Sentenza n. 140 del 2024

SENTENZA N. 140

ANNO 2024

Commenti alla decisione di

1. Roberto Pinardi, La Corte e il venir meno del vizio di incostituzionalità (a margine di una pronuncia di legittimità costituzionale sopravvenuta), negli Studi 2024 di questa Rivista, 1015

2. Elena Tomassini, La Corte costituzionale tra la salvaguardia dell’equilibrio di bilancio delle regioni e delle aziende sanitarie e il rispetto dell’iniziativa economica privata, per g.c. della Rivista della Corte dei conti

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente:

Augusto Antonio BARBERA

Giudici: Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 9-ter del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 125, promossi con ordinanze del 24 e 30 novembre 2023 dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza quater, iscritte ai numeri 165, 167, 168, 169 e 170 del 2023 e ai numeri 38, 39, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 47 e 48 del 2024 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 2, 3, 12 e 13, prima serie speciale, dell’anno 2024.

Visti gli atti di costituzione di Siemens Healthcare srl, Integra LifeSciences Italy srl, Crossmed spa, Smiths Medical Italia srl, ICU Medical Europe srl e ICU Medical Italia srl, Therakos (UK) Limited, Miltenyi Biotec srl, Boston Scientific spa, Confindustria Dispositivi Medici – Federazione nazionale tra le imprese operanti nei settori dei dispositivi medici e delle tecnologie biomediche, Roche Diagnostics spa, Aesse Chirurgica srl, DiaSorin spa e DiaSorin Italia spa con socio unico, Diatek srl, Alcon Italia spa, HS – Hospital Service spa, Ab Sciex srl, Samo Biomedica srl, Servizi Ospedalieri spa, Acilia H.S. srl, Hollister spa, Thermo Fisher Diagnostics spa, Bracco Imaging spa e della Regione Toscana; nonché gli atti d’intervento di Medtronic Italia spa, di FRL Medical Service srl, di Instrumentation Laboratory spa e di Med-El Elektromedizinische Geraete Gmbh – Unità Locale Italiana, Buhlmann Italia srl e del Presidente del Consiglio dei ministri;

uditi nella udienza pubblica del 22 maggio 2024 i Giudici relatori Maria Rosaria San Giorgio e Marco D’Alberti;

uditi gli avvocati Piero Fidanza per Medtronic Italia spa e Instrumentation Laboratory spa, Luigi Quinto per FRL Medical Service srl, Leonardo Salvemini per Med-El Elektromedizinische Geraete Gmbh – Unità Locale Italiana, Giuseppe Tempesta per Buhlmann Italia srl, Simone Cadeddu per Alcon Italia spa, Roberto Cursano per Integra LifeSciences Italy srl, Crossmed spa, Smiths Medical Italia srl, ICU Medical Europe srl e ICU Medical Italia srl, Diego Vaiano per Siemens Healthcare srl, Boston Scientific spa e Confindustria Dispositivi Medici – Federazione nazionale tra le imprese operanti nei settori dei dispositivi medici e delle tecnologie biomediche, Massimo Luciani per Servizi Ospedalieri spa, Maria Alessandra Sandulli per Therakos (UK) Limited, Maurizio Piero Zoppolato per Miltenyi Biotec srl, Giuseppe Franco Ferrari per Roche Diagnostics spa, Antonietta Favale per Aesse Chirurgica srl, Luisa Torchia per DiaSorin spa e DiaSorin Italia spa con socio unico, Sebastiana Dore per Diatek srl, Roberto Bottacchiari per HS - Hospital Service spa, Mario Zoppellari per Ab Sciex srl, Micaela Grandi per Samo Biomedica srl, Santi Dario Tomaselli per Acilia H.S. srl, Giovanni Mania per Hollister spa, Claudio Bonora per Thermo Fisher Diagnostics spa, Sonia Selletti per Bracco Imaging spa, Barbara Mancino per la Regione Toscana e gli avvocati dello Stato Enrico De Giovanni, Marina Russo, Gaetana Natale e Beatrice Gaia Fiduccia per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 3 luglio 2024.

Ritenuto in fatto

1.– Con sedici ordinanze, di identico tenore, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza quater, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9-ter del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 125, in riferimento agli artt. 3, 23, 41 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

2.– Il TAR Lazio premette che i giudizi hanno ad oggetto l’impugnazione, da parte di aziende fornitrici di dispositivi medici per il Servizio sanitario nazionale (SSN), dei provvedimenti con cui sono stati stabiliti a livello nazionale e regionale, per le annualità 2015-2018, i tetti di spesa per l’acquisto dei dispositivi medici, ed è stato previsto che l’eventuale superamento del tetto di spesa regionale sia a parziale carico delle aziende fornitrici di dispositivi medici. Sono stati altresì impugnati i provvedimenti regionali attuativi dell’art. 9-ter del d.l. n. 78 del 2015, come convertito, adottati per procedere al ripiano dello sforamento del tetto di spesa a carico delle aziende fornitrici.

Il rimettente rileva che l’art. 17, comma 1, lettera c), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, aveva previsto – con decorrenza dal 1° gennaio 2013 – che la spesa sostenuta dal SSN per l’acquisto dei dispositivi medici venisse fissata entro un tetto a livello nazionale, determinato annualmente dal Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, e un tetto a livello di ogni singola regione. Le regioni avrebbero dovuto monitorare l’andamento della spesa per acquisto dei dispositivi medici: l’eventuale superamento del predetto valore sarebbe stato posto interamente a carico della regione attraverso misure di contenimento della spesa sanitaria regionale o con misure di copertura a carico di altre voci del bilancio regionale.

Successivamente, l’art. 9-ter, comma 9, del d.l. n. 78 del 2015, come convertito, ha previsto che l’eventuale superamento del tetto di spesa a livello nazionale e regionale per l’acquisto di dispositivi medici di cui al comma 8, dichiarato con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sia posto «a carico delle aziende fornitrici di dispositivi medici per una quota complessiva pari al 40 per cento nell’anno 2015, al 45 per cento nell’anno 2016 e al 50 per cento a decorrere dall’anno 2017». Le aziende fornitrici di dispositivi medici concorrono «alle predette quote di ripiano in misura pari all’incidenza percentuale del proprio fatturato sul totale della spesa per l’acquisto di dispositivi medici a carico del Servizio sanitario regionale». Ai sensi dell’ultimo periodo del medesimo comma 9, le modalità procedurali del ripiano vanno «definite, su proposta del Ministero della salute, con apposito accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano».

