nella misura del 5 per cento per la parte eccedente
l’importo di 90.000 euro lordi annui nonché del 10 per cento per la parte
eccedente 150.000 euro; b) dal 1° agosto 2011 al 31 dicembre 2014 del
contributo di perequazione cui sono assoggettati – ai sensi dell’art. 18, comma
22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la
stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15
luglio 2011, n. 111 – i trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori
di forme di previdenza obbligatorie, i cui importi complessivamente superino
90.000 euro lordi annui, nella misura del 5 per cento della parte eccedente il
predetto importo, del 10 per cento per la parte
eccedente 150.000 euro e del 15 per cento per la parte eccedente 200.000 euro.
4.– Il comma 2 dell’art. 2 del
decreto-legge n. 138 del 2011 è denunciato dalla Regione siciliana, nonché, in
combinato disposto con il comma 36 dello stesso art. 2 – che riserva
integralmente all’erario le maggiori entrate derivanti dall’intero
decreto-legge –, dalle Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna. Il
comma impugnato prevede: «In considerazione della eccezionalità
della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze
prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in
sede europea, a decorrere dal 1° gennaio 2011 e fino al 31 dicembre 2013, sul
reddito complessivo di cui all’articolo 8 del testo unico delle imposte sui
redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.
917, e successive modificazioni, di importo superiore a 300.000 euro lordi
annui, è dovuto un contributo di solidarietà del 3 per cento sulla parte
eccedente il predetto importo».
5.– I commi 2-bis, 2-ter, 2-quater
dell’art. 2 del decreto-legge n. 138 del 2011, sono censurati dalla Regione
siciliana e, in combinato disposto con il comma 36 del medesimo articolo 2,
dalle Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna. Detti commi prevedono,
rispettivamente: a) il comma 2-bis l’incremento dell’aliquota dell’imposta sul
valore aggiunto (IVA) dal venti al ventuno per cento della base imponibile
dell’operazione; b) il comma 2-ter, l’applicazione dell’aumento di aliquota
dell’IVA alle operazioni effettuate a partire dalla data di entrata in vigore
della legge di conversione del decreto in oggetto; c) il comma 2-quater,
l’inapplicabilità della variazione dell’aliquota dell’imposta sul valore
aggiunto «alle operazioni effettuate nei confronti dello Stato e degli enti e
istituti indicati nel quinto comma dell’articolo 6 del decreto del Presidente della
Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, per le quali al giorno precedente la data
di cui al comma 2-ter sia stata emessa e registrata la fattura ai sensi degli
articoli 21, 23 e 24 del predetto decreto, ancorché al medesimo giorno il
corrispettivo non sia stato ancora pagato».
Le Regioni autonome Friuli-Venezia
Giulia e Sardegna deducono, rispettivamente, la violazione: dell’art. 49, primo
comma, numero 4), dello statuto, che riserva alla Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia i «9,1 decimi del gettito dell’imposta sul valore
aggiunto, esclusa quella all’importazione (…)» riscossi sul territorio della
Regione stessa; dell’art. 8, lettera f), dello statuto, che attribuisce alla
Regione autonoma Sardegna i nove decimi del gettito dell’imposta sul valore
aggiunto generata sul territorio regionale da determinare sulla base dei
consumi regionali delle famiglie rilevati annualmente dall’ISTAT.
6.– Il comma 3 dell’art. 2 del
decreto-legge n. 138 del 2011 è impugnato dalle Regioni siciliana, Valle
d’Aosta, e Friuli-Venezia Giulia.
Detto comma prevede: «Il Ministero dell’economia e delle finanze-Amministrazione autonoma dei
monopoli di Stato, con propri decreti dirigenziali adottati entro sessanta
giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, emana tutte le
disposizioni in materia di giochi pubblici utili al fine di assicurare maggiori
entrate, potendo tra l’altro introdurre nuovi giochi, indire nuove lotterie,
anche ad estrazione istantanea, adottare nuove modalità di gioco del Lotto,
nonché dei giochi numerici a totalizzazione nazionale, variare l’assegnazione
della percentuale della posta di gioco a montepremi ovvero a vincite in denaro,
la misura del prelievo erariale unico, nonché la percentuale del compenso per
le attività di gestione ovvero per quella dei punti vendita. Il Direttore
generale dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato può proporre al
Ministro dell’economia e delle finanze di disporre con propri decreti, entro il
30 giugno 2012, tenuto anche conto dei provvedimenti di variazione delle
tariffe dei prezzi di vendita al pubblico dei tabacchi lavorati eventualmente
intervenuti, l’aumento dell’aliquota di base dell’accisa sui tabacchi lavorati
prevista dall’Allegato 1 al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo
unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e
sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative) e successive
modificazioni. L’attuazione delle disposizioni del presente comma assicura
maggiori entrate in misura non inferiore a 1.500 milioni di euro annui a
decorrere dall’anno 2012. Le maggiori entrate derivanti dal presente comma sono
integralmente attribuite allo Stato».
6.1.– Le Regioni autonome Valle d’Aosta
e Friuli-Venezia Giulia deducono che la norma impugnata deroga, con una fonte
primaria "ordinaria”, alle norme statutarie e pertanto è diretta a modificare
unilateralmente l’ordinamento finanziario delle ricorrenti senza seguire il
procedimento di revisione e di attuazione degli statuti disciplinato nelle
norme parametro rispettivamente evocate (l’art. 48-bis in combinato disposto
con l’art. 50, comma quinto, dello statuto della Valle d’Aosta e con l’art. 1
del decreto legislativo 22 aprile 1994, n. 320, recante «Norme di attuazione
dello statuto speciale della regione Valle d’Aosta»; gli artt. 48, 49, 63,
commi primo e quinto, 65 dello statuto della Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia).
6.2.– Il comma 3 è censurato dalla
medesima Regione autonoma Valle d’Aosta anche per violazione del principio di
leale collaborazione e dell’art. 8 della legge 26 novembre 1981, n. 690
(Revisione dell’ordinamento finanziario della regione Valle d’Aosta), nella
parte in cui prevede che «Il provento derivante alla regione Valle d’Aosta da
maggiorazioni di aliquote e da altre modificazioni dei tributi ad essa devoluti
(…), ove sia destinato per legge (…) per la copertura di nuove o maggiori spese
che sono da effettuare a carico del bilancio statale, è riversato allo Stato» e
che «L’ammontare di cui al comma precedente è determinato per ciascun esercizio
finanziario con decreto dei Ministri delle finanze e del tesoro, d’intesa con
il presidente della giunta regionale». Il comma impugnato si porrebbe in
contrasto con gli evocati parametri perché non prevede alcuna forma di intesa o
di intervento del Presidente della Giunta regionale nella determinazione
dell’ammontare annuo delle somme – da riversare allo Stato – derivanti dalla
prevista maggiorazione dell’aliquota di base dell’accisa sui tabacchi.
6.3.– Il comma 3 dell’art. 2 del
decreto-legge n. 138 del 2011 è impugnato dalla Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia nella parte in cui riserva allo Stato il gettito derivante dall’aumento
dell’aliquota di base dell’accisa sui tabacchi lavorati. Se ne denuncia il contrasto
con l’art. 49, numero 7), dello statuto speciale friulano, che attribuisce alla
ricorrente i nove decimi del gettito dell’imposta sul consumo dei tabacchi.
L’accisa sui tabacchi coinciderebbe, infatti con la
predetta imposta di consumo, come risulterebbe dal fatto che: a) gli articoli
27 e 28 del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331 (Armonizzazione delle
disposizioni in materia di imposte sugli oli minerali, sull’alcole, sulle
bevande alcoliche, sui tabacchi lavorati e in materia di IVA con quelle recate
da direttive CEE e modificazioni conseguenti a detta armonizzazione, nonché
disposizioni concernenti la disciplina dei Centri autorizzati di assistenza
fiscale, le procedure dei rimborsi di imposta, l’esclusione dall’ILOR dei
redditi di impresa fino all’ammontare corrispondente al contributo diretto
lavorativo, l’istituzione per il 1993 di un’imposta erariale straordinaria su
taluni beni ed altre disposizioni tributarie) usano indifferentemente i termini
"accisa” e "imposta di consumo”; b) l’intero decreto-legge n. 331 del 1993
prevede solo due imposte sui tabacchi lavorati, e cioè l’IVA e l’accisa; c)
l’art. 1 del d.lgs. n. 504 del 1995 precisa che per accisa si intende
«l’imposizione indiretta sulla produzione o sul consumo dei prodotti energetici
(…) e dei tabacchi lavorati»; d) i codici tributo n. 2839 e n. 2842 sui quali
si applica la compartecipazione regionale, collegati al capitolo 1601 del
bilancio dello Stato, sono denominati "Imposta sul consumo dei tabacchi” e
comprendono appunto l’accisa sui tabacchi, come è comprovato – secondo la
ricorrente – dalla risoluzione della Agenzia delle entrate 15 febbraio 2008, n.
50 E.
6.4.– Il comma 3 dell’art. 2 del
decreto-legge n. 138 del 2011 è denunciato dalle Regioni Friuli-Venezia Giulia
e siciliana nella parte in cui riserva«all’Erario» le
maggiori entrate derivanti da detto comma. Le ricorrenti ne assumono il
contrasto con le previsioni degli statuti e delle relative norme di attuazione
che consentono tale riserva all’Erario, ma la assoggettano a precise condizioni.
In particolare: a)
Secondo
Quanto alla Regione siciliana, le
condizioni previste per la riserva all’Erario non sarebbero rispettate per quel
che concerne, in particolare: la novità delle entrate e la specifica finalità
contingente o continuativa cui le risorse devono essere destinate.
Il medesimo comma 3 dell’art. 2 è
impugnato dalla Regione autonoma Sardegna nella parte in cui autorizza il
Ministero dell’economia e delle finanze-Amministrazione
autonoma dei monopoli di Stato ad emanare, con decreti dirigenziali,
«tutte le disposizioni in materia di giochi pubblici utili al fine di
assicurare maggiori entrate». Secondo la ricorrente la disposizione impugnata
si porrebbe in contrasto con l’art. 8, comma 1, lettera m), dello statuto, che
assegna alla Regione i «sette decimi di tutte le entrate erariali, dirette o
indirette, comunque denominate, ad eccezione di quelle di spettanza di altri
enti pubblici» sul presupposto della natura erariale delle entrate derivanti
dai giochi pubblici.
7.– I commi 5-bis e 5-ter dell’art. 2
del decreto-legge n. 138 del 2011 sono impugnati dalla Regione siciliana e, in
combinato disposto con il comma 36 del medesimo articolo 2, dalla Regione
autonoma Sardegna.
Le disposizioni censurate disciplinano,
rispettivamente, il recupero «all’entrata del bilancio dello Stato delle somme
dichiarate e non versate dai contribuenti che si sono avvalsi dei condoni e
delle sanatorie di cui alla legge 27 dicembre 2002, n. 289» e la sanzione – per
il caso di omesso pagamento delle somme dovute e iscritte a ruolo entro il
termine di cui al comma 5-bis – pari al 50% delle predette somme.
7.1.– Il comma 6 dell’art. 2 del
decreto-legge n. 138 del 2011 è censurato dalla Regione siciliana e, in
combinato disposto con il comma 36 dello stesso articolo, dalle Regioni
autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna. La disposizione impugnata recita:
«Le ritenute, le imposte sostitutive sugli interessi, premi e ogni altro
provento di cui all’articolo 44 del decreto del Presidente della Repubblica 22
dicembre 1986, n. 917 e sui redditi diversi di cui all’articolo 67, comma 1,
lettere da c-bis a c-quinquies del medesimo decreto,
ovunque ricorrano, sono stabilite nella misura del 20 per cento».
Quanto, infine, alla Regione autonoma
Sardegna, essa lamenta la lesione dell’art. 8, comma 1, lettera m), dello
statuto, che – come visto – attribuisce alla ricorrente i sette decimi di tutte
le entrate erariali, ad eccezione di quelle di spettanza di altri enti
pubblici.
7.2.– Il comma 35-octies dell’art. 2 del
decreto-legge n. 138 del 2011 è impugnato dalla Regione siciliana. Detto comma
istituisce un’imposta di bollo sui trasferimenti di denaro all’estero
attraverso gli istituti bancari, le agenzie «money
transfer» ed altri agenti in attività finanziaria, e la determina in misura
pari al 2 per cento dell’importo trasferito con ogni singola operazione, con un
minimo di prelievo pari a 3 euro.
