Sentenza n. 189 del 1971
 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 189

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Michele FRAGALI, Presidente

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7, n. 4, della legge regionale siciliana 9 maggio 1969, n. 14 (elezione dei Consigli delle amministrazioni straordinarie delle Provincie siciliane), promosso con ordinanza emessa il 4 dicembre 1970 dalla Corte d'appello di Palermo nel procedimento per ricorso elettorale tra Del Castillo Francesco Paolo e Tedesco Francesco ed altri, iscritta al n. 1 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49 del 24 febbraio 1971 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 16 del 3 aprile 1971.

Visti gli atti di costituzione di Tedesco Francesco e di Del Castillo Francesco Paolo e d'intento del Presidente della Regione siciliana;

udito nell'udienza pubblica del 13 ottobre 1971 il Giudice relatore Vezio Crisafulli;

uditi l'avv. Francesco Paolo Del Castillo, l'avv. Antonio Sangiorgi, per il Tedesco, e l'avv. Salvatore Villari, per il Presidente della Regione siciliana.  

Ritenuto in fatto 

1. - Con ordinanza emessa il 4 dicembre 1970 nel procedimento per ricorso elettorale tra Del Castillo Francesco Paolo e Tedesco Francesco ed altri la Corte d'appello di Palermo ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, n. 4, della legge regionale siciliana 9 maggio 1969, n. 14, per contrasto con l'art. 51, comma primo, della Costituzione.

La norma impugnata, infatti, stabilendo la ineleggibilità a consigliere provinciale per gli impiegati ed i componenti dei Consigli di amministrazione delle istituzioni di assistenza e beneficenza esistenti nell'ambito della Provincia, introdurrebbe in Sicilia una limitazione all'elettorato passivo priva di riscontro nella legislazione nazionale e non consentita alla potestà legislativa regionale, che, anche se primaria in detta materia, non può non rispettare il principio di eguaglianza nella capacità elettorale, secondo quanto la stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 108 del 1969 ha già avuto occasione di chiarire.

La questione sarebbe rilevante in quanto i tre appellanti, di cui risulta contestata l'elezione a componenti del Consiglio provinciale di Palermo, sono medici impiegati dell'Ospedale civico SS. Trinità di Termini Imerese, che conserverebbe tuttora, nonostante la sopravvenuta legge 12 febbraio 1968, n. 132, la natura di istituzione pubblica di assistenza e beneficenza.

2. - Si é costituito nel presente giudizio il sig. Tedesco, con deduzioni depositate l'8 gennaio 1971, nelle quali sostiene la illegittimità costituzionale della norma denunciata, sviluppando gli argomenti proposti nell'ordinanza di rinvio, sulla base anche di un'ampia disamina della precedente legislazione in materia sia nazionale che della Regione.

3. - Anche il sig. Del Castillo si é costituito con atto del 28 gennaio 1971, per affermare anzitutto la irrilevanza della questione, in quanto, ove anche la norma di cui al n. 4 dell'art. 7 della legge regionale n. 14 del 1969 dovesse essere considerata illegittima, il giudice a quo non potrebbe considerare valida la elezione della controparte, ostandovi il n. 3 della stessa disposizione di legge che dichiara comunque ineleggibili coloro i quali ricevano uno stipendio o salario dalla provincia o da enti, istituti o aziende da essa dipendenti, controllati o sovvenzionati, nonché gli amministratori di tali enti, istituti ed aziende. E l'Ospedale civico SS. Trinità di Termini Imerese, quale istituzione pubblica di assistenza e beneficenza a vantaggio di una parte della Provincia, sarebbe sottoposto a vigilanza del Consiglio provinciale, ai sensi dell'art. 241 del t.u. della legge comunale e provinciale, approvato con r.d. 4 febbraio 1915, n. 148.