Infine, l’art. 18 del decreto-legge 9 agosto 2022, n. 115 (Misure urgenti in materia di energia, emergenza idrica, politiche sociali e industriali), convertito, con modificazioni, nella legge 21 settembre 2022, n. 142, ha introdotto, nell’ambito dell’art. 9-ter del d.l. n. 78 del 2015, come convertito, il comma 9-bis, che – derogando alle disposizioni di cui all’ultimo periodo del comma 9 del menzionato art. 9-ter e limitatamente al ripiano dell’eventuale superamento del tetto di spesa regionale per gli anni 2015, 2016, 2017 e 2018 dichiarato con il decreto ministeriale di cui al comma 8 – ha assegnato alle regioni e alle province autonome il compito di definire «con proprio provvedimento, da adottare entro novanta giorni dalla data di pubblicazione del predetto decreto ministeriale, l’elenco delle aziende fornitrici soggette al ripiano per ciascun anno, previa verifica della documentazione contabile anche per il tramite degli enti del servizio sanitario regionale». Si è anche prevista l’adozione di «linee guida propedeutiche alla emanazione dei provvedimenti regionali e provinciali», per mezzo di un decreto del Ministro della salute, da adottarsi, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, entro trenta giorni dalla data di pubblicazione del decreto ministeriale che dichiara il superamento del tetto di spesa. Il Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, avrebbe, quindi, individuato con decreto 6 luglio 2022 (Certificazione del superamento del tetto di spesa dei dispositivi medici a livello nazionale e regionale per gli anni 2015, 2016, 2017 e 2018) i criteri di definizione del tetto di spesa regionale per gli anni 2015, 2016, 2017 e 2018, fissando per ciascun anno il tetto per tutte le regioni al 4,4 per cento del fabbisogno sanitario regionale standard, e con decreto 6 ottobre 2022 (Adozione delle linee guida propedeutiche all’emanazione dei provvedimenti regionali e provinciali in tema di ripiano del superamento del tetto dei dispositivi medici per gli anni 2015, 2016, 2017, 2018) ha adottato le linee guida previste dal citato comma 9-bis.

3.– Il TAR Lazio, in punto di rilevanza, osserva che la disciplina censurata, per la sua chiarezza testuale, non si presta a interpretazioni adeguatrici e che, dalla sua applicazione, discende l’obbligo per le aziende ricorrenti di provvedere al ripianamento del tetto di spesa attraverso il pagamento delle somme richieste dalle regioni con i provvedimenti impugnati.

4.– Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo richiama la sentenza di questa Corte n. 70 del 2017, che ha escluso il contrasto con l’art. 3 Cost. dell’istituto del “payback” con riferimento ai farmaci, sottolineando le differenze tra quella decisione e il caso in esame, ove, tra l’altro, il legislatore non avrebbe individuato alcuna finalità precisa che legittimi la disposizione censurata, se non quella di ripianare il disavanzo sanitario.

Il sistema, per come delineato dalla normativa richiamata, sarebbe in contrasto con l’art. 41 Cost. perché irragionevole nel suo complesso. L’attività imprenditoriale sarebbe, infatti, compressa attraverso prescrizioni eccessive, che non considerano che le imprese hanno partecipato a gare pubbliche ove vige un criterio di sostenibilità dell’offerta in base al quale i ribassi proposti, proprio al fine di assicurare la serietà dell’offerta medesima, devono risultare sostenibili in termini di margine di guadagno. Sarebbero, in particolare, erosi gli utili, senza la garanzia della permanenza di un minimo ragionevole margine di profitto «e addirittura senza che siano coperti i costi (atteso che la norma, per determinare l’ammontare del ripiano, fa riferimento al fatturato e non invece al margine di utile)».

Inoltre – rileva il rimettente – poiché il tetto regionale di spesa annuale per l’acquisto dei dispositivi medici, con riferimento agli anni 2015, 2016, 2017 e 2018, è stato fissato solo con il decreto ministeriale 6 luglio 2022, le regioni hanno acquistato i dispositivi medici senza avere come riferimento un tetto di spesa regionale predefinito, mentre le aziende fornitrici di dispositivi medici hanno partecipato alle gare senza poter prevedere l’impegno economico richiesto in conseguenza del payback e «senza poter formulare in alcun modo un’offerta economica che tenesse conto degli effettivi costi da sostenere con riferimento a ogni singola fornitura».

5.– La disciplina censurata sarebbe in contrasto anche con gli artt. 3 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Prot. addiz. CEDU, per violazione dei principi dell’affidamento, della ragionevolezza e dell’irretroattività, in quanto la previsione dei tetti regionali di spesa e la conseguente quantificazione della quota complessiva di ripiano posta a carico delle aziende fornitrici determinerebbero una compromissione sostanziale dell’utile calcolato dall’azienda al momento della partecipazione alle gare indette dalle regioni, potendo anche causare l’azzeramento di detto utile. Il rimettente, richiamata la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea sul principio della certezza del diritto, ritiene che l’art. 9-ter non avrebbe consentito alle aziende fornitrici di individuare in modo chiaro e preciso la prestazione economica loro richiesta in concreto in sede di gara, per la mancata predeterminazione del tetto regionale di spesa e delle modalità di calcolo di questo, determinandosi di conseguenza un’incertezza del sinallagma contrattuale.

6.– La normativa in questione recherebbe un vulnus altresì all’art. 23 Cost. Premessa la natura non tributaria, ma di prestazione patrimoniale imposta per legge, del prelievo economico disposto sul fatturato delle aziende fornitrici, il rimettente ritiene che tale imposizione sarebbe stata adottata in assenza della previsione a livello legislativo di specifici criteri direttivi idonei a indirizzare la discrezionalità amministrativa nell’attuazione della norma, come richiesto dalla giurisprudenza costituzionale. In particolare, sarebbero indeterminati i criteri per la fissazione da parte delle amministrazioni dei tetti regionali di spesa, nonché quelli volti a considerare la diversità dei dispositivi medici da ricomprendere nel calcolo dell’ammontare della spesa rilevante ai fini del payback. Osserva il rimettente, poi, che, la normativa censurata, che dovrebbe trovare la sua ratio «nella corresponsabilizzazione delle aziende fornitrici che traggono vantaggio dalle forniture agli enti del SSN attraverso la loro compartecipazione agli oneri derivanti dal superamento dei tetti regionali di spesa», determina l’ammontare del ripiano in riferimento al fatturato e non al margine di utile, così colpendo l’intero reddito di impresa. La previsione, inoltre, opera a partire dal 2015 e senza alcun limite temporale, mentre in base alla giurisprudenza costituzionale sarebbero giustificati solo temporanei interventi impositivi differenziati, volti a richiedere «un particolare contributo solidaristico a soggetti privilegiati, in circostanze eccezionali».