La ricorrente ne denuncia il contrasto
con l’art. 36 dello statuto, in combinato disposto con l’art. 2 del citato d.P.R. n. 1074 del 1965, rilevando che le somme derivanti
dalle disposizioni impugnate sono state riservate all’erario senza rispettare
le condizioni previste per detta riserva dagli evocati parametri.
Difetterebbero, in particolare, sia la novità delle entrate, «intesa sia come
novità del tributo in se stesso sia come maggiorazione di entrate derivanti da
un tributo già esistente», sia la specifica destinazione alla copertura di
oneri diretti a soddisfare «particolari finalità contingenti o continuative
dello Stato».
7.3.– Il comma 36 dell’art. 2 del
decreto-legge n. 138 del 2011 è denunciato dalle Regioni autonome Valle
d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia e siciliana in riferimento all’art. 8 della
legge n. 690 del 1981 (Regione Valle d’Aosta); all’art. 49 dello statuto della
Regione Friuli-Venezia Giulia in combinato disposto con l’art. 4, comma primo,
del d.P.R. 23 gennaio 1965, n. 114; all’art. 36 dello
statuto della Regione siciliana, in combinato disposto con l’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965 (Regione siciliana); nonché al
principio di leale collaborazione e in particolare al principio consensuale che
«deve presiedere alla regolamentazione dei rapporti finanziari tra lo Stato e
Il comma impugnato dispone che: «Le
maggiori entrate derivanti dal presente decreto sono riservate all’Erario, per
un periodo di cinque anni, per essere destinate alle esigenze prioritarie di
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea,
anche alla luce della eccezionalità della situazione
economica internazionale. Con apposito decreto del Ministero dell’economia e
delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore
della legge di conversione del presente decreto, sono stabilite le modalità di
individuazione del maggior gettito, attraverso separata contabilizzazione. A
partire dall’anno 2014, il Documento di economia e finanza conterrà una
valutazione delle maggiori entrate derivanti, in termini permanenti,
dall’attività di contrasto all’evasione. Dette maggiori entrate, al netto di
quelle necessarie al mantenimento del pareggio di bilancio ed alla riduzione
del debito, confluiranno in un Fondo per la riduzione strutturale della
pressione fiscale e saranno finalizzate alla riduzione degli oneri fiscali e
contributivi gravanti sulle famiglie e sulle imprese».
Le Regioni autonome Valle d’Aosta,
siciliana, Friuli-Venezia Giulia lamentano che la riserva del maggior gettito
all’erario disposta da tale articolo viola le condizioni previste per tale
riserva nei rispettivi statuti e nelle relative norme di attuazione. Le
ricorrenti osservano, in particolare che: a) le maggiori entrate non sono
destinate a nuove o maggiori spese (Valle d’Aosta); b) le entrate non sono
nuove e non sono indirizzate a specifiche finalità contingenti o continuative,
ma mirano genericamente «al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica
concordati in sede europea» (Regioni siciliana e Friuli-Venezia Giulia).
7.4.– Il comma 36 è impugnato pure dalla
Regione autonoma Sardegna in riferimento all’art. 3 della Costituzione, in
combinato disposto con l’art. 7 dello statuto di autonomia e con gli artt. 117
e 119 Cost. Premesso che le note del Ragioniere generale dello Stato n. 0102482
del 3 agosto 2005 e 0112371 del 2 settembre 2005 avrebbero riconosciuto
l’insufficienza dell’attuale regime di risorse della Regione, la ricorrente
lamenta l’irragionevolezza della finalizzazione delle maggiori risorse
derivanti dalla disposizione impugnata a «vaghi obiettivi di finanza pubblica»,
anziché al soddisfacimento delle esigenze regionali, tanto piú
in considerazione del periodo notevolmente lungo (cinque anni) di applicazione
della disciplina censurata.
7.5.– Ulteriore questione di legittimità
costituzionale del comma 36 dell’art. 2 del decreto-legge n. 138 del 2011 è
proposta dalle Regioni autonome Valle d’Aosta e Friuli-Venezia Giulia. Le
ricorrenti deducono che la norma impugnata – modificando il meccanismo della
compartecipazione regionale ai tributi erariali statutariamente previsto e, in
particolare, facendo venire meno «la struttura automatica della
compartecipazione» – deroga, con una fonte primaria "ordinaria”, alle norme
statutarie, in violazione, oltre che del principio consensuale che «domina le
relazioni finanziarie fra lo Stato e le Regioni speciali», anche degli artt. 63,
commi primo e quinto, e 65 dello statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia.
7.6.– Il medesimo comma 36, secondo
7.7. – Il comma 36 dell’art. 2 del
decreto-legge n. 138 del 2011 è impugnato, infine, dalla Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia nella parte in cui prevede che «A partire dall’anno 2014,
il Documento di economia e finanza conterrà una valutazione delle maggiori
entrate derivanti, in termini permanenti, dall’attività di contrasto
all’evasione» e stabilisce che: «Dette maggiori entrate, al netto di quelle
necessarie al mantenimento del pareggio di bilancio ed alla riduzione del
debito, confluiranno in un Fondo per la riduzione strutturale della pressione
fiscale e saranno finalizzate alla riduzione degli oneri fiscali e contributivi
gravanti sulle famiglie e sulle imprese». La ricorrente ne denuncia il
contrasto con l’art. 49 dello statuto, che attribuisce alla Regione
compartecipazioni al gettito di entrate tributarie erariali percette
nel proprio territorio, nonché con il principio di leale collaborazione. Si
osserva, sotto il primo profilo, che le maggiori entrate ricavate dalla messa
in opera di strumenti di contrasto dell’evasione fiscale non costituiscono
entrate "nuove”, perché non apportano alcuna modificazione alla disciplina
delle aliquote e dei tributi esistenti; sotto il secondo profilo, che la
quantificazione delle maggiori entrate derivanti dalla lotta all’evasione è
operata nel Documento di economia e finanza senza alcuna intesa con
8.– I commi 36-bis e 36-quater,
36-quinquies e 36-decies dell’art. 2 del decreto-legge n. 138 del 2011 sono
denunciati, in combinato disposto con il comma 36, dalla Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia. I commi 36-bis e 36-quater dispongono, rispettivamente,
l’incremento, ai fini IRES, della quota di utili netti annuali delle società cooperative
destinati alla riserva obbligatoria che sono sottratti al regime di esenzione e
l’esclusione dal regime di esenzione anzidetto del 10 per cento di tali
riserve. I commi 36-quinquies e 36-decies prevedono la maggiorazione
dell’aliquota IRES, pari a 10,5 punti percentuali, a carico delle cosiddette
"società di comodo” (le società di cui all’art. 30, comma 1, della legge 23
dicembre 1994, n. 724 recante "Misure di razionalizzazione della finanza
pubblica”) e delle società che presentano per tre periodi di imposta consecutivi dichiarazioni in perdita fiscale. La ricorrente
ne denuncia il contrasto con l’art. 49, primo comma, numero 2), dello statuto,
che riserva alla Regione «quattro decimi e mezzo del gettito dell’imposta sul
reddito delle persone giuridiche» riscossa sul suo territorio.
9. – In via logicamente subordinata
rispetto alle impugnazioni proposte, tutte le ricorrenti – tranne
10.– Si è costituito in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che i ricorsi siano rigettati.
Con riferimento ai ricorsi promossi dalle Regioni siciliana e Sardegna, il resistente ne
eccepisce preliminarmente l’inammissibilità «per la mancanza di prova di un
"vulnus” diretto e concreto alla finanza regionale» (si richiama in proposito
la sentenza di questa Corte n. 145 del 2008). Le disposizioni impugnate –
secondo la difesa del Presidente del Consiglio dei ministri – «in quanto
finalizzate al reperimento di entrate aggiuntive rispetto a quelle ordinarie,
non si risolvono, infatti, nella sottrazione di risorse alle autonomie
territoriali, né sono dirette a ridurre la misura delle compartecipazioni ai
tributi erariali previsti dai rispettivi statuti di autonomia». Non vi sarebbe,
perciò, alcuna lesione diretta e concreta alle finanze regionali. Il solo
ricorso siciliano sarebbe inoltre inammissibile per la genericità delle
censure, che non sarebbero suffragate da idonei supporti motivazionali.
Nel merito, la difesa dello Stato premette
in via generale che le disposizioni impugnate sono «norme finanziarie
"eccezionali” finalizzate a fronteggiare una situazione economica
"emergenziale”», in quanto inserite in un percorso di risanamento della finanza
pubblica al quale devono concorrere anche le autonomie speciali. Infatti –
prosegue il resistente – l’autonomia finanziaria degli enti locali «non si pone
in termini quantitativi, ma nell’ambito di una valutazione comparativa delle
esigenze dell’intera collettività». In questa cornice, lo Stato, nell’esercizio
della sua competenza legislativa esclusiva in materia di sistema tributario,
tutela del risparmio e dei mercati, nonché perequazione delle risorse
finanziarie (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.), ha piena potestà di
disporre in merito alla disciplina dei tributi da esso istituiti, anche se il
gettito relativo sia di spettanza regionale, a condizione che non sia alterato
il rapporto tra complessivi bisogni regionali e mezzi finanziari per farvi
fronte; circostanza, questa, che – secondo la difesa del Presidente del
Consiglio dei ministri – non è stata dedotta in punto di fatto dalle
ricorrenti.
La difesa del Presidente del Consiglio
osserva che gli incrementi di entrata previsti dalle disposizioni impugnate
sono riferibili a tributi istituiti e disciplinati dalla legge statale; che
essi sono espressamente diretti – limitatamente a un periodo di cinque anni –
al soddisfacimento di «esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi
di finanza pubblica concordati in sede europea»; che tali obiettivi non sono piú precisamente elencati nelle norme censurate perché essi
devono essere concordati con i partner europei; che, comunque, nel caso di
specie, non si tratta, come sostenuto erroneamente dai ricorrenti, «di manovre
finanziarie volte a perseguire semplici obiettivi di riequilibrio della finanza
pubblica, ma di un mezzo necessario a scongiurare gli effetti di una crisi economico finanziaria di portata internazionale».
L’eccezionalità della situazione avrebbe imposto, anche in ossequio a princípi di solidarietà nazionale, una temporanea
compressione dell’autonomia finanziaria della Regione, peraltro contenuta nei
limiti della ragionevolezza, quale misura necessaria per la salvaguardia
dell’unità economica della Repubblica e del risanamento finanziario dello
Stato.
Cosí inquadrate, le misure previste dalle disposizioni
censurate sono riconducibili in via prevalente, secondo la difesa statale, alla
materia concorrente della armonizzazione dei bilanci
pubblici, del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, e
quindi a una competenza nell’esercizio della quale lo Stato ben potrebbe
imporre alle Regioni, con normativa di principio quale quella oggetto di
censura, adempimenti derivanti da impegni finanziari assunti in sede europea.
Ciò premesso, il resistente ritiene che
sussistano i presupposti per la riserva all’erario delle maggiori entrate
derivanti dalle disposizioni oggetto di censura, perché: a) le entrate sono
finalizzate al raggiungimento di specifici obiettivi di finanza pubblica – in
sostanza, l’impegno a raggiungere il pareggio di bilancio entro il 2013 e a
ridurre il debito pubblico – inizialmente definiti nel Documento di economia e
finanza (DEF) e successivamente concordati in sede europea; b) il maggior gettito
è diretto a coprire nuove spese di carattere non continuativo, perché connesse
a una eccezionale, contingente situazione di crisi
economico-finanziaria e a obiettivi altrettanto contingenti di raggiungimento
del pareggio di bilancio; c) il gettito è destinato alla copertura di spese che
non rientrano nelle materie di competenza delle regioni ricorrenti, ma è
riconducibile alla potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di
rapporti dello Stato con l’Unione europea (art. 117, secondo comma, lettera a,
Cost.), sistema tributario (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.),
armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e
del sistema tributario (art. 117, terzo comma, Cost.) perché riguarda
«l’assetto economico nazionale nel suo complesso»; d) la riserva è
temporalmente delimitata a un periodo di cinque anni; e) le maggiori entrate
derivano da nuove forme di prelievo o maggiorazioni di aliquote di tributi
esistenti che presentano il carattere della novità; f) le maggiori entrate sono
distintamente contabilizzate nel bilancio statale, a tale separata
contabilizzazione dovendo provvedere con apposito decreto il Ministero
dell’economia e delle finanze, ai sensi del secondo periodo del comma 36
dell’art. 2 del decreto-legge n. 138 del 2011.
