Sentenza n. 252 del 2022

SENTENZA N. 252

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Daria de PRETIS;

Giudici: Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Siciliana 29 luglio 2021, n. 19 (Modifiche alla legge regionale 10 agosto 2016, n. 16 in materia di compatibilità delle costruzioni realizzate in aree sottoposte a vincolo), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 1°-6 ottobre 2021, depositato in cancