Sentenza n. 148 del 2025

SENTENZA N. 148

ANNO 2025


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da:

Presidente: Giovanni AMOROSO;

Giudici: Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti, sorto a seguito dell’ordinanza-ingiunzione del Collegio regionale di garanzia elettorale presso la Corte d’appello di Cagliari del 20 dicembre 2024, depositata il 3 gennaio 2025 e notificata in pari data al Presidente della Regione autonoma della Sardegna, Alessandra Todde, promosso dalla Regione autonoma della Sardegna con ricorso notificato il 3 marzo 2025, depositato in cancelleria in pari data, iscritto al n. 2 del registro conflitti tra enti 2025 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2025.

Visti gli atti di costituzione del Collegio regionale di garanzia elettorale presso la Corte d’appello di Cagliari, nonché del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro della giustizia;

visto l’atto d’intervento di Riccardo Fercia per sé medesimo;

udita nell’udienza pubblica del 24 settembre 2025 la Giudice relatrice Maria Rosaria San Giorgio;

uditi gli avvocati Omar Chessa e Antonio Saitta per la Regione autonoma della Sardegna, Riccardo Fercia per il Collegio regionale di garanzia elettorale istituito presso la Corte d’appello di Cagliari, nonché l’avvocato dello Stato Fabrizio Fedeli per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 24 settembre 2025.

Ritenuto in fatto

1.– Con il ricorso depositato il 3 marzo 2025 e iscritto al n. 2 del reg. confl. enti del 2025, la Regione autonoma della Sardegna, in persona del vice-Presidente pro tempore, ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato (e, per esso, della Presidenza del Consiglio dei ministri), del Collegio regionale di garanzia elettorale presso la Corte d’appello di Cagliari e del Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro tempore, chiedendo a questa Corte di dichiarare che non spettava allo Stato e, per esso, al predetto Collegio «imporre "la decadenza dalla carica del candidato eletto” a Presidente della Regione, e disporre con "ordinanza/ingiunzione al Presidente del Consiglio Regionale … l’adozione del provvedimento di decadenza di Todde Alessandra dalla carica di Presidente della Regione Sardegna”».

Per l’effetto, la ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza-ingiunzione adottata dal Collegio regionale di garanzia elettorale in data 20 dicembre 2024, e notificata il 3 gennaio 2025, nella parte in cui essa riporta le seguenti affermazioni: «si impone …, stante l’accertata violazione delle norme che disciplinano la campagna elettorale, la decadenza dalla carica del candidato eletto e trasmissione del provvedimento al Presidente del Consiglio Regionale per la procedura di competenza come previsto dall’art. 15, comma 7, L. 515/93. P.Q.M …. Tenuto conto delle violazioni della normativa, così come suindicate, dispone la trasmissione della presente ordinanza/ingiunzione al Presidente del Consiglio Regionale per quanto di Sua competenza in ordine all’adozione del provvedimento di decadenza di Todde Alessandra dalla carica di Presidente della Regione Sardegna …».

1.1.– Mediante tale atto, il menzionato Collegio regionale, a seguito della verifica della dichiarazione e del rendiconto depositati da Alessandra Todde, eletta Presidente della Regione autonoma della Sardegna in esito alle elezioni regionali del 25 febbraio 2024 (cui ha fatto seguito, in data 20 marzo 2024, la proclamazione degli eletti), ha irrogato nei confronti della stessa Todde la sanzione amministrativa di euro 40.000,00, «tenuto conto della molteplicità e della rilevanza delle irregolarità riscontrate, della totale inosservanza della normativa di cui alla Legge 515/1993 e L.R. Sardegna n. 1/94», ingiungendole il relativo versamento nel termine di trenta giorni dalla notifica del provvedimento. Inoltre, ha disposto la trasmissione dell’ordinanza-ingiunzione al Presidente del Consiglio regionale per quanto di sua competenza «in ordine all’adozione del provvedimento di decadenza di Todde Alessandra dalla carica di Presidente della Regione Sardegna», nonché alla Procura della Repubblica con riguardo alle anomalie riscontrate.

In motivazione, il Collegio regionale di garanzia elettorale – a fronte delle sette contestazioni che erano state, in precedenza, formulate nei confronti di Alessandra Todde, e valutata la memoria difensiva dell’interessata – ha ritenuto superata solo la contestazione numero 6), confermando, invece, tutte le altre, concernenti la violazione, sotto diversi profili, della disciplina sulle spese della campagna elettorale, di cui all’art. 7, commi 3, 4 e 6, della legge 10 dicembre 1993, n. 515 (Disciplina delle campagne elettorali per l’elezione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica), come richiamato dall’art. 3, comma 1, della legge della Regione Sardegna 27 gennaio 1994, n. 1 (Norme per la disciplina, la trasparenza e il contenimento delle spese per la campagna elettorale nelle elezioni per il Consiglio regionale e abrogazione della legge regionale 16 maggio 1984, n. 32).

Nel dettaglio, quanto alla contestazione numero 1), relativa alla non conformità della dichiarazione di spesa e di rendiconto a quanto stabilito dal citato art. 7, comma 6, della legge n. 515 del 1993, il Collegio ha rilevato che i moduli di dichiarazione di spesa, originariamente inviati dalla candidata, recavano l’indicazione di spese pari a euro 90.629,98 nonché la somma per contributi ricevuti pari a euro 90.670,01. Tali moduli, in quanto firmati solo da Alessandra Todde e accompagnati da un rendiconto di spese e di finanziamenti afferenti a un comitato denominato «Comitato Elettorale del M5S per l’elezione del Presidente della Regione Sardegna», non sarebbero stati idonei a chiarire se le spese riguardassero la singola candidata alla carica presidenziale ovvero la campagna elettorale dei candidati consiglieri sostenuti dal menzionato movimento. Con la propria memoria difensiva, ha aggiunto il Collegio, l’interessata si è limitata a «sconfessare quanto già precedentemente asserito», dichiarando di non aver sostenuto alcuna spesa; tuttavia, una simile dichiarazione contraria non sarebbe ammissibile a norma di legge e, oltretutto, non risolverebbe la rilevata non conformità, sollevando, anzi, «l’ulteriore problema» della corrispondenza al vero delle iniziali dichiarazioni di spesa.

Con riguardo alla contestazione numero 2), il Collegio ha accertato la mancata nomina del mandatario che, ai sensi dell’art. 7, commi 3 e 4, della legge n. 515 del 1993, ha il compito di raccogliere i fondi per il finanziamento della campagna elettorale e di registrare e attestare la veridicità delle operazioni compiute. Nel caso di specie, peraltro, a tale mancanza – non sanabile – si aggiungerebbe la circostanza che «i finanziamenti e le spese per la propaganda elettorale (come risulta dall’estratto conto prodotto) non sono attribuibili solo al partito di appartenenza della Todde, ma anche ad altri partiti (PD e Sinistra Futura), così venendo a snaturare anche la natura del comitato che avrebbe finanziato la sua campagna elettorale». La raccolta dei fondi, ha osservato il Collegio, ha un ampio respiro, «che coincide con il programma del Partito e di tutti i candidati che appartengono allo stesso, ma non può essere affatto uno strumento per sostenere tutte le spese che si riferiscono solo ad un singolo candidato – come sembra essere avvenuto per la candidata Todde». Ne risulterebbe pregiudicato il canone di trasparenza che impone di «individuare gli autori di ogni singolo finanziamento percepito dal candidato partecipante alle elezioni».

Quanto precede, a giudizio del Collegio, confermerebbe altresì la fondatezza delle ulteriori contestazioni di cui ai numeri 3), 4), 5) e 7), riguardanti, rispettivamente, la mancata apertura di un conto corrente dedicato, la mancata asseverazione e sottoscrizione del rendiconto da parte del mandatario (mai nominato, come già riferito), la mancata produzione dell’estratto del conto corrente dedicato e l’ambigua sorte delle «operazioni Paypal» (riguardanti «16 finanziamenti/donazioni ricevute per la campagna elettorale»), richiamate dall’elenco prodotto dalla candidata, rispetto alle quali non sarebbe dato conoscere il conto corrente in cui sarebbero confluite. Riguardo a quest’ultimo punto, non troverebbero riscontro le dichiarazioni difensive di Alessandra Todde, secondo le quali tali operazioni sarebbero confluite nel conto corrente del comitato elettorale.

Da ultimo, il Collegio regionale di garanzia elettorale ha evidenziato, come ulteriore anomalia, «la presenza nel cassetto fiscale di una fattura intestata alla candidata Todde – e mai depositata dalla medesima – relativa alle spese Enel dell’11.01.24 (Euro 153,16) del locale sito in Cagliari […] che risulta essere stato preso in locazione proprio dalla predetta come sede della propria campagna elettorale».

Alla luce delle «rilevate irregolarità e violazione delle norme penali inerenti il deposito di dichiarazioni contrastanti e delle anomalie rilevate», ha concluso l’ordinanza, «si impone la trasmissione di copia degli atti succitati alla Procura della Repubblica in sede per quanto di eventuale competenza, nonché la comminazione delle sanzioni amministrative e, infine, stante l’accertata violazione delle norme che disciplinano la campagna elettorale, la decadenza dalla carica del candidato eletto e trasmissione del provvedimento al Presidente del Consiglio Regionale per la procedura di competenza come previsto dall’art. 15, comma 7, L. 515/93».

1.2.– A sostegno del proprio ricorso, la Regione autonoma della Sardegna deduce la violazione degli artt. 15, 35 e 50 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), degli artt. 97 e 122 della Costituzione e degli artt. 1 e 22 della legge statutaria regionale 12 novembre 2013, n. 1 (Legge statutaria elettorale ai sensi dell’articolo 15 dello Statuto speciale per la Sardegna).

La ricorrente muove dalla duplice premessa secondo cui i Collegi regionali di garanzia elettorale avrebbero natura amministrativa (e non giurisdizionale), come risulterebbe dalla sentenza di questa Corte n. 387 del 1996, e sarebbero altresì imputabili «al sistema ordinamentale statale». La vigilanza sul rispetto delle norme in materia di rendiconti elettorali, infatti, integrerebbe «una funzione che esprime un’esigenza unitaria dell’ordinamento repubblicano». Si osserva che tali organi, in base alla legge n. 515 del 1993, «sono incardinati in seno all’amministrazione giudiziaria» e svolgono funzioni di vigilanza e sanzionatorie con riguardo alle elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. L’art. 4, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 1 del 1994 ha poi disposto che gli stessi collegi svolgano tali funzioni con riguardo alle elezioni del Consiglio regionale della Sardegna. Ma non potrebbe ritenersi che il medesimo organo abbia natura statale quando vigila sulle campagne relative alle elezioni politiche nazionali e assuma, invece, natura regionale allorché svolga funzioni di vigilanza sulle competizioni elettorali regionali.

Ciò posto, l’impugnata ordinanza-ingiunzione avrebbe comportato una menomazione della sfera di attribuzioni costituzionalmente assegnate alla Regione autonoma della Sardegna. Nell’imporre la decadenza del Presidente della Regione, infatti, essa implicherebbe altresì «la dissoluzione anticipata del Consiglio regionale in virtù del dispositivo aut simul stabunt aut simul cadent, con conseguente indizione di nuove elezioni presidenziale e consiliare e con effetti, perciò, irreversibili sulla permanenza in carica di tutti gli altri consiglieri regionali, oltre che del Presidente e della Giunta regionale». Da ciò sarebbe apprezzabile il «tono costituzionale» dell’odierno conflitto, promosso a difesa delle competenze statutariamente attribuite all’organo consiliare e a tutti gli altri organi di vertice della Regione (laddove, si sottolinea, il diverso diritto di elettorato passivo di Alessandra Todde «potrà [esser fatto] valere in altra sede»).

L’atto impugnato avrebbe realizzato «un tipico caso di "cattivo esercizio” o "sviamento del potere”, che ha indebitamente interferito nella "sfera di competenza costituzionale” della Regione Sardegna». La lesione deriverebbe in modo immediato dall’atto, a prescindere sia dalla sua impugnabilità con i rimedi ordinari, sia da una sua (supposta) natura non immediatamente esecutiva. Pur rimettendo l’effetto di decadenza ad una successiva pronuncia del Consiglio regionale (come, del resto, stabilisce l’art. 5, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 1 del 1994), l’ordinanza-ingiunzione avrebbe tuttavia presunto il dovere del Consiglio stesso di conformarsi ad essa, come si ricaverebbe dalla lettura del verbale n. 14 della seduta del 20 dicembre 2024. In tal modo, l’ordinanza impugnata avrebbe acquisito le caratteristiche, più volte indicate dalla giurisprudenza costituzionale, dell’atto che, «anche se preparatorio o non definitivo», è diretto a esprimere in modo chiaro e inequivoco la pretesa di esercitare una data competenza il cui svolgimento possa determinare una menomazione delle possibilità di esercizio dell’altrui sfera di attribuzioni (vengono qui richiamate, tra le altre, le sentenze di questa Corte n. 332 del 2011 e n. 89 del 2006, la quale ultima ha ritenuto lesive, e impugnabili con il mezzo del conflitto, anche note ministeriali meramente interne laddove contenenti una chiara manifestazione di volontà in ordine alla spettanza della competenza).

I profili di menomazione lamentati dalla Regione ricorrente si concretizzerebbero in tre violazioni di legge, relative: a) ad un vizio della comunicazione, resa ai sensi dell’art. 15, comma 10, della legge n. 515 del 1993; b) all’insussistenza dei presupposti per la sanzione della decadenza e c) all’inesatta qualificazione della peculiare posizione del Presidente della Regione quale consigliere regionale.

Quanto alla prima delle lamentate violazioni, la ricorrente premette che, a norma dell’art. 15, comma 10, della legge n. 515 del 1993, richiamato dall’art. 5, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 1 del 1994, il Collegio regionale di garanzia elettorale, al fine della dichiarazione di decadenza, deve dare «comunicazione dell’accertamento definitivo delle violazioni di cui ai commi 7, 8 e 9 al Presidente della Camera di appartenenza del parlamentare, la quale pronuncia la decadenza ai sensi del proprio regolamento». Tale comunicazione – che, per quanto riguarda le elezioni regionali, è indirizzata al Presidente del Consiglio regionale, come indicato dall’art. 5, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 1 del 1994 – dovrebbe individuare con precisione le disposizioni che, nel caso di specie, determinano la sanzione della decadenza: e tali disposizioni, osserva la Regione, non possono esaurirsi nel richiamo al comma 7 dell’art. 15 della legge n. 515 del 1993, che di per sé non contempla alcuna ipotesi di decadenza e che, piuttosto, rinvia ai «casi espressamente previsti nel presente articolo». Il rinvio non potrebbe che riferirsi alle ipotesi di decadenza specificamente previste dai commi 8 e 9 dello stesso art. 15, che hanno ad oggetto, rispettivamente, la mancata tempestiva presentazione della dichiarazione sulle spese elettorali nonostante la diffida ad adempiere e il superamento dei limiti massimi di spesa consentiti in misura pari o superiore al doppio. Nel caso di specie, la comunicazione inviata al Presidente del Consiglio regionale, che si è limitata a richiamare l’art. 15, comma 7, della legge n. 515 del 1993, sarebbe incompleta, non avendo fatto cenno a nessuna delle violazioni indicate dai successivi commi 8 e 9.

Quanto al profilo di menomazione sub b), la Regione osserva che nessuna delle contestazioni rivolte ad Alessandra Todde ricadrebbe tra quelle che determinano la decadenza ai sensi dei menzionati commi 8 e 9. Anzi, con riguardo alla fattispecie di cui al comma 8, l’ordinanza-ingiunzione ha addirittura precisato che «non è stato affatto contestato alla Todde il mancato deposito della dichiarazione di spesa e rendiconto», ma solo «l’anomalia derivante dalla non conformità della dichiarazione di spesa e rendiconto da lei stessa presentata». Rispetto, poi, alla fattispecie di cui al comma 9, la Regione sostiene che la legge reg. Sardegna n. 1 del 1994 non offrirebbe alcun criterio per determinare i limiti alle spese elettorali dei candidati alla Presidenza della Regione, essendo essa riferibile solo ai candidati al Consiglio regionale.

Quanto, infine, al profilo di menomazione sub c), la ricorrente sostiene che il Collegio regionale di garanzia elettorale sarebbe incorso in un erroneo presupposto interpretativo, avendo ritenuto che la legge reg. Sardegna n. 1 del 1994 sia applicabile anche al Presidente della Regione eletto a suffragio universale e diretto, in quanto avente una posizione assimilabile a quella del consigliere regionale. Si osserva nel ricorso che la menzionata legge regionale risale a un momento storico nel quale il Presidente della Giunta regionale era ancora eletto dal Consiglio regionale in seno ai propri componenti (in base all’allora vigente art. 36, primo comma, dello statuto speciale di autonomia) e, pertanto, non poteva contemplare la figura del Presidente elettivo (che caratterizza la forma di governo regionale oggi vigente). Peraltro, si fa notare che, a norma dell’art. 3, comma 2, della legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta dei presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano), il Presidente non può oggi equipararsi a un consigliere regionale elettivo, «essendo infatti eletto in capo ad altro organo, e cioè in capo all’organo monocratico denominato "Presidente della Regione”». Tale carica sarebbe assistita da un sistema di elezione «diverso da quello dei consiglieri regionali sotto diversi profili» (modalità di espressione del voto; delimitazione dell’ambito spaziale della candidatura, che coincide non con una singola circoscrizione, ma con l’intero territorio regionale).

Che la legge regionale sulla rendicontazione delle spese elettorali non sia applicabile al Presidente, peraltro, discenderebbe anche dall’espresso disposto dell’art. 22, comma 2, della legge statut. n. 1 del 2013, a norma del quale, in materia di ineleggibilità e incompatibilità, si applicano «le leggi statali» fino all’approvazione di una disciplina regionale, ai sensi dell’art. 15 dello statuto speciale. Il rinvio alle leggi statali escluderebbe, in radice, l’applicabilità dell’intera legge reg. Sardegna n. 1 del 1994 e, in particolare, dei suoi artt. 3 e 5, che a loro volta richiamano le norme di cui agli artt. 7 e 15 della legge n. 515 del 1993. Dal canto suo, l’art. 20 di quest’ultima legge, viceversa applicabile in quanto "legge statale” atta a disciplinare, transitoriamente, le elezioni del Consiglio regionale sardo, non include l’art. 7 tra le disposizioni della medesima che sono applicabili alle elezioni regionali e, quindi, non consentirebbe di estendere al territorio sardo la disciplina sui limiti delle spese elettorali dettata dalla legge n. 515 del 1993.

1.3.– In via subordinata, qualora si dovesse ritenere che l’art. 15, comma 7, della legge n. 515 del 1993 sia applicabile alla fattispecie de qua e che il Collegio regionale di garanzia elettorale abbia agito applicando un’ipotesi decadenziale autonoma, rinvenibile nella medesima norma, la Regione ricorrente chiede che questa Corte sollevi dinanzi a sé questione di legittimità costituzionale della disposizione stessa.

Si argomenta, al riguardo, la violazione del principio di ragionevolezza, di cui all’art. 3, primo comma, Cost., del principio di legalità, desunto dagli artt. 25 e 97 Cost., del diritto di difesa in giudizio, previsto dall’art. 24 Cost., e del diritto di elettorato passivo (art. 48 Cost.), nonché dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Se l’indicato comma 7 dell’art. 15 dovesse essere inteso nel senso di stabilire un’ipotesi decadenziale autonoma («come, invero, sembrerebbe deporre il comma 10 del medesimo art. 15», si aggiunge), si tratterebbe di una misura sanzionatoria «gravissima», in quanto «incidente sul diritto fondamentale all’elettorato passivo», a fronte di una fattispecie «descritta dalla norma legislativa in termini assolutamente generici e indeterminati». La sanzione della decadenza di cui all’art. 15, comma 7, della legge n. 515 del 1993 si riferirebbe, infatti, alla «violazione di qualsiasi e non meglio individuata norma applicabile allo svolgimento delle campagne elettorali ancorché le numerosissime leggi in materia […] siano accompagnate già da specifiche sanzioni, ora di ordine penale, ora pecuniario, ora incidenti sul diritto all’elettorato».

La questione di legittimità costituzionale prospettata dalla ricorrente avrebbe «certamente» rilevanza ai fini del decidere, in quanto, se la norma in questione fosse dichiarata costituzionalmente illegittima, «risulterebbe acclarato che non spettava allo Stato […] dichiarare la decadenza della Ing. Todde».

Quanto alla non manifesta infondatezza, vengono evidenziati diversi profili di contrasto con la Costituzione.

Si osserva, anzitutto, che la giurisprudenza di questa Corte «ha sempre censurato le disposizioni legislative sanzionatorie a fattispecie indeterminata e generica» (con richiamo, qui, tra le altre, alla sentenza n. 110 del 2023), e ciò con riguardo non solo alla materia penale, ma anche alle sanzioni amministrative che incidano su diritti fondamentali (come, nella specie, l’elettorato passivo). Le stesse cause di ineleggibilità andrebbero tipizzate con sufficiente precisione, al fine di evitare situazioni di incertezza. Nel caso di specie, l’indeterminatezza della fattispecie sanzionatoria «non consente al destinatario del precetto di avere reale cognizione di quale sia la condotta esigibile per non cadere nell’ipotesi sanzionata», con conseguente violazione dei parametri costituzionali prima indicati.

In secondo luogo, si sofferma l’attenzione sulla particolare causa di ineleggibilità prevista dalla disposizione censurata, riferita, in modo generico, al candidato che abbia violato le «norme che disciplinano la campagna elettorale». La categoria dell’ineleggibilità, per regola generale, dovrebbe preesistere all’elezione per poter dispiegare effetti invalidanti, posto che essa incide sulla parità di condizioni tra i vari candidati (come anche affermato dalla giurisprudenza costituzionale, che ne avrebbe tratto le conseguenti differenze rispetto alla figura dell’incompatibilità). Pertanto, essa sarebbe evocata impropriamente nel caso di specie, in cui si tratta dell’omesso o erroneo adempimento agli obblighi di pubblicità sui finanziamenti e sulla gestione delle spese elettorali, e non di «una condizione personale preesistente all’elezione e, in termini oggettivi, suscettibile di condizionare la libera manifestazione del consenso degli elettori». Sarebbero, inoltre, ravvisabili altre «palesi incongruità», non essendo dato comprendere se l’ineleggibilità prevista dall’art. 15, comma 7, della legge n. 515 del 1993 debba considerarsi «assoluta» (cioè, applicabile a qualsiasi carica elettiva), ovvero «relativa» (in quanto riferita alla sola carica per la quale l’eletto non abbia rispettato le norme sulla campagna elettorale), né se essa trovi applicazione solo «pro-futuro» ovvero anche «pro-praeterito» (cioè, come «ineleggibilità sopravvenuta»). L’ineleggibilità, in realtà, potrebbe essere solo relativa e temporanea, perché altrimenti si trasformerebbe in una causa del tutto ablativa (e non semplicemente limitativa, come ammetterebbe l’art. 48, ultimo comma, Cost.) del diritto all’elettorato passivo. In ogni caso, l’uso dell’istituto in chiave sanzionatoria «ne snaturerebbe la funzione […] ontologicamente posta ad anticipato presidio dell’ordinato svolgimento della competizione elettorale», vieppiù se la fattispecie in esame venga confrontata con le altre ipotesi di ineleggibilità previste dall’ordinamento.

La Regione ricorrente prospetta, infine, «[i]n via del tutto subordinata», un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 7, della legge n. 515 del 1993, nella parte in cui esso stabilisce che l’accertata violazione delle norme sulla campagna elettorale costituisce causa di ineleggibilità, anziché «costituisce causa di ineleggibilità sopravvenuta», e nella parte in cui prevede che tale accertamento «comporta la decadenza dalla carica del candidato eletto nei casi espressamente previsti nel presente articolo con delibera della Camera di appartenenza», anziché «comporta la decadenza dalla carica del candidato eletto nei casi espressamente previsti nel presente articolo ove non rimossa nel ragionevole termine assegnato a seguito di contestazione effettuata con delibera della Camera di appartenenza». L’«unica possibilità» di ricondurre la norma a conformità a Costituzione sarebbe, infatti, una «pronuncia additiva/sostitutiva», mediante la quale la categoria dell’ineleggibilità venga trattata «in conformità ai principi costituzionali in materia», che considerano le condizioni di ineleggibilità sopravvenute «come ipotesi di incompatibilità», connotate dal fatto di concedere all’interessato «un congruo e ragionevole termine per rimuovere la causa ostativa al mantenimento del munus publicum». Ciò, in linea sia con il «principio fondamentale», applicabile anche alle regioni ad autonomia speciale, che è dettato dall’art. 2, comma 1, lettera c), della legge 2 luglio 2004, n. 165 (Disposizioni di attuazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione), sia con la giurisprudenza costituzionale, che avrebbe più volte affermato, per l’appunto, la «doverosità della concessione di un termine a favore dell’interessato per rimuovere la causa di ineleggibilità sopravvenuta (da valere quale incompatibilità)».

2.– Nel giudizio ha spiegato intervento ad opponendum Riccardo Fercia, in qualità di componente del Collegio regionale di garanzia elettorale istituito presso la Corte d’appello di Cagliari, intervento cui poi lo stesso ha dichiarato di rinunciare nel corso dell’udienza pubblica di discussione.

3.– Si è costituito nel giudizio lo stesso Collegio, che ha sostenuto l’inammissibilità del ricorso sotto diversi profili.

3.1.– Anzitutto, l’atto impugnato sarebbe imputabile non allo Stato, ma alla medesima Regione autonoma della Sardegna. Questa infatti, mediante l’art. 4, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 1 del 1994, avrebbe optato per lo strumento dell’«avvalimento amministrativo», posto che le funzioni dei Collegi regionali di garanzia elettorale sono state attribuite, per le elezioni regionali, al medesimo Collegio competente quanto alle elezioni di Camera e Senato. Tale organo, pertanto, pur rimanendo "statale”, sarebbe chiamato ad adottare provvedimenti "regionali”, imputabili cioè alla regione «quale effettiva titolare della funzione concretamente esercitata mediante avvalimento di un ufficio statale». Di conseguenza, «il denunziato conflitto non esiste, semplicemente perché la ricorrente ha impugnato un atto imputabile alla sua stessa amministrazione».

Difetterebbe, peraltro, l’attualità della lesione lamentata. L’ordinanza impugnata, infatti, si sarebbe limitata a irrogare una sanzione pecuniaria, come emergerebbe dal dispositivo della stessa, trasmettendo poi gli atti al Presidente del Consiglio regionale per quanto di sua competenza (trasmissione equivalente all’obbligo di rapporto, previsto in via generale per le sanzioni amministrative, dall’art. 17, terzo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, recante «Modifiche al sistema penale»). Né l’espressione «si impone […] la decadenza», contenuta nella motivazione del provvedimento di cui si tratta, potrebbe essere interpretata «"contro il dispositivo”».

Questa Corte, nella sentenza n. 387 del 1996, avrebbe chiarito che la decadenza derivante dall’accertamento della violazione ad opera del Collegio regionale di garanzia elettorale «consegue in modo diretto, non già da tale pur definitiva decisione, bensì dalla delibera della Camera di appartenenza», come prevede l’art. 15, comma 7, della legge n. 515 del 1993.

Pertanto, osserva il Collegio, mentre le sanzioni pecuniarie dallo stesso irrogate sono impugnabili dinanzi al giudice ordinario (mediante il giudizio di opposizione di cui all’art. 6 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, recante «Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69»), la decadenza dovrebbe essere deliberata dalla camera di appartenenza del candidato eletto e, solo allora, in quanto «atto non già politico ma di alta amministrazione», potrebbe attivarsi l’impugnazione dinanzi al giudice amministrativo. La giurisdizione di quest’ultimo (in assenza di autodichia dell’assemblea di appartenenza) sarebbe, peraltro, coerente con la natura di "interesse legittimo” della posizione soggettiva lesa, quella del consigliere eletto, il cui "diritto soggettivo” di elettorato passivo non sarebbe affatto "affievolito” dal provvedimento di decadenza: semmai, all’esito dell’accertamento delle violazioni commesse, quel diritto risulterebbe «esercitato in termini scorretti» (per le violazioni di legge commesse dal candidato), con conseguente misura di "decadenza” approntata dalla legge rispetto alla quale l’interessato vanterebbe un «interesse legittimo irriducibile agli ostacoli soggettivi dell’incandidabilità, incompatibilità ed ineleggibilità».

In definitiva, secondo la parte resistente, la Regione sarebbe «doppiamente ‘in conflitto con se stessa’»: sia perché l’atto impugnato sarebbe alla stessa imputabile, per "avvalimento”, sia perché la decadenza, non ancora pronunciata, dovrà essere delibata da un suo organo, il Consiglio regionale.

3.2.– Un ulteriore profilo di inammissibilità è, poi, evidenziato con riguardo al fatto che, non essendosi ancora pronunciato l’unico organo competente a dichiarare la decadenza, il giudizio cui è chiamata questa Corte avrebbe ad oggetto «poteri non ancora esercitati» e si tramuterebbe in «una sorta di ‘consulenza preventiva’ […] onde svincolare i consiglieri regionali in carica dalle loro responsabilità istituzionali e dal controllo della giurisdizione». Sotto questo profilo, si apprezzerebbe, nuovamente, la mancanza di attualità dell’odierno conflitto.

3.3.– Ancora con riguardo alla ritenuta «inammissibilità» del ricorso, in quanto «impugnazione ‘parallela’ elusiva della giurisdizione», il Collegio sottolinea che la propria ordinanza-ingiunzione non si sarebbe potuta spingere fino ad invadere la competenza del Consiglio regionale quanto alla qualificazione delle violazioni accertate, rilevando piuttosto come «‘rapporto’ al Consiglio regionale sub specie facti». Per questa ragione, quindi, essa si sarebbe astenuta dal sussumere tali violazioni in alcuna delle tre figure di decadenza, previste dai commi 7, 8 e 9 dell’art. 15 della legge n. 515 del 1993. In linea astratta, peraltro, non vi sarebbero dubbi che la violazione dei precetti sulla campagna elettorale, prescritti da tale legge, comporti l’effetto di decadenza del candidato eletto, come peraltro affermato da questa Corte nella sentenza n. 387 del 1996: altrimenti ragionando, quei precetti «sarebbero in ultima analisi leges imperfectae», alla cui violazione, da parte del candidato, si accompagnerebbe la certezza di conservare comunque l’ufficio. Le ipotesi di decadenza previste dall’art. 15 della legge n. 515 del 1993 sarebbero, dunque, «tre, e non due», come confermerebbe anche il comma 10 dello stesso art. 15.

Sotto un secondo profilo, non corrisponderebbe al vero che l’ordinanza impugnata avrebbe escluso la violazione di cui al comma 8 dell’art. 15 della legge n. 515 del 1993 (mancato deposito della dichiarazione di spesa e di rendiconto). Piuttosto, il Collegio regionale di garanzia elettorale – sostiene l’interveniente – avrebbe contestato ad Alessandra Todde «il mancato deposito non già in senso materiale, ma […] in senso giuridico, per aver quest’ultima prodotto, in un primo momento, una dichiarazione del tutto avulsa dai requisiti costitutivi di essa, per di più paradossalmente ‘autosmentita’, in un secondo momento, da una dichiarazione eguale e contraria».

Viene, infine, trattato un terzo punto, concernente la pretesa non applicabilità, alla fattispecie de qua, della legge reg. Sardegna n. 1 del 1994. Non sarebbe corretto il presupposto da cui muove il ricorso, e cioè che quest’ultima sia stata abrogata dalla legge statut. n. 1 del 2013: l’effetto abrogativo, da ricondurre alle previsioni dell’art. 15 dello statuto sardo, dovrebbe considerarsi circoscritto, infatti, alle sole cause di ineleggibilità e incompatibilità riferite alle «cariche istituzionali» e alla «forma di governo della Regione» e, quindi, solo a quelle aventi portata "generale” (legate, cioè, all’indebito vantaggio che un candidato ritrae dal possesso di un particolare ufficio, in violazione della par condicio elettorale) e non anche a quelle di natura "speciale”. L’ineleggibilità implicante decadenza, «intesa come sanzione ripristinatoria», sarebbe dunque rimasta affidata a una lex specialis (appunto, la legge reg. Sardegna n. 1 del 1994) che disciplina le campagne elettorali regionali.

3.4.– Il Collegio regionale di garanzia elettorale, infine, sottopone a critica anche la richiesta a questa Corte di autorimessione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 7, della legge n. 515 del 1993. Siffatta questione – si osserva – potrebbe essere sollevata solo dal giudice chiamato a conoscere dell’effettivo provvedimento di decadenza, ossia il giudice amministrativo, e solo una volta che il relativo potere sia stato esercitato (da parte del Consiglio regionale).

Nel merito della questione prospettata, poi, si osserva che la contestata previsione di decadenza sarebbe «non solo costituzionalmente compatibile, ma anche costituzionalmente necessaria». Il paventato scioglimento dell’organo consiliare, derivante dalla decadenza del Presidente della Regione, sarebbe un immediato precipitato della regola statutaria «simul stabunt, simul cadent», prevista coerentemente all’assetto costituzionale vigente nella Regione dopo la riforma del 2001. L’ingiusto vantaggio di cui abbia beneficiato, durante la campagna elettorale, il candidato eletto al massimo incarico governativo regionale non potrebbe non comportare, quale «necessità costituzionale», la decadenza «dell’intera legislatura»: sanzione, quest’ultima, da ritenersi «proporzionat[a] alla gravità della fattispecie». Le norme che disciplinano la campagna elettorale, in definitiva, dovrebbero essere rigorosamente rispettate, «perché da quella campagna elettorale, che deve essere ‘giusta’, dipende tutto l’assetto dell’amministrazione regionale».

4.– Si sono altresì costituiti in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro della giustizia, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per il rigetto del ricorso della Regione autonoma della Sardegna «siccome inammissibile».

Richiamato l’esito dei controlli svolti, nei confronti della candidata eletta, da parte del Collegio regionale di garanzia elettorale, come poi confluito nell’ordinanza-ingiunzione oggetto di impugnativa, la difesa statale sostiene anzitutto il difetto di legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministro della giustizia, «in ragione della natura non giurisdizionale, bensì amministrativa, del Consiglio di garanzia elettorale presso la Corte d’appello di Cagliari» (con richiamo ancora alla sentenza n. 387 del 1996 di questa Corte).

Non sarebbe ravvisabile, nella specie, il «rapporto di strumentalità» tra l’organo che ha adottato l’atto impugnato e lo Stato. Tale organo piuttosto – che pure manterrebbe natura statale «quando esercita le proprie funzioni in ordine alle elezioni del Parlamento italiano» – in questo caso avrebbe svolto funzioni ad esso attribuite dalla stessa Regione Sardegna, per effetto delle previsioni dell’art. 4, comma 1, della legge regionale n. 1 del 1994. Proprio perché si tratta delle funzioni di vigilanza sulle campagne elettorali regionali, da ricondurre alla materia (quella della disciplina dei casi di ineleggibilità del Presidente della Regione) che l’art. 3, comma 1, della legge cost. n. 2 del 2001 attribuisce alla competenza legislativa esclusiva della Regione Sardegna, verrebbero in rilievo «interessi pubblici non unitari ex articolo 5 della Costituzione, bensì prettamente autonomistici».

Difetterebbe, dunque, «il presupposto (inter)soggettivo del sollevato conflitto di attribuzioni, ossia la natura statale dell’organo il cui atto è stato impugnato».

5.– Con successive memorie, il Collegio regionale di garanzia elettorale istituito presso la Corte d’appello di Cagliari ha svolto ulteriori difese a sostegno delle conclusioni già rese.

5.1.– In particolare, con la memoria depositata il 29 aprile 2025, l’organo resistente è tornato a soffermarsi sulla contestazione numero 1) di cui all’impugnata ordinanza-ingiunzione, relativa alla non conformità della dichiarazione di spesa e di rendiconto presentata, il 15 giugno 2024, dalla candidata Alessandra Todde.

Al fine di intendere correttamente il senso della contestazione, assumerebbe rilievo il fatto che, a quella dichiarazione, era stato allegato non un rendiconto sottoscritto dalla candidata e controfirmato dal suo mandatario (come prevede l’art. 7, comma 6, ultimo periodo, della legge n. 515 del 1993), ma «il rendiconto di un soggetto terzo, vale a dire il ‘Comitato elettorale del Movimento 5 Stelle’, non riconducibile né ad un candidato, né al partito nelle cui liste [Alessandra Todde] si era candidata» (infatti, si sottolinea, il rendiconto era controfirmato «dall’on. Emiliano Fenu in qualità di tesoriere del Comitato»). Da ciò sarebbe derivata, sottolinea il Collegio resistente, la «giuridica inesistenza del binomio inscindibile ‘dichiarazione-rendiconto’». In quanto corredata da un «rendiconto altrui», la dichiarazione sulle spese, pur presentata dalla candidata, doveva considerarsi «giuridicamente inesistente perché carente di un requisito essenziale» e inidonea a consentire di ricostruire entrate e spese del candidato: risultava, così, integrata la fattispecie del «mancato deposito» della dichiarazione, sanzionata dall’art. 15, commi 5 e 8, della legge n. 515 del 1993 e in tal senso contestata dall’atto impugnato. A seguito della contestazione, Alessandra Todde ha poi reso (in data 3 dicembre 2024) la sua seconda dichiarazione, nella quale ha affermato di non aver sostenuto alcuna spesa, dichiarazione che comunque non si collegherebbe al partito nelle cui liste era candidata, ma al menzionato Comitato elettorale.

Alla luce di ciò, puntualizza l’organo resistente, andrebbe inteso il passaggio dell’ordinanza-ingiunzione (che la Regione, nel suo ricorso, avrebbe travisato) in cui si legge che «non è stato affatto contestato alla Todde il mancato deposito della dichiarazione di spesa e rendiconto», ma solo «l’anomalia derivante dalla non conformità della dichiarazione di spesa e rendiconto da lei stessa presentata». Con ciò, il Collegio regionale di garanzia elettorale – che aveva, in quel passaggio, significativamente richiamato le scansioni procedimentali della diffida e della concessione di un termine pari a quindici giorni, come previsto dall’art. 15, comma 8, della legge n. 515 del 1993 – avrebbe inteso contestare il «mancato deposito […] in senso giuridico», e non «in senso materiale», della dichiarazione sulle spese, senza tuttavia intendere pronunciarsi su alcuna delle tre fattispecie di decadenza di cui ai commi 7, 8 e 9 dell’art. 15 della legge n. 515 del 1993. Spetterebbe, infatti, «solo al Consiglio regionale sussumere – cioè appunto ‘qualificare in diritto’ – le violazioni accertate […] in una (o più) delle tre figure legali implicanti decadenza».

Il Collegio resistente passa, poi, ad argomentare nuovamente la natura "regionale” del provvedimento impugnato e l’applicabilità, al caso di specie, della legge reg. Sardegna n. 1 del 1994.

5.2.– Con ulteriore e successiva memoria, depositata il 30 maggio 2025, lo stesso Collegio – a corredo della sentenza del Tribunale di Cagliari 28 maggio 2025, n. 848, contestualmente depositata – ha svolto nuove difese, insistendo per l’inammissibilità o, comunque, nel merito, per la non fondatezza del ricorso.

Riferisce la parte resistente che, con la menzionata sentenza, il Tribunale di Cagliari ha respinto l’opposizione all’ordinanza-ingiunzione presentata da Alessandra Todde. Ciò, sulla scorta di «tre fondamentali arresti in materia», ossia la richiamata sentenza n. 387 del 1996 di questa Corte, nonché Corte di cassazione, sesta sezione penale, sentenza 21 ottobre 2021, n. 16781 (già richiamata nella precedente memoria difensiva), e Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 13 aprile 2017, n. 9587 (parimenti depositata dalla parte). Quest’ultima, in una fattispecie «identic[a]» a quella che qui occupa, avrebbe affermato il principio di diritto secondo cui il deposito di atti oggettivamente inidonei a ricostruire entrate e uscite della campagna elettorale dei candidati equivale al mancato deposito in senso materiale del rendiconto di cui all’art. 7, comma 6, della legge n. 515 del 1993. Anche in quel caso – prosegue la parte resistente – era accaduto che il candidato, sanzionato dal Collegio regionale di garanzia elettorale «come se non avesse depositato alcunché, aveva allegato conteggi non controfirmati, per asseverazione, dal mandatario elettorale oltre che privi del corredo di documentazione di legge, inerente all’indefettibile apertura di un conto corrente dedicato, con i relativi estratti». Ancor più grave, peraltro, sarebbe l’odierna posizione di Alessandra Todde, che avrebbe «addirittura allegato un rendiconto altrui».

L’ordinanza-ingiunzione in questa sede impugnata, come confermato anche dal Tribunale di Cagliari, sarebbe dunque «sistematicamente coerente con orientamenti perfettamente conformi della giurisprudenza di legittimità».

Viene ribadito che, nell’odierna vicenda, il Collegio regionale di garanzia elettorale, nel trasmettere il proprio provvedimento al Consiglio regionale, non aveva «alcun dovere di qualificare in diritto le violazioni accertate ai fini della delibera di decadenza, esattamente come non deve qualificare in diritto i titoli di reato in ipotesi ravvisati il pubblico ufficiale che trasmetta ex art. 331 cod. proc. pen. una comunicazione di notitia criminis al Pubblico Ministero».

6.– Anche la Regione autonoma della Sardegna, con memoria depositata il 17 giugno 2025, ha svolto ulteriori difese. Preliminarmente, la Regione eccepisce la inammissibilità della costituzione in giudizio del Collegio regionale di garanzia elettorale, anzitutto per difetto di mandato difensivo. Il predetto organo, infatti, in quanto statale, avrebbe dovuto avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, ai sensi dell’art. 1 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 (Approvazione del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato). Inoltre, la sua costituzione in giudizio e il conferimento del mandato all’avvocato Riccardo Fercia «non risultano neppure esser stati deliberati dall’organo collegiale», non emergendo agli atti la necessaria delibera di autorizzazione. Trattandosi di un collegio perfetto, non sarebbe sufficiente neanche il mandato conferito dalla sua presidente, da ritenersi «nullo per carenza di potere del mandante». Del resto, nel presente giudizio la presidente di quel Collegio non si è presentata personalmente, sicché la costituzione dell’organo non potrebbe neppure ritenersi valida ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale).

Contestata, poi, la tesi dell’Avvocatura generale dello Stato – secondo la quale il Collegio regionale di garanzia elettorale, pur costituendo "strutturalmente” un ufficio dell’amministrazione statale, potrebbe assumere natura regionale tutte le volte che compia atti imputabili all’amministrazione regionale – la ricorrente opera una ricostruzione del quadro legislativo vigente in materia e della sua evoluzione storica, sottolineando la «valenza peculiare» della legge n. 515 del 1993, volta a «garantire il libero e personale esercizio del diritto di elettorato attivo dei cittadini, in attuazione dei principî espressi dall’art. 48 della Costituzione». Si ribadisce, pertanto, che «[l]a tutela dell’esercizio del diritto di voto (diritto fondamentale in democrazia) e, quindi, la correlata disciplina attuativa, è funzione statale e non certo regionale, posto che le regioni sono prive di potestà in materia». Si aggiunge che «pure la vigilanza sulle campagne elettorali regionali e locali costituisce esplicazione di una funzione preordinata alla tutela di un interesse pubblico unitario di pregnante rilievo costituzionale, in quanto rivolta alla protezione del diritto di voto, cioè di un valore costituzionale fondamentale che deve essere assicurato sia come diritto soggettivo sia come norma oggettiva di principio (avente anche una dimensione istituzionale) in occasione di ogni campagna elettorale». Nella previgente formulazione del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, la legge n. 515 del 1993 lasciava implicitamente alle regioni la facoltà di stabilire limiti di spesa per le campagne elettorali regionali. Infatti, l’art. 7 della predetta legge era (ed è) parametrato sulle elezioni politiche. La Regione Sardegna provvide (con la legge regionale n. 1 del 1994) a dettare una disciplina al riguardo, così esercitando il titolo competenziale che le era riconosciuto dall’art. 5, lettera d), dello statuto speciale. Tuttavia, precisa la ricorrente, il legislatore sardo non avrebbe potuto «discostarsi dal quadro normativo generale predisposto dalla legge statale n. 515 del 1993 e affidare le funzioni di vigilanza a un organo diverso dal Collegio di garanzia elettorale istituito presso la Corte d’appello di Cagliari».

A ulteriore conferma, si fa notare che, per quanto riguarda le elezioni regionali, l’art. 20, comma 1, della legge n. 515 del 1993 rende applicabili gli articoli da 1 a 6 (e le relative sanzioni previste nell’art. 15) e gli artt. 17, 18 e 19 della medesima legge: non sono menzionati né l’art. 7 (che, infatti, regolamenta limiti e pubblicità delle spese elettorali dei candidati delle sole elezioni parlamentari) né l’art. 13 (istitutivo dei Collegi regionali di garanzia elettorale). Da ciò, tuttavia, non potrebbe trarsi la conclusione che quei Collegi non possano essere operativi per il controllo sulle elezioni regionali (e sulle relative campagne elettorali): al contrario, si tratterebbe di un aspetto non disponibile da parte del legislatore regionale. La conclusione è che «le funzioni di vigilanza e di applicazione delle sanzioni in occasione delle elezioni regionali sono specificamente statali perché attribuite al Collegio Regionale di Garanzia dall’art. 20 della L. n. 515 del 1993 (in combinato con l’art. 15, comma 7 che rimanda anche agli artt. 1-6, della medesima legge) e non dall’art. 4 della L.r. n. 1 del 1994 e, soprattutto, perché poste a presidio del diritto di voto ex art. 48 Cost., ossia di un diritto fondamentale la cui garanzia fa capo prioritariamente e direttamente allo Stato (inteso, soprattutto, come "Stato apparato”)».

In tale quadro, l’art. 4 della legge reg. Sardegna n. 1 del 1994 si limiterebbe a riprodurre la disciplina statale inderogabile appena menzionata. Sarebbe pertanto implausibile l’ipotesi dell’avvalimento, sostenuta delle controparti, istituto peraltro in vigore nel quadro del previgente Titolo V ma estraneo all’attuale quadro costituzionale. Del resto la Regione autonoma della Sardegna, a norma dell’art. 6 del proprio statuto di autonomia, «ha funzioni amministrative soltanto nelle materie di cui agli artt. 3 e 4, ambiti sui quali non verte la legge regionale n. 1 del 1994, la quale, infatti, è adottata ai sensi dell’art. 5, lett. c [recte: d], dello Statuto sardo»: per tale oggetto, dunque, non potrebbe operare il principio del parallelismo a favore dell’amministrazione regionale «e, in assenza di norme statali che dispongano in senso diverso, le funzioni amministrative rimangono statali». Anche poi a voler ritenere che, nel caso in esame, la competenza della Regione autonoma della Sardegna non derivi dallo statuto, ma dal novellato Titolo V (in virtù della cosiddetta "clausola di maggior favore”, di cui all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante «Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione»), si osserva che «è l’art. 118 della Costituzione a ostare affinché il legislatore regionale stabilisca unilateralmente di affidare compiti amministrativi regionali a uffici statali», non essendo consentito al legislatore regionale di operare «una "chiamata in sussidiarietà” delle funzioni amministrative regionali facendole ascendere oltre il livello regionale per collocarle a quello statale».