Quanto alla comune, denunciata
violazione del principio di leale collaborazione e delle norme statutarie che
prevedono meccanismi concertativi o paritetici per la modifica dei rispettivi
regimi finanziari, il resistente afferma che tale principio non è invocabile
quale requisito di legittimità costituzionale a proposito dell’esercizio della
funzione legislativa, quando – come nel caso di specie – detta funzione sia
esercitata nel rispetto della Costituzione e del riparto di competenze da essa
stabilito. La difesa del Presidente del Consiglio dei ministri ricorda inoltre
che l’art. 19-bis del decreto-legge impugnato contiene una clausola di
compatibilità con gli statuti speciali e le relative norme di attuazione che è
rivolta «a bilanciare il rapporto tra rispetto dei citati statuti e delle
relative norme di attuazione e misure fiscali sancite» dallo Stato, traendone
spunto per concludere nel senso della non fondatezza delle censure
"procedurali” avanzate dalle ricorrenti.
Quanto alla specifica censura –
formulata dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia – secondo cui le
maggiori entrate derivanti dalla lotta all’evasione (art. 2, comma 36, terzo e
quarto periodo) sono connesse comunque alle aliquote e ai tributi esistenti, il
cui gettito spetta, in compartecipazione, alle ricorrenti, l’Avvocatura dello
Stato osserva che la doglianza si fonda su un’errata ricostruzione
dell’attività di contrasto all’evasione. Questa – illustra il resistente – «non
si esaurisce nell’attività di accertamento e recupero degli obblighi tributari
invalsi, ma consiste anche nell’attività sanzionatoria». Con la conseguenza che
le maggiori entrate risultanti dal contrasto all’evasione «non derivano tanto
dall’attività di crediti tributari riscossi, quanto dal pagamento di sanzioni
amministrative tributarie da parte dei contravventori». Di qui l’infondatezza
della censura, che comunque sarebbe infondata per l’ulteriore ragione che le
maggiori entrate in questione – in quanto frutto delle sanzioni (anche)
pecuniarie previste per gli illeciti tributari commessi – devono essere
ricondotte alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di
sistema tributario e contabile e di ordinamento civile e penale (art. 117,
secondo comma, lettere e e
l, Cost.).
11.–
12.– In prossimità dell’udienza pubblica
ha depositato memorie
Quanto all’eccezione di inammissibilità
dei ricorsi sollevata dalla difesa dello Stato e fondata sulla premessa che
dall’applicazione della norma impugnata non derivi alcun pregiudizio per le
finanze regionali,
Osserva inoltre
La ricorrente rileva, infine, che le piú recenti sentenze della Corte costituzionale le quali
hanno ritenuto legittima la riserva allo Stato di entrate derivanti da tributi
erariali il cui gettito spetta alle Regioni (si richiamano le sentenze n. 143, n. 142 e n. 135 del 2012,
nonché n. 182
del 2010) sono strettamente calibrate sulle norme statutarie e di attuazione statutaria vigenti per gli enti parti dei
relativi giudizi e, quindi, non sono estensibili alla Regione sarda.
Considerato in diritto
1.– Quattro Regioni a statuto speciale,
L’esame di questa Corte è qui limitato
alle questioni relative agli artt. 1 e 2 di detto decreto-legge, restando
riservata a separate pronunce la decisione di quelle riguardanti altre
disposizioni del citato decreto.
In particolare, l’art. 1 è impugnato,
con riguardo al comma 6, dalla sola Regione Sardegna; l’art. 2 è impugnato:
quanto al comma 1, dalla sola Regione siciliana; quanto al comma 2, dalle
Regioni siciliana, Friuli-Venezia Giulia e Sardegna; quanto ai commi 2-bis,
2-ter, 2-quater, dalle Regioni siciliana, Friuli-Venezia Giulia e Sardegna; quanto
al comma 3, da tutte le ricorrenti, tranne
Le questioni sono promosse evocando a
parametro: a) gli artt. 3, 117 e 119 della Costituzione (con il ricorso della
Regione autonoma Sardegna) ed il principio di leale collaborazione (con i
ricorsi delle Regioni autonome Valle d’Aosta e Friuli-Venezia Giulia); b) gli
artt. 48-bis e 50, comma quinto, della legge costituzionale 26 febbraio 1948,
n. 4 (Statuto speciale per
Le Regioni ricorrenti impugnano disposizioni
che prevedono, in un caso, una diminuzione di entrate erariali (art. 2, comma
6, nella parte impugnata dalla Regione siciliana) oppure, negli altri casi,
riservano allo Stato (art. 2, comma 36) le maggiori entrate derivanti dalla
diminuzione di agevolazioni (art. 1, comma 6), dall’introduzione di nuovi
giochi e lotterie o dall’aumento dell’accisa sui tabacchi lavorati (art. 2,
comma 3), da specifiche misure attinenti a prelievi tributari (art. 2, commi 1,
2, 2-bis, 2-ter, 2-quater, 3, 5-bis, 5-ter, 6 – nella parte impugnata dalla
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia –, 35-octies, 36-bis, 36-quater,
36-quinquies e 36-decies), nonché, in generale, dall’attività di contrasto
all’evasione fiscale (art. 2, comma 36, terzo e quarto periodo).
La diminuzione di entrate erariali,
comportando una riduzione del gettito spettante per statuto alla Regione
siciliana, viene censurata per l’asserito impoverimento arrecato alla finanza
regionale. La riserva allo Stato delle suddette maggiori entrate è, a sua volta,
ritenuta lesiva dell’autonomia finanziaria delle ricorrenti, le quali lamentano
la violazione delle disposizioni statutarie e delle relative norme di
attuazione che: a) attribuiscono ai bilanci regionali quote delle entrate
derivanti dal gettito di tributi erariali riscossi nei rispettivi territori; b)
pongono condizioni per la riserva allo Stato dell’intero gettito di tali
tributi; c) prevedono, comunque, peculiari procedure consensuali per le
modifiche dell’ordinamento finanziario delle Regioni a statuto speciale.
Il comune presupposto interpretativo di
tutte tali censure – ivi comprese quelle in cui vengono evocati a parametro,
oltre a norme di rango statutario, anche articoli della Costituzione – risiede
nella ritenuta applicabilità delle norme impugnate alle Regioni autonome
ricorrenti.
2.– In considerazione della parziale
identità delle norme denunciate e delle censure proposte, i giudizi, come sopra
separati e delimitati, devono essere riuniti per essere trattati congiuntamente
e decisi con un’unica pronuncia.
3.– L’Avvocatura generale dello Stato ha
preliminarmente eccepito l’inammissibilità di tutte le questioni, sotto il
profilo che le disposizioni censurate non sottraggono risorse alle Regioni e,
quindi, non arrecano alcun vulnus diretto e concreto alla loro autonomia
finanziaria.
L’eccezione non è fondata per due
diverse ragioni.
In primo luogo, perché in tutti i casi
di maggiori entrate integralmente riservate all’Erario la dedotta mancata
partecipazione al gettito di tributi che spetterebbero pro quota o in toto alle
ricorrenti in base alle norme statutarie evocate come parametri, oltre a
determinare evidenti effetti finanziari negativi in termini di minori introiti
regionali, integra – secondo la prospettazione delle
ricorrenti – una violazione diretta di norme di rango statutario e quindi,
diversamente da quanto sostenuto dalla parte resistente, produce un vulnus alla
loro autonomia finanziaria quale garantita da norme di rango costituzionale. In
secondo luogo, perché, almeno nel caso di cui al censurato comma 6 dell’art. 2,
per la parte impugnata dalla sola Regione siciliana, viene stabilita una
riduzione delle aliquote di alcuni tributi, tale da comportare in relazione ad
essi una "minore entrata” rispetto al gettito che sarebbe spettato alla Regione
in assenza della riduzione; con la conseguenza che si verificherebbe una
diminuzione delle risorse a disposizione della Regione e, quindi, una
menomazione della sua autonomia finanziaria.
Tanto basta per giustificare l’interesse
processuale al ricorso ed il rigetto dell’eccezione.
4.– Prima di procedere allo scrutinio
nel merito delle suddette questioni è necessario vagliare la fondatezza del
sopra ricordato presupposto interpretativo delle ricorrenti circa l’effettiva
applicabilità alle Regioni autonome delle norme impugnate e, in caso positivo,
accertare se si verifichino le prospettate lesioni
degli statuti speciali.
A tal fine, occorre muovere
dall’interpretazione dell’art. 19-bis del decreto-legge n. 138 del 2011
(articolo introdotto dalla legge di conversione e rubricato «Disposizioni
finali concernenti le regioni a statuto speciale e le province autonome»), il
quale, nel disciplinare, in via generale, il rapporto tra tale decreto e gli
enti ad autonomia differenziata, dispone che: «L’attuazione delle disposizioni
del presente decreto nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome
di Trento e Bolzano avviene nel rispetto dei loro statuti e delle relative
norme di attuazione e secondo quanto previsto dall’articolo 27 della legge 5
maggio 2009, n. 42».
4.1.– In proposito, va precisato che
l’«attuazione» del decreto, menzionata nell’articolo, deve essere intesa non
nella ristretta accezione di predisposizione di fonti normative secondarie
dirette a regolamentare in dettaglio i princípi o le
norme espressi nel decreto, ma in quella, piú ampia e
generica, di applicazione delle norme del decreto. Diversamente, si verrebbe a
creare una insanabile contraddizione con la successiva
statuizione, contenuta nello stesso articolo, la quale pone la regola del
rispetto degli statuti speciali e delle relative norme di attuazione. Infatti,
ove le norme del decreto fossero in contrasto con tali statuti e con le loro
norme di attuazione, sarebbe palesemente illogico limitare il divieto di violare
la normativa statutaria con riguardo alle sole norme secondarie del decreto,
che ne costituiscono «attuazione» in senso stretto, e non anche al decreto
stesso, di cui tali norme secondarie costituiscono semplice applicazione.
4.2.– La parte residua dell’articolo in
esame presenta un duplice contenuto normativo: da un lato, una clausola di
salvaguardia degli enti ad autonomia speciale (l’applicazione deve avvenire
«nel rispetto dei loro statuti e delle relative norme di attuazione»);
dall’altro, un rinvio espresso all’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42,
recante «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione
dell’articolo 119 della Costituzione» («secondo quanto previsto dall’articolo
27 della legge 5 maggio 2009, n. 42»). Detto art. 27 prevede, in particolare,
che le Regioni a statuto speciale e le Province autonome concorrano al
conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà ed all’esercizio
dei diritti e doveri da essi derivanti, nonché al patto di stabilità interno ed
all’assolvimento degli obblighi posti dall’ordinamento comunitario «nel
rispetto degli statuti speciali» e «secondo criteri e modalità stabiliti da
norme di attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le procedure
previste dagli statuti medesimi».
Per quanto riguarda la clausola di
salvaguardia, gli evocati parametri di rango statutario assumono, attraverso di
essa, la funzione di generale limite per l’applicazione delle norme del
decreto-legge n. 138 del 2011, nel senso che queste sono inapplicabili agli
enti a statuto speciale ove siano in contrasto con gli statuti e le relative
norme di attuazione. Detta inapplicabilità esclude la fondatezza delle
questioni di legittimità costituzionale basate sulla violazione di tali
parametri statutari (in tal senso, a proposito di disposizioni analoghe, le
sentenze n. 64
del 2012 e n.