La disposizione impugnata costituirebbe, pertanto, norma speciale rispetto all'altra che regola una fattispecie più ampia e che trova, a sua volta, puntuale corrispondenza nell'art. 10, n. 3, della legge statale 8 marzo 1951, n. 122, come modificato dall'art. 3 della successiva legge 10 settembre 1960, n. 962: per cui anche le censure svolte sotto il profilo della fondatezza della questione dovrebbero essere disattese.

4. - É intervenuto, a sua volta, il Presidente della Giunta regionale siciliana, con deduzioni depositate il 10 febbraio 1971, nelle quali rileva che la normativa impugnata si riferisce, a differenza di quella che ha formato oggetto della sentenza n. 108 del 1969 della Corte costituzionale, esclusivamente alle amministrazioni straordinarie delle entità organizzative che precedono i liberi consorzi e non potrebbe essere applicata a questi, qualora fossero costituiti. Per conseguenza, non soltanto sarebbe non pertinente qualsiasi argomento volesse trarsi dalla ricordata sentenza, ma la stessa normativa, avendo un carattere transitorio, disciplinerebbe categorie di dipendenti e di amministratori prive di corrispondenza rispetto ad altre esistenti nel territorio nazionale.

D'altra parte anche le istituzioni di assistenza e di beneficenza, rientrando nella competenza esclusiva regionale (art. 14, lettera m, dello Statuto), si innesterebbero con il relativo personale quali figure organizzative proprie della Regione siciliana diversamente da come si atteggiano le corrispondenti opere pie nel rimanente territorio nazionale. E analoghe caratteristiche dovrebbero riconoscersi in particolare alle unità ospedaliere, che la legge regionale n. 23 del 5 luglio 1949, modificata dalla successiva n. 62 del 15 luglio 1950, avrebbe configurato come organi regionali, pur conservando loro provvisoriamente la personalità giuridica. A questo riguardo é da aggiungere che in una successiva memoria la stessa parte ha anche sostenuto la irrilevanza della questione, in quanto l'Ospedale civico SS. Trinità di Termini Imerese avrebbe acquisito il carattere di ente ospedaliero, e quindi perduto quello di istituzione di assistenza e beneficenza, già per effetto delle ricordate leggi regionali n. 23 del 1949 e n. 62 del 1950 e più sicuramente in seguito alla sopravvenuta legge statale n. 132 del 1968.

Nel merito la difesa del Presidente della Regione conclude per la infondatezza della questione.

5. - All'udienza le parti hanno insistito nelle rispettive conclusioni.  

Considerato in diritto 

1. - La questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d'appello di Palermo ha per oggetto l'art. 7, n. 4, della legge regionale siciliana 9 maggio 1969, n. 14, che statuisce la ineleggibilità a consiglieri provinciali degli impiegati ed amministratori delle istituzioni di assistenza e beneficenza "esistenti nell'ambito della Provincia". Tale disposizione, secondo l'ordinanza, introdurrebbe così una limitazione del diritto elettorale passivo che, non trovando corrispondenza nella legislazione statale, eccederebbe dai limiti della potestà legislativa della Regione siciliana in materia di ordinamento degli enti locali (e quindi anche di elezioni amministrative).

Dinanzi a questa Corte una delle parti private ha eccepito preliminarmente la irrilevanza della questione, argomentando che, anche se il n. 4 dell'art. 7 ora citato fosse dichiarato costituzionalmente illegittimo, la controparte, quale medico impiegato alle dipendenze di una istituzione di assistenza e beneficenza controllata dalla Provincia, sarebbe pur sempre ineleggibile, a norma del precedente n. 3, che ha più largo riferimento agli impiegati ed amministratori di istituti, enti o aziende dipendenti, controllati o sovvenzionati dalla Provincia. L'eccezione va, peraltro, disattesa, perché la disposizione di cui si chiede l'applicazione nel giudizio a quo é proprio quella del n. 4, espressamente formulata per la particolare ipotesi che si assume ricorrere nella fattispecie, pur se rientrante - con altre - nella più generale previsione del n. 3, essendo indifferente che l'esito di quel giudizio possa poi risultare, nel merito, il medesimo ove si facesse invece diretta applicazione di quest'ultima.