Da ultimo, si osserva che anche il Tribunale di Cagliari, nel decidere, con sentenza 28 maggio 2025, n. 848, il giudizio di opposizione promosso da Alessandra Todde contro la sanzione pecuniaria, pur affermando incidentalmente la natura regionale del Collegio regionale di garanzia elettorale, avrebbe nondimeno sottolineato «la "diretta” applicabilità alle elezioni regionali sarde della L. n. 515 del 1993 ("diretta”, quindi, senza l’intermediazione della L.r. n. 1 del 1994), così confermando la natura integralmente statale delle attribuzioni svolte dal Collegio regionale di garanzia».

Nel merito del conflitto, poi, la Regione ricorrente torna a sostenere la tesi della immediata lesività dell’ordinanza-ingiunzione impugnata. Si sottolinea che anche il Collegio regionale di garanzia elettorale, nei propri scritti difensivi dinanzi al Tribunale di Cagliari, avrebbe preso «nettamente» posizione «in ordine alla natura "vincolata” o "dovuta” della dichiarazione consiliare di decadenza dell’ing. Todde dalla carica di Presidente di Regione». Del resto, il «carattere» e la «natura» della determinazione assunta dal Collegio sarebbero «perentori» e non lascerebbero spazio alcuno al Consiglio regionale.

7.– In data 18 giugno 2025 anche il Collegio regionale di garanzia elettorale ha depositato una ulteriore memoria difensiva, replicando alle eccezioni sollevate dalla Regione.

Con riguardo al lamentato difetto di mandato difensivo, il Collegio fa notare che, a norma dell’art. 11, comma 5, lettera a), del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 (Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica), gli avvocati iscritti nell’elenco speciale dei professori universitari a tempo pieno «possono certamente assumere la difesa e la rappresentanza in giudizio delle amministrazioni dello Stato», come statuito dalla Corte di cassazione (è richiamata la sentenza delle sezioni unite civili, 12 luglio 2004, n. 12874, già citata anche dalla stessa Regione ricorrente). Inoltre, si sottolinea che l’avvocato Riccardo Fercia (difensore del Collegio regionale di garanzia elettorale), sulla base di quella «lex specialis», si troverebbe «investito del medesimo ius postulandi che la lex generalis di cui all’art. 5 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, accorda all’Avvocatura dello Stato». Pertanto, anche a voler ritenere, «per assurdo», che il Collegio regionale di garanzia elettorale sia un’amministrazione statale anche quando controlla le elezioni del Consiglio regionale, sarebbe «innegabile» che l’organo si è avvalso di un difensore «che, per lex specialis, può certamente assumere la difesa e la rappresentanza in giudizio di un’Amministrazione dello Stato». Da un altro precedente della Corte di cassazione, del resto, si trarrebbe il principio per cui «gli iscritti nell’elenco speciale, avendo "la qualità necessaria per esercitare l’ufficio di difensore con procura presso il giudice adito” (art. 86 cod. proc. civ. e 22, comma 3, cod. proc. amm.), sia pure solo per gli enti pubblici, siano de plano abilitati anche alla difesa di sé stessi».

Quanto al mancato deposito, nel presente giudizio costituzionale, della deliberazione del 3 aprile 2025, con la quale il Collegio regionale di garanzia elettorale aveva conferito il mandato difensivo all’avvocato Riccardo Fercia – mancato deposito che costituisce oggetto di precisa eccezione di inammissibilità, sollevata dalla Regione ricorrente con la memoria su cui si è prima riferito – si replica che ciò sarebbe dipeso da una «inerzia omissiva» della funzionaria verbalizzante, che non avrebbe provveduto a redigere il relativo verbale. Peraltro, la natura di collegio perfetto dell’organo in questione si avrebbe solo quando esso procede alle valutazioni inerenti alle operazioni elettorali, mentre «nessuna norma di legge, specie con riferimento alla l. n. 515 del 1993, prevede che la sua deliberazione sia requisito costitutivo di una procura ad litem».

Si lamenta, poi, che la Regione autonoma della Sardegna, mediante la presentazione del parallelo ricorso per conflitto di attribuzione (iscritto al numero 5 reg. confl. enti del 2025), derivante dalla mozione del 12 giugno 2025 e riguardante la sentenza di rigetto emessa dal Tribunale di Cagliari, avrebbe tenuto un comportamento dilatorio, volto a ottenere, mediante il rinvio della decisione di questa Corte, una «stasi processuale».

Venendo al merito del conflitto, la parte resistente sostiene che la fonte di rango costituzionale, «che sottende la legge regionale n. 1 del 1994», sarebbe da rinvenire nell’art. 16 dello statuto di autonomia. La formulazione letterale vigente nel 1994 di tale disposizione, invero, «riservava espressamente alla legge regionale […] qualsiasi aspetto della disciplina applicabile alle elezioni per il Consiglio regionale della Sardegna». In quel momento storico, il legislatore regionale avrebbe potuto scegliere «tra la creazione di un proprio organo di controllo e l’avvalimento di un organo statale per lo svolgimento di un’attività amministrativa sua propria», finendo per optare per quest’ultima soluzione. È pur vero – osserva il Collegio – che il voto costituisce un interesse di rilievo costituzionale, «ma se si tratta del voto cui i cittadini sono chiamati per l’elezione del Consiglio regionale sardo, lo Statuto speciale, in quanto appunto norma innegabilmente costituzionale, attrae la legge e la relativa attuazione secondaria, compresi ovviamente i provvedimenti amministrativi conseguenti, nell’orbita dell’autonomia della Regione». In tale quadro, la decadenza come sanzione ripristinatoria, parallela a quella pecuniaria, rimarrebbe «tuttora disciplinata dalla lex specialis del 1994», senza essere "superata” dall’art. 22, comma 2, della legge statut. n. 1 del 2013, che si riferirebbe, in quanto lex generalis, solo alla invalidità-nullità dell’elezione per violazione della par condicio elettorale e alla decadenza per cessazione dalle funzioni. Il fatto poi che quest’ultima disposizione richiami le «leggi statali» «implicherebbe de plano l’applicazione integrale della (sola) legge n. 515 del 1993».

Emergerebbe, in ogni caso, «il palese difetto di interesse all’accoglimento della domanda formulata in questo processo, nel quale il ricorrente sostanziale è senza dubbio lo stesso soggetto che ha proposto il ricorso, basato su motivi sovrapponibili, anche davanti al Tribunale».

8.– In data 24 luglio 2025 la Regione autonoma della Sardegna ha depositato in giudizio il «Modello di dichiarazione di accettazione della candidatura alla carica di Presidente della Regione», compilato e sottoscritto da Alessandra Todde, in data 24 gennaio 2024, ai sensi dell’art. 13, comma 4, della legge della Regione Sardegna 26 luglio 2013, n. 16, recante «Organizzazione amministrativa del procedimento e delle votazioni per l’elezione del Presidente della Regione e del Consiglio regionale. Modifiche alla legge regionale 6 marzo 1979, n. 7 (Norme per l’elezione del Consiglio regionale)».

Nel modello si legge la dichiarazione, firmata e autenticata, di Alessandra Todde di accettare la candidatura alla carica di Presidente della Regione, con riferimento alle elezioni previste per il 25 febbraio 2024, accompagnata dall’ulteriore dichiarazione della medesima «di non essersi presentat[a] quale candidato alla carica di consigliere regionale».

9.– Con memoria depositata il 25 luglio 2025 il Collegio regionale di garanzia elettorale ha replicato a tale deposito documentale, affermando che, con tali dichiarazioni, Alessandra Todde avrebbe in effetti solo accettato le regole della candidatura nel collegio unico regionale, imposte dalla legge statut. n. 1 del 2013, in specie dai suoi artt. 1, commi 3, 4 e 5, 3, comma 2, e 7, commi 1 e 2. Dal complesso delle menzionate disposizioni si ricaverebbe che, all’esito delle elezioni per il Presidente della Regione, organizzate sulla base di un collegio unico regionale, «il primo classificato diviene Presidente della Regione e Consigliere regionale; il secondo, invece, Consigliere ‘semplice’; se i candidati sono più di due, gli ulteriori classificati nel collegio unico non ottengono seggi, né a tal fine possono avvalersi dell’ipotetico ‘paracadute’ costituito dalla contestuale candidatura in una lista circoscrizionale». Con la sua seconda dichiarazione, la candidata Alessandra Todde avrebbe, dunque, accettato quest’ultima «regola», e cioè «di essere esclusa dal Consiglio regionale qualora si fosse classificata come terza».

10.– Con successiva nota, depositata il 3 agosto 2025, il Collegio regionale di garanzia elettorale ha svolto deduzioni in ordine alla ritenuta inammissibilità dell’appello interposto da Alessandra Todde contro la citata sentenza del Tribunale di Cagliari n. 848 del 2025.

Il vizio di inammissibilità dell’appello risiederebbe in ciò, che «la citazione contiene la sola critica alla sentenza, non anche la riproposizione dei motivi di opposizione all’ordinanza-ingiunzione impugnata (solo) in prime cure». L’atto di appello, infatti, «contiene i motivi di appello, ma non ripropone i motivi di ricorso, per modo che la dott.ssa Todde risulta aver impugnato l’ordinanza-ingiunzione, cioè un atto plurimotivato, solo davanti al Tribunale di Cagliari, non anche in appello». L’assunto sarebbe confermato da una sentenza del Consiglio di Stato, sezione quinta, 29 febbraio (recte: 11 marzo) 2024, n. 2335, secondo la cui massima, «in tema di impugnazione di sentenze del giudice amministrativo, l’appellante che intenda contestare una sentenza di primo grado che ha dichiarato assorbiti o rigettati i motivi del ricorso principale, ha l’onere di riproporre espressamente in appello, ai sensi dell’art. 101 comma 2 c.p.a., i motivi di censura avverso il provvedimento amministrativo originariamente impugnato, specie se trattasi di atto plurimotivato».

Si aggiunge che l’art. 101, comma 2, dell’Allegato 1 (Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), recherebbe un disposto «meno stringente dell’art. 346 cod. proc. civ., come interpretato da Cass. civ., sez. un., 21 marzo 2019, n. 7940». Infatti, mentre il primo si riferisce alle domande ed eccezioni «dichiarate assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado», il secondo impone la riproposizione, più ampiamente, di quelle «non accolte nella sentenza di primo grado»: ne conseguirebbe che l’orientamento della giurisprudenza amministrativa, di cui al pronunciamento testé ricordato, sarebbe «a fortiori applicabile anche alla decadenza di cui all’art. 346 cod. proc. civ.».

Pertanto, dovrebbe concludersi che la sentenza del Tribunale di Cagliari, «in disparte il giudicato formale, è passata in giudicato sostanziale, con tutte le conseguenze del caso».

11.– Con ulteriore nota difensiva, depositata il 4 agosto 2025, lo stesso Collegio ha offerto in comunicazione l’atto di appello presentato da Alessandra Todde contro la sentenza n. 848 del 2025 del Tribunale di Cagliari e la comparsa di risposta, con appello incidentale, del medesimo Collegio regionale di garanzia elettorale.

12.– Con memoria depositata il 29 agosto 2025 l’Avvocatura generale dello Stato, per conto del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro della giustizia, ha svolto ulteriori difese in replica alle argomentazioni della Regione ricorrente.

Nel richiamare l’eccezione di carenza di legittimazione passiva degli organi dello Stato, già sollevata nella propria memoria di costituzione, la difesa erariale ribadisce la tesi – propedeutica all’eccezione di inammissibilità del ricorso – secondo cui il Collegio regionale di garanzia elettorale non avrebbe natura statale.

Si osserva, in proposito, nella memoria che la potestà legislativa regionale in materia di diritto di voto – oggi avente natura concorrente, ai sensi dell’art. 122, primo comma, Cost. (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 151 del 2012) – per la Regione Sardegna, all’epoca dell’approvazione della legge reg. Sardegna n. 1 del 1994, doveva ritenersi "primaria” o "piena”, e ciò «sulla base di specifiche disposizioni Statutarie della Sardegna» (è menzionato l’art. 16 dello statuto speciale, nella formulazione vigente nel 1994). Del resto, la materia «sistema di elezione» sarebbe tale da ricomprendere anche la disciplina concernente le campagne elettorali per il rinnovo dei Consigli regionali e il rimborso, ove previsto, delle spese sostenute dai movimenti e partiti politici, come chiarito da questa Corte nella sentenza n. 151 del 2012. L’autonomia sarda in materia si sarebbe espressa mediante le previsioni della legge reg. Sardegna n. 1 del 1994, la quale non potrebbe essere intesa come norma meramente ricognitiva delle funzioni (statali) di vigilanza e di applicazione delle sanzioni (che l’art. 20 della legge n. 515 del 1993 affida al Collegio regionale di garanzia elettorale).

Viene richiamato, a supporto, l’art. 79 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 18 dicembre 2007, n. 28 (Disciplina del procedimento per la elezione del Presidente della Regione e del Consiglio regionale), che ha istituito, al comma 1, l’organo denominato «Collegio regionale di garanzia elettorale» presso il Consiglio regionale, prevedendo, al comma 2, che esso sia costituito «con decreto del Presidente della Regione» e attribuendogli, quanto alle elezioni regionali, le funzioni di controllo spettanti «al Collegio "strutturalmente statale” costituito presso la Corte di Appello di Trieste». Ciò, a giudizio della difesa statale, confermerebbe «che, in materia, le Regioni hanno "potestà di scelta”»: anche la Regione autonoma della Sardegna «avrebbe potuto istituire un organo "ad hoc” di Garanzia», rimanendo peraltro libera di avvalersi (come ha fatto) del Collegio strutturalmente incardinato presso la Corte d’appello di Cagliari per l’esercizio della funzione di controllo sui rendiconti dei candidati alle elezioni del consiglio regionale.

Ne deriverebbe conferma che il Collegio regionale di garanzia elettorale, pur insediato presso la Corte d’appello di Cagliari, «svolge funzioni come organo della Regione Sardegna, in quanto il suo ruolo di controllo sui rendiconti delle spese elettorali dei candidati al Consiglio regionale è stato espressamente attribuito dalla Legge regionale n. 1 del 1994, e non da una fonte statale». Detto Collegio integrerebbe, pertanto, «un organo della Regione Sardegna per fondamento normativo regionale diretto»: infatti, esso «opera nell’ambito delle elezioni regionali e, non da ultimo, è finanziato attraverso un apposito capitolo del bilancio regionale come previsto dalla stessa L.R. n. 1/1994, art. 4, comma 3» (aspetto, quest’ultimo, che confermerebbe la sua dipendenza anche «finanziaria» dall’amministrazione regionale, «secondo il principio per cui "ubi onus ibi potestas”»).

13.– Con memoria, depositata il 3 settembre 2025, anche la ricorrente Regione autonoma della Sardegna è tornata a svolgere difese.

La Regione, anzitutto, critica la tesi – sostenuta dalla difesa statale – secondo cui, all’epoca dell’approvazione della legge reg. Sardegna n. 1 del 1994, la potestà legislativa rimessa alla Regione Sardegna, nella materia elettorale, doveva considerarsi "primaria” o "piena”. Al contrario, secondo la ricorrente, si trattava di una competenza solo "ripartita”, come anche sostenuto dalla dottrina dell’epoca e come, anche, sarebbe confermato dalla sentenza n. 26 del 1965 di questa Corte.