152 del 2011). Ovviamente, l’indicata clausola non opera nei particolari
casi in cui singole norme del decreto-legge prevedano espressamente, derogando
alla clausola in esame, la propria diretta ed immediata applicabilità agli enti
ad autonomia speciale, ancorché esse siano in contrasto con lo statuto
d’autonomia e con le relative norme di attuazione. Pertanto, solo in questi
casi eccezionali – che ricorrono, per
Ne consegue che l’art. 19-bis, nel
richiedere la necessità del «rispetto» degli statuti speciali, non costituisce
una mera formula di stile, priva di significato normativo, ma ha la precisa
funzione di rendere applicabile il decreto agli enti ad autonomia differenziata
solo a condizione che siano "rispettati” gli statuti speciali e quindi, per
quanto attiene alle «maggiori entrate» erariali derivanti dal decreto, soltanto
se l’integrale riserva quinquennale allo Stato del gettito – prevista in via
generale dal comma 36 dell’art. 2 – sia consentita da tali statuti. Pertanto,
quando il contrasto non sussista o, pur sussistendo, operi la clausola di
salvaguardia che determina l’inapplicabilità della norma denunciata alle
Regioni a statuto speciale, la questione deve essere comunque dichiarata non
fondata. E ciò perché, nel caso in cui il contrasto non sussista, non c’è,
ovviamente, alcuna violazione della normativa statutaria e, nel caso in cui il
contrasto sussista, la clausola di salvaguardia impedisce l’applicabilità alle
ricorrenti della normativa censurata.
In questo contesto, l’ulteriore rinvio,
contenuto nello stesso art. 19-bis, all’art. 27 della legge di delegazione sul
federalismo fiscale n. 42 del 2009 assume solo il significato di prefigurare un
percorso procedurale, dominato dal principio consensualistico,
per la modificazione delle norme di attuazione degli statuti speciali, con
riguardo all’eventualità in cui lo Stato voglia introdurre negli enti ad
autonomia differenziata, quanto alle materie trattate nel decreto-legge, una
disciplina non conforme alle norme di attuazione statutaria. L’art. 27,
infatti, pone una vera e propria «riserva di competenza alle norme di
attuazione degli statuti» speciali per la modifica della disciplina finanziaria
degli enti ad autonomia differenziata (sentenza n. 71 del
2012), cosí da configurarsi quale autentico
presidio procedurale della specialità finanziaria di tali enti. Il suddetto
richiamo all’art. 27 conferma, quindi, che il decreto-legge n. 138 del 2011 si
applica agli enti ad autonomia differenziata solo se conforme ai loro statuti
ed alle correlative norme di attuazione.
4.3.– Cosí
interpretato l’art. 19-bis, si può ora passare ad accertare, come richiesto da
tale articolo, se le singole norme impugnate "rispettino” gli statuti speciali
e, quindi, se siano applicabili alle Regioni autonome ricorrenti.
È opportuno sottolineare che questa
Corte, nel dichiarare la non fondatezza delle questioni, non può limitarsi a
rilevare l’operatività della clausola di salvaguardia. È invece necessario, in
considerazione delle opposte conseguenze in ordine alla spettanza delle
«maggiori entrate», precisare le ragioni della non fondatezza, distinguendo –
come sopra visto – i casi in cui la norma denunciata sia applicabile in quanto
conforme alle norme statutarie (con conseguente spettanza dell’entrata allo
Stato), da quelli in cui, proprio per effetto della predetta clausola, sia
inapplicabile perché non conforme allo statuto (con conseguente spettanza del
gettito alla Regione). In mancanza di una tale specificazione motivazionale,
espressamente richiesta da tutte le parti in giudizio, il problema della
spettanza delle «maggiori entrate» non verrebbe risolto e costringerebbe gli
enti ad autonomia differenziata a riproporre le questioni di legittimità
costituzionale sotto forma di conflitti di attribuzione aventi ad oggetto gli
atti con i quali lo Stato provvederà ad acquisire dette «maggiori entrate».
5.− Con il ricorso n. 135 del
2011,
5.1.− Il secondo e quarto periodo
del comma 3 dell’art. 2 del decreto-legge n. 138 del 2011 sono impugnati nella
parte in cui prevedono l’integrale attribuzione allo Stato delle maggiori
entrate derivanti dall’aumento dell’aliquota di base dell’accisa sui tabacchi
lavorati: «Il Direttore generale dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di
Stato può proporre al Ministro dell’economia e delle finanze di disporre con
propri decreti, entro il 30 giugno 2012, […] l’aumento dell’aliquota di base dell’accisa
sui tabacchi lavorati prevista dall’allegato I al decreto legislativo 26
ottobre 1995, n. 504» (secondo periodo); «Le maggiori entrate derivanti dal
presente comma sono integralmente attribuite allo Stato» (quarto periodo).
La questione non è fondata.
L’accisa sui tabacchi lavorati è un
tributo "devoluto” alla Regione autonoma ricorrente, ai sensi del primo comma
dell’evocato art. 8 della legge n. 690 del 1981. Infatti, l’art. 4, comma 2,
lettera e), della medesima legge n. 690 del 1981 riserva espressamente alla
Regione autonoma «l’intero gettito dell’accisa sui tabacchi». Deve pertanto
ritenersi devoluto alla Regione, ai sensi di tali parametri, anche il maggior
gettito derivante dall’aumento dell’aliquota della suddetta accisa.
In base, poi, al secondo comma del
medesimo art. 8 della legge n. 690 del 1981, per poter legittimamente
"riversare allo Stato”, in tutto o in parte, tale maggiore entrata tributaria,
occorre non solo la destinazione del gettito a «copertura di nuove o maggiori
spese che sono da effettuare a carico del bilancio statale», ma anche una
specifica determinazione ministeriale sulla misura del "riversamento”, che deve
essere adottata «d’intesa» con il Presidente della Giunta regionale. Tale
intesa, nella specie, non è intervenuta. Ciò è sufficiente per determinare un
contrasto con i parametri statutari evocati.
Opera, pertanto, la menzionata clausola
di salvaguardia di cui al ricordato art. 19-bis, con conseguente
inapplicabilità alla ricorrente della norma impugnata. Il che fa venir meno il
presupposto interpretativo delle censure, costituito, appunto,
dall’applicabilità della norma impugnata e comporta, quindi, la non fondatezza
della questione in riferimento a tutti i parametri evocati dalla Regione
autonoma.
5.2.− La medesima Regione impugna,
altresí, il comma 36 dell’art. 2 del decreto-legge n.
138 del 2011, il quale prevede – per quanto qui interessa − che: a) le
maggiori entrate derivanti dal decreto-legge «sono riservate all’Erario, per un
periodo di cinque anni, per essere destinate alle esigenze prioritarie di
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea,
anche alla luce della eccezionalità della situazione
economica internazionale» (primo periodo); b) «con apposito decreto del
Ministero dell’economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla
data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono
stabilite le modalità di individuazione del maggior gettito, attraverso
separata contabilizzazione» (secondo periodo).
La questione è inammissibile per
l’indeterminatezza del suo oggetto.
Infatti, la ricorrente omette di
precisare quali siano le specifiche «maggiori entrate» previste dal
decreto-legge n. 138 del 2011 che costituiscono «proventi» di tributi ad essa
«devoluti» ai sensi delle norme statutarie e dell’ordinamento finanziario della
Regione. Il ricorso, pertanto, per la sua generica formulazione, non consente
di individuare quali, fra le maggiori entrate derivanti dalle numerose misure
disposte dal suddetto decreto-legge, sarebbero state illegittimamente
"riversate” allo Stato. La lacunosa formulazione della questione di legittimità
costituzionale si risolve, perciò, nella carente individuazione delle
«disposizioni ritenute viziate da illegittimità» e, quindi, nella mancanza di
uno degli elementi richiesti dal combinato disposto degli artt. 34 e 23 della
legge 11 marzo 1953, n. 87, per la rituale proposizione del ricorso di
legittimità costituzionale in via principale. Di qui l’inammissibilità della
questione.
5.3.−
Le questioni riguardanti il comma 3 non
sono fondate; quella riguardante il comma 36 è inammissibile.
5.3.1.– Come si è osservato al punto 5.1., il secondo ed il quarto periodo del comma 3 dell’art. 2
non sono applicabili alla Regione ricorrente, per effetto della clausola di cui
all’art. 19-bis del citato decreto-legge. Una volta accertato che tale clausola
preclude l’applicazione agli enti ad autonomia speciale delle norme del
decreto-legge n. 138 del 2011 contrastanti con i rispettivi statuti speciali e
le relative norme attuative e preso atto che, nella specie, non risultano
impedimenti all’operatività di tale clausola, viene meno il presupposto da cui
muovono le censure, cioè l’applicabilità alla ricorrente di norme contrastanti
con lo statuto speciale o con le norme di attuazione statutaria. Come già
osservato al punto 4.3., le disposizioni del decreto
che derogano al regime statutario delle compartecipazioni regionali al gettito
di tributi erariali non trovano applicazione nei confronti della Regione
ricorrente e, conseguentemente, sono inidonee ad apportare modifiche al suo
ordinamento finanziario. Di qui la non fondatezza delle questioni.
5.3.2.– Quanto alla questione
riguardante il comma 36, valgono le stesse osservazioni svolte al punto 5.2. e,
pertanto, la questione è inammissibile per l’indeterminatezza del suo oggetto.
Anche in questo caso, infatti, la ricorrente omette di precisare quali siano le
specifiche «maggiori entrate» previste dal decreto-legge n. 138 del 2011 che
costituiscono «proventi» di tributi ad essa «devoluti» ai sensi delle norme
statutarie e dell’ordinamento finanziario della Regione. Il ricorso non
consente, pertanto, l’individuazione delle norme che, ad avviso della Regione,
hanno apportato unilaterali ed illegittime modifiche all’ordinamento
finanziario.
6.− Con il ricorso n. 139 del
2011,
Le questioni non sono fondate perché le
norme impugnate non si applicano alla Regione ricorrente in conseguenza
dell’operatività della clausola di salvaguardia di cui all’art. 19-bis del
decreto-legge n. 138 del 2011.
Come sarà evidenziato nei punti
seguenti, non si verifica, infatti, la condizione prevista da tale clausola –
il «rispetto» della normativa statutaria – per l’applicazione delle norme del
decreto-legge agli enti ad autonomia differenziata.
6.1.− In primo luogo, viene
denunciato (al pari della Regione siciliana e della Regione autonoma Sardegna,
come sarà precisato ai punti 7.3.3. e 8.2.) il comma 2 dell’art. 2 del
decreto-legge n. 138 del 2011, che prevede un temporaneo «contributo di
solidarietà» (dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2013, ma
suscettibile di essere prorogato «anche per gli anni successivi al 2013, fino
al raggiungimento del pareggio di bilancio», con decreto del Presidente della
Repubblica, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze) in misura
pari al 3 per cento sulla parte del reddito complessivo (determinato ai sensi
dell’art. 8 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917,
recante «Testo unico delle imposte sui redditi») eccedente l’importo di 300.000
euro lordi annui.
La disposizione è impugnata in combinato
disposto con il comma 36 del medesimo art. 2 − il quale, come visto,
attribuisce per un quinquennio allo Stato le maggiori entrate derivanti dal
decreto-legge, separatamente contabilizzate nel bilancio dello Stato −
per violazione del combinato disposto dell’art. 49, primo comma, alinea e
numero 1), dello statuto e dell’art. 4, comma primo, del d.P.R.
23 gennaio 1965, n. 114 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della
Regione Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza regionale).
Gli evocati parametri stabiliscono, rispettivamente, che: a) «Spettano alla
Regione le seguenti quote fisse delle sottoindicate
entrate tributarie erariali riscosse nel territorio della Regione stessa: […]
1) sei decimi del gettito dell’imposta sul reddito delle persone fisiche» (art.
49, primo comma, alinea e numero 1, dello statuto); b) «Il gettito derivante da
maggiorazioni di aliquote o da altre modificazioni in ordine ai tributi devoluti
alla regione, se destinato per legge, ai sensi dell’art. 81 della Costituzione,
per finalità diverse da quelle di cui al comma 2, lettera b) [cioè diverse dal
finanziamento delle funzioni statali delegate alla Regione], alla copertura di
nuove specifiche spese di carattere non continuativo, che non rientrano nelle
materie di competenza della regione, ivi comprese quelle relative a calamità
naturali, è riservato allo Stato, purché risulti temporalmente delimitato,
nonché contabilizzato distintamente nel bilancio statale e quindi
quantificabile» (art. 4, comma primo, del d.P.R. n.
114 del 1965).
La normativa impugnata è in contrasto
con lo statuto e le sue norme di attuazione, il cui «rispetto» è invece
richiesto dal piú volte citato art. 19-bis del
decreto-legge n. 138 del 2011, al fine dell’applicabilità di detta normativa
agli enti ad autonomia differenziata.
Va rilevato, in proposito, che l’entrata
in esame ha natura indiscutibilmente tributaria, come incidentalmente rilevato
dalla sentenza
di questa Corte n. 223 del 2012, ai punti 13.2.2. e 13.3.1. del
«Considerato in diritto», in quanto presenta la struttura di una sovrimposta
dell’IRPEF, tanto che per il suo accertamento, riscossione e contenzioso lo
stesso comma 2 stabilisce che «si applicano le disposizioni vigenti per le
imposte sui redditi» (quinto periodo del comma). Dalla natura di imposta sui
redditi discende la spettanza allo Stato non dell’intero gettito del contributo
di solidarietà riscosso nel territorio regionale, ma solo dei quattro decimi
del medesimo gettito, come previsto dall’evocata norma di attuazione
statutaria.
Nella specie, poi, non risulta
realizzata alcuna delle ipotesi statutarie di riserva integrale allo Stato
delle entrate erariali. Con riferimento al citato primo comma dell’art. 4 del d.P.R. n. 114 del 1965, infatti, ricorrono solo i requisiti
relativi alla delimitazione temporale del gettito ed alla sua quantificabilità e distinta contabilizzazione nel bilancio
statale (prevista dal secondo periodo del comma 36), ma non ricorre anche il
requisito consistente nella «copertura di nuove specifiche spese di carattere
non continuativo», richiesto anch’esso dall’evocato parametro. Infatti, gli
obiettivi ai quali è finalizzato il maggior gettito – le
indicate «esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza
pubblica concordati in sede europea» – sono privi della specificità richiesta
dall’indicata norma di attuazione statutaria in materia di finanza regionale.
Né può farsi riferimento, come invece fa l’Avvocatura generale dello Stato,
agli obiettivi di finanza pubblica inizialmente definiti nel Documento di
economia e finanza (DEF) e successivamente concordati in sede europea,
consistenti nell’impegno di raggiungere il pareggio di bilancio entro il 2013.
Anche detti obiettivi, in realtà, sono generici, perché il raggiungimento del
pareggio di bilancio è alla base di qualsiasi misura finanziaria adottata dallo
Stato e perché comunque, nella visione unitaria del bilancio statale, tutto
concorre al pareggio; e ciò a maggior ragione dopo la revisione dell’art. 81
Cost. che, con effetto dal
Anche per tale ragione, la maggiore
entrata derivante dal «contributo di solidarietà» non può essere integralmente
riservata allo Stato.
6.2.− In secondo luogo, vengono
impugnate dalla ricorrente i commi 2-bis, 2-ter e 2-quater dell’art.
Anche in questo caso la normativa
impugnata non presenta quella conformità allo statuto ed alle relative norme di
attuazione che è, invece, richiesta dall’art. 19-bis del decreto-legge n. 138
del 2011 per l’applicabilità di detta normativa agli enti ad autonomia
speciale.
L’aumento di gettito derivante
dall’incremento dell’aliquota dell’IVA − che, in base all’evocato art. 49
dello statuto, spetterebbe per i 9,1 decimi alla Regione ricorrente − è
riservato interamente «all’Erario» dal richiamato comma 36 dell’art. 2 del
decreto-legge n. 138 del 2011. Come osservato al precedente punto 6.1., la censurata normativa non soddisfa, tuttavia, le sopra
ricordate condizioni fissate dal primo comma dell’art. 4 del d.P.R. n. 114 del 1965 per una tale integrale riserva allo
Stato, in quanto non ricorre il requisito della specificità della destinazione
del gettito.
6.3.– In terzo luogo,
Va osservato, al riguardo, che le
accise, pur avendo la struttura delle «imposte di produzione» esigibili al
momento dell’immissione al consumo, vanno annoverate, secondo la terminologia
attualmente utilizzata dal legislatore, tra le «imposte sul consumo» intese in
senso lato (sentenze n. 185 del 2011
e n. 115 del
2010). L’accisa sui tabacchi lavorati di cui è questione, connotandosi come
un’imposta erariale di consumo, rientra, dunque, nella sfera applicativa
dell’evocato parametro statutario. Ne deriva che alla Regione ricorrente
dovrebbero essere assegnati i nove decimi del gettito relativo, laddove il
comma 36 dell’art. 2 riserva interamente allo Stato anche tale maggiore entrata
tributaria. Né ricorre, per le stesse considerazioni svolte nei due punti
precedenti, la condizione della «copertura di nuove specifiche spese» richiesta
per la riserva integrale allo Stato del gettito dall’evocato art. 4, comma primo,
del d.P.R. n. 114 del 1965.
Non sussiste, pertanto, il «rispetto»
dei parametri statutari, richiesto dall’art. 19-bis del decreto-legge n. 138
del 2011 per rendere applicabile alla ricorrente la normativa impugnata.
6.4.− In quarto luogo, la medesima
ricorrente impugna il combinato disposto dei commi 6 e 36 dell’art.
Va rilevato, in proposito, che le
maggiori entrate cui fa riferimento la disposizione denunciata hanno
sicuramente natura tributaria e, precisamente, di imposte sui redditi. Da tale
natura dei prelievi discende la spettanza allo Stato non dell’intero loro
maggior gettito complessivo, ma solo della quota di esso che residua rispetto a
quella attribuita alla Regione autonoma dai suddetti parametri statutari. Né −
come osservato nei tre punti precedenti – ricorre il requisito di specificità
richiesto per la riserva integrale allo Stato del gettito dall’evocato art. 4,
comma primo, del d.P.R. n. 114 del 1965.
Anche in questo caso, dunque,
l’applicabilità alla Regione autonoma ricorrente della denunciata normativa è
impedita dal citato art. 19-bis del decreto-legge n. 138 del 2011, il quale
richiede per tale applicabilità il «rispetto» dello statuto speciale e delle
sue norme di attuazione.
6.5.– In quinto luogo,
Le norme denunciate costituiscono
maggiori entrate derivanti dall’IRES, cioè dall’imposta che ha sostituito
l’abrogata IRPEG, menzionata dallo statuto. L’assimilabilità, a tali fini, tra
l’IRES e l’IRPEG (naturalmente, solo per quanto attiene ai soggetti passivi
aventi personalità giuridica) rende applicabile alla fattispecie l’art. 49,
primo comma, numero 2), dello statuto, che, attribuendo alla Regione i quattro
decimi e mezzo del gettito dell’«imposta sul reddito delle persone giuridiche»,
non consente l’integrale attribuzione allo Stato di tale gettito. Né tale
attribuzione è consentita dalla normativa di attuazione statutaria, perché,
come osservato nei quattro punti precedenti, non ricorre la condizione della
specificità della destinazione del gettito, richiesta a tal fine da detta
normativa.
La normativa impugnata contrasta,
pertanto, con gli evocati parametri statutari e, dunque, ai sensi dell’art.
19-bis del decreto-legge n. 138 del 2011, non è applicabile alla ricorrente.
6.6.− In sesto luogo, la
ricorrente prospetta una censura generale − analoga a quella proposta dalla
Regione autonoma Valle d’Aosta, già esaminata al punto 5.3. − che investe
tutte le norme da essa impugnate. Essa assume che tali norme avrebbero
apportato modifiche alla normativa statutaria o di attuazione statutaria in
materia di ordinamento finanziario della Regione senza aver seguito le
peculiari procedure consensuali necessarie a tale fine, previste, in
particolare, dagli artt. 63, commi primo e quinto, e 65 dello statuto
d’autonomia.
La già rilevata inapplicabilità di tutte
le disposizioni impugnate dalla Regione autonoma per l’operare della clausola
di cui all’art. 19-bis del decreto-legge n. 138 del 2011 fa venire meno il
presupposto su cui si fonda il vizio denunciato e ne comporta la non
fondatezza.
7.– Con il ricorso n. 140 del 2011,
7.1.− La difesa dello Stato ha
eccepito in via generale l’inammissibilità di tali censure, deducendone la
genericità.
L’eccezione non è fondata.
Il ricorso – ancorché conciso – rende,
infatti, ben identificabili i termini delle questioni proposte, individuando le
disposizioni impugnate, i parametri evocati e le ragioni dei dubbi di
legittimità costituzionale.
7.2.−
La questione non è fondata.
Occorre innanzitutto osservare che gli
effetti della norma denunciata devono essere considerati nel loro complesso e,
pertanto, è ben possibile che essi determinino un incremento netto di gettito
e, quindi, una «maggiore entrata», nella specie di natura indubbiamente
tributaria. Si è già sottolineato, del resto, che
In ogni caso, anche ad ammettere
l’ipotesi che l’impugnato comma 6 comporti,
nell’insieme, una riduzione di gettito, detto comma non violerebbe, comunque, i
parametri evocati, perché da questi non è desumibile alcun principio di
invarianza di gettito per
7.3.−
Piú in dettaglio, con riguardo a tali disposizioni: a)
il comma 1 − attraverso il richiamo sia dell’art. 9, comma 2, del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti di stabilizzazione
finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla
legge 30 luglio 2010, n. 122, sia dell’art. 18, comma 22-bis, del decreto-legge
6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria),
convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 −
prevede: a.1.) la riduzione del 5 per cento del trattamento economico
complessivo dei dipendenti pubblici superiore a 90.000 euro e la riduzione del
10 per cento per la parte di tale trattamento eccedente i 150.000 euro (art. 9,
comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2010); a.2.) il contributo di perequazione
per trattamenti pensionistici i cui importi complessivamente superino 90.000
euro lordi annui, pari al 5 per cento della parte eccedente il predetto importo
fino a 150.000 euro, al 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro ed al
15 per cento per la parte eccedente 200.000 euro (art. 18, comma 22-bis, del
decreto-legge n. 98 del 2011); b) il comma 2 introduce un temporaneo (ma
suscettibile di proroga) «contributo di solidarietà» − sopra descritto al
punto 6.1. – pari al 3 per cento sulla parte del reddito complessivo eccedente
l’importo di 300.000 euro lordi annui; c) i commi 2-bis, 2-ter, 2-quater
disciplinano l’aumento al 21 per cento dell’aliquota dell’IVA e stabiliscono
specifiche modalità di calcolo dell’imponibile per alcuni contribuenti (come
illustrato al punto 6.2.); d) il secondo periodo del comma 3 dispone l’aumento
dell’aliquota di base dell’accisa sui tabacchi lavorati (come ricordato ai
punti 5.1. e 6.3.); e) il comma 5-bis prevede il recupero al bilancio dello
Stato di somme dichiarate e non versate dai contribuenti che si sono avvalsi
dei condoni e delle sanatorie previsti dalla legge finanziaria del 2003; f) il
comma 5-ter prevede, in caso di omesso tempestivo pagamento delle somme
richieste ai sensi dell’indicato comma 5-bis, l’applicazione di una sanzione e
la sottoposizione a controllo della posizione del contribuente relativa agli
anni successivi a quelli condonati e per i quali sia ancora in corso il termine
per l’accertamento; prevede altresí una proroga
annuale dei termini di accertamento dell’IVA ancora pendenti al 31 dicembre
2011; g) il comma 35-octies istituisce l’imposta di bollo sui trasferimenti di
denaro all’estero attraverso gli istituti bancari, le agenzie «money transfer» ed altri agenti in attività finanziaria,
determinandola in misura pari al 2 per cento dell’importo trasferito con ogni
singola operazione, con un minimo di prelievo pari a 3 euro; h) il terzo
periodo del comma 36 prevede «maggiori entrate» derivanti «dall’attività di
contrasto all’evasione».
Tutte queste «maggiori entrate» (come
ricordato, in particolare, ai punti 5.2. e 6.1.) sono acquisite, con separata
contabilizzazione, al bilancio dello Stato per un periodo di cinque anni, ai
sensi del primo periodo del comma 36 dell’art. 2, per essere «destinate alle
esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica
concordati in sede europea, anche alla luce della eccezionalità
della situazione economica internazionale». In particolare, per le maggiori
entrate derivanti dall’applicazione del comma 3 (ivi comprese, perciò, quelle
conseguenti alla maggiorazione dell’accisa sui tabacchi lavorati, oggetto del
ricorso della Regione siciliana), il quarto periodo del medesimo comma 3 ne
ribadisce l’integrale attribuzione allo Stato. Anche i commi 5-bis e 5-ter −
attraverso l’indicazione della finalità «di recuperare all’entrata del bilancio
dello Stato» sia le somme dichiarate e non versate dai contribuenti che si sono
avvalsi delle agevolazioni di cui alla legge n. 289 del 2002, sia gli ammontari delle nuove sanzioni previste per l’omesso
versamento delle somme dovute ed iscritte a ruolo – confermano il disposto del
primo periodo del comma 36, riservando al bilancio statale le maggiori entrate
da essi previste. Analogamente, il terzo ed il quarto periodo del comma 36
riservano espressamente allo Stato le maggiori entrate derivanti «dall’attività
di contrasto all’evasione», precisando che esse sono destinate al Fondo per la
riduzione strutturale della pressione fiscale «al netto di quelle necessarie al
mantenimento del pareggio di bilancio ed alla riduzione del debito».
