SENTENZA N. 198
ANNO 2024
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da:
Presidente: Augusto Antonio BARBERA;
Giudici: Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3, commi 1 e 2, e 5, comma 47, lettera a), della legge della Regione Sardegna 19 dicembre 2023, n. 17, recante «Modifiche alla legge regionale n. 1 del 2023 (Legge di stabilità 2023), variazioni di bilancio, riconoscimento di debiti fuori bilancio e passività pregresse e disposizioni varie», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 19 febbraio 2024, depositato in cancelleria il successivo 22 febbraio, iscritto al n. 6 del registro ricorsi 2024 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2024.
Udita nell’udienza pubblica del 15 ottobre 2024 la Giudice relatrice Maria Rosaria San Giorgio;
udito l’avvocato dello Stato Giammario Rocchitta per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 15 ottobre 2024.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 19 febbraio 2024, depositato il successivo 22 febbraio e iscritto al n. 6 del registro ricorsi 2024, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, commi 1 e 2, e 5, comma 47, lettera a), della legge della Regione Sardegna 19 dicembre 2023, n. 17, recante «Modifiche alla legge regionale n. 1 del 2023 (Legge di stabilità 2023), variazioni di bilancio, riconoscimento di debiti fuori bilancio e passività pregresse e disposizioni varie».
1.1.– L’art. 3 della legge reg. Sardegna n. 17 del 2023, rubricato «Disposizioni in materia di indennità dei consiglieri metropolitani e modifiche alla legge regionale n. 3 del 2022 e alla legge regionale n. 7 del 2021 in materia di assetto territoriale regionale», modifica parzialmente la previgente disciplina regionale in tema di indennità dei consiglieri metropolitani. Esso è impugnato dal Presidente del Consiglio dei ministri, limitatamente ai commi 1 e 2, per violazione degli artt. 3, 9, 117, commi secondo, lettera p), e terzo, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 1, comma 24, della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni), e all’art. 3 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna).
Il comma 1 stabilisce quanto segue: «[a]i consiglieri metropolitani, quando non investiti da deleghe da parte del sindaco metropolitano, è corrisposta una indennità equiparata a quella prevista per i consiglieri del comune capoluogo della città metropolitana, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 82 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali)». A norma del comma 2, «[i] consiglieri metropolitani delegati dal sindaco metropolitano sono equiparati, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 82 del decreto legislativo n. 267 del 2000, ai componenti della giunta del comune capoluogo della città metropolitana».
A giudizio del ricorrente, il rinvio all’art. 82 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), non sarebbe «corretto», in quanto l’indennità dei consiglieri metropolitani troverebbe piuttosto disciplina, a livello nazionale, nell’art. 1, comma 24, della legge n. 56 del 2014, che stabilisce la gratuità dell’incarico da loro svolto.
Le disposizioni regionali impugnate, nel prevedere un’indennità di funzione equiparata a quella dei consiglieri del comune capoluogo (ovvero, in caso di deleghe, a quella dei componenti della Giunta del comune capoluogo), comporterebbero un «aumento della spesa, nonché l’istituzione di un emolumento che si pone in contrasto con la normativa statale menzionata».
Sarebbero dunque violati i parametri costituzionali prima richiamati, in relazione sia alla norma interposta statale, che stabilisce la gratuità dell’incarico, sia all’art. 3 dello statuto speciale della Regione autonoma Sardegna, che non include la «materia finanziaria» tra gli ambiti di competenza legislativa esclusiva della stessa.
1.2.– L’art. 5 della legge reg. Sardegna n. 17 del 2023, sotto la rubrica «Disposizioni finanziarie in materia di sanità e politiche sociali», al comma 47, lettera a), sopprime il comma 1 dell’art. 3-bis della legge della Regione Sardegna 6 marzo 2020, n. 6 (Norme in materia di contratti di formazione specialistica e borse di studio di area sanitaria). La disposizione soppressa, che era stata introdotta dall’art. 54, comma 1, lettera d), della legge della Regione Sardegna 23 ottobre 2023, n. 9 (Disposizioni di carattere istituzionale, ordinamentale e finanziario su varie materie), stabiliva quanto segue: «[l]a Regione finanzia borse di studio per la frequenza delle scuole di specializzazione di area sanitaria non medica in favore di: biologi, chimici, farmacisti, fisici, odontoiatri, psicologi e veterinari».
Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna la disposizione abrogatrice per contrasto con gli artt. 3, 117, terzo comma, e 120, secondo comma, Cost.
Secondo il ricorrente, il comma 2 dell’art. 3-bis (non interessato dalla novella) presenterebbe «un’ambiguità» nella parte in cui, quanto alla concessione delle borse di studio regionali per l’area «non medica», che era stata prevista dal soppresso comma 1, continua a fare riferimento alla normativa nazionale, dettata dall’art. 8 della legge 29 dicembre 2000, n. 401 (Norme sull’organizzazione e sul personale del settore sanitario), e dall’art. 35 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368 (Attuazione della direttiva 93/16/CEE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli e delle direttive 97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE e 99/46/CE che modificano la direttiva 93/16/CEE).
Le disposizioni nazionali richiamate – osserva il ricorrente – prevedono finanziamenti per la frequenza delle scuole di specializzazione esclusivamente per l’area medica, definendo le modalità di distribuzione delle relative borse di studio. Esse non potrebbero dunque applicarsi alla diversa area delle specializzazioni non mediche.
In base al quadro normativo nazionale – completato, come si evidenzia nel ricorso, dall’art. 2-bis del decreto-legge 29 marzo 2016, n. 42 (Disposizioni urgenti in materia di funzionalità del sistema scolastico e della ricerca), convertito, con modificazioni, nella legge 26 maggio 2016, n. 89 – alla Regione non sarebbe precluso il finanziamento di borse di studio per la frequenza delle scuole di specializzazione nell’area sanitaria non medica. Tuttavia, quanto alla disciplina delle modalità di erogazione, il legislatore regionale non potrebbe coinvolgere «il livello nazionale e il Ministero dell’Università e della Ricerca». Già nel corso dell’esame della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 – riferisce il ricorrente – il predetto Ministero aveva sollevato osservazioni sull’art. 54, chiedendo la soppressione di ogni riferimento alla normativa nazionale, e la Regione autonoma Sardegna «aveva assunto l’impegno» di provvedere in tal senso. Da tale impegno si discosterebbe la formulazione della disposizione impugnata che, pur sopprimendo il «comma 1», che si riferiva al finanziamento regionale delle borse di studio per l’area non medica, ha lasciato invariato il comma 2 dell’art. 3-bis della legge reg. Sardegna n. 6 del 2020, mantenendo così l’«erroneo» richiamo alla normativa nazionale. In proposito, il ricorso afferma che l’eliminazione del comma 1, anziché del comma 2, sarebbe frutto di «un mero errore».
Ne deriverebbe, anzitutto, la violazione dell’art. 3 Cost. «per contrasto con il principio di ragionevolezza». L’art. 3-bis della legge reg. Sardegna n. 6 del 2020 risulterebbe «impossibile da applicare» a seguito della soppressione del comma 1, neppure alla luce di «una lettura sistematica»: i commi successivi, che di conseguenza «non risulta chiaro a cosa si riferiscano», rimarrebbero privi di senso e, oltretutto, sarebbero in contraddizione tra loro, in quanto il comma 2 fa riferimento alle norme nazionali sulle borse di studio, mentre il comma 3 – come emendato dall’art. 5, comma 47, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 17 del 2023 – prevede ora il finanziamento regionale diretto in favore delle università.