Tali profili, peraltro, risulterebbero intrecciati con il «problema del rapporto tra ruolo statale e ruolo regionale nella tutela dei diritti politici fondamentali». In tale contesto andrebbe collocata la disciplina in materia di spese elettorali (e delle connesse funzioni di vigilanza), che costituirebbe «esplicazione di una funzione preordinata alla tutela di un interesse pubblico unitario di pregnante rilievo costituzionale, in quanto rivolta alla protezione del diritto di voto». Inconferente, al riguardo, sarebbe la sentenza (invocata dalla difesa erariale) n. 115 del 2012 (recte: 151 del 2012), che ha riguardato le sole regioni a statuto ordinario. Tale pronuncia avrebbe sottolineato l’ampiezza della nozione «sistema di elezione» (di cui all’art. 122 Cost.) non certo per riconoscere un’estesa competenza elettorale in favore delle regioni, ma solo «allo scopo di accreditare la particolare pervasività dei principi fondamentali di legge statale in materia di elezioni regionali».

Inconferente sarebbe, altresì, il richiamo all’art. 79 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 28 del 2007, dal cui dettato «non possono certo trarsene conclusioni in ordine alla validità del contenuto di una legge di altra Regione ovvero in ordine alla corretta delimitazione del suo ambito di competenza». Peraltro, la richiamata legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in quanto «statutaria», non potrebbe essere paragonata alla legge reg. Sardegna n. 1 del 1994, che è precedente alla riforma statutaria del 2001, dovendosi considerare che, secondo la Regione, nella presente sede si discute unicamente di ciò che il legislatore avrebbe potuto prevedere nella vigenza della precedente forma di governo regionale.

In definitiva, andrebbe ribadito che «il legislatore sardo del 1994 non avrebbe potuto attribuire legittimamente le funzioni di vigilanza sulle spese elettorali a organo diverso dal CRGE istituito dal legislatore statale», con conseguente conferma della natura statale di detto organo.

14.– Ancora in data 3 settembre 2025, anche il Collegio regionale di garanzia elettorale presso la Corte d’appello di Cagliari ha depositato una memoria difensiva.

Nella memoria si spendono argomenti a sostegno della tesi (da ultimo sostenuta nelle difese dell’Avvocatura dello Stato) secondo cui la potestà legislativa della Regione autonoma della Sardegna, nella materia delle elezioni regionali, dovrebbe considerarsi "primaria” o "piena”. In proposito viene sottolineata la particolarità del precedente di cui alla sentenza di questa Corte n. 26 del 1965 (invocato dalla Regione ricorrente) e si sottolinea che il regime di rendicontazione delle spese dei candidati e dei partiti, con riguardo alle elezioni regionali, deve essere ricompreso – in base alla sentenza n. 151 del 2012 – nel «sistema di elezione» delle regioni a statuto ordinario: dovrebbe quindi dedursi che «a fortiori la competenza esclusiva che l’art. 16 dello Statuto sardo riconosceva alla ricorrente ricomprende […] anche quella specifica area della materia», con conseguente "copertura” della legge reg. Sardegna n. 1 del 1994. Nel previgente ordinamento costituzionale delle regioni, la Regione autonoma della Sardegna, ai sensi dell’art. 16 del proprio statuto speciale, «ben poteva, in quel momento storico, non solo legiferare per evitare l’integrale applicazione supplettiva delle norme statali […], ma anche […] scegliere tra la creazione di un proprio organo di controllo (come ha fatto appunto il Friuli Venezia Giulia nel 2007) e l’avvalimento di un organo statale per lo svolgimento di un’attività amministrativa sua propria».

Ribadita, poi, la natura amministrativa del Collegio regionale di garanzia elettorale, la memoria torna a sostenere la tesi dell’«avvalimento»: l’inammissibilità del ricorso per conflitto conseguirebbe «de plano al fatto che l’Autorità viene in rilievo, per le elezioni regionali, come organo di rango regionale per avvalimento disposto dall’art. 4 della legge regionale n. 1 del 1994».

Considerato in diritto

1.– La Regione autonoma della Sardegna (reg. confl. enti n. 2 del 2025) ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato (e, per esso, della Presidenza del Consiglio dei ministri), del Collegio regionale di garanzia elettorale presso la Corte d’appello di Cagliari e del Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro tempore, in relazione all’ordinanza-ingiunzione, emessa in data 20 dicembre 2024 dal medesimo Collegio, chiedendo che questa Corte dichiari che non spettava allo Stato e, per esso, al menzionato Collegio, «imporre "la decadenza dalla carica del candidato eletto” a Presidente della Regione, e disporre con "ordinanza/ingiunzione al Presidente del Consiglio Regionale … l’adozione del provvedimento di decadenza di Todde Alessandra dalla carica di Presidente della Regione Sardegna”», e che, per l’effetto, annulli in parte qua la menzionata ordinanza-ingiunzione.

1.1.– La ricorrente lamenta «profili di menomazione» delle proprie attribuzioni, come derivanti dagli artt. 15, 35 e 50 dello statuto speciale di autonomia, dagli artt. 97 e 122 Cost. e dagli artt. 1 e 22 della legge statut. n. 1 del 2013. L’imposizione della decadenza del Presidente eletto, infatti, implicherebbe altresì, in base agli artt. 35 e 50 dello statuto speciale, «la dissoluzione anticipata del Consiglio regionale in virtù del dispositivo aut simul stabunt aut simul cadent, con conseguente indizione di nuove elezioni presidenziale e consiliare e con effetti, perciò, irreversibili sulla permanenza in carica di tutti gli altri consiglieri regionali, oltre che del Presidente e della Giunta regionale». Da ciò sarebbe apprezzabile, assieme al «tono costituzionale» del presente conflitto, lo sviamento dei poteri attribuiti al Collegio regionale di garanzia elettorale, derivante da plurime violazioni di legge, le quali vengono articolate in tre diversi motivi di censura.

La Regione ravvisa, anzitutto, un vizio di comunicazione, ai sensi dell’art. 15, comma 10, della legge n. 515 del 1993, che impone al Collegio regionale di garanzia elettorale di dare «comunicazione dell’accertamento definitivo delle violazioni di cui ai commi 7, 8 e 9 al Presidente della Camera di appartenenza del parlamentare, la quale pronuncia la decadenza ai sensi del proprio regolamento». Rileva, al riguardo, la ricorrente che la comunicazione della ordinanza in questione, al pari dello stesso provvedimento, nel delineare le violazioni accertate e il relativo regime sanzionatorio, ha richiamato solo il comma 7 dell’art. 15, «senza fare alcun cenno ai commi 8 e 9», gli unici che – a giudizio della Regione ricorrente – individuerebbero le fattispecie di decadenza del candidato eletto. Il comma 7, invece, richiama, in modo generico, la «violazione delle norme che disciplinano la campagna elettorale» e, quindi, non sarebbe una norma che individua una causa di decadenza precisa.

Sotto altro profilo, il ricorso lamenta la mancanza dei presupposti per la dichiarazione di decadenza. Nessuna delle contestazioni rivolte al candidato eletto, invero, ricadrebbe nelle fattispecie indicate dai commi 8 e 9 dell’art. 15 della legge n. 515 del 1993, uniche disposizioni che prevedono ipotesi di decadenza. Si fa notare che, anzi, in un passaggio della motivazione, l’ordinanza ha affermato che «non è stato affatto contestato alla Todde il mancato deposito della dichiarazione di spesa e rendiconto» (fattispecie che è delineata, come causa di decadenza, dal comma 8 dell’art. 15), ma solo «l’anomalia derivante dalla non conformità della dichiarazione di spesa e rendiconto da lei stessa presentata».

Infine, il ricorso censura l’erroneità del presupposto interpretativo in cui sarebbe incorso l’organo collegiale. Il provvedimento impugnato ha fatto applicazione della disciplina sui limiti e sulla pubblicità delle spese elettorali dei candidati, con le relative previsioni decadenziali, di cui, rispettivamente, agli artt. 7 e 15 della legge n. 515 del 1993, come richiamati, quanto alle elezioni regionali, dagli artt. 3, comma 1, e 5, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 1 del 1994. Tuttavia, le richiamate disposizioni regionali, che si riferiscono alle sole elezioni dei consiglieri regionali, non sarebbero applicabili alla fattispecie per cui è causa, riguardante la diversa elezione del Presidente della Regione, il quale non è un consigliere regionale elettivo, ma viene eletto in seno ad altro organo della Regione (il Presidente, per l’appunto) e solo in tale veste entra a far parte del Consiglio regionale.

La non applicabilità delle previsioni della citata legge reg. Sardegna n. 1 del 1994 troverebbe conferma nell’espressa previsione dell’art. 22, comma 2, della legge statut. n. 1 del 2013, che, per la disciplina della materia delle ineleggibilità e incompatibilità, rinvia alle «leggi statali». Tale richiamo normativo non consentirebbe di ritenere applicabile né, in radice, la legge regionale del 1994 né, in seconda battuta, gli stessi artt. 7 e 15 della legge n. 515 del 1993, atteso che quest’ultima ha espressamente indicato quali delle proprie disposizioni sono applicabili anche alle elezioni regionali (art. 20), non includendovi quelle appena menzionate.

1.2.– Per l’ipotesi in cui si dovesse considerare applicabile alla presente fattispecie l’art. 15, comma 7, della legge n. 515 del 1993, come ha fatto il Collegio regionale di garanzia elettorale, e si dovesse interpretare tale disposizione come recante un’autonoma fattispecie di decadenza, che si aggiunge a quelle indicate dai commi 8 e 9 del medesimo art. 15, la Regione ricorrente ha prospettato in via subordinata una questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto il medesimo comma 7, chiedendo a questa Corte di autorimetterla al proprio vaglio. Tale questione avrebbe «certamente» rilevanza ai fini del decidere, in quanto, se la norma in questione fosse dichiarata costituzionalmente illegittima, «risulterebbe acclarato che non spettava allo Stato […] dichiarare la decadenza della Ing. Todde».

I riscontrati profili di illegittimità costituzionale deriverebbero dalla violazione del principio di ragionevolezza, ex art. 3, primo comma, Cost., del principio di legalità, ex artt. 25 e 97 Cost., del diritto di difesa, ex art. 24 Cost., e del diritto di elettorato passivo («artt. 48 e 2 Cost.»), nonché dalla lesione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 CEDU e all’art. 47 CDFUE. Ciò, anzitutto, per indeterminatezza della fattispecie sanzionatoria, in quanto la norma, con il generico richiamo alle violazioni della disciplina sulla campagna elettorale, «non consente al destinatario del precetto di avere reale cognizione di quale sia la condotta esigibile per non cadere nell’ipotesi sanzionata». In secondo luogo, quella in esame non potrebbe essere ricondotta al catalogo delle cause di ineleggibilità (pur se così definita dalla disposizione censurata), perché si riferisce a una condizione personale non preesistente all’elezione e nemmeno tale da condizionare la libera manifestazione del consenso degli elettori.

1.3.– In via ulteriormente subordinata, la Regione ricorrente deduce l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 7, della legge n. 515 del 1993 nella parte in cui stabilisce che l’accertata violazione delle norme sulla campagna elettorale «costituisce causa di ineleggibilità», anziché «costituisce causa di ineleggibilità sopravvenuta», e nella parte in cui prevede che tale accertamento «comporta la decadenza dalla carica del candidato eletto nei casi espressamente previsti nel presente articolo con delibera della Camera di appartenenza», anziché «comporta la decadenza dalla carica del candidato eletto nei casi espressamente previsti nel presente articolo ove non rimossa nel ragionevole termine assegnato a seguito di contestazione effettuata con delibera della Camera di appartenenza».

Il denunziato vulnus costituzionale discenderebbe, in questo caso, dalla violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza, di cui all’art. 3, primo comma, Cost., del principio di legalità («ex artt. 25 e 97 Cost.»), nonché dalla violazione degli artt. 2 e 48 Cost. e, quale «fonte interposta contenente principi generali ex art. 122, primo comma, Cost.», dalla lesione dell’art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 165 del 2004.

A giudizio della Regione, quella in esame configurerebbe una causa di ineleggibilità «sopravvenuta» e, come tale, andrebbe collocata nel novero delle cause di incompatibilità, delle quali dovrebbe mutuare il regime giuridico.

2.– Vanno affrontate, preliminarmente, le eccezioni, sollevate dalla Regione autonoma della Sardegna, in ordine all’inammissibilità della costituzione, nel presente giudizio, del Collegio regionale di garanzia elettorale.

La ricorrente deduce anzitutto il difetto di mandato difensivo, in quanto, si fa notare, l’organo resistente si è avvalso della difesa di un avvocato del libero foro, in violazione della regola che, per la difesa in giudizio delle amministrazioni dello Stato, anche se organizzate ad ordinamento autonomo, stabilisce il patrocinio obbligatorio dell’Avvocatura dello Stato (art. 1 del r.d. n. 1611 del 1933).

Un ulteriore profilo di inammissibilità sarebbe da ravvisare nella mancanza della delibera collegiale di autorizzazione alla costituzione in giudizio e di conferimento del relativo mandato al difensore. Rileva, al riguardo, la Regione che tale delibera non risulta depositata in giudizio. Ancora, si eccepisce che il mandato speciale del difensore è stato conferito solo dal Presidente pro tempore del Collegio regionale di garanzia elettorale e non anche dall’organo collegialmente.

2.1.– Nessuna di tali eccezioni è fondata.

2.1.1.– Deve premettersi che, a norma dell’art. 27 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, nei giudizi per conflitto di attribuzione tra Stato e regioni il ricorso deve essere notificato, oltre che al Presidente del Consiglio dei ministri o al Presidente della Giunta regionale, anche «all’organo che ha emanato l’atto, quando si tratti di autorità diverse da quelle di Governo e da quelle dipendenti dal Governo». Nel caso di specie, pertanto, il Collegio regionale di garanzia elettorale, in quanto organo che ha emanato l’atto oggetto del presente giudizio e che si distingue e non è dipendente dal Governo (su questo profilo, si tornerà più avanti, al punto 4), ne configura una parte necessaria, che va messa nelle condizioni «di fare valere le ragioni della legittimità dell’atto impugnato, da ess[a] adottato, in via autonoma dal resistente Presidente del Consiglio dei ministri» (sentenze n. 43 del 2019 e n. 252 del 2013).

A norma dell’art. 37, ultimo comma, della legge n. 87 del 1953, gli organi dello Stato, quando sono parte di conflitti di attribuzione tra poteri, possono essere difesi e rappresentati da liberi professionisti abilitati al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori e possono anche limitarsi a comparire – e costituirsi – personalmente. Tale previsione, pur non direttamente riferita ai giudizi per conflitto di attribuzione fra Stato e regioni (per i quali essa, invero, non è richiamata, nel novero delle norme applicabili, dall’art. 41 della legge n. 87 del 1953), esprime una regola che la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto valida anche per questa tipologia di conflitti, in ordine ai quali si è affermato che «un organo dello Stato, dotato di autonomia, possa essere difeso – oltre che dall’Avvocatura generale dello Stato (come nel giudizio di cui alla sentenza n. 2 del 2007) – anche da avvocati del libero foro […] non diversamente che nei giudizi per conflitto tra poteri dello Stato» (sentenza n. 43 del 2019, punto 2.2. del Considerato in diritto).