Va osservato che, benché il comma 35-octies
sia stato abrogato, dopo la proposizione del ricorso, dall’art. 3, comma 15,
del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di
semplificazioni tributarie, di efficientamento e
potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni,
dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, non può ritenersi che tale abrogazione abbia
comportato la cessazione della materia del contendere relativa alla questione
avente ad oggetto detto comma 35-octies. Infatti, non risulta provato in
giudizio che la norma abrogata non abbia mai avuto applicazione.
La ricorrente deduce che la riserva allo
Stato delle suddette maggiori entrate riscosse nel territorio siciliano víola i sopra ricordati artt. 36 dello
statuto speciale e 2 del d.P.R. n. 1074 del
1965, perché mancherebbero le condizioni statutariamente previste per
l’operatività della riserva.
L’evocato art. 36, primo comma, dello
statuto, in combinato disposto con l’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965 indica le seguenti tre condizioni
per l’eccezionale riserva allo Stato del gettito delle entrate erariali: a) la
natura tributaria dell’entrata; b) la novità di tale entrata; c) la
destinazione del gettito «con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a
soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato
specificate nelle leggi medesime».
Occorre però precisare che vi sono anche
altre disposizioni dello statuto e delle sue norme di attuazione che riservano
allo Stato altre entrate erariali (tutte testualmente definite «tributarie»)
nominativamente indicate. In particolare, per quel che qui interessa, il
secondo comma dell’art. 36 dello statuto stabilisce che «Sono [...] riservate
allo Stato le imposte di produzione e le entrate dei monopoli dei tabacchi e del
lotto». In attuazione di tale disposizione, il secondo ed il terzo comma
dell’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965 prevedono che
«competono allo Stato le entrate derivanti: a) dalle imposte di produzione; b)
dal monopolio dei tabacchi; c) dal lotto e dalle lotterie a carattere
nazionale» (secondo comma) e che «Le entrate previste nelle lettere precedenti
sono indicate nelle annesse tabelle A), B) e C), che fanno parte integrante del
presente decreto» (terzo comma). Tra le «Entrate
tributarie riservate allo Stato in base all’art. 36 secondo comma dello Statuto
della Regione siciliana», la tabella A) indica, al numero 16), «Entrate
eventuali diverse concernenti le imposte di fabbricazione e i residui attivi»
e, al numero 17), «Indennità di mora per ritardato versamento
imposte di produzione»; la tabella B) indica «Proventi del monopolio dei
tabacchi»; la tabella C) indica «Proventi del lotto».
Ai fini dello scrutinio delle promosse
questioni, è perciò necessario esaminare ciascuna norma impugnata per valutare
se la riserva allo Stato della maggiore entrata da essa prevista sia conforme
alla normativa statutaria ed alle relative norme di attuazione.
7.3.1.− In proposito, occorre
constatare, innanzitutto, che il censurato comma 3 dell’art. 2 riguarda una
delle entrate tributarie nominativamente riservate allo Stato dallo statuto
d’autonomia. Gli impugnati secondo, terzo e quarto
periodo del comma 3 dell’art. 2 stabiliscono – come visto nel punto precedente −
l’aumento dell’aliquota di base dell’accisa sui tabacchi lavorati, prevedendo
che: «Il Direttore generale dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato
può proporre al Ministro dell’economia e delle finanze di disporre con propri
decreti, entro il 30 giugno 2012, tenuto anche conto dei provvedimenti di
variazione delle tariffe dei prezzi di vendita al pubblico dei tabacchi
lavorati eventualmente intervenuti, l’aumento dell’aliquota di base dell’accisa
sui tabacchi lavorati prevista dall’allegato I al decreto legislativo 26
ottobre 1995, n. 504 e successive modificazioni. L’attuazione delle
disposizioni del presente comma assicura maggiori entrate in misura non
inferiore a 1.500 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2012. Le maggiori
entrate derivanti dal presente comma sono integralmente attribuite allo Stato».
La questione sollevata dalla Regione
siciliana in ordine alla spettanza ad essa del gettito derivante dall’aumento
dell’aliquota di base di detta accisa non è fondata. La riserva allo Stato del
prelievo in esame, infatti, è conforme ai parametri evocati, in quanto
espressamente prevista da due distinte disposizioni statutarie e di attuazione
statutaria.
Tali disposizioni sono: in primo luogo,
gli artt. 36, secondo comma, dello statuto siciliano e 2,
secondo comma, lettera a), del d.P.R. n. 1074 del
1965; in secondo luogo gli artt. 36, secondo comma, del medesimo statuto e 2,
secondo comma, lettera b), del d.P.R. n. 1074 del
1965, nonché
Ne consegue che la normativa denunciata,
essendo conforme agli statuti, si applica legittimamente, ai sensi all’art. 19-bis
del decreto-legge n. 138 del 2011, alla Regione ricorrente. Di qui la non
fondatezza della questione promossa, per difetto di contrasto con i parametri
statutari e di attuazione statutaria.
7.3.2.− Venendo ora alle questioni
riguardanti le entrate erariali previste dai commi 5-bis e 5-ter, va rilevato
che tali entrate sono accessorie ad altre entrate, in quanto attengono (come
sopra ricordato al punto 7.3.): a) alle somme dichiarate e non versate dai
contribuenti che si sono avvalsi dei condoni e delle sanatorie previsti dalla
legge finanziaria del 2003 (comma 5-bis); b) alle sanzioni per l’omesso
tempestivo pagamento delle somme suddette (comma 5-ter); c) alle somme
incassate per effetto degli ulteriori controlli effettuati a carico dei
predetti contribuenti (medesimo comma 5-ter). La
tipologia di tali maggiori entrate tributarie è perciò diversa a seconda
dell’entrata cui accedono, cioè, a seconda dell’oggetto dei singoli condoni,
sanatorie o controlli.
7.3.2.1.– Ne segue che, nel caso in cui
il condono, la sanatoria o il controllo abbiano ad oggetto
entrate tributarie interamente e nominativamente riservate all’Erario in
base alla normativa statutaria (ad esempio, le accise), le questioni devono
essere dichiarate non fondate, non sussistendo alcun contrasto con i parametri
statutari ed essendo quindi le norme impugnate direttamente applicabili alle
Regioni a statuto speciale ai sensi dell’art. 19-bis. In particolare, occorre
sottolineare che costituiscono entrata tributaria – nonostante i dubbi prospettati
dalla difesa dello Stato – anche le sanzioni previste dal comma 5-ter: si
tratta, infatti, di entrata che spetta alla Regione, ove acceda ad entrate
tributarie spettanti alla Regione medesima, come stabilito dall’art. 3 delle
citate norme di attuazione statutaria in materia finanziaria, secondo cui «Le
entrate spettanti alla Regione comprendono anche quelle accessorie [...]
derivanti dall’applicazione di sanzioni pecuniarie amministrative […]».
7.3.2.2. – Nel caso in cui, invece, il
condono, la sanatoria o il controllo abbiano ad oggetto entrate non
nominativamente riservate allo Stato dalla normativa di rango statutario, è
necessario valutare, preliminarmente, se la riserva del relativo gettito
all’Erario rispetti le tre condizioni ricordate supra,
al punto 7.3. che, in base allo statuto, debbono congiuntamente ricorrere per
l’eccezionale e integrale riserva statale di tale gettito.
Va rilevato che per dette entrate
ricorre indubbiamente la prima delle suddette tre condizioni, rappresentata dal
carattere tributario dell’entrata erariale. Non ricorrono invece le altre due
condizioni.
Quanto alla seconda condizione, relativa
alla novità dell’entrata tributaria, va ricordato che, secondo la
giurisprudenza di questa Corte: a) per la sua sussistenza «deve verificarsi un
"incremento di gettito” (sentenza n. 198 del
1999), cioè una entrata aggiuntiva, rilevando la
novità del provento, non la novità del tributo» (sentenza n. 135 del
2012; le sentenze n. 47 del 1968
e n. 49 del 1972,
che hanno ritenuto "nuova” l’entrata derivante da un’addizionale); b) può
considerarsi "nuova” «anche la maggiore entrata» complessiva «derivante da
disposizioni legislative che introducono nuovi tributi o aumentano le aliquote
di tributi preesistenti e contestualmente dispongono la soppressione di tributi
esistenti o la riduzione delle loro aliquote» (sentenza n. 143 del
2012; sentenza
n. 348 del 2000); c) costituisce nuova entrata tributaria «una entrata
aggiuntiva che non venga anticipatamente a sostituire quelle già in precedenza
previste siccome spettanti alla Regione» (sentenza n. 342 del
2010). Alla stregua di tali criteri, deve escludersi che l’entrata di cui
al comma 5-bis (recupero di somme dichiarate e non versate dai contribuenti che
si sono avvalsi del condono) costituisca una «nuova entrata», riguardando essa
somme già dovute in base alla precedente normativa fiscale. Detto comma,
infatti, non incide sulla legislazione fiscale previgente, non introduce alcun
nuovo tributo né determina modificazione di aliquote. Pertanto, non si verifica
alcuna "novità del provento”. Analoghe osservazioni valgono con riguardo alle
«maggiori entrate» derivanti dagli ulteriori controlli sui contribuenti,
previste dal citato comma 5-ter. Infatti, l’attività di ulteriore accertamento
fiscale non comporta alcuna modifica della legislazione fiscale vigente, né
determina un "nuovo provento”. La riserva allo Stato delle entrate di cui ai
commi 5-bis e 5-ter (per la parte relativa agli ulteriori controlli fiscali)
non è, pertanto, consentita dallo statuto.
Quanto alla terza condizione, relativa
alla «specificità della destinazione del gettito della nuova entrata», va
ricordato che essa «è soddisfatta quando la legge statale stabilisce che il
gettito sia utilizzato per la copertura di oneri diretti a perseguire
"particolari finalità contingenti o continuative dello Stato
specificate”» nella legge stessa (sentenza n. 135 del
2012). Ne deriva che la destinazione del gettito di tali entrate «alle
esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica
concordati in sede europea, anche alla luce della eccezionalità
della situazione economica internazionale» (comma 36, primo periodo) non può
considerarsi specifica, per le medesime ragioni già esposte al punto 6.1., a
proposito del ricorso del Friuli-Venezia Giulia.
In definitiva, la mancanza delle tre
condizioni di riserva allo Stato delle entrate in esame, ove queste accedano ad
entrate non nominativamente riservate allo Stato dalla normativa di rango
statutario, rende la devoluzione all’Erario del gettito non conforme allo
statuto ed alle relative norme di attuazione. Da ciò deriverebbe, ove operasse
anche in tale caso la clausola di salvaguardia di cui all’art. 19-bis,
l’inapplicabilità alla ricorrente delle norme censurate. Invece, con
riferimento a tali entrate, la suddetta clausola di salvaguardia non opera,
perché il tenore letterale dei commi impugnati eccezionalmente dispone che essi
siano immediatamente applicabili alla Regione siciliana.
In particolare, il suddetto comma 5-bis
stabilisce che: «L’Agenzia delle entrate e le società
del gruppo Equitalia e di Riscossione Sicilia, al
fine di recuperare all’entrata del bilancio dello Stato le somme dichiarate e
non versate dai contribuenti che si sono avvalsi dei condoni e delle sanatorie
di cui alla legge 27 dicembre 2002, n. 289, anche dopo l’iscrizione a ruolo e
la notifica delle relative cartelle di pagamento, provvedono all’avvio, entro e
non oltre trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto, di una ricognizione di tali contribuenti. Nei
successivi trenta giorni, le società del gruppo Equitalia
e quelle di Riscossione Sicilia provvedono, altresí,
ad avviare nei confronti di ciascuno dei contribuenti di cui al periodo
precedente ogni azione coattiva necessaria al fine dell’integrale recupero
delle somme dovute e non corrisposte, maggiorate degli interessi maturati,
anche mediante l’invio di un’intimazione a pagare quanto concordato e non
versato alla prevista scadenza, inderogabilmente entro il termine ultimo del 31
dicembre 2011».L’art. 5-ter prevede, a sua volta, che: «In caso di omesso
pagamento delle somme dovute e iscritte a ruolo entro il termine di cui al
comma 5-bis, si applica una sanzione pari al 50 per cento delle predette somme
e la posizione del contribuente relativa a tutti i periodi di
imposta successivi a quelli condonati, per i quali è ancora in corso il
termine per l’accertamento, è sottoposta a controllo da parte dell’Agenzia
delle entrate e della Guardia di finanza entro il 31 dicembre 2013, anche con
riguardo alle attività svolte dal contribuente medesimo con identificativo
fiscale diverso da quello indicato nelle dichiarazioni relative al condono. Per
i soggetti che hanno aderito al condono di cui alla legge 27 dicembre 2002, n.
289, i termini per l’accertamento ai fini dell’imposta sul valore aggiunto
pendenti al 31 dicembre 2011 sono prorogati di un anno». Tali commi, pertanto,
fanno espresso riferimento alle attività di ricognizione e di accertamento
fiscale svolte dall’agente della riscossione competente per
I commi impugnati, dunque, nella parte
in cui riguardano tutti i tributi riscossi nel territorio siciliano non
nominativamente attribuiti all’Erario dallo statuto, violano direttamente i
parametri evocati con conseguente loro illegittimità
costituzionale.
7.3.3.–
In proposito valgono considerazioni in
parte analoghe a quelle di cui al precedente punto 7.3.2.2. È necessario
valutare, pertanto, anche con riguardo a tali norme, se la riserva delle
entrate all’Erario rispetti tutte le indicate tre condizioni poste dallo
statuto per la devoluzione allo Stato del gettito.
7.3.3.1.− Occorre prendere atto in
limine che, con sentenza
n. 223 del 2012, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’art. 9, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, nella parte in cui prevede la
«riduzione» dei trattamenti economici complessivi dei dipendenti pubblici.
Poiché la norma dichiarata illegittima costituisce l’indefettibile presupposto
per l’applicazione della denunciata prima parte del comma 1 dell’art. 2 del
decreto-legge n. 138 del 2011 (che non è autonoma, in quanto si limita ad
affermare la vigenza dell’art. 9, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2010),
la questione deve essere dichiarata inammissibile per il sopraggiunto venir
meno di detto presupposto, e cioè dell’entrata, rivendicata dalla ricorrente,
corrispondente all’indicata «riduzione».
7.3.3.2.− Ad analoga conclusione
di inammissibilità si deve giungere con riguardo alla questione relativa
all’ulteriore entrata espressamente richiamata dall’impugnato comma 1 dell’art.
2 del decreto-legge n. 138 del 2011; cioè il contributo di perequazione di cui
all’art. 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni
urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 111 del 2011. L’inammissibilità, in questo caso, deve essere
pronunciata non per effetto di una precedente dichiarazione di illegittimità
costituzionale della norma che prevede il prelievo (dichiarazione, nella
specie, non intervenuta), ma in forza di un diverso percorso argomentativo,
fondato sull’erronea individuazione della disposizione ritenuta lesiva.
Il contributo oggetto di censura è
previsto a carico dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di
forme di previdenza obbligatorie ed ha natura certamente tributaria, in quanto
costituisce un prelievo analogo a quello effettuato sul trattamento economico
complessivo dei dipendenti pubblici (sopra descritto al punto 7.3.) previsto dallo
stesso comma 1 nella parte dichiarata illegittima da questa Corte con la
suddetta sentenza
n. 223 del 2012 e la cui natura tributaria è stata espressamente
riconosciuta dalla medesima sentenza. La norma impugnata, infatti, integra una
decurtazione patrimoniale definitiva del trattamento pensionistico, con
acquisizione al bilancio statale del relativo ammontare, che presenta tutti i
requisiti richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte per caratterizzare il
prelievo come tributario (ex plurimis, sentenze n. 223 del 2012;
n. 141 del 2009;
n. 335, n. 102 e n. 64 del 2008;
n. 334 del 2006;
n. 73 del 2005).
Tuttavia, da quanto precede emerge anche
che il contributo e la sua attribuzione al bilancio dello Stato sono previsti
non dall’impugnato decreto-legge n. 138 del 2011, ma dal non impugnato e
tuttora vigente decreto-legge n. 98 del 2011, il quale – come si è visto –
aveva già riservato allo Stato il prelievo gravante sul trattamento
pensionistico e la cui vigenza è stata ribadita, senza nulla innovare, dalla
normativa denunciata. In particolare, la legge 14 settembre 2011, n. 148, nel
non convertire in legge l’originaria formulazione del comma 1 dell’art. 2 del
decreto-legge n. 138 del 2011 (che aveva abrogato il comma 22-bis dell’art. 18
del decreto-legge n. 98 del 2011), ha sostituito il comma non convertito con
una disposizione che si è limitata a riaffermare la perdurante efficacia del
comma 22-bis dell’art. 18 del decreto-legge n. 98 del 2011 («le disposizioni di
cui agli articoli […] 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,
convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, continuano
ad applicarsi nei termini ivi previsti rispettivamente dal 1° gennaio 2011 al
31 dicembre 2013 e dal 1° agosto 2011 al 31 dicembre 2014»). Non può
obiettarsi, al riguardo, che il comma 22-bis dell’art. 18 del decreto-legge n.
98 del 2011 è stato abrogato, con effetto irreversibile, ad
opera del comma 1 dell’art. 2 del decreto-legge n. 138 del 2011,
ancorché il decreto non sia stato convertito in legge sul punto. In realtà, con
la mancata conversione, la stessa abrogazione è venuta meno, con effetto
retroattivo, cosí da determinare la reviviscenza del
comma 22-bis abrogato dal decreto non convertito (art. 77, terzo comma, Cost.:
«I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge
[…]»).
Ne deriva che l’impugnazione, in parte
qua, del comma 1 dell’art. 2 del decreto-legge n. 138 del 2011 è incorsa in una aberratio ictus, che comporta,
secondo la giurisprudenza di questa Corte, una pronuncia di inammissibilità
della questione (ex plurimis, in tema di aberratio ictus, ordinanze n. 180 e 120 del 2011, n. 335 e
n. 248 del 2010; n. 92 del 2009).
7.3.3.3.− Una volta escluso
l’esame nel merito delle questioni dichiarate inammissibili, è ora necessario
valutare se sussistano le sopra indicate tre condizioni statutariamente
richieste per riservare allo Stato le altre entrate non nominativamente
attribuite all’Erario e rivendicate dalla Regione (precisate al punto 7.3.3.).
Quanto alla prima condizione posta dallo
statuto, relativa alla natura tributaria delle entrate, è indubbio che essa sussiste: a) il censurato comma 2 dell’art. 2 del
decreto-legge n. 138 del 2011 attiene al temporaneo contributo di solidarietà
sul reddito complessivo ed ha natura tributaria – come già rilevato al punto
6.1., a proposito del ricorso proposto dalla Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia –, perché si risolve in un prelievo corrispondente ad una aliquota
aggiuntiva rispetto al reddito imponibile dell’IRPEF e, quindi, in una
temporanea sovrimposta di tale tributo; b) i commi 2-bis, 2-ter e 2-quater
dello stesso articolo disciplinano l’aumento dell’aliquota dell’IVA, cioè di
una imposta tipica; c) il comma 35-octies regola l’imposta di bollo sui trasferimenti
all’estero e, quindi, afferisce anch’esso ad una imposta tipica.
Anche la seconda condizione –
consistente nella novità dell’entrata tributaria – appare soddisfatta, perché
le norme indicate introducono nuovi proventi (anche se non nuovi tributi).
Non è soddisfatta, invece, la condizione
relativa alla «specificità della destinazione del gettito della nuova entrata»,
perché, come già osservato ai punti 6.1. e 7.3.2.2.,
il disposto del comma 36, primo periodo, dell’art. 2 del decreto-legge n. 138 del
2011 prevede una destinazione solo generica di tale gettito.
Ne deriva che la devoluzione all’Erario
di tali entrate víola la normativa di rango
statutario, con la conseguenza che, in forza della clausola generale di
salvaguardia di cui all’art. 19-bis del citato decreto-legge, le norme
censurate (a differenza di quelle di cui ai commi 5-bis e 5-ter) non sono
applicabili alla Regione siciliana. Di qui la non fondatezza delle questioni.
7.4.– La ricorrente Regione impugna,
infine, la normativa che riserva allo Stato le «maggiori entrate» derivanti
dall’attività di contrasto all’evasione fiscale, ai sensi del comma 36, terzo
periodo, dell’art. 2 del decreto-legge n. 138 del 2011.
Come nell’ipotesi esaminata al punto
7.3.2., le entrate tributarie in esame (derivanti dal
contrasto all’evasione fiscale) fanno riferimento ad altre entrate tributarie.
La tipologia di tali maggiori entrate è, perciò, diversa a seconda dell’entrata
cui si riferiscono, cioè, a seconda dell’oggetto delle singole evasioni fiscali.
Ne segue che, ove l’evasione abbia ad
oggetto entrate tributarie interamente e nominativamente riservate all’Erario
in base alla normativa statutaria, la questione deve essere dichiarata non
fondata, perché si verifica la condizione del «rispetto» delle
norme statutarie richiesta dal menzionato art. 19-bis del decreto-legge
n. 138 del 2011 ai fini della diretta applicabilità alle Regioni speciali della
normativa impugnata, con esclusione, dunque, di qualsiasi violazione di tali
parametri. Ove, invece, l’evasione abbia ad oggetto entrate non nominativamente
riservate allo Stato dalla normativa di rango statutario, è necessario valutare
– come nelle ipotesi esaminate al punto 7.3.2.2. – se la riserva del gettito
all’Erario sia conforme alla normativa statutaria siciliana.
Nella specie, si è in presenza di una entrata tributaria (in quanto effetto dell’attività di
contrasto all’evasione fiscale), ma non «nuova» (perché il recupero delle somme
sottratte al fisco non comporta alcuna modifica della legislazione fiscale
vigente, né determina un "nuovo provento”) e, comunque, priva (per le stesse
considerazioni svolte ai punti 6.1., 7.3.2.2. e 7.3.3.) della destinazione
specifica richiesta dal combinato disposto degli artt. 36 dello statuto e 2
delle correlative norme di attuazione in materia finanziaria ai fini della
devoluzione del gettito all’Erario. Poiché la riserva allo Stato di tali somme
(non nominativamente destinate allo Stato dallo statuto speciale) non è
consentita dalla normativa di rango statutario, il mancato «rispetto» dello
statuto comporta, in forza della clausola di salvaguardia di cui all’art.
19-bis, l’inapplicabilità alla Regione ricorrente dell’impugnato terzo periodo
del comma 36 e, quindi, la non fondatezza della questione.
7.5.− In estrema sintesi, dunque,
le questioni sollevate dalla Regione siciliana sono fondate con riferimento ai
commi 5-bis e 5-ter dell’art. 2, nella parte in cui riguardano tributi riscossi
in Sicilia non nominativamente riservati allo Stato dalla normativa statutaria
e, perciò, dalla stessa attribuiti alla Regione. Non
sono, invece, fondate né con riferimento al comma 1 dell’art. 2, sia per la
parte relativa alla «riduzione» del trattamento economico complessivo, sia per
la parte relativa al contributo perequativo gravante sui trattamenti
pensionistici; né con riferimento ai commi 5-bis, 5-ter e 36,
terzo periodo, dello stesso art. 2, nella parte in cui tali commi
riguardano tributi riscossi in Sicilia nominativamente riservati allo Stato
dalla normativa statutaria; né con riferimento al comma 6 dello stesso
articolo, impugnato nella sola parte in cui prevede una "minore entrata”; né
con riferimento, infine, al comma 36, terzo periodo, dello stesso art. 2 per la
parte riguardante entrate non nominativamente riservate allo Stato e riscosse
in Sicilia.