Sarebbe violato anche l’art. 117, terzo comma, Cost., per lesione della potestà legislativa dello Stato nella materia concorrente della tutela della salute. Il ricorrente torna a sostenere che, a livello nazionale, non sono attualmente previsti finanziamenti per la frequenza delle scuole di specializzazione nell’area sanitaria non medica, in un quadro normativo che, coerentemente, non definisce le modalità per l’erogazione delle relative borse di studio. Nel ribadire che le norme statali indicate dall’art. 3-bis, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 6 del 2020 si riferiscono solo alle borse di studio per l’area sanitaria medica e non potrebbero essere applicate ad altre forme di finanziamento, il ricorso illustra il conseguente contrasto della previsione impugnata con l’art. 2-bis del d.l. n. 42 del 2016, come convertito, recante una deroga alla normativa nazionale proprio per l’attivazione delle scuole di specializzazione non medica. A giudizio del ricorrente, ciò esporrebbe al «rischio di future richieste all’amministrazione statale di attivare procedure per l’erogazione di borse di studio di area sanitaria non medica, mentre tale questione è ancora in fase di definizione a livello nazionale».
Sarebbe, infine, violato l’art. 120, secondo comma, Cost., per lesione del principio di leale collaborazione «nella sua ampia accezione costituzionale di idoneità a perseguire il giusto contemperamento delle finalità perseguite dallo Stato e dalle Regioni». La lesione lamentata deriverebbe dal mancato rispetto, da parte della Regione autonoma Sardegna, dell’«impegno precedentemente assunto» di eliminare ogni riferimento alla normativa nazionale nell’ambito della disciplina dettata dall’art. 3-bis, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 6 del 2020.
2.– La Regione autonoma Sardegna non si è costituita nel giudizio.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato alcune disposizioni della legge reg. Sardegna n. 17 del 2023.
1.1.– In questa sede viene in esame, anzitutto, l’art. 3, commi 1 e 2, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2023, che istituisce un’«indennità» in favore dei consiglieri metropolitani. Ai sensi del comma 1, l’indennità è «equiparata a quella prevista per i consiglieri del comune capoluogo della città metropolitana», qualora i consiglieri metropolitani non siano investiti da deleghe da parte del sindaco metropolitano. Ai sensi del comma 2, gli stessi sono invece «equiparati […] ai componenti della giunta del comune capoluogo della città metropolitana» nel caso in cui abbiano ricevuto deleghe dal sindaco metropolitano. In entrambi i casi, la legge regionale richiama l’art. 82 del d.lgs. n. 267 del 2000, recante la disciplina delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza in favore degli amministratori degli enti locali.
A giudizio del ricorrente, tali previsioni comporterebbero un aumento di spesa, in contrasto con la normativa nazionale, che, all’art. 1, comma 24, della legge n. 56 del 2014, stabilisce la gratuità dell’incarico di consigliere metropolitano. Sarebbero dunque violati gli artt. 3, 9, 117, commi secondo, lettera p), e terzo, Cost., «riguardanti il coordinamento della finanza pubblica», proprio in relazione alla previsione nazionale di gratuità dell’incarico de quo, nonché l’art. 3 dello statuto regionale di autonomia che non consentirebbe al legislatore sardo «di legiferare in materia finanziaria».
1.2.– La questione è fondata.
1.2.1.– Occorre premettere che l’istituzione di un’indennità per i consiglieri delle città metropolitane, come prevista dalle disposizioni impugnate, costituisce una novità per lo stesso ordinamento regionale della Sardegna. In precedenza, la legge della Regione Sardegna 4 febbraio 2016, n. 2 (Riordino del sistema delle autonomie locali della Sardegna), stabiliva, infatti, all’art. 1, comma 6, primo periodo, che «[l]e cariche degli organi delle unioni di comuni, delle province e delle città metropolitane sono esercitate a titolo gratuito».
Quest’ultima previsione era in linea con il quadro normativo nazionale di riferimento, come evolutosi fino a quel momento.