Trova, infatti, applicazione «il canone generale dell’art. 20 della legge n. 87 del 1953» (sentenza n. 43 del 2019), secondo cui nei procedimenti dinanzi a questa Corte la rappresentanza e la difesa delle parti può essere affidata soltanto ad avvocati abilitati al patrocinio innanzi alla Corte di cassazione (primo comma), con la precisazione che «[g]li organi dello Stato e delle Regioni hanno diritto di intervenire in giudizio» (secondo comma) e che «Il Governo […] è rappresentato e difeso dall’Avvocato generale dello Stato» (terzo comma). Nel caso odierno assume rilievo, in particolare, il dettato del secondo comma – da coordinarsi con quello del primo e del terzo comma – il quale reca «una previsione generale volta a regolare esclusivamente la rappresentanza e difesa nel giudizio davanti alla Corte, stabilendo che – a differenza di quanto è previsto per il Governo, rappresentato dall’Avvocato generale dello Stato (terzo comma), e per le altre parti, le cui rappresentanza e difesa possono essere affidate soltanto ad avvocati abilitati al patrocinio innanzi alla Corte di cassazione (primo comma) – per gli organi dello Stato e delle Regioni non è richiesta una difesa professionale» (sentenza n. 163 del 2005; in precedenza, anche sentenza n. 350 del 1998).

Deve concludersi che, anche quanto ai giudizi per conflitto di attribuzione tra Stato e regioni, la legge ha introdotto una deroga alla regola generale, altrimenti valida per tutte le amministrazioni dello Stato, del patrocinio obbligatorio dell’Avvocatura dello Stato, di cui all’art. 1 del r.d. n. 1611 del 1933. Limitatamente al processo costituzionale, tale regola è mantenuta solo per l’intervento in giudizio del Governo, nella persona del Presidente del Consiglio dei ministri o di un ministro a ciò delegato (art. 20, terzo comma, della legge n. 87 del 1953), mentre, per tutte le altre amministrazioni statali, la difesa può essere affidata ad avvocati del libero foro, purché abilitati al patrocinio innanzi alla Corte di cassazione (art. 20, primo comma), fermo restando che gli organi dello Stato e delle regioni possono avvalersi anche della difesa personale (come deriva dal secondo comma).

L’eccezione che ha rilevato il difetto di mandato difensivo in capo al Collegio regionale di garanzia elettorale per la mancanza di rappresentanza e di difesa tecnica dell’Avvocatura generale dello Stato, pertanto, non è fondata.

2.1.2.– In relazione all’ulteriore profilo di non ritualità della costituzione in giudizio dell’organo collegiale resistente, eccepito dalla Regione autonoma della Sardegna – e riferito alla presunta inesistenza di una deliberazione del medesimo organo avente ad oggetto la sua costituzione in giudizio e il conferimento del mandato all’avvocato Riccardo Fercia – occorre anzitutto dare atto della mancanza, tra i documenti depositati dalle parti, della delibera di autorizzazione.

Come correttamente rilevato dalla ricorrente, nella procura speciale sottoscritta dalla Presidente pro tempore del Collegio e rilasciata all’avvocato Riccardo Fercia in data 4 aprile 2025 viene espressamente richiamata «la deliberazione del Collegio in data 3 aprile 2025». Va poi rilevato che il deposito della delibera di autorizzazione non è necessario, nei giudizi per conflitto di attribuzione tra Stato e regioni, per le parti diverse dal Presidente della Giunta regionale, l’unico nei cui confronti l’art. 39, terzo comma, della legge n. 87 del 1953 compie un riferimento a tale incombente. Infatti, le Norme integrative, all’art. 27, comma 4, stabiliscono che «[l]a parte resistente si costituisce in giudizio a norma dell’art. 26, comma 4», richiamando in tal modo il solo onere del «deposito con modalità telematica di un atto contenente le controdeduzioni e le conclusioni». Nessuna delle menzionate disposizioni, dunque, richiede il deposito della delibera di autorizzazione.

Pertanto, deve concludersi che l’eccezione spiegata dalla Regione autonoma della Sardegna non è fondata nemmeno con riguardo al profilo appena esaminato.

2.1.3.– Infine, quanto all’ulteriore rilievo mosso dalla ricorrente, avente ad oggetto la lamentata irritualità del mandato difensivo, rilasciato, in favore del difensore dell’organo resistente, con atto non collegiale ma proveniente dal solo Presidente del Collegio, si osserva che quest’ultimo, in quanto rappresentante legale del Collegio, aveva il potere di eseguirne la volontà, come derivante dalla deliberazione del 3 aprile 2025, e di provvedere, per l’effetto, al materiale conferimento dell’incarico defensionale.

2.2.– In definitiva, le eccezioni processuali della Regione autonoma della Sardegna, riferite alla costituzione in giudizio dell’organo che ha emanato l’atto impugnato, devono essere respinte in quanto non fondate, con conseguente ammissibilità della costituzione in giudizio del Collegio regionale di garanzia elettorale e ritualità della difesa da esso spiegata.

3.– Sempre in via preliminare, occorre considerare l’eccezione con la quale l’Avvocatura generale dello Stato ha rilevato il difetto di legittimazione a resistere, nel presente giudizio, sia della Presidenza del Consiglio dei ministri, sia del Ministro della giustizia, autorità alle quali la Regione autonoma della Sardegna ha notificato il proprio ricorso.

3.1.– L’eccezione è fondata solo con riguardo all’evocazione in giudizio del Ministro della giustizia.

Fermo restando che il Ministro della giustizia non può, in linea di principio, essere parte di un conflitto tra Stato e regioni, viene in rilievo, nuovamente, il disposto dell’art. 27 delle Norme integrative, a norma del quale il ricorso per conflitto di attribuzione tra Stato e regioni deve essere notificato, oltre che al Presidente del Consiglio dei ministri o al Presidente della Giunta regionale, anche «all’organo che ha emanato l’atto, quando si tratti di autorità diverse da quelle di Governo e da quelle dipendenti dal Governo». Non pare dubbio, nel presente caso, che l’atto impugnato è stato emanato da un’autorità, il Collegio regionale di garanzia elettorale istituito presso la Corte d’appello di Cagliari, che si distingue dal Governo e non è dipendente da esso.

I Collegi regionali di garanzia elettorale, infatti, in base a quanto prevede la fonte che li ha istituiti (art. 13 della legge n. 515 del 1993), operano presso la corte d’appello o, in mancanza, presso il tribunale del capoluogo di ciascuna regione e sono composti, rispettivamente, dal Presidente della corte d’appello o del tribunale, che lo presiede, e da altri sei membri nominati dal medesimo Presidente per un periodo di quattro anni rinnovabile una sola volta. I componenti, anche quelli supplenti, sono nominati, per la metà, tra i magistrati ordinari e, per la restante metà, tra coloro che siano iscritti da almeno dieci anni all’albo dei dottori commercialisti o tra i professori universitari di ruolo in materie giuridiche, amministrative o economiche (art. 13, comma 1). Per l’espletamento delle sue funzioni il Collegio si avvale del personale in servizio presso la cancelleria della corte d’appello o del tribunale e può chiedere, ai competenti uffici pubblici, tutte le notizie utili per gli accertamenti da svolgere. A quest’ultimo fine, peraltro, il Collegio si avvale anche dei servizi di controllo e vigilanza dell’amministrazione finanziaria dello Stato (art. 13, comma 3). I componenti del Collegio non appartenenti alla magistratura hanno diritto, per ciascuna seduta cui prendano parte, alla corresponsione di un’indennità di presenza il cui ammontare è definito con decreto adottato dal Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze (art. 13, comma 4).

Con le richiamate disposizioni, i Collegi regionali di garanzia elettorale sono stati strutturati secondo «uno schema non certo inedito, che vede in materia elettorale la costituzione di organi amministrativi presso il giudice ordinario», senza che ciò abbia comportato, come osservato da questa Corte, «che i Collegi medesimi siano inseriti nell’apparato giudiziario, evidente risultando la carenza, sia sotto il profilo funzionale sia sotto quello strutturale, di un nesso organico di compenetrazione istituzionale che consenta di ritenere che essi costituiscano sezioni specializzate degli uffici giudiziari presso cui sono istituiti» (sentenza n. 387 del 1996). Nondimeno, questa Corte ha riconosciuto che, mediante le descritte modalità di composizione e funzionamento, i Collegi risultano «costituit[i] in modo da assicurare una certa indipendenza e chiamat[i] ad applicare in modo obiettivo una regola giuridica»: la legge n. 515 del 1993, proprio per «bilanciare la scelta di non attribuire invece alla giurisdizione, ordinaria o amministrativa, la corrispondente attività di accertamento e sanzionatoria», ha infatti inteso «accentuare le caratteristiche di terzietà nella fase procedimentale del controllo» nella delicata materia delle spese della campagna elettorale (ancora, sentenza n. 387 del 1996).

Come, dunque, questa Corte ha già escluso che gli organi de quibus siano appartenenti all’apparato giudiziario, deve parimenti escludersi che essi, in quanto autorità amministrative, siano incardinati, secondo il rapporto di dipendenza richiamato dall’art. 27, comma 2, delle Norme integrative, presso il Ministero della giustizia. Essi, piuttosto, proprio per la natura dell’attività svolta, costituiscono un’autorità autonoma e dotata del carattere dell’indipendenza dall’esecutivo, che si avvale di professionalità non appartenenti ad uffici ministeriali (magistrati, dottori commercialisti e professori universitari), la cui nomina è rimessa al Presidente del Collegio medesimo e non al Ministro o ad altro funzionario ministeriale. Le funzioni svolte dal Collegio, del resto, non sono proprie del Ministero della giustizia e, a diverse conclusioni, non può condurre, evidentemente, la mera circostanza di fatto che, per l’espletamento di dette funzioni, l’organo si avvalga del personale in servizio presso la cancelleria della corte d’appello o del tribunale. Né, infine, assume rilievo il fatto che la legge n. 515 del 1993 abbia rimesso alla competenza del Ministro della giustizia la definizione delle indennità di presenza, peraltro limitatamente ai componenti non appartenenti alla magistratura, trattandosi di un profilo meramente esterno rispetto alle funzioni esercitate dall’organo, tale da non integrare le caratteristiche del richiesto rapporto di dipendenza rispetto all’amministrazione ministeriale.

Il conflitto proposto dalla Regione nei confronti del Ministro della giustizia, irritualmente chiamato nel presente giudizio in quanto privo di legittimazione passiva, deve pertanto essere dichiarato inammissibile (sentenza n. 198 del 2017).

3.2.– Non altrettanto è a dirsi quanto al Presidente del Consiglio dei ministri, che – sul presupposto della natura statale dell’organo di controllo, su cui più avanti si tornerà – è stato chiamato nel presente giudizio in modo coerente con la prescrizione dell’art. 27, comma 1, delle Norme integrative, ossia in veste di organo rappresentativo dello Stato, quest’ultimo, naturalmente, inteso, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, «non come persona giuridica, bensì come sistema ordinamentale (sentenza n. 72 del 2005) complesso e articolato, costituito da organi, con o senza personalità giuridica, ed enti distinti dallo Stato in senso stretto, ma con esso posti in rapporto di strumentalità in vista dell’esercizio, in forme diverse, di tipiche funzioni statali» (ex plurimis, sentenze n. 259 del 2019 e n. 31 del 2006).

L’eccezione di difetto di legittimazione passiva, sollevata dalla difesa erariale, non è dunque fondata limitatamente all’evocazione in giudizio del Presidente del Consiglio dei ministri.

4.– Quanto appena osservato in merito all’inesistenza di un rapporto di dipendenza del Collegio regionale di garanzia elettorale rispetto al Ministero della giustizia non esaurisce, peraltro, la disamina in ordine alla sua natura giuridica, disamina che – alla luce delle eccezioni spiegate dalle parti resistenti – assume un peso determinante in punto di ammissibilità dell’odierno conflitto.

Sia l’Avvocatura dello Stato, sia la difesa del Collegio regionale di garanzia elettorale, infatti, hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso per difetto di alterità soggettiva tra la ricorrente (Regione autonoma della Sardegna) e l’organo che ha emanato l’atto (per l’appunto, il menzionato Collegio), sostenendo che quest’ultimo non rientrerebbe nel sistema ordinamentale dello Stato ma, piuttosto, in quello proprio della Regione autonoma della Sardegna.

4.1.– L’eccezione non è fondata.

Occorre, invero, ribadire che i Collegi regionali di garanzia elettorale sono stati istituiti da una legge dello Stato (art. 13 della n. 515 del 1993), che ha ad essi conferito le competenze amministrative, di controllo e sanzionatorie, quanto alle spese elettorali dei candidati per le elezioni politiche dei due rami del Parlamento (art. 14). La organizzazione di tali Collegi su base «regionale» dipende dall’originaria previsione, da parte della medesima legge n. 515 del 1993, di un Collegio centrale di garanzia, composto dal primo presidente della Corte di cassazione, o da un suo delegato scelto tra i presidenti di sezione della Corte di cassazione, e da sei membri nominati dal Primo Presidente della stessa Corte secondo i criteri di cui al richiamato art. 13. Al Collegio centrale era riservato il compito di decidere sui ricorsi contro le decisioni dei Collegi regionali, secondo quanto previsto dall’art. 14, comma 5, della legge n. 515 del 1993. Quest’ultima disposizione è stata poi abrogata dall’art. 1 della legge 31 dicembre 1996, n. 672 (Disposizioni in materia di documentazione delle spese elettorali), con la conseguenza che, allo stato attuale, l’attività di controllo sulle spese elettorali è demandata ai soli Collegi regionali, istituiti nel capoluogo di ciascuna regione.

Peraltro, la legge n. 515 del 1993 non aveva esteso alle elezioni regionali l’attività dei Collegi di garanzia. Infatti, il suo art. 20, nell’individuare quali disposizioni della medesima legge fossero applicabili anche alle «elezioni dei consigli delle regioni a statuto ordinario e, in quanto compatibili, delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano» (comma 1), non vi aveva incluso gli artt. 13 e 14. Il regime vigente per le regioni a statuto ordinario è stato poi delineato dalla legge 23 febbraio 1995, n. 43 (Nuove norme per la elezione dei consigli delle regioni a statuto ordinario), il cui art. 5, comma 4, alle lettere e) ed f), ha espressamente stabilito l’applicazione degli artt. 13 e 14 della legge n. 515 del 1993 anche all’elezione dei consigli regionali.

La Regione autonoma della Sardegna, in quanto dotata di autonomia speciale, è intervenuta ad esercitare la propria competenza nella materia elettorale – come prevista dall’art. 16 del proprio statuto speciale, nella formulazione all’epoca vigente a seguito della sostituzione introdotta con l’articolo unico della legge costituzionale 9 maggio 1986, n. 1 (Modifica dell’articolo 16 dello statuto speciale per la Sardegna, approvato con la legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, concernente la definizione del numero dei consiglieri regionali) – e, già con l’art. 4 della legge regionale n. 1 del 1994, ha stabilito di affidare le funzioni in materia di spese elettorali, riferite all’elezione dei consiglieri regionali, al medesimo organo di controllo istituito dalla legge statale n. 515 del 1993, mediante un rinvio ai suoi artt. 13 e 14. Non si è dunque trattato né dell’istituzione di un nuovo organo regionale, né dell’avvalimento di un organo dello Stato per l’esercizio di funzioni regionali (come sostenuto, nel presente giudizio, dalle parti resistenti), ma semplicemente della scelta di consentire, nel proprio territorio, l’applicazione della legge statale regolante la pubblicità e il controllo sulle spese della campagna elettorale regionale. Questa scelta – come più avanti si vedrà – è stata poi confermata, nell’attuale ordinamento regionale caratterizzato dalla contestuale elezione, a suffragio universale e diretto, del Consiglio regionale e del Presidente della Regione, dalla previsione di cui all’art. 22, comma 2, della legge statut. n. 1 del 2013.