Sotto altro profilo dubbi sulla rilevanza sono anche prospettati dalla difesa della Regione, asserendosi che l'ospedale in oggetto, già riconosciuto "unità ospedaliera circoscrizionale" con la legge regionale siciliana 5 luglio 1949, n. 23, ed ora, con decreto 2 settembre 1970 del Presidente della Regione, dichiarato "ente ospedaliero" a norma degli artt. 3, 4 e 9 della legge statale n. 132 del 1968, non rientrerebbe più tra le istituzioni di assistenza e beneficenza, di cui alla disposizione dell'art. 7, n. 4, della legge regionale n. 14 del 1969.

Ma i problemi interpretativi e sistematici connessi con l'accertamento della esatta configurazione giuridica dell'ospedale sono di spettanza della Corte d'appello di Palermo, quale giudice del processo principale, e questa, pur muovendo dal presupposto che l'ospedale sia ormai stato riconosciuto "ente ospedaliero", ha ritenuto tuttavia vigenti, ed ugualmente ad esso applicabili, le disposizioni della precedente legislazione sulle istituzioni di assistenza e beneficenza, che stanno a base della ineleggibilità stabilita nella norma denunciata nel presente giudizio. Può soggiungersi, comunque, che il ricordato decreto del Presidente della Regione - cui non può riconoscersi efficacia retroattiva - é intervenuto successivamente alle elezioni che hanno occasionato la controversia di merito, mentre é a tale data che devono essere rapportate le cause di ineleggibilità.

2. - Nel merito, la questione non é fondata. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la potestà legislativa della Regione siciliana in materia di elezioni amministrative "dev'essere strettamente limitata dai principi della legislazione statale", per l'esigenza di assicurare, a norma dell'art. 51 Cost., eguaglianza di trattamento tra i cittadini quanto all'esercizio della capacità elettorale passiva (sent. n. 105 del 1957 e sent. n. 26 del 1965): deroghe alla legislazione statale sono perciò ammissibili solo per particolari categorie di soggetti che siano esclusive della Regione, "ed in ogni caso per motivi adeguati e ragionevoli, e finalizzati alla tutela di un interesse generale" (sent. n. 108 del 1969).

Ora, la regola della ineleggibilità ai Consigli provinciali (ed a quelli comunali) degli impiegati delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza esistenti nella Provincia (o rispettivamente nel Comune) rappresenta un dato costante della nostra legislazione, anche se - in un primo tempo - circoscritta ai soli impiegati "contabili ed amministrativi". La regola é, infatti, espressamente enunciata, per entrambe le ipotesi cui si é accennato (Consigli comunali e Consigli provinciali), a partire dal testo unico della legge comunale e provinciale 10 febbraio 1889, n. 5921, sino a quello del 4 febbraio 1915, n. 148 (artt. 26 e 28); per ricomparire poi, ripristinandosi la elettività delle amministrazioni degli enti territoriali minori, e con specifico riguardo ai Consigli comunali, nell'art. 14, n. 4, del d.lgs.lgt. 7 gennaio 1946, n. 1, e successivamente nell'art. 15, n. 4, del testo unico delegato 5 aprile 1951, n. 203, ripetuto infine nel testo unico d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570. Ma la limitazione ai Consigli comunali risultante da questi ultimi testi é soltanto apparente, poiché senza dubbio la regola ha seguitato ad essere applicabile anche ai Consigli provinciali, in forza del rinvio alle norme sulle elezioni comunali, disposto dall'art. 8, secondo comma, della legge 8 marzo 1951, n. 122, che non prevedeva espressamente le cause di ineleggibilità a consigliere provinciale.