D’altro canto, il t.u. enti locali, oltre ad aver espressamente previsto un’indennità per il sindaco metropolitano (art. 82, comma 1), non aveva escluso la possibilità che anche i consiglieri metropolitani ricevessero un compenso per l’esercizio della propria funzione. L’art. 82, comma 8, lettera d), aveva infatti rimesso ad apposito decreto ministeriale la definizione di «speciali indennità di funzione per gli amministratori delle città metropolitane in relazione alle particolari funzioni ad esse assegnate». Con ciò si ribadiva la previsione dell’art. 9 della coeva fonte secondaria, approvata con decreto del Ministro dell’interno 4 aprile 2000, n. 119 (Regolamento recante norme per la determinazione della misura dell’indennità di funzione e dei gettoni di presenza per gli amministratori locali, a norma dell’articolo 23 della legge 3 agosto 1999, n. 265), secondo la quale «[g]li amministratori delle città metropolitane avranno diritto ad una speciale indennità di funzione che sarà definita in apposito decreto in relazione alle particolari funzioni assegnate alle città metropolitane».
Il quadro normativo nazionale è poi radicalmente cambiato dapprima con l’art. 18, comma 10, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, che – per quanto in questa sede più interessa – ha introdotto la regola della gratuità per le cariche di consigliere metropolitano, di sindaco metropolitano e di vicesindaco. È quindi intervenuta la legge n. 56 del 2014 che, in seno a una più ampia riforma dell’ordinamento degli enti locali (e, in particolare, delle città metropolitane), all’art. 1, comma 24, ha ribadito il principio della gratuità dell’incarico dei consiglieri metropolitani, al pari degli incarichi del sindaco metropolitano e dei componenti della conferenza metropolitana.
A tale principio, legato all’esigenza di ottenere risparmi di spesa dal funzionamento degli enti locali, si ispira a tutt’oggi la normativa statale di riferimento, pur in presenza di alcuni segnali in controtendenza, limitati, peraltro, solo a specifiche cariche pubbliche.
1.2.2.– Questa Corte, con orientamento costante, ha qualificato le norme statali che stabiliscono la gratuità delle funzioni rimesse agli amministratori degli enti locali come principio fondamentale della materia concorrente «coordinamento della finanza pubblica», rilevando che il legislatore nazionale ha compiuto una «scelta di fondo» che vincola e indirizza la disciplina rimessa alla competenza legislativa concorrente delle regioni (sentenze n. 23 del 2014 e n. 151 del 2012), anche ad autonomia speciale, in modo peraltro coerente con la contemporanea previsione dell’elezione indiretta degli organi di vertice dei ridisegnati enti territoriali (sentenza n. 168 del 2018). Si è in particolare precisato che «[c]on riguardo ai vincoli di finanza pubblica recati dalla legislazione statale, questa Corte è costante nel ritenere che essi “si applicano, di regola, anche ai soggetti ad autonomia speciale (sentenza n. 36 del 2004; in seguito, sentenze n. 54 del 2014, n. 229 del 2011, n. 169 e n. 82 del 2007, n. 417 del 2005 e n. 353 del 2004), poiché funzionali a prevenire disavanzi di bilancio, a preservare l’equilibrio economico-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche e a garantire l’unità economica della Repubblica (sentenza n. 82 del 2015), dato che la finanza delle Regioni a Statuto speciale è parte della finanza pubblica allargata (sentenza n. 80 del 2017)” (sentenza n. 231 del 2017)» (sentenza n. 141 del 2024).
1.2.3.– L’intervento normativo della Regione autonoma Sardegna, nel prevedere un’indennità in favore dei consiglieri metropolitani, si è posto dunque in contrasto con il principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, tuttora vigente e non disponibile neppure nel dispiegarsi dell’autonomia speciale della Regione medesima.
Va quindi dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, commi 1 e 2, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2023, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., con assorbimento delle restanti censure.
2.– Il secondo gruppo di questioni che si esamina nella presente sede riguarda la previsione dell’art. 5, comma 47, lettera a), della legge reg. Sardegna n. 17 del 2023, che ha soppresso il comma 1 dell’art. 3-bis della legge reg. Sardegna n. 6 del 2020.