7.– Si sono costituite in giudizio tutte le società ricorrenti nei giudizi a quibus. Esse contestano la legittimità costituzionale del sistema delineato dal legislatore con la disciplina censurata, che opererebbe in modo aleatorio e unilaterale, incidendo in maniera imprevedibile sui prezzi stabiliti all’esito delle procedure di gara e rendendo impossibile per le aziende fornitrici la programmazione della propria attività economica. Il meccanismo del payback condurrebbe anche a una deresponsabilizzazione del soggetto pubblico, libero di sforare i tetti beneficiando del ripiano postumo a carico delle aziende del settore, che invece non avrebbero alcuno strumento per valutare l’andamento della spesa sui dispositivi sanitari. L’incongruità della misura deriverebbe anche dalla circostanza che l’entità del riparto è calcolato in proporzione ai fatturati degli operatori economici, senza considerare che il fatturato aziendale coincide con i ricavi e non con il guadagno effettivo del fornitore e, come tale, non può ritenersi espressione della effettiva capacità contributiva degli operatori. È contestata altresì la natura di misura permanente del payback, che sarebbe sganciato da esigenze straordinarie e contingenti di ripianamento dello scostamento rispetto alla spesa programmata. Molte delle parti private lamentano, poi, che il legislatore non avrebbe individuato adeguati criteri per la determinazione dei tetti regionali, tenendo soprattutto conto dell’incidenza delle prestazioni rese dal privato in regime di accreditamento (che, pur fornendo dispositivi medici a strutture che operano in regime di convenzione con il SSN, non è soggetto all’obbligo di ripianamento) e del fenomeno della “mobilità sanitaria interregionale”, per cui alcuni pazienti si spostano dalla regione di residenza in un’altra, per usufruire di talune prestazioni sanitarie, specie quelle più complesse.

8.– Nel giudizio iscritto al n. 167 reg. ord. 2023 si sono costituite Integra LifeSciences Italy srl, Crossmed spa, ICU Medical Europe srl, ICU Medical Italia srl e Smiths Medical Italia srl. Le predette società sostengono che, pur non essendosi costituite nel giudizio di rimessione, sarebbero legittimate a farlo in quello di costituzionalità, in quanto litisconsorti necessarie del giudizio a quo, essendo destinatarie dell’ordinanza del TAR Lazio che ha disposto l’integrazione del contraddittorio per pubblici proclami «a tutti i soggetti controinteressati – da intendersi come tali tutte le ditte che hanno fornito alle strutture pubbliche […] dispositivi medici negli anni di riferimento».

9.– Nel giudizio iscritto al n. 39 reg. ord. 2024 si è costituita, qualificandosi come controinteressata, Alcon Italia spa, che dichiara di essere destinataria dell’obbligo posto dalla disposizione censurata e di avere proposto un autonomo ricorso al TAR Lazio avverso i provvedimenti applicativi della disposizione.

10.– Sono intervenute ad adiuvandum FRL Medical Service srl (nel giudizio iscritto al n. 165 reg. ord. 2023), Medtronic Italia spa e Instrumentation Laboratory spa (nei giudizi iscritti ai numeri 165 reg. ord. 2023 e 41 reg. ord. 2024), Med-El Elektromedizinische Geraete Gmbh – Unità Locale Italiana (nel giudizio iscritto al n. 167 reg. ord. 2023) e Buhlmann Italia srl (nel giudizio iscritto al n. 38 reg. ord. 2024). Tutte le intervenienti sostengono di essere titolari di un interesse qualificato immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, essendo fornitrici di dispositivi medici al Servizio sanitario regionale e, in quanto tali, destinatarie di provvedimenti di richiesta di ripiano dello sforamento del tetto di spesa regionale, in applicazione della disciplina censurata. Le stesse affermano anche di aver presentato autonomi ricorsi innanzi al TAR Lazio avverso tali provvedimenti.

Con l’ordinanza n. 72 del 2024 gli atti di intervento di Medtronic Italia spa e di Instrumentation Laboratory spa nel giudizio iscritto al n. 165 reg. ord. 2023 sono stati dichiarati non ammissibili.

11.– La Regione Toscana si è costituita nei giudizi iscritti ai numeri 165 e 169 reg. ord. 2023 e 41, 43, 44, 45 e 48 reg. ord. 2024, eccependo l’inammissibilità delle questioni sollevate dal TAR Lazio per l’assenza di una adeguata motivazione in punto di non manifesta infondatezza della violazione dei parametri costituzionali evocati. Nel merito, la Regione sostiene che le questioni sarebbero comunque non fondate, sulla scorta di considerazioni simili a quelle svolte dalla difesa dello Stato. In particolare, la Regione Toscana osserva che la misura del riparto imposto a ciascuna azienda sarebbe proporzionata e che il payback sarebbe essenziale al fine di garantire il rispetto del principio del pareggio di bilancio, attraverso la razionalizzazione e il contenimento della spesa. Sarebbe, poi, indimostrata l’affermazione del rimettente secondo cui l’applicazione del meccanismo del payback non garantirebbe la remuneratività delle commesse pubbliche affidate alle aziende fornitrici di dispositivi medici al SSN.

12.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in tutti i giudizi e, dopo aver delineato il quadro normativo sotteso alla vicenda in esame, ha fatto presente che l’art. 8 del decreto-legge 30 marzo 2023, n. 34 (Misure urgenti a sostegno delle famiglie e delle imprese per l’acquisto di energia elettrica e gas naturale, nonché in materia di salute e adempimenti fiscali), convertito, con modificazioni, nella legge 26 maggio 2023, n. 56, ha posto a carico del bilancio dello Stato, per il periodo 2015-2018, l’importo di 1.085 milioni di euro, pari al 52 per cento dell’onere originariamente richiesto alle aziende private, le quali – per effetto del suddetto intervento normativo – hanno visto ridotta la quota di ripiano a proprio carico, residuata in misura del solo 48 per cento (valore assoluto circa 1000 milioni di euro), in caso di rinunzia ai contenziosi pendenti. Ha, quindi, evidenziato l’impatto sulla finanza pubblica di una eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme oggetto del presente giudizio.

Quanto al merito delle questioni sollevate, la difesa dello Stato le ritiene non fondate, innanzitutto in ragione del fatto che la disciplina del payback non avrebbe la finalità di ripianare il disavanzo sanitario ma solo lo scopo della corretta allocazione, tra le varie finalità assistenziali, della spesa sanitaria, al fine di garantire la piena erogazione dei livelli essenziali di assistenza e che, in un’ottica di redistribuzione della ricchezza complessiva tra operatori economici che partecipano alle forniture di dispositivi medici alle strutture pubbliche, il meccanismo in esame sarebbe ragionevole. Il sistema, inoltre, si fonderebbe su dati «del tutto prevedibili» a far data dell’entrata in vigore del censurato art. 9-ter e, in particolare, del suo comma 8: le imprese, quindi, secondo la difesa dello Stato, «ben conoscevano – ovvero avrebbero potuto e dovuto conoscere – sia la normativa sia le dinamiche del mercato nel quale si trovano ad operare, al fine di orientare i propri comportamenti». La disposizione in esame, inoltre, non sarebbe affetta da genericità, fissando tanto i criteri, quanto la procedura per addivenire alla determinazione dei tetti regionali.

13.– Nel giudizio iscritto al n. 165 reg. ord. 2023 sono state depositate due opinioni scritte di amici curiae (associazioni che rappresentano aziende fornitrici di dispositivi medici in favore del SSN) ai sensi dell’art. 6 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. Entrambe le opinioni sono state ammesse con decreto presidenziale del 12 aprile 2024.

In particolare, l’Associazione Fornitori Ospedalieri delle Regioni Puglia e Basilicata – AFORP ha evidenziato la rilevanza socio-economica della questione sottoposta a questa Corte, derivante dall’effetto che l’applicazione del payback produce sulle piccole e medie imprese operanti nel mercato delle forniture sanitarie. Soprattutto per tale tipologia di imprese, l’opinione rimarca l’insostenibilità finanziaria dell’obbligo di ripiano, specialmente se protratto nel tempo. Più in generale, secondo l’amicus curiae, le difficoltà economiche delle imprese, che potrebbero giungere fino a causarne la chiusura e il fallimento, finirebbero con il mettere a rischio gli approvvigionamenti ospedalieri, cagionando il blocco delle forniture. L’opinione, quindi, sostiene e condivide le censure di illegittimità costituzionale sollevate dal TAR Lazio, ribadendone gli aspetti salienti.

Anche l’associazione PMI Sanità – Piccole e Medie Imprese Sanità, con la propria opinione scritta, sostiene e ribadisce le censure di illegittimità costituzionale sollevate dal TAR Lazio, facendole proprie. In particolare, essa sottolinea la situazione di difficoltà finanziaria delle micro, piccole e medie imprese che operano nel settore e che, pur disponendo di un minor fatturato rispetto alle grandi aziende, «costituiscono i principali fornitori degli enti del SSN». In tale contesto, quindi, la previsione del payback risulterebbe «potenzialmente fatale» non solo per tali imprese, ma anche per lo stesso funzionamento del Servizio sanitario nazionale, anche in considerazione del fatto che, venute meno le piccole e medie aziende, quelle di maggiori dimensioni «alzerebbero i prezzi anche per “sterilizzare” il pagamento del payback, con danno per lo Stato e il SSN». L’amicus curiae, in tale prospettiva, si sofferma sui «rischi» che il sistema del payback produce non solo nei confronti delle imprese, grandi e piccole, ma anche nei riguardi del buon funzionamento del sistema sanitario pubblico, oltre che del «Sistema Paese» complessivamente considerato (ciò, specialmente, per la perdita di gettito fiscale, come conseguenza del fallimento delle imprese fornitrici di dispositivi medici).

14.– Nelle memorie presentate in vista dell’udienza le parti private hanno sostenuto che l’eccezione di inammissibilità formulata dalla Regione Toscana sarebbe non fondata, poiché le motivazioni presenti nelle ordinanze di rimessione del TAR Lazio sarebbero adeguate e non generiche. Nell’insistere sulla fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sottoposte, le imprese fornitrici di dispositivi medici contestano, tra l’altro, l’affermazione della Regione Toscana secondo cui l’incidenza del payback sarebbe irrisoria, in quanto calcolata, all’incirca, al 6 per cento del fatturato complessivo delle aziende. L’incidenza, invece, colpirebbe le imprese in misura percentuale maggiore e, comunque, la Regione non terrebbe conto dell’effettivo peso economico del payback sui bilanci delle aziende e dell’erosione sugli utili che esso causerebbe. Hanno, poi, insistito nelle deduzioni circa l’irragionevolezza del meccanismo del payback applicato alla vendita dei dispositivi medici, anche sulla base dalla considerazione che i principi formatisi in materia di payback farmaceutico non potrebbero essere ritenuti validi anche per il settore dei dispositivi medici. Alcune delle parti hanno aggiunto che la normativa censurata non avrebbe adeguatamente fissato i criteri in base ai quali avrebbero dovuto essere individuati i dispositivi medici da considerare nel payback, tanto che tali criteri sarebbero stati delineati soltanto con la successiva circolare del Ministro dell’economia e delle finanze e del Ministro della salute adottata il 26 febbraio 2020, prot. n. 5496.

15.– La Regione Toscana, con propria memoria, oltre a insistere per l’inammissibilità ovvero per la non fondatezza delle censure sollevate dal giudice rimettente, ha replicato alle osservazioni formulate nelle memorie depositate dalle parti private sostenendo, in particolare, che sarebbe irrilevante la circostanza, rappresentata da alcune imprese fornitrici, che la procedura di calcolo non considera le prestazioni rese dalle strutture private convenzionate e il fenomeno della mobilità sanitaria interregionale, tenuto conto che il payback incide sulle imprese in proporzione al fatturato realizzato. Essa sottolinea, poi, che la disciplina censurata intende ricomprendere tutti i dispositivi medici e che la definizione di dispositivo medico è ampiamente consolidata a livello normativo. La Regione osserva anche che alcune parti private, nelle proprie difese, hanno richiamato profili di illegittimità costituzionale non sollevati dalle ordinanze di rimessione, tra i quali quello relativo alla asserita violazione dell’art. 53 Cost. in ragione della natura tributaria del contributo dovuto. In proposito, essa rammenta che, per costante giurisprudenza costituzionale, non è consentito alle parti di ampliare il thema decidendum fissato dal giudice rimettente.

16.– Con memoria depositata in vista dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha formulato alcune osservazioni sul meccanismo del payback, avuto particolare riguardo all’entità dell’impatto economico del meccanismo stesso sul bilancio dello Stato sia nel quadriennio 2015-2018 sia, attraverso una stima realizzata sulla base dei dati forniti dalle regioni, per gli anni dal 2019 al 2023. La difesa statale osserva che, ove venisse meno il meccanismo del payback, si profilerebbe la necessità di incrementare, per un importo complessivo di quasi cinque miliardi di euro, il finanziamento del Servizio sanitario nazionale. Si potrebbero, inoltre, generare «pressioni sulla spesa sanitaria pubblica, con oneri non quantificati aggiuntivi ed effetti sulla corretta, efficiente ed appropriata erogazione dei LEA», e in talune regioni potrebbero determinarsi i presupposti per un incremento delle aliquote dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) e dell’addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) «e finanche le condizioni per la sottoposizione a piani di rientro dai deficit sanitari».

Considerato in diritto

1.– Le sedici ordinanze di rimessione del TAR Lazio, meglio descritte nel Ritenuto in fatto, sottopongono a questa Corte, con argomenti identici, dubbi di legittimità costituzionale – per violazione degli artt. 3, 23, 41 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU – dell’art. 9-ter del d.l. n. 78 del 2015, come convertito, che pone a carico delle aziende fornitrici di dispositivi medici per il Servizio sanitario nazionale una quota di quanto necessario a ripianare lo sforamento del tetto di spesa imposto alle regioni per i relativi acquisti (cosiddetto payback per i dispositivi medici).