In altri termini, il legislatore regionale sardo ha operato un mero richiamo all’istituzione, già avvenuta a livello statale, del Collegio di garanzia operante nel territorio della Sardegna, senza istituire un apposito e diverso organo amministrativo regionale.

La natura statale dell’organo, del resto, trova un’indiretta conferma nella disciplina relativa alla sua organizzazione e al suo funzionamento, che prevede – come già visto – la costituzione dei Collegi presso gli uffici del giudice ordinario e la loro composizione mediante il coinvolgimento di alcune professionalità (magistrati) il cui rapporto di lavoro è pacificamente radicato presso l’amministrazione dello Stato.

Non meno decisiva, nel senso di far emergere la natura statale dell’organo in esame, è la funzione svolta, che esprime un’esigenza unitaria dell’ordinamento, quella di sovrintendere al corretto svolgimento delle campagne elettorali al fine di assicurare la trasparenza e la legittimità delle operazioni di voto. Va ribadito che la legge n. 515 del 1993 ha strutturato i Collegi regionali di garanzia elettorale in modo da assicurare loro la necessaria indipendenza nell’attività di controllo sulle spese, secondo un «procedimento di verificazione che si attiva di ufficio, si svolge attraverso un mero riscontro dei presupposti e delle condizioni richieste dalla legge in vista dell’eventuale emanazione di un provvedimento finale privo […] della definitività» (sentenza n. 387 del 1996). L’attività di controllo demandata ai Collegi, in quanto funzionale alla corretta e oggettiva applicazione di norme riferite anche all’eleggibilità dei candidati, impatta con l’esercizio del fondamentale diritto di elettorato passivo, protetto dall’art. 51 Cost., il quale, come questa Corte ha più volte sottolineato, può sopportare solo quelle limitazioni che consentano di mantenere «un delicato punto di equilibrio con il diritto di elettorato attivo e gli interessi riconducibili alla genuinità della competizione elettorale e alla generale democraticità delle istituzioni», limitazioni che, come tali, anziché soggiacere a discipline variamente articolate nel territorio di diverse regioni, necessariamente «abbisognano di una regolamentazione ispirata a principi unitari» (sentenza n. 64 del 2025, punto 6.5. del Considerato in diritto).

Ne deriva che, limitatamente alle regioni ordinarie nonché a quelle a statuto speciale le quali (come finora accaduto per la Regione autonoma della Sardegna/ricorrente), nell’esercizio delle proprie competenze statutarie, abbiano scelto di non istituire appositi organi regionali (diversamente da quanto stabilito dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia con l’art. 79 della legge regionale n. 28 del 2007), le attività amministrative riguardanti la pubblicità e il controllo delle spese elettorali, con riferimento alle consultazioni regionali, vengono svolte dai Collegi previsti dagli artt. 13 e 14 della legge n. 515 del 1993, aventi natura statale.

4.2.– Correttamente, pertanto, la Regione autonoma della Sardegna ha evocato lo Stato e, per esso, il Presidente del Consiglio dei ministri nel presente giudizio per conflitto, avente ad oggetto la legittimità di un atto emesso da un’autorità che – per quanto si è appena illustrato e pur nell’esercizio di funzioni riguardanti lo svolgimento delle elezioni regionali – non è incardinata nell’organizzazione amministrativa della medesima Regione ma è, piuttosto, riferibile all’ampia nozione di Stato, come elaborata dalla giurisprudenza di questa Corte per i giudizi ex art. 39 della legge n. 87 del 1953.

5.– Ancora in via preliminare, occorre esaminare le eccezioni di inammissibilità del ricorso per difetto di lesione attuale e di tono costituzionale.

Le eccezioni sono state sollevate, in sede di costituzione in giudizio, dal Collegio regionale di garanzia elettorale e sono state poi approfondite con le successive memorie integrative. In particolare, la parte resistente fa notare che il giudizio cui è stata chiamata questa Corte avrebbe ad oggetto «poteri non ancora esercitati» (in quanto spettanti unicamente al Consiglio regionale) e, come tale, si tramuterebbe in «una sorta di ‘consulenza preventiva’ […] onde svincolare i consiglieri regionali in carica dalle loro responsabilità istituzionali e dal controllo della giurisdizione»: ciò che confermerebbe l’assenza attuale di alcuna lesione delle prerogative regionali.

5.1.– Neanche queste eccezioni possono essere accolte.

È certamente vero, come ricordato dal Collegio resistente, che i conflitti di attribuzione tra Stato e regioni, per essere ammissibili, devono essere connotati da tono costituzionale: è necessario, cioè, come costantemente affermato da questa Corte, che «il ricorrente lamenti una lesione delle proprie attribuzioni costituzionali (ex plurimis, sentenze n. 90 del 2022, n. 22 del 2020 e n. 28 del 2018), per effetto di un atto o di un comportamento significante, dotato di efficacia e rilevanza esterna e diretto a esprimere, in modo chiaro e inequivoco, la pretesa di esercitare una data competenza (ordinanza n. 175 del 2020), in modo tale da determinare la menomazione della sfera di attribuzione costituzionale del ricorrente (sentenza n. 259 del 2019)» (sentenza n. 173 del 2023).

Nell’odierno conflitto, nondimeno, tali coordinate sono rispettate. La Regione ricorrente, infatti, non contesta semplicemente le modalità con cui il Collegio regionale di garanzia elettorale ha svolto la propria attività amministrativa, ma revoca in dubbio, in radice, l’esistenza stessa del potere esercitato, con riferimento alla pretesa dell’organo di imporre la decadenza del Presidente della Regione e di vincolare il Consiglio regionale alla conseguente determinazione. Al contempo, la Regione afferma che l’illegittimo provvedimento dell’organo statale di controllo avrebbe invaso, menomandole, le proprie prerogative di livello costituzionale afferenti, in primis, al corretto ed ordinario funzionamento dei propri organi elettivi. Si deduce, infatti, che l’ordinanza-ingiunzione avrebbe illegittimamente imposto al Consiglio regionale di dichiarare la decadenza del Presidente della Regione, con conseguente attivazione, ai sensi dell’art. 35, terzo comma, dello statuto di autonomia, del meccanismo di dissolvenza automatico dello stesso organo rappresentativo.

5.2.– Non vi è dubbio, peraltro, che, con i dedotti motivi di illegittimità, la ricorrente abbia lamentato una lesione diretta delle proprie attribuzioni costituzionali, prodottasi a causa dell’esercizio di un potere che si assume non essere stato previsto dalla legge ovvero, pur se astrattamente previsto, che si assume essere stato esercitato oltre il perimetro consentito dalla legge. Infatti, con il secondo motivo di ricorso, si lamenta che le contestazioni avanzate dall’organo statale di controllo non sarebbero sussumibili in nessuna delle fattispecie per le quali l’art. 15 della legge n. 515 del 1993 prevede la sanzione della decadenza: ciò, sull’assunto che tali fattispecie siano rinvenibili solo nei commi 8 e 9 del medesimo art. 15, e non anche nella disposizione (indicata dal provvedimento) del comma 7, in quanto eccessivamente generica e indeterminata. Ancor più in radice, con il terzo motivo di ricorso si lamenta la mancanza di base legale del provvedimento impugnato, sostenendosi che il Collegio statale non avrebbe potuto utilizzare, per le elezioni regionali della Sardegna, il parametro costituito dalla legge n. 515 del 1993, da ritenersi ormai inapplicabile per effetto della mutata forma di governo regionale.

5.3.– Per quanto precede, deve ritenersi sussistente non solo l’interesse a ricorrere della Regione, «qualificato dalla finalità di ripristinare l’integrità della sfera di attribuzioni costituzionali» che si assumono menomate (sentenze n. 259 del 2019 e n. 265 del 2003), ma anche l’attualità della lesione, derivante dall’atto impugnato. L’adozione di quest’ultimo, infatti, è contestata in quanto esercizio illegittimo del potere di sanzionare, con la misura della decadenza, il Presidente della Regione: ciò che avrebbe di per sé già comportato un pregiudizio all’autonomia regionale, illegittimamente spogliata del proprio Presidente e, a un tempo, per effetto della regola "simul stabunt, simul cadent”, anche del proprio organo consiliare. Del resto, i termini utilizzati nella motivazione del provvedimento («si impone […] la decadenza dalla carica del candidato eletto») rendono evidente il significato da attribuire all’ultimo capo del dispositivo, ove si prescrive la trasmissione dell’ordinanza-ingiunzione al Presidente del Consiglio regionale in vista dell’«adozione» del provvedimento di decadenza. Tale prescrizione acquisisce, proprio alla luce del tenore motivazionale, i toni di un vero e proprio ordine vincolante, rivolto al Consiglio regionale, di disporre l’effetto decadenziale.

La lamentata lesione di competenza deriva dunque, immediatamente e direttamente, dall’atto impugnato (tra le tante, sentenza n. 137 del 2014), per la chiara manifestazione di volontà, in questo rinvenibile, di affermare la propria competenza nell’imporre la decadenza e di relegare quella regionale a mera attività esecutiva.

Deve, infine, precisarsi che, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, non riveste alcun rilievo la circostanza che l’ordinanza-ingiunzione emessa dal Collegio regionale di garanzia elettorale sia stata impugnata dinanzi al Tribunale di Cagliari (giudice competente a pronunciarsi sul ricorso in opposizione dell’interessata, con il rito di cui all’art. 6 del d.lgs. n. 150 del 2011). Infatti, occorre ricordare che «[l]a pendenza di un giudizio dinanzi all’autorità giurisdizionale avente come oggetto il medesimo atto impugnato in sede di conflitto di attribuzione fra enti non comporta – come questa Corte ha precisato – l’inammissibilità del conflitto, ove sussista il tono costituzionale (di recente, sentenza n. 57 del 2019)» (sentenza n. 259 del 2019, punto 5.1. del Considerato in diritto). Per le stesse ragioni non rivestono rilievo nemmeno le vicende giurisdizionali successive, inerenti al passaggio in giudicato, o meno, della sentenza di primo grado (vicende che sono state richiamate, per sostenere l’inammissibilità del ricorso, dalla difesa del Collegio regionale di garanzia elettorale). Non spetta a questa Corte, a maggior ragione, accertare nella presente sede l’eventuale prodursi del "giudicato sostanziale” sulla predetta sentenza, come irritualmente domandato, nel presente giudizio, dal Collegio regionale di garanzia elettorale (da ultimo, con la memoria depositata il 3 settembre 2025).

6.– Nel merito, il ricorso è fondato nei termini che seguono.

6.1.– Occorre prendere le mosse, in quanto questione logicamente preliminare, dalla normativa applicabile alla Regione autonoma della Sardegna in materia di pubblicità e controlli sulle spese elettorali riferite alle consultazioni regionali.

Sul punto, la Regione ricorrente – mediante il terzo motivo di censura – ha sostenuto che l’impugnata ordinanza-ingiunzione sarebbe incorsa in un erroneo presupposto interpretativo, laddove ha ritenuto applicabile la legge reg. Sardegna n. 1 del 1994. Quest’ultima, infatti, detta la disciplina per le sole elezioni dei consiglieri regionali e non anche per quella del Presidente della Regione (che configurava, all’epoca, un organo non elettivo). A giudizio della ricorrente, la non applicabilità della legge reg. Sardegna n. 1 del 1994 sarebbe confermata anche dall’espresso disposto dell’art. 22, comma 2, della legge statut. n. 1 del 2013, che, per la disciplina delle ineleggibilità e incompatibilità, rinvia alle «leggi statali»: verrebbe, in tal modo, esclusa non solo (e direttamente) la legge regionale del 1994 ma anche (indirettamente) la stessa legge n. 515 del 1993. Dovendosi infatti ritenere che quest’ultima, in quanto legge statale, sia stata richiamata dal legislatore sardo per la disciplina delle ineleggibilità e incompatibilità, l’effettivo ambito applicativo discenderebbe pur sempre dalle sue stesse previsioni le quali, all’art. 20, escludono che, per le elezioni regionali, valgano gli artt. 7 e 15, dedicati, rispettivamente, alla disciplina sostanziale sulle spese elettorali e al conseguente regime sanzionatorio. Di conseguenza, l’impugnata ordinanza-ingiunzione, che ha fatto applicazione proprio di queste due disposizioni, si svelerebbe comunque priva di base legale.

6.2.– Il ragionamento della ricorrente è solo in parte condivisibile, dovendosi affermare, per le ragioni che seguono, che il parametro normativo cui fare riferimento, per stabilire se ed entro quali limiti la legge n. 515 del 1993 sia applicabile anche alle elezioni regionali della Sardegna, è esclusivamente l’art. 22 della legge statut. n. 1 del 2013.

6.2.1.– A norma dell’art. 15, secondo comma, dello statuto di autonomia, come aggiunto dalla legge cost. n. 2 del 2001, una legge regionale della Sardegna, approvata dal Consiglio regionale con la maggioranza assoluta dei propri componenti, è chiamata, in armonia con la Costituzione e con i princìpi dell’ordinamento giuridico della Repubblica, a determinare la forma di governo della Regione e, specificatamente, per quanto in questa sede interessa, i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente della Regione.

Il vincolo della necessaria armonia con la Costituzione orienta la disciplina regionale verso le previsioni dettate dall’art. 122, primo comma, Cost. – come sostituito dall’art. 2, comma 1, della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle Regioni) – secondo cui i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale, nonché dei consiglieri regionali, «sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei princìpi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica».

La legge della Repubblica è successivamente intervenuta e ha fissato i principi fondamentali. Si tratta di quelli espressi dall’art. 2 della legge n. 165 del 2004, tra i quali, per quanto in questa sede più interessa, vi è quello della lettera d), così formulato: «attribuzione ai Consigli regionali della competenza a decidere sulle cause di ineleggibilità dei propri componenti e del Presidente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto, fatta salva la competenza dell’autorità giudiziaria a decidere sui relativi ricorsi. L’esercizio delle rispettive funzioni è comunque garantito fino alla pronuncia definitiva sugli stessi ricorsi».

6.2.2.– L’appena ricordato principio fondamentale vincola la competenza legislativa delle regioni a statuto ordinario (sentenza n. 64 del 2025) e, in quanto espressivo al contempo di un principio generale dell’ordinamento, non è privo di valenza per la Regione autonoma della Sardegna, chiamata, come già visto, ad esercitare la propria competenza primaria nella materia de qua (pertanto, anche con riguardo alla disciplina dei casi di ineleggibilità e di incompatibilità delle cariche elettive), «[i]n armonia con la Costituzione e i princìpi dell’ordinamento giuridico della Repubblica» (art. 15, secondo comma, dello statuto speciale).

Del resto, come già affermato da questa Corte, «l’esercizio del potere legislativo da parte delle Regioni in ambiti, pur ad esse affidati in via primaria, che concernano la ineleggibilità e la incompatibilità alle cariche elettive incontra necessariamente il limite del rispetto del principio di eguaglianza specificamente sancito in materia dall’art. 51 Cost.» (sentenza n. 143 del 2010).

Al tempo stesso, peraltro, questa Corte ha costantemente riconosciuto che discipline legislative differenziate possono essere ammissibili «solo in presenza di "particolari situazioni ambientali” (sentenza n. 283 del 2010) o "condizioni peculiari locali” (sentenze n. 143 del 2010 e n. 276 del 1997), o "condizioni locali del tutto peculiari o eccezionali” (sentenza n. 539 del 1990), ossia "in presenza di situazioni concernenti categorie di soggetti, le quali siano esclusive” per la regione ad autonomia speciale, "ovvero si presentino diverse, messe a raffronto con quelle proprie delle stesse categorie di soggetti nel restante territorio nazionale” (sentenza n. 288 del 2007; in termini identici, sentenza n. 108 del 1969), o, ancora, "solo per particolari categorie di soggetti che siano esclusive della Regione” (sentenza n. 189 del 1971)» (così, da ultimo, sentenza n. 60 del 2023).