La disposizione da ultimo citata era stata introdotta dall’art. 54, comma 1, lettera d), della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, che aveva stabilito l’impegno, per la Regione, di erogare «borse di studio per la frequenza delle scuole di specializzazione di area sanitaria non medica».
L’avvenuta soppressione darebbe luogo, secondo il ricorrente, ad «un’ambiguità» della normativa di risulta: è stato infatti mantenuto il comma 2 dello stesso art. 3-bis, che stabilisce le modalità di erogazione delle borse di studio e che, sul punto, richiama le previsioni nazionali di cui all’art. 8 della legge n. 401 del 2000 e all’art. 35 del d.lgs. n. 368 del 1999.
Dalla rimarcata ambiguità deriverebbe la violazione dell’art. 3 Cost. «per contrasto con il principio di ragionevolezza».
Si lamenta, inoltre, il vulnus all’art. 117, terzo comma, Cost. per violazione della competenza legislativa concorrente dello Stato nella materia «tutela della salute», in relazione alla norma interposta di cui all’art. 2-bis del d.l. n. 42 del 2016, come convertito, che non prevede finanziamenti per la frequenza delle scuole di specializzazione dell’area non medica, pur consentendone transitoriamente l’attivazione.
Infine, sarebbe violato anche l’art. 120, secondo comma, Cost. per lesione del principio di leale collaborazione, in quanto, nell’approvare la disposizione impugnata, la Regione autonoma Sardegna sarebbe venuta meno ad un «impegno precedentemente assunto» con il Governo, avente ad oggetto proprio l’eliminazione, nel testo dell’art. 3-bis, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 6 del 2020, di ogni riferimento alla normativa nazionale.
2.1.– Preliminarmente, occorre dar conto di una modifica normativa, intervenuta nelle more del giudizio.
L’art. 5, comma 7, della legge della Regione Sardegna 18 settembre 2024, n. 13 (Assestamento di bilancio 2024-2026 e variazioni di bilancio in base alle disposizioni di cui agli articoli 50 e 51 del decreto legislativo n. 118 del 2011, e successive modifiche ed integrazioni, e riconoscimento di debiti fuori bilancio), ha, infatti, sostituito il comma 2 dell’art. 3-bis della legge reg. Sardegna n. 6 del 2020, inserendovi l’originaria formulazione del comma 1: nella sostanza, è stata dunque reintrodotta la previsione che istituisce le borse di studio per le scuole di specializzazione dell’area non medica ma, al contempo, è stato eliminato il previgente riferimento (che si rinveniva nel comma 2) alla normativa nazionale di cui all’art. 8 della legge n. 401 del 2000 e all’art. 35 del d.lgs. n. 368 del 1999.
L’Avvocatura dello Stato, in sede di pubblica udienza, ha riconosciuto che tali modifiche hanno escluso il richiamo alle modalità nazionali di erogazione delle borse di studio. Nondimeno, essa ha insistito nel chiedere la decisione di merito sulle promosse questioni di legittimità costituzionale, paventando – analogamente a quanto sostenuto nel ricorso – che l’impegno all’elargizione delle borse, quale discendente dalla legge della Regione Sardegna, possa comunque coinvolgere il livello di governo nazionale, a fronte di richieste di borse di studio per la frequenza delle scuole di specializzazione non mediche.
2.2.– Ritiene questa Corte, anche alla luce di quanto rappresentato dalla difesa erariale, che lo ius superveniens non abbia determinato la cessazione della materia del contendere.