Il TAR Lazio, nei giudizi a quibus, è chiamato a decidere sulla legittimità dei provvedimenti amministrativi che hanno dapprima certificato, per le annualità 2015-2018, l’avvenuto superamento dei tetti di spesa e che, conseguentemente, previa adozione di atti prodromici, hanno intimato alle aziende fornitrici il pagamento di somme a titolo di parziale ripiano dello sforamento, in applicazione di quanto previsto dalle disposizioni che formano oggetto dell’incidente di legittimità costituzionale.

Secondo il rimettente, tali disposizioni, originate dalla sola finalità di ripianare il disavanzo sanitario, contrasterebbero anzitutto con l’art. 41 Cost., per la irragionevolezza del sistema così ideato, tale da comprimere eccessivamente la libera attività imprenditoriale delle aziende coinvolte. Queste, infatti, ai fini del menzionato ripianamento, sono chiamate ex lege a restituire somme ricavate dalla vendita dei dispositivi medici, nonostante il relativo prezzo sia stato fissato all’esito di gare pubbliche governate dai criteri di serietà e di sostenibilità dell’offerta, oltretutto «senza la garanzia che permanga un minimo ragionevole margine di utile e addirittura senza che siano coperti i costi». La misura così imposta sarebbe dunque incongrua, in quanto priva di un ragionevole e proporzionato bilanciamento tra il diritto di iniziativa economica privata e l’utilità sociale, avuto anche riguardo alla ritardata fissazione del tetto di spesa annua regionale, che, secondo il giudice a quo, sarebbe intervenuta solo nel 2022, quando cioè il periodo di riferimento (annualità dal 2015 al 2018) era da tempo decorso.

Sarebbero altresì violati gli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Prot. addiz. CEDU, per contrasto con i principi dell’affidamento, della ragionevolezza e della irretroattività. Le disposizioni censurate non avrebbero consentito alle imprese fornitrici di conoscere, in sede di gara, la prestazione economica loro richiesta, non essendo stati previamente determinati né il tetto regionale di spesa né le relative modalità di calcolo, con conseguente «incertezza del sinallagma contrattuale». Il rimettente richiama, a sostegno della sua prospettazione, la giurisprudenza della Corte di giustizia UE, secondo la quale il principio della certezza del diritto esige chiarezza e precisione nella normativa atta a comportare conseguenze svantaggiose per i privati, ed evidenzia che, fino al 2022, non era ancora stata effettuata alcuna verifica in ordine ai tetti di spesa. L’introduzione, nel 2022, della specifica disposizione che ha consentito di definire il tetto per le annualità 2015, 2016, 2017 e 2018 (il comma 9-bis dell’art. 9-ter del d.l. n. 78 del 2015, come convertito) avrebbe, pertanto, inciso su rapporti contrattuali già chiusi.

Infine, il meccanismo del payback si porrebbe in contrasto con l’art. 23 Cost., imponendo una prestazione patrimoniale non avente natura tributaria e non assistita da specifici e vincolanti criteri direttivi, idonei ad indirizzare la discrezionalità amministrativa nell’attuazione della previsione di legge. A fronte dell’indeterminatezza dei criteri per la fissazione dei tetti regionali di spesa, nonché della mancata considerazione delle varie e molteplici tipologie di dispositivi medici che caratterizzano il vastissimo mercato di riferimento, il potere così rimesso dalla legge all’amministrazione esorbiterebbe dai limiti imposti dall’art. 23 Cost., come elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte.

2.– In via preliminare, deve disporsi la riunione dei giudizi in epigrafe, perché le ordinanze di rimessione sollevano le stesse questioni e si fondano su argomentazioni comuni.

3.– Sempre in via preliminare, va ribadito quanto affermato nell’ordinanza di cui è stata data lettura in udienza, allegata al presente provvedimento, sulla non ammissibilità degli interventi spiegati da FRL Medical Service srl (nel giudizio iscritto al n. 165 reg. ord. 2023), Med-El Elektromedizinische Geraete Gmbh – Unità Locale Italiana (nel giudizio iscritto al n. 167 reg. ord. 2023), Buhlmann Italia srl (nel giudizio iscritto al n. 38 reg. ord. 2024), Medtronic Italia spa e Instrumentation Laboratory spa (nel giudizio iscritto al n. 41 reg. ord. 2024); nonché sulla non ammissibilità delle costituzioni in giudizio di Integra LifeSciences Italy srl, Crossmed spa, ICU Medical Europe srl, ICU Medical Italia srl e Smiths Medical Italia srl (nel giudizio iscritto al n. 167 reg. ord. 2023) e di Alcon Italia spa (nel giudizio iscritto al n. 39 reg. ord. 2024).

4.– Va poi rilevato che non vengono qui in considerazione gli argomenti sollevati da alcune delle parti private, volti a far valere dubbi di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 53 Cost., in ragione della natura tributaria del contributo dovuto. Nel giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale, infatti, non possono essere presi in esame questioni o profili di costituzionalità dedotti solo dalle parti e diretti, quindi, ad ampliare o modificare il contenuto delle ordinanze di rimessione (tra le molte, sentenze n. 161 del 2023, n. 228 e n. 186 del 2022 e n. 252 del 2021).

5.– Ancora in via preliminare, va rilevata la non fondatezza della eccezione di inammissibilità sollevata dalla Regione Toscana, la quale lamenta l’assenza, nelle ordinanze di rimessione, di una adeguata motivazione in punto di non manifesta infondatezza delle censure. Infatti, il corredo motivazionale delle ordinanze di rimessione non è generico, né si limita a richiamare per relationem le argomentazioni delle parti nei rispettivi giudizi principali, ma contiene, invece, una specifica illustrazione delle ragioni di censura e autonome valutazioni circa le violazioni denunciate.

6.– La disamina, nel merito, delle questioni sollevate dal TAR Lazio richiede una ricostruzione del quadro normativo in cui si inscrive la disciplina oggetto di censura.

L’art. 17, comma 1, lettera c), del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, nell’ambito del più generale obiettivo di razionalizzare la spesa sanitaria, ha introdotto la previsione di un tetto di spesa cui assoggettare gli acquisti, da parte del SSN, dei dispositivi medici, tetto da definire sia a livello nazionale che regionale. Quanto al primo, esso, a decorrere dal 2014, è stato fissato al valore del 4,4 per cento del fabbisogno sanitario nazionale standard (art. 15, comma 13, lettera f, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario», convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135). Il tetto di spesa regionale, per le annualità 2015, 2016, 2017 e 2018, oggetto specifico del presente giudizio, è stato fissato, per ciascuna regione, nella medesima misura del 4,4 per cento del fabbisogno regionale standard, con atto n. 181/CSR, del 7 novembre 2019, adottato (secondo quanto previsto dall’art. 9-ter, comma 1, lettera b, del d.l. n. 78 del 2015, come convertito) in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.

In ordine alle conseguenze del superamento del tetto, il richiamato art. 17, comma 1, lettera c), alinea, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, stabiliva che la relativa spesa fosse interamente a carico della regione interessata, con ripiano da realizzarsi attraverso misure di contenimento della spesa sanitaria regionale o misure di copertura a carico di altre voci del bilancio regionale.