É vero bensì che, nella elencazione successivamente fattane nell'art. 3 della legge 10 settembre 1960, n. 962, non vi é più menzione in forma esplicita della ineleggibilità degli impiegati delle istituzioni di assistenza e beneficenza esistenti nella provincia, ma non va dimenticato: 1) che la elencazione fu introdotta, non al fine di innovare al sistema in vigore, quale risultava dal rinvio dell'art. 8 della citata legge del 1951, quanto invece al dichiarato intento di eliminare talune divergenze interpretative che erano insorte nella pratica sul modo di intenderne la vera portata (ritenendosi da alcuni che ai vari riferimenti al Comune contenuti nelle leggi sulle elezioni comunali dovessero essere tacitamente sostituiti, nel farne applicazione a quelle provinciali, corrispondenti riferimenti alla Provincia; da altri, invece, che le disposizioni cui si rinviava fossero da considerare richiamate nel loro tenore letterale); 2) che la proposizione normativa concernente la particolare causa di ineleggibilità che qui interessa fu eliminata in sede di coordinamento, senza esplicita motivazione, mentre ancora nella proposta di legge del deputato Bozzi (Atti Camera, III Legislatura n. 1634), poi confluita con altre nel testo definitivamente approvato dalla Camera il 6 settembre 1960, detta causa di ineleggibilità era presente negli identici termini adoperati dalle vigenti disposizioni sulle elezioni comunali, con riguardo agli impiegati delle istituzioni di assistenza e beneficenza a base comunale; 3) che la ratio delle ineleggibilità é sicuramente la stessa per l'un caso come per l'altro, dal momento che, per l'art. 241, n. 15, del citato testo unico comunale e provinciale del 1915, spetta ai Consigli provinciali nei confronti delle istituzioni di assistenza e beneficenza destinate a vantaggio della Provincia o di una sua parte una vigilanza - sia pur generica - non diversa da quella attribuita, sulle analoghe istituzioni operanti nell'ambito dei Comuni, ai rispettivi Consigli comunali (art. 132).

3. - É da ritenere, perciò, in assenza di opposti e diversi indizi comunque desumibili dai lavori parlamentari, che la omissione sia stata semplicemente formale, essendosi considerata la specifica ipotesi delle istituzioni di assistenza e beneficenza esistenti nella Provincia come già inclusa in quella, più ampia, del precedente n. 3, che sancisce la ineleggibilità di coloro che ricevono stipendio o salario da "enti, istituti o aziende dipendenti, sovvezionate o sottoposte a vigilanza della Provincia": nel qual senso era ed é, infatti, orientata autorevole dottrina.

In conclusione, la mancanza nella legge statale attualmente in vigore - a differenza da quelle precedenti - della apposita formulazione espressa non significa, per quanto si é venuti esponendo fin qui, che manchi altresì (o sia stata soppressa), almeno con riguardo agli impiegati, la norma, e meno ancora, il principio, che la disposizione della legge regionale impugnata ha inteso espressamente specificare; e non significa, quindi, che vi sia stata deroga (inammissibile) alla normativa di fonte statale in tema di accesso alle cariche elettive delle amministrazioni provinciali.

Tanto più che, anche in Sicilia, le due cause di ineleggibilità (ai Consigli comunali ed a quelli provinciali) hanno un identico fondamento, in esso concorrendo, con la esigenza di impedire indebite influenze sugli elettori, la considerazione del potenziale conflitto di interessi tra gli appartenenti agli organi deliberativi degli enti territoriali minori e i dipendenti da istituzioni sottoposte ad ingerenza degli enti medesimi (si veda l'art. 150, n. 8, del decreto legislativo del Presidente della Regione 29 ottobre 1955, n. 6, applicabile alle attuali amministrazioni straordinarie delle Province siciliane in forza del successivo art. 266 ed in tutto corrispondente al ricordato art. 241, n. 15, del testo unico nazionale del 1915).  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, n. 4, della legge regionale siciliana 9 maggio 1969, n. 14 (elezione dei Consigli delle amministrazioni straordinarie delle Provincie siciliane), sollevata, con l'ordinanza della Corte d'appello di Palermo di cui in epigrafe, in riferimento all'art. 51, primo comma, della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 novembre 1971.

Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 30 novembre 1971.