Non risultano, infatti, elementi dai quali desumere che la disposizione impugnata, nella formulazione vigente al momento del promovimento delle questioni, non abbia ricevuto medio tempore applicazione. Essa, invero, ben avrebbe potuto, nel pur breve arco temporale in cui è perdurata la sua vigenza, consentire agli uffici amministrativi competenti anche solo di avviare le procedure prodromiche all’erogazione di borse di studio in favore degli specializzandi dell’area sanitaria non medica, e ciò proprio secondo le modalità praticate a livello nazionale (grazie al richiamo normativo che si rinveniva nel precedente testo dell’art. 3-bis, comma 2), come tali ritenute non corrette e specificamente contestate dal ricorrente.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, a fronte della modifica della disposizione impugnata in un giudizio in via principale, la cessazione della materia del contendere si determina quando ricorrano, in pari tempo, due condizioni: il carattere satisfattivo delle pretese avanzate con il ricorso e la mancata applicazione della disposizione impugnata medio tempore (ex plurimis, sentenze n. 68 del 2024 e n. 92 del 2022). Nel caso di specie, anche a voler ritenere che lo ius superveniens sia effettivamente satisfattivo – circostanza che, invero, la parte ricorrente ha espressamente smentito – non ricorre comunque, per quanto dianzi osservato, l’ulteriore condizione richiamata.
2.3.– Ciò posto, nel merito le questioni non sono fondate.
2.3.1.– Il testo dell’art. 3-bis della legge reg. Sardegna n. 6 del 2020, nella formulazione vigente al momento della presentazione del ricorso, non era affetto da un livello di ambiguità così serio da farne discendere la concreta inapplicabilità o, addirittura, la totale incomprensibilità, come sostenuto nel motivo di censura che invoca l’art. 3 Cost. e il principio di ragionevolezza.
Invero, pur a fronte della “soppressione” del comma 1, permaneva comunque la disciplina del comma 2, che espressamente si riferiva all’erogazione delle borse di studio, queste ultime peraltro indicate anche dalla rubrica dell’articolo. Vi era anche già il comma 3 che (con richiamo all’articolo precedente) indicava comunque la misura e gli importi previsti e che, mediante il periodo finale aggiunto dall’art. 5, comma 47, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 17 del 2023, ribadiva la natura «regionale» del finanziamento, «attribuito direttamente alle università beneficiarie».
Non ricorrono, pertanto gli estremi dell’assoluta «indeterminatezza dei […] presupposti applicativi» in presenza dei quali, secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte, una disposizione di legge è costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 3 Cost. in quanto «irrimediabilmente oscur[a], e pertanto forier[a] di intollerabile incertezza» nella sua applicazione concreta (sentenza n. 110 del 2023).
2.3.2.– L’avvenuta soppressione del comma 1 (prima ancora della riproposizione della medesima norma nel novellato comma 2) non comportava neppure la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione alla norma statale interposta di cui all’art. 2-bis del d.l. n. 42 del 2016, come convertito. Il ricorrente si riferisce, qui, al blocco dei finanziamenti che discende da quest’ultima disposizione, la quale, pur nel periodo transitorio di iniziale attivazione delle scuole di specializzazione di area non medica, attualmente non consente l’erogazione di borse di studio.
Pur dovendosi parzialmente convenire con il ricorrente circa l’inquadramento della disciplina impugnata tra le materie di competenza legislativa concorrente di Stato e regioni – essendo regolato un aspetto concernente le attività di formazione specialistica in area sanitaria, riconducibili, in via prevalente, alle materie delle professioni e della tutela della salute (sentenze n. 112 del 2023, n. 249 del 2018 e n. 126 del 2014) – non può, tuttavia, ritenersi che la previsione del blocco delle borse di studio, imposto a livello statale con la ricordata norma di cui all’art. 2-bis del d.l. n. 42 del 2016, come convertito, possa configurare un principio fondamentale idoneo a vincolare il legislatore regionale.