L’art. 9-ter, comma 9, del d.l. n. 78 del 2015, come convertito, ha innovato rispetto a tale disciplina, ponendo a carico delle aziende fornitrici dei dispositivi medici una quota del ripiano del superamento del tetto di spesa regionale. Sono coinvolte tutte le imprese che forniscono, agli enti del Servizio sanitario nazionale, dispositivi medici di qualunque tipologia o classificazione. Assume rilievo, dunque, l’omnicomprensiva definizione di «dispositivo medico» che si rinviene, attualmente, nel regolamento (UE) n. 2017/745 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2017, relativo ai dispositivi medici, che modifica la direttiva 2001/83/CE, il regolamento (CE) n. 178/2002 e il regolamento (CE) n. 1223/2009 e che abroga le direttive 90/385/CEE e 93/42/CEE del Consiglio (testo rilevante ai fini del SEE). Secondo tale definizione (art. 2, numero 1, del regolamento UE n. 2017/745), per dispositivo medico si intende «qualunque strumento, apparecchio, apparecchiatura, software, impianto, reagente, materiale o altro articolo, destinato dal fabbricante a essere impiegato sull’uomo, da solo o in combinazione», per determinate destinazioni d’uso medico, «e che non esercita nel o sul corpo umano l’azione principale cui è destinato mediante mezzi farmacologici, immunologici o metabolici, ma la cui funzione può essere coadiuvata da tali mezzi».

Ai sensi dell’art. 9-ter, comma 9, in esame, la quota di ripiano messa a carico delle aziende private segue un andamento crescente nel tempo: essa è pari al 40 per cento nell’anno 2015, al 45 per cento nell’anno 2016 e al 50 per cento nell’anno 2017 e successivi. Il comma 9 aggiunge che ciascuna azienda fornitrice concorre alle predette quote «in misura pari all’incidenza percentuale del proprio fatturato sul totale della spesa per l’acquisto di dispositivi medici a carico del Servizio sanitario regionale», rimettendo la definizione delle modalità procedurali di ripiano ad un accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, su proposta del Ministro della salute.

Il superamento del tetto di spesa regionale richiede un’apposita certificazione, con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, entro il 30 settembre di ogni anno. Per l’anno 2019, la rilevazione è effettuata entro il 31 luglio 2020 e, per gli anni successivi, entro il 30 aprile dell’anno seguente a quello di riferimento, «sulla base dei dati risultanti dalla fatturazione elettronica, relativi all’anno solare di riferimento» (così stabilisce il comma 8 dell’art. 9-ter in esame, come riscritto dall’art. 1, comma 557, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021»).

Il sistema del payback, così delineato, è rimasto a lungo inattuato. Solo con il decreto del Ministro della salute 6 luglio 2022, adottato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, e limitatamente alle annualità 2015, 2016, 2017 e 2018, si è avuta la certificazione del superamento del tetto di spesa, con conseguente quantificazione, regione per regione, dell’ammontare dello scostamento.

È poi intervenuto il legislatore che, con specifico riguardo a tali annualità, ha stabilito la procedura successiva da seguire: il comma 9-bis dell’art. 9-ter qui in esame (introdotto il 9 agosto 2022 dall’art. 18, comma 1, del d.l. n. 115 del 2022, come convertito) ha incaricato le regioni e le province autonome di definire, con proprio provvedimento, «l’elenco delle aziende fornitrici soggette al ripiano per ciascun anno, previa verifica della documentazione contabile anche per il tramite degli enti del servizio sanitario regionale». Di seguito, previa adozione con decreto ministeriale di «linee guida propedeutiche», le regioni e le province autonome avrebbero dunque dovuto adottare i provvedimenti che impongono il ripiano alle aziende fornitrici, effettuando le conseguenti iscrizioni nel bilancio del settore sanitario 2022, con obbligo di tali aziende di provvedere ai «versamenti in favore delle singole regioni e province autonome entro trenta giorni dalla pubblicazione dei provvedimenti regionali e provinciali».

Le scansioni procedurali previste dal comma 9-bis sono state seguite dalle autorità competenti. Con decreto 6 ottobre 2022 il Ministro della salute – previa intesa sancita in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano nella seduta del 28 settembre 2022 – ha adottato le linee guida propedeutiche all’emanazione dei provvedimenti regionali e provinciali in tema di ripiano del superamento del tetto relativo alla spesa per i dispositivi medici per gli anni 2015, 2016, 2017 e 2018, ribadendo sia le relative percentuali di riparto a carico delle aziende, sia la misura del concorso di ciascuna azienda, conformemente alle previsioni di legge. Le singole regioni hanno, dunque, provveduto all’adozione dei provvedimenti di recupero delle somme, nei confronti delle singole aziende fornitrici, che formano oggetto dei giudizi principali pendenti dinnanzi al TAR Lazio.

L’art. 4, comma 8-bis, del decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198 (Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi), inserito dalla legge di conversione 24 febbraio 2023, n. 14, ha poi differito al 30 aprile 2023 il termine fissato per l’adempimento da parte dei fornitori.

Successivamente, l’art. 8 del d.l. n. 34 del 2023, come convertito, ha istituito, presso lo stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, un fondo con dotazione pari a 1.085 milioni di euro per l’anno 2023. Esso è esplicitamente raccordato al ripiano del tetto di spesa regionale per gli anni 2015, 2016, 2017 e 2018 (comma 1) e viene assegnato, pro quota, a ciascuna regione e provincia autonoma che ha superato il tetto di spesa in proporzione agli importi alle stesse spettanti per quelle quattro annualità (comma 2). Il comma 3, poi, ha introdotto una misura a beneficio delle aziende fornitrici dei dispositivi medici che non abbiano instaurato controversie, o che intendano abbandonarle, avverso i provvedimenti regionali di recupero. Subordinatamente a quest’ultima condizione, esse sono dunque chiamate al pagamento di un importo più esiguo (solo il 48 per cento della quota di ripiano determinata nei loro confronti), da versarsi entro la data del 30 novembre 2023. Per le aziende fornitrici che non si avvalgono di tale facoltà «resta fermo l’obbligo del versamento della quota integrale a loro carico, come determinata dai richiamati provvedimenti regionali o provinciali». La legge ha inoltre previsto che il tempestivo versamento dell’importo pari alla quota ridotta del 48 per cento «estingue l’obbligazione gravante sulle aziende fornitrici per gli anni 2015, 2016, 2017 e 2018, precludendo loro ogni ulteriore azione giurisdizionale connessa con l’obbligo di corresponsione degli importi relativi agli anni predetti». Su tali previsioni ha poi inciso, come si chiarirà sub punto 8.1., la sentenza di questa Corte n. 139 del 2024.

Da ultimo, l’art. 3-bis, comma 1, del decreto-legge 10 maggio 2023, n. 51 (Disposizioni urgenti in materia di amministrazione di enti pubblici, di termini legislativi e di iniziative di solidarietà sociale), inserito dalla legge di conversione 3 luglio 2023, n. 87, ha previsto la possibilità di modificare la vigente disciplina sul controllo della spesa in materia di dispositivi medici, nelle more della «definizione di una nuova disciplina per la gestione della spesa relativa ai dispositivi medici, che consideri le evoluzioni tecnologiche e le innovazioni nel settore, anche tenendo conto delle iniziative dirette a promuovere l’attuazione del programma di valutazione delle tecnologie sanitarie (Health technology assessment) di cui all’articolo 22 del decreto legislativo 5 agosto 2022, n. 137, e all’articolo 18 del decreto legislativo 5 agosto 2022, n. 138».

7.– Così ricostruito il quadro normativo di riferimento in cui si collocano le disposizioni censurate, occorre preliminarmente chiarire, ai fini dell’esatta perimetrazione dell’odierno thema decidendum, che il sindacato di questa Corte deve concentrarsi sulle previsioni concernenti il payback contenute nell’art. 9-ter del d.l. n. 78 del 2015, come convertito, nella misura in cui queste hanno inciso sul periodo 2015-2018.

È in relazione a tale arco temporale, infatti, che il legislatore ha dettato una disciplina apposita, contenuta nel comma 9-bis del censurato art. 9-ter del d.l. n. 78 del 2015, come convertito, riguardante le modalità di ripianamento dello sforamento del tetto di spesa regionale per l’acquisto di dispositivi medici e sono stati, conseguentemente, adottati i provvedimenti attuativi, oggetto di impugnazione dinanzi al TAR rimettente, con i quali si sono richieste alle imprese fornitrici le relative somme.

8.– Tanto premesso, le questioni non sono fondate per le ragioni di seguito esposte.

8.1.– Va anzitutto precisato che un meccanismo il quale, per effetto del superamento del tetto di spesa, comporti la diminuzione del corrispettivo in danno di imprese che abbiano stipulato contratti di fornitura prima di tale sforamento, è in linea di principio idoneo a comprimere l’autonomia contrattuale, che rinviene il proprio fondamento nell’art. 41 Cost.

Tuttavia, l’iniziativa economica privata incontra il limite dell’utilità sociale, il che la rende compatibile con la possibile previsione legale di un contributo di solidarietà, nei limiti che questa Corte ha già in passato definito. In particolare, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, gli interventi del legislatore che limitano la libertà d’impresa al fine di tutelare l’utilità sociale non possono concretizzarsi in misure tali «da condizionare le scelte imprenditoriali in grado così elevato da indurre sostanzialmente la funzionalizzazione dell’attività economica di cui si tratta, sacrificandone le opzioni di fondo o restringendone in rigidi confini lo spazio e l’oggetto delle stesse scelte organizzative» (sentenza n. 548 del 1990; più di recente, sentenza n. 113 del 2022).

Le finalità di utilità sociale perseguite dalla norma «“non devono necessariamente risultare da esplicite dichiarazioni del legislatore” (sentenza n. 46 del 1963), essendo sufficiente “la rilevabilità di un intento legislativo di perseguire quel fine e la generica idoneità dei mezzi predisposti per raggiungerlo” (sentenze n. 63 del 1991, n. 388 del 1992 e n. 446 del 1988), ferma l’esigenza che l’individuazione delle medesime [finalità] “non appaia arbitraria” e che le stesse non siano perseguite dal legislatore mediante misure palesemente incongrue (tra le molte, sentenze n. 247 e n. 152 del 2010, n. 167 del 2009 e n. 428 del 2008)» (sentenza n. 94 del 2013). Inoltre, «il bilanciamento tra lo svolgimento dell’iniziativa economica privata e la salvaguardia dell’utilità sociale deve rispondere, in ogni caso, ai principi di ragionevolezza e proporzionalità (art. 3, primo comma, Cost.)» (sentenza n. 113 del 2022, citata). Si tratta di una «complessa operazione di bilanciamento» per la quale vengono in evidenza «il contesto sociale ed economico di riferimento», «le esigenze generali del mercato in cui si realizza la libertà di impresa», nonché «le legittime aspettative degli operatori» (sentenza n. 218 del 2021).

In linea con la richiamata giurisprudenza, questa Corte deve, dunque, vagliare se il meccanismo del payback sui dispositivi medici, come applicabile negli anni dal 2015 al 2018, costituisca una misura ragionevole e proporzionata.

La finalità della disciplina censurata è quella di garantire la razionalizzazione della spesa sanitaria: ad essa è intitolata la rubrica dell’art. 9-ter. A tale finalità – peraltro strettamente funzionale anche alla tutela della salute – risponde la fissazione di un tetto di spesa nazionale e regionale per l’acquisto di dispositivi medici. In un contesto di forte complessità ed eterogeneità delle spese sanitarie, il tetto serve ad allocare risorse certe per l’acquisto dei dispositivi, affinché esse siano in equilibrio con altre voci di uscita finanziaria.

Ciò posto, il meccanismo del payback presenta criticità con riguardo, soprattutto, alla tutela delle aspettative delle imprese e alla certezza dei rapporti giuridici. Tuttavia, considerate le plurime e rilevanti finalità perseguite dal legislatore, il meccanismo in esame, per come operante nel circoscritto periodo di cui al comma 9-bis, non risulta irragionevole né sproporzionato.

Esso non è irragionevole poiché pone a carico delle imprese un contributo solidaristico che trova giustificazione nell’esigenza di assicurare la dotazione di dispositivi medici necessaria alla tutela della salute, soprattutto in una generale situazione economico-finanziaria altamente critica, che non consente ai bilanci dello Stato e delle regioni, finanziate con risorse della collettività, di far fronte in modo esaustivo alle spese richieste.

Quanto alla valutazione della proporzionalità del meccanismo in questione, assume decisivo rilievo il fatto che questa Corte, con sentenza n. 139 del 2024, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, del d.l. n. 34 del 2023, come convertito, istitutivo del sopra menzionato fondo di 1.085 milioni di euro «nella parte in cui non estende a tutte le aziende fornitrici di dispositivi medici la riduzione al 48 per cento della quota determinata dai provvedimenti regionali e provinciali di cui all’art. 9-ter, comma 9-bis, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 […], con conseguente caducazione delle procedure e dei termini individuati dal medesimo art. 8, comma 3, del d.l. n. 34 del 2023, come convertito».

In tal modo, anche le aziende che non hanno rinunciato al contenzioso sono tenute a versare, per le annualità 2015, 2016, 2017 e 2018, una somma corrispondente a meno della metà di quella ad esse richiesta con i provvedimenti impugnati nei giudizi a quibus.