Situazioni che però non possono ritenersi sussistenti nel caso di specie.

Va infatti ribadito, salve le suddette ipotesi, in chiave generale, che «la disciplina regionale d’accesso alle cariche elettive deve essere strettamente conforme ai principi della legislazione statale, a causa della esigenza di uniformità in tutto il territorio nazionale» (sentenza n. 288 del 2007), venendo in considerazione un diritto, quello di elettorato passivo protetto dall’art. 51 Cost., che assurge a «"diritto politico fondamentale, riconosciuto ad ogni cittadino con i caratteri dell’inviolabilità (ex art. 2 della Costituzione)” (sentenze n. 25 del 2008, n. 288 del 2007 e n. 539 del 1990)» (ancora, sentenza n. 143 del 2010) e che, come tale, «può essere unicamente disciplinato da leggi generali, che possono limitarlo soltanto al fine di realizzare altri interessi costituzionali altrettanto fondamentali e generali, senza porre discriminazioni sostanziali tra cittadino e cittadino, qualunque sia la regione o il luogo di appartenenza» (sentenza n. 235 del 1988).

6.2.3.– In attuazione dell’art. 15, secondo comma, del proprio statuto di autonomia, la Regione autonoma della Sardegna è intervenuta a disciplinare la materia delle ineleggibilità e delle incompatibilità con le previsioni dettate dalla legge statut. n. 1 del 2013, che vi ha dedicato il solo art. 22, recante una disciplina dichiaratamente provvisoria (e collocata, difatti, tra le «Norme transitorie» del Capo III). Il comma 2 di tale disposizione ha stabilito quanto segue: «In materia di ineleggibilità e incompatibilità, fino all’approvazione di una disciplina regionale ai sensi dell’articolo 15 dello Statuto speciale per la Sardegna, oltre a quanto previsto dallo stesso Statuto, si applicano le leggi statali».

Questa previsione ha formato oggetto di interpretazione autentica con riguardo al regime delle sole incompatibilità. L’art. 1 della legge statutaria regionale 11 settembre 2014, n. 1 (Ineleggibilità ed incompatibilità con la carica di consigliere regionale: interpretazione autentica dell’articolo 22, comma 2, della legge regionale statut. n. 1 del 2013), ha precisato che la espressione «oltre a quanto previsto dallo stesso Statuto» si interpreta nel senso che per le categorie previste dall’art. 17 dello statuto (che, al secondo comma, già contemplava ipotesi di incompatibilità per i consiglieri regionali) «è escluso ogni riferimento alla legislazione statale ed i casi di incompatibilità sono solo quelli previsti dal medesimo articolo 17».

Quanto invece ai casi di ineleggibilità, in mancanza di analogo intervento chiarificatore del legislatore statutario regionale, spetta all’interprete farsi carico di intendere correttamente il senso del rinvio alle «leggi statali». Ciò, evidentemente, sul necessario presupposto che tale rinvio, per l’oggettiva ampiezza che lo caratterizza, non può non includere il richiamo, oltre che alle leggi statali dedicate alle ineleggibilità degli organi nazionali elettivi (le due Camere del Parlamento), anche a quelle che regolano la medesima materia quanto agli organi elettivi delle regioni a statuto ordinario.

Sotto un primo profilo, pertanto, il rinvio di cui all’art. 22, comma 2, della legge statut. n. 1 del 2013 va inteso nel senso che sono richiamate le leggi statali che disciplinano, ex professo, le cause di ineleggibilità per le elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, nonché per le elezioni dei consigli regionali delle regioni a statuto ordinario. Acquisiscono quindi rilevanza, pure per la Regione autonoma della Sardegna, le ipotesi in tal senso contemplate sia dal decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), nonché dal decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica), sia dalla legge 23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al Servizio sanitario nazionale).

L’oggettiva ampiezza che caratterizza il rinvio, peraltro, suggerisce che esso – sotto altro e più particolare profilo – intenda richiamare tutte le leggi statali che prevedono cause speciali di ineleggibilità, ulteriori cioè a quelle individuate dalle fonti generali fin qui menzionate. In queste ipotesi speciali vanno annoverate anche quelle oggetto della legge n. 515 del 1993, che acquisiscono rilevanza per il presente giudizio, anche a prescindere dal fatto che si tratta di casi di ineleggibilità, comportanti decadenza, che quella legge (all’art. 20, comma 1) aveva originariamente stabilito per le sole cariche elettive del Parlamento nazionale. Infatti, l’art. 5, comma 4, della legge n. 43 del 1995 ha poi esteso quei casi anche alle regioni a statuto ordinario, stabilendo che «[a]lle elezioni dei consigli regionali delle regioni a statuto ordinario si applicano le disposizioni di cui ai seguenti articoli della legge 10 dicembre 1993, n. 515», e indicando, di seguito, anche l’art. 7, commi 3, 4 e 6 (alla lettera a), e l’art. 15, commi 7, 8 e 9 (alla lettera g).

Che tale estensione valga, adesso, anche per la Regione autonoma della Sardegna, pur dotata di autonomia statutaria, è quanto oggettivamente discende dall’art. 22 della legge statut. n. 1 del 2013. Il comma 1 dell’art. 22, infatti, richiama espressamente la legge n. 43 del 1995 per regolare, in via transitoria, ed in quanto compatibile, l’organizzazione amministrativa del procedimento e delle votazioni per l’elezione del Presidente della Regione e del Consiglio regionale. Di conseguenza, per la campagna elettorale per le elezioni del Presidente e del Consiglio regionale si applica, in quanto compatibile, anche l’art. 5, comma 4, della legge n. 43 del 1995 il quale, a propria volta, richiama gli artt. 7 e 15 della legge n. 515 del 1993. A ciò deve aggiungersi la previsione del comma 2 dell’art. 22 della legge statutaria regionale in esame, il quale conferma che, per la disciplina delle ineleggibilità, vale, sia pure transitoriamente, ed in quanto fonte statale, la legge n. 43 del 1995.

6.2.4.– Deve allora concludersi che sono applicabili anche per la elezione del Presidente della Regione autonoma della Sardegna le norme sulle spese della campagna elettorale dettate dagli artt. 7 e 15 della legge n. 515 del 1993, in modo sostanzialmente analogo a quanto aveva già previsto, nella vigenza della vecchia forma di governo regionale, la legge regionale n. 1 del 1994.

6.2.5.– Da ciò si ottiene un’ulteriore conferma di quanto poc’anzi già affermato, ossia che nella Regione autonoma della Sardegna, per scelta da attribuirsi al legislatore regionale statutario, è operante l’intero apparato di controllo chiamato ad assicurare la corretta applicazione del regime sulla pubblicità e sul controllo delle spese elettorali (apparato che la legge n. 515 del 1993 ha costruito, per le elezioni nazionali, intorno all’istituzione dei Collegi regionali di garanzia elettorale).

In tal modo la Regione, rinviandovi, ha fatto proprie le istanze di trasparenza che sono alla base della disciplina sulla campagna elettorale, come introdotta dalla legge n. 515 del 1993. Lungi dal venirsi a creare, per tale Regione, un vuoto legislativo in ordine alla pubblicità e ai controlli sulle spese dei candidati alle elezioni regionali (tesi, quest’ultima, infondatamente sostenuta, nel presente giudizio, dalla medesima Regione), deve al contrario riaffermarsi che, proprio grazie al richiamo effettuato dall’art. 22, comma 2, della legge statut. n. 1 del 2013, sono operativi, anche per le elezioni regionali sarde, gli strumenti che la legge n. 515 del 1993 ha approntato per garantire la genuinità e l’autenticità del formarsi della volontà del corpo elettorale, in una con la libertà di voto degli elettori. Pertanto, anche i «meccanismi finanziari», da quella legge «presidiati con una serie di controlli e gravati da rigidi moduli procedimentali», grazie ai quali è «possibile la divulgazione delle idee e la formazione del consenso» (sentenza n. 387 del 1996), devono ritenersi parte integrante dell’ordinamento elettorale vigente oggi nella Regione autonoma della Sardegna, ivi compresi quelli di cui agli artt. 7 e 15 della legge n. 515 del 1993. Può dunque essere esteso al legislatore statutario sardo del 2013 l’intento, che questa Corte ha già riconosciuto al legislatore statale del 1993, di «soddisfare molteplici esigenze, come quelle di contemperare la divulgazione dei programmi elettorali con la garanzia di una effettiva parità tra gruppi e candidati, di adeguare la propaganda alla logica maggioritaria del nuovo sistema, che implica il rischio di personalizzare la dialettica politica, e di rendere trasparenti i contributi, le spese nonché le situazioni patrimoniali e reddituali relative agli eletti» (sentenza n. 387 del 1996).

6.3.– Tutto ciò premesso, il ricorso è fondato nei termini che seguono.

Questa Corte ha costantemente affermato che rispetto al fondamentale diritto di elettorato passivo, «la eleggibilità costituisce la regola, mentre la ineleggibilità rappresenta una eccezione; sicché le norme che disciplinano quest’ultima sono di stretta interpretazione» (da ultimo, sentenza n. 131 del 2025, che richiama, tra le tante, la sentenza n. 120 del 2013; inoltre, anche sentenze n. 25 del 2008 e n. 306 del 2003). Ciò impone una lettura rigorosa dell’art. 15 della legge n. 515 del 1993, nel senso che le cause di ineleggibilità (e di conseguente decadenza dalla carica elettiva) sono unicamente quelle ivi delineate in modo certo ed esplicito.

La fondatezza del ricorso emerge proprio con riguardo alle modalità che, nel caso di specie, hanno segnato l’agire del Collegio regionale di garanzia elettorale; modalità difformi dalle previsioni della legge n. 515 del 1993, e non in linea con lo spirito della stessa legge.

L’ordinanza-ingiunzione ha ritenuto di rinvenire un’ipotesi decadenziale, imponendola come vincolo per il Consiglio regionale, nelle seguenti fattispecie – contestate alla Presidente eletta – di violazione delle norme della legge n. 515 del 1993: mancata nomina di un «mandatario elettorale» avente il compito di raccogliere i fondi della campagna elettorale (art. 7, comma 3, della legge n. 515 del 1993); mancata accensione di un conto corrente unico, dedicato a tutte le operazioni patrimoniali concernenti la campagna elettorale (art. 7, comma 4, della legge n. 515 del 1993); avvenuta produzione di una dichiarazione sulle spese sostenute, con relativo rendiconto, caratterizzata da diverse non conformità rispetto alle previsioni dell’art. 7, comma 6, della legge n. 515 del 1993.

Tuttavia, nessuna delle pur gravi riscontrate violazioni è specificamente individuata, dall’art. 15 della legge n. 515 del 1993, come ipotesi di decadenza. Le fattispecie esplicite di decadenza sono altre e si rinvengono nei commi 8 e 9 del menzionato art. 15, che le riferiscono al mancato deposito nel termine previsto della dichiarazione sulle spese «nonostante la diffida ad adempiere» (comma 8) e al «superamento dei limiti massimi di spesa consentiti […] per un ammontare pari o superiore al doppio» (comma 9). Ciò discende dal comma 7, che ricollega l’ineleggibilità e il conseguente effetto decadenziale ai «casi espressamente previsti nel presente articolo». Questa previsione va intesa in conformità alla ratio della legge n. 515 del 1993, che è quella – come già visto – di indirizzare rigorosamente il potere di accertamento del Collegio di garanzia, allorché si tratti di ineleggibilità, verso fattispecie certe e predeterminate, tali da non consentire liberi apprezzamenti, in punto di decadenza, da parte dell’organo di controllo.

Tale disposizione definisce il compito del Collegio regionale di garanzia elettorale di addivenire, «in modo definitivo», all’accertamento dei fatti prodromici alla dichiarazione di decadenza, da rimettere al Consiglio regionale. Ciò, come precisa la norma, nelle sole ipotesi fissate dal medesimo art. 15, le quali dunque coincidono esclusivamente con quelle indicate come tali, in modo esplicito, dai successivi commi 8 e 9.

Non potrebbe replicarsi che, nella motivazione, l’ordinanza del Collegio di garanzia, pur riferendosi al comma 7 dell’art. 15, e pur parlando esplicitamente di una dichiarazione sulle spese non conforme, avrebbe in realtà inteso contestare la fattispecie più grave consistente nel «mancato deposito nel termine previsto della dichiarazione», che il comma 8 fa assurgere, come visto, ad esplicita ipotesi di decadenza. Osta a tale ipotesi ricostruttiva il tenore inequivoco della motivazione dell’atto, nella quale l’organo di controllo ha chiarito (pagina 5 dell’ordinanza) «che non è stato affatto contestato […] il mancato deposito della dichiarazione di spesa e rendiconto – come previsto dall’art. 15, comma 8, della legge richiamata (diffida e termine di 15 giorni, come specificamente richiesto dalla norma)», quanto piuttosto di aver contestato «l’anomalia derivante dalla non conformità della dichiarazione di spesa e rendiconto da lei stessa presentata», avendo il Collegio avuto la possibilità di sottoporre ad esame «la dichiarazione di spesa e rendiconto depositate con la relativa documentazione».

In ragione di quanto precede, deve concludersi che non spettava al Collegio regionale di garanzia elettorale di imporre la decadenza del Presidente della Regione, sulla base di fattispecie non riconducibili a quelle indicate dall’art. 15, commi 8 e 9, della legge n. 515 del 1993, come tali non idonee neppure a legittimare la comunicazione del provvedimento al Presidente del Consiglio regionale, ai sensi dell’art. 15, comma 10, della legge n. 515 del 1993.

6.4.– Le conclusioni cui questa Corte è pervenuta esauriscono il giudizio cui essa è chiamata nella presente sede, per avere l’atto esorbitato dai poteri rimessi all’organo statale di controllo e cagionato una menomazione delle attribuzioni costituzionalmente garantite alla Regione autonoma della Sardegna.

Resta impregiudicata la questione relativa alla possibilità di riqualificazione dei fatti, che è rimessa al giudice civile, competente per il giudizio di opposizione all’ordinanza-ingiunzione.

7.– Nei termini indicati il ricorso della Regione autonoma della Sardegna è pertanto da accogliere e deve dichiararsi che non spettava allo Stato e, per esso, al Collegio regionale di garanzia elettorale istituito presso la Corte d’appello di Cagliari, di affermare, nella motivazione della ordinanza-ingiunzione del 20 dicembre 2024, che «si impone la decadenza dalla carica del candidato eletto» e, per l’effetto, di disporre «la trasmissione della presente ordinanza/ingiunzione al Presidente del Consiglio Regionale per quanto di Sua competenza in ordine all’adozione del provvedimento di decadenza di Todde Alessandra dalla carica di Presidente della Regione Sardegna».

Conseguentemente, la predetta ordinanza-ingiunzione deve essere annullata in parte qua.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra enti indicato in epigrafe, promosso dalla Regione autonoma della Sardegna nei confronti del Ministro della giustizia;

2) dichiara che non spettava allo Stato e, per esso, al Collegio regionale di garanzia elettorale istituito presso la Corte d’appello di Cagliari, di affermare, nella motivazione della ordinanza-ingiunzione del 20 dicembre 2024, che «si impone la decadenza dalla carica del candidato eletto» e, per l’effetto, di disporre «la trasmissione della presente ordinanza/ingiunzione al Presidente del Consiglio Regionale per quanto di Sua competenza in ordine all’adozione del provvedimento di decadenza di Todde Alessandra dalla carica di Presidente della Regione Sardegna»;

3) annulla, per l’effetto, la suddetta ordinanza-ingiunzione in parte qua.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 settembre 2025.

F.to:

Giovanni AMOROSO, Presidente

Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattrice

Valeria EMMA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 15 ottobre 2025