Giova, al riguardo, ricordare che, a livello di disciplina statale, l’art. 8 della legge n. 401 del 2000 estende ai «veterinari, odontoiatri, farmacisti, biologi, chimici, fisici, psicologi» le modalità, previste per i medici dall’art. 35 del d.lgs. n. 368 del 1999, che consentono di determinare ogni tre anni il fabbisogno di laureati iscrivibili alle scuole di specializzazione post-laurea, con la precisazione che rimane ferma «la rilevazione annuale del fabbisogno anche ai fini della ripartizione annuale delle borse di studio nell’àmbito delle risorse già previste». Solo in via transitoria, nell’attesa «di una definizione organica della materia», il legislatore d’urgenza del 2016 ha successivamente stabilito di “attivare” le scuole di specializzazione per l’area non medica – fino a quel momento non ancora operative – con esplicita deroga a quanto previsto dall’art. 8 della legge n. 401 del 2000, senza «nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica» (art. 2-bis del d.l. n. 42 del 2016, come convertito).
Non è dunque ravvisabile, quanto all’attuale situazione che vede non finanziate le borse di studio dell’area non medica, alcuna compiuta “scelta di fondo”, sistematicamente e coerentemente perseguita dal legislatore nazionale. Il mancato finanziamento disposto dall’art. 2-bis del d.l. n. 42 del 2016, come convertito, esplicitamente qualificato come «deroga» rispetto ad una normativa altrimenti ancora applicabile, si risolve in una regola dettata da una particolare contingenza, che non può di certo precludere alle regioni di intervenire a regime e con proprie risorse (come, del resto, la stessa difesa erariale riconosce), nell’ambito delle competenze ad esse costituzionalmente attribuite. Con particolare riguardo alla Regione autonoma Sardegna, va poi sottolineato che essa, a norma dell’art. 5, primo comma, lettera a), del proprio statuto di autonomia, «ha facoltà di adattare alle sue particolari esigenze le disposizioni delle leggi della Repubblica, emanando norme di integrazione ed attuazione», e ciò con riferimento anche alla materia «istruzione di ogni ordine e grado, ordinamento degli studi».
La Regione autonoma Sardegna, pertanto, conformemente alle previsioni del proprio statuto di autonomia, ben può provvedere, con risorse proprie, al finanziamento delle borse di studio per le scuole di specializzazione dell’area sanitaria non medica, in tal senso dovendosi intendere la disciplina dettata dall’art. 3-bis della legge reg. Sardegna n. 6 del 2020 (nella formulazione antecedente alle modifiche da ultimo introdotte con la legge reg. Sardegna n. 13 del 2024).
2.4.– Non è fondata, infine, la censura relativa ad un preteso contrasto con l’art. 120, secondo comma, Cost., sotto il profilo della violazione del principio di leale collaborazione, per essere il legislatore sardo venuto meno a un precedente «impegno» assunto con il Governo.
In proposito, è sufficiente rilevare che il ricorrente non ha depositato alcun atto ufficiale della Regione autonoma Sardegna dal quale sarebbe ricavabile, in tesi, l’«impegno» in questione, che la Regione avrebbe mancato di rispettare. Ciò, a prescindere da altre considerazioni, di livello più generale, in ordine alla effettiva possibilità di considerare la «leale collaborazione» quale fattore che si impone nel procedimento di formazione delle leggi, anche regionali: possibilità che la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente escluso, fatte salve le eccezionali ipotesi, costituzionalmente previste, di concertazione legislativa (sentenza n. 237 del 2017 e, da ultimo, sentenza n. 139 del 2024), che nella specie non vengono in rilievo.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, commi 1 e 2, della legge della Regione Sardegna 19 dicembre 2023, n. 17, recante «Modifiche alla legge regionale n. 1 del 2023 (Legge di stabilità 2023), variazioni di bilancio, riconoscimento di debiti fuori bilancio e passività pregresse e disposizioni varie»;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 47, lettera a), della legge reg. Sardegna n. 17 del 2023, promosse, in riferimento agli artt. 3, 117, terzo comma, e 120, secondo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 ottobre 2024.
F.to:
Augusto Antonio BARBERA, Presidente
Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattrice
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 13 dicembre 2024