Si tratta di una riduzione significativa, che rende l’onere a carico delle imprese, limitatamente al suddetto periodo, non sproporzionato. Né può ritenersi che il payback abbia ridotto eccessivamente i margini di utile delle imprese, essendo indimostrato che si sia prodotto un tale effetto (si veda la sentenza n. 203 del 2016).

8.2.– Una volta qualificato il meccanismo in questione quale contributo di solidarietà, da ricondurre all’ambito oggettivo dell’art. 23 Cost., deve escludersi la violazione di tale parametro.

Va richiamata, in proposito, la costante giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, per il rispetto della riserva di legge relativa di cui al menzionato parametro costituzionale, devono essere indicati «compiutamente il soggetto e l’oggetto della prestazione imposta, mentre l’intervento complementare ed integrativo da parte della pubblica amministrazione deve rimanere circoscritto alla specificazione quantitativa (e qualche volta, anche qualitativa) della prestazione medesima» (sentenza n. 269 del 2017).

La Corte ha anche osservato che non contrasta con il principio della riserva relativa di legge di cui all’art. 23 Cost. l’assegnazione ad organi amministrativi non solo di compiti meramente esecutivi, bensì anche di quello consistente nel determinare elementi, presupposti o limiti, variamente individuabili, della prestazione stessa, sulla base di dati e valutazioni di ordine tecnico (sentenze n. 27 del 1979 e n. 129 del 1969).

Il principio della riserva relativa non è violato neppure in assenza di una espressa indicazione legislativa dei criteri, dei limiti e dei controlli che delimitano l’ambito di discrezionalità della pubblica amministrazione, quando gli stessi siano desumibili dalla composizione e dal funzionamento degli organi competenti a determinare la misura della prestazione di cui trattasi (sentenze n. 67 del 1973, n. 21 del 1969, n. 5 del 1963, n. 51 del 1960 e n. 4 del 1957) ovvero quando esista, per l’emanazione dei provvedimenti amministrativi concernenti la prestazione medesima, un modulo procedimentale con il quale venga a realizzarsi la collaborazione di una pluralità di organi al fine di escludere eventuali arbitrii dell’amministrazione (sentenza n. 507 del 1988).

Quanto all’entità della prestazione imposta, la riserva di legge può considerarsi rispettata qualora essa costituisca «il corrispettivo di un’attività il cui valore economico sia determinabile sulla base di criteri tecnici, e il corrispettivo debba per legge essere determinato in riferimento a tale valore» (sentenza n. 435 del 2001).

La disciplina censurata, in relazione al quadriennio considerato, contiene tutti gli elementi richiesti dalla giurisprudenza costituzionale perché possa considerarsi rispettata la riserva di legge.

Essa, infatti, individua esplicitamente sia i soggetti su cui grava l’obbligo (le imprese che hanno venduto agli enti del SSN dispositivi medici nelle regioni che hanno sforato il tetto) sia l’oggetto della prestazione imposta (il ripianamento, nella misura percentuale prevista dalla legge, dello sforamento). Inoltre, un’ulteriore garanzia a tutela della riserva di legge si rinviene nella circostanza che l’art. 9-ter fornisce, ai commi 8, 9 e 9-bis, le indicazioni generali sulla procedura da seguire per addivenire alla determinazione del ripianamento dovuto dalle aziende. All’amministrazione, dunque, è rimessa la sola attività tecnica necessaria per la quantificazione dell’importo del ripianamento, mentre la normativa censurata consente di conoscere gli elementi essenziali della prestazione imposta.

Non rileva, infine, in senso contrario, la circostanza che il payback colpisca in maniera indistinta la fornitura di qualsiasi dispositivo medico, trattandosi di una scelta del legislatore, che risulta legittima a fronte della sussistenza di una definizione di dispositivo medico chiaramente evincibile dal panorama normativo esistente.

8.3.– Quanto alle censure riferite agli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Prot. addiz. CEDU, viene contestata la violazione dei principi di ragionevolezza, di irretroattività e di affidamento.

Sotto il primo profilo, come già chiarito, l’incisione patrimoniale prodotta dalla disciplina censurata si giustifica, limitatamente alle annualità di prelievo che formano oggetto dei procedimenti a quibus, nell’ambito del più complesso bilanciamento operato dal legislatore.

Per quel che riguarda la denunciata violazione del principio di irretroattività, contrariamente a quanto sostenuto dal rimettente, non è nella specie ravvisabile la portata retroattiva delle disposizioni censurate. Infatti, le imprese fornitrici dei dispositivi medici erano consapevoli fin dal 2015, ancor prima dell’indizione delle gare pubbliche, dell’esistenza di un meccanismo di fissazione di un tetto di spesa e del conseguente obbligo di ripiano in caso di sforamento, che derivava dalle previsioni normative risalenti appunto al 2015.

Lo ius superveniens del 2022, con l’introduzione del comma 9-bis nell’art. 9-ter del d.l. n. 78 del 2015, come convertito, ha solo stabilito di rendere concretamente operative le esistenti procedure per addivenire al ripiano degli sforamenti a carico delle imprese fornitrici (come si evince dalla rubrica dell’art. 18 del d.l. n. 115 del 2022, come convertito), senza tuttavia innovare sull’aspetto sostanziale della vicenda, già oggetto di una chiara e accessibile disciplina.

Del resto, questa Corte, con riferimento a materia analoga, ha affermato la conformità a Costituzione di un intervento legislativo sopravvenuto che si mantenga nell’ambito di un accorto bilanciamento, secondo modalità non implausibili, delle varie e contrapposte esigenze che vengono in rilievo, quali «l’autonomia contrattuale della parte pubblica e della parte privata, l’esigenza di continuità dei servizi sanitari e la salvaguardia degli interessi finanziari del coordinamento della finanza pubblica sottesi alla manovra di riduzione della spesa» (sentenza n. 169 del 2017).

Alla luce di quanto precede, e venendo al terzo aspetto evidenziato dal rimettente, relativo all’asserita lesione dell’affidamento, questa Corte ritiene che le sopravvenienze normative, di natura solo procedimentale, che a partire dal 2022 hanno reso operativo l’obbligo di ripiano a carico delle imprese fornitrici, non abbiano influito, in modo costituzionalmente insostenibile, sull’affidamento che le parti private riponevano nel mantenimento del prezzo di vendita dei dispositivi medici. Infatti, il predetto obbligo di ripiano e del conseguente esborso ex post era comunque già noto sin dal 2015 nei suoi tratti essenziali, ancorché non nella sua concreta incidenza a carico di ciascuna impresa.

9.– In conclusione, in relazione al periodo 2015-2018, non si ravvisa la violazione dei parametri costituzionali evocati.

In questi limiti la Corte giudica non fondate le questioni di legittimità costituzionale.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondate, quanto al quadriennio 2015-2018, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9-ter del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 125, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 23, 41 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea per i diritti dell’uomo, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza quater, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Maria Rosaria SAN GIORGIO

Marco D'ALBERTI, Redattori

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2024