8.− Con il ricorso n. 160 del
2011,
A parte la questione di cui si dirà al
successivo punto 8.1., per la quale va dichiarata la
cessazione della materia del contendere, tutte le questioni promosse dalla
ricorrente non sono fondate per l’inapplicabilità alla Regione autonoma
ricorrente delle norme oggetto di impugnazione.
8.1.− La ricorrente impugna, in
primo luogo, il combinato disposto degli artt. 2, comma 36, primo e secondo
periodo, e 1, comma 6, del decreto-legge n. 138 del 2011 per violazione degli
artt. 7 e 8 dello statuto speciale, nonché degli artt. 3, 117 e 119 Cost.
In ordine a tale questione deve essere
dichiarata la cessazione della materia del contendere.
L’impugnato comma 6 dell’art. 1 del
suddetto decreto-legge ha modificato i commi l-ter e
1-quater dell’art. 40 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni
urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, nel senso di anticipare all’anno 2012 la
riduzione del 5 per cento delle agevolazioni tributarie («regimi di esenzione,
esclusione e favore fiscale»), di cui all’Allegato C-bis
al medesimo decreto, già prevista per l’anno 2013, nonché di anticipare al 2013
la riduzione del 20 per cento delle medesime agevolazioni già prevista a
decorrere dall’anno 2014. Piú precisamente, l’art. 1,
comma 6, alinea e lettera a), del decreto-legge n. 138 del 2011 dispone che:
«All’art. 40 del [...] decreto-legge n. 98 del 2011 convertito con legge n. 111
del 2011, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1-ter, le
parole: "del 5 per cento per l’anno 2013 e del 20 per
cento a decorrere dall’anno
8.2.− La ricorrente impugna, in
secondo luogo, il combinato disposto dei commi 36, primo e secondo periodo, e 2
dell’art. 2 del decreto-legge n. 138 del
Il prelievo in esame – come si è già
osservato supra, ai punti 6.1. e 7.3.3. con riguardo
alle questioni promosse dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e dalla
Regione siciliana – costituisce indubbiamente una sovrimposta dell’IRPEF, in
quanto si risolve nell’applicazione di una aliquota
aggiuntiva rispetto al reddito imponibile di tale tributo. Il «contributo di
solidarietà» va, quindi, qualificato come una temporanea imposta sul reddito
delle persone fisiche, il cui gettito − ove riscosso nel territorio
regionale − va attribuito, per i sette decimi, alla Regione autonoma
Sardegna, ai sensi dell’evocato art. 8, primo comma, lettera a), dello statuto
d’autonomia (come indicato al punto precedente). Non
risultano, infatti, eccezioni poste da norme di rango statutario a tale
attribuzione di gettito alla Regione autonoma.
La normativa impugnata pertanto, nel
riservare allo Stato l’intero gettito del prelievo, si pone in contrasto con
l’evocato parametro statutario. Da tale contrasto deriva l’operatività della
clausola di salvaguardia di cui al piú volte citato
art. 19-bis del decreto-legge n. 138 del 2011, cosí
da escludere l’applicazione alla ricorrente della norma impugnata (come
precisato supra ai punti 4.1. e 4.3.). Viene meno,
pertanto, la premessa interpretativa sottesa alla sollevata questione, la quale
va conseguentemente dichiarata non fondata.
8.3.−
Appare evidente che la mancata attribuzione
alla Regione autonoma Sardegna dei nove decimi del maggior gettito derivante
dall’aumento dell’aliquota base dell’IVA generata sul territorio regionale si
pone in contrasto con l’invocata previsione statutaria, non risultando previste
integrali riserve statutarie di gettito in favore dello Stato. Ne consegue, per
effetto della clausola di salvaguardia, l’inapplicabilità alla ricorrente della
norma impugnata e la non fondatezza della questione per le medesime ragioni
indicate nel punto precedente.
8.4.−
Come nei due casi precedenti, la mancata
attribuzione alla Regione autonoma Sardegna della quota fissa statutariamente
prevista (nella specie, i sette decimi del maggior provento derivante dalle
suddette misure relative ai giochi pubblici) si pone in contrasto con lo
statuto, non risultando disposte integrali riserve statutarie di gettito in
favore dello Stato. Infatti − premesso che è pacifica la natura di
«entrate erariali» (ai sensi dell’evocata lettera m del primo comma dell’art. 8
dello statuto speciale sardo) sia del prelievo erariale unico (PREU) sia dei
proventi derivanti dai giochi pubblici −, è evidente che l’impugnata
normativa, sottraendo alla Regione autonoma Sardegna la quota ad essa spettante
dei sette decimi delle entrate erariali riscosse o percette
nel territorio della Regione, violerebbe l’evocato parametro statutario ove non
operasse la clausola di inapplicabilità della norma alla Regione ricorrente.
Da qui la non fondatezza della
questione.
8.5.−
Come si è già visto in precedenza, le
maggiori entrate in esame hanno entrambe natura tributaria: quelle che derivano
dal comma 5-bis, perché sono relative alle somme dovute dai contribuenti sulla
base dei condoni e delle sanatorie tributari introdotti dalla legge n. 289 del
2002; quelle derivanti dal comma 5-ter, perché sono accessorie alle prime per
effetto dell’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie tributarie
previste per il caso di mancato pagamento di dette somme o, comunque, per
effetto di accertamenti tributari. Diversamente dallo statuto della Regione
siciliana (sul quale vedi supra il punto 7.3.), non
risultano riserve integrali allo Stato previste dallo statuto della Regione
autonoma Sardegna. Pertanto, la denunciata mancata attribuzione a tale Regione
degli importi corrispondenti all’applicazione delle quote fisse di
compartecipazione previste dall’art. 8 dello statuto speciale in relazione ai
diversi tributi oggetto del condono o della sanatoria, contrasta con l’evocato
parametro statutario.
Analogamente a quanto osservato nei tre
punti precedenti, la sussistenza di tale contrasto comporta, in forza della
clausola di salvaguardia di cui al sopra menzionato art. 19-bis del
decreto-legge n. 138 del 2011, l’inapplicabilità alla ricorrente delle norme
impugnate e la non fondatezza delle questioni.
8.6.− La medesima ricorrente
impugna, in sesto luogo, il combinato disposto del primo e secondo periodo del
comma 36 dell’art. 2 del decreto-legge n. 138 del 2011 e dei commi 6 e 9 dello
stesso art. 2, il quale (come visto ai punti 6.4. e 7.2.) riserva all’Erario,
per un quinquennio, le maggiori entrate derivanti dalla fissazione nella misura
unica del 20 per cento delle ritenute e delle imposte sostitutive sui redditi
di capitale di cui all’art. 44 del d.P.R. n. 917 del
1986 e sui redditi diversi di cui all’art. 67, comma 1, lettere da c-bis) a c-quinquies) del medesimo decreto (comma 6),
rispettivamente, divenuti esigibili e realizzati a decorrere dal l° gennaio 2012 (comma 9). Ad
avviso della ricorrente, tale combinato disposto víola,
in particolare, l’art. 8, primo comma, lettera m), dello statuto speciale, che −
come già osservato nel punto 8.4. − assegna alla Regione Sardegna i
«sette decimi di tutte le entrate erariali, dirette o indirette, comunque
denominate, ad eccezione di quelle di spettanza di altri enti pubblici».
Anche tale denunciata normativa si pone
in contrasto con lo statuto speciale, perché: 1) le complessive maggiori
entrate derivanti dall’applicazione dei commi impugnati costituiscono «entrate
erariali», ai sensi dell’evocata lettera m) del primo comma dell’art. 8 dello
statuto speciale; 2) sottrae, pertanto, alla Regione autonoma Sardegna, in
favore dell’Erario, i sette decimi di tali maggiori entrate, riscosse nel
territorio regionale.
Di qui l’inapplicabilità alla Regione
della norma e la non fondatezza della questione per le stesse ragioni esposte
nei quattro punti precedenti.
8.7.− Con la settima ed ultima
questione,
In mancanza di riserve statutarie in
favore dello Stato, deve osservarsi che la normativa impugnata non è conforme
allo statuto speciale. Infatti, le complessive maggiori entrate derivanti
dall’attività di contrasto dell’evasione fiscale costituiscono «entrate
tributarie» che l’evocato art. 8 dello statuto speciale attribuisce alla
Regione autonoma (se riscosse o percette nel suo territorio),
secondo le quote fisse indicate nello stesso articolo con riguardo ai diversi
tributi oggetto di tale attività. Ne consegue anche qui l’inapplicabilità alla
Regione autonoma Sardegna della normativa denunciata e la non fondatezza della
questione per le medesime ragioni esposte nei punti precedenti.
riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori
questioni di legittimità costituzionale del decreto-legge 13 agosto 2011, n.
138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo
sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n.
148, promosse dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste,
dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, dalla Regione siciliana e dalla
Regione autonoma Sardegna con i ricorsi indicati in epigrafe;
riuniti i giudizi,
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, commi 5-bis e 5-ter, del
decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n.
148 del 2011, nella parte in cui dispone che la riserva allo Stato del gettito
delle entrate derivanti da tali commi si applica alla Regione siciliana con
riguardo a tributi spettanti alla Regione ai sensi del r.d.lgs.
15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana),
convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, e dal d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello
Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria);
2) dichiara
cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità
costituzionale del combinato disposto degli artt. 2, comma 36, primo e secondo
periodo, e 1, comma 6, del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, promosse dalla Regione autonoma
Sardegna, in riferimento agli artt. 3, 117 e 119 della Costituzione ed agli
artt. 7 e 8 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale
per
3) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma
36, del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 148 del 2011, promosse dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste in riferimento all’art. 8 della legge 26 novembre
1981, n. 690 (Revisione dell’ordinamento finanziario della regione Valle
d’Aosta) ed in riferimento al principio di leale collaborazione nonché agli
artt. 48-bis e 50, comma quinto, della legge costituzionale 26 febbraio 1948,
n. 4 (Statuto speciale per
4) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3,
del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 148 del 2011, promosse dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste in riferimento all’art. 8 della legge n. 690 del 1981
nonché al principio di leale collaborazione ed agli artt. 48-bis e 50, comma
quinto, della legge costituzionale n. 4 del
5) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi
2-bis, 2-ter, 2-quater, 36-bis, 36-quater, 36-quinquies, 36-decies del
decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n.
148 del 2011, promosse dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in
riferimento all’art. 49, comma primo, numero 4), della legge costituzionale 31
gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), ed
all’art. 4, comma primo, del d.P.R. 23 gennaio 1965,
n. 114 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia
Giulia in materia di finanza regionale), con il ricorso n. 139 del 2011;
6) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1,
del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 148 del 2011, promosse dalla Regione siciliana in riferimento agli artt. 36
e 37 del r.d.lgs. n. 455 del 1946, convertito in
legge costituzionale n. 2 del
7) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi
2-bis, 2-ter, 2-quater, 3, secondo e quarto periodo, 35-octies del
decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n.
148 del 2011, promosse dalla Regione siciliana in riferimento agli artt. 36 e
37 del r.d.lgs. n. 455 del 1946, convertito in legge
costituzionale n. 2 del
8) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 6,
del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 148 del 2011, promossa dalla Regione siciliana in riferimento agli artt. 36 e
37 del r.d.lgs. n. 455 del 1946, convertito in legge
costituzionale n. 2 del
9) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 36,
terzo periodo, del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, promossa dalla Regione siciliana in
riferimento agli artt. 36 e 37 del suddetto regio decreto legislativo, in
relazione all’art. 2 del parimenti menzionato d.P.R.
n. 1074 del 1965, con il ricorso n. 140 del 2011;
10) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dei combinati disposti
dell’art. 2, comma 36, primo e secondo periodo, del decreto-legge n. 138 del
2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, e dei commi
2, 2-bis, 2-ter e 2-quater, 3, primo periodo, 5-bis, 5-ter, 6, 9, 36, terzo e
quarto periodo, dell’art. 2 dello stesso decreto-legge, promosse dalla Regione
autonoma Sardegna, in riferimento agli artt. 3, 117 e 119 della Costituzione ed
agli artt. 7 e 8 della legge costituzionale n. 3 del 1948, con il ricorso n.
160 del 2011.
Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 ottobre 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 31 ottobre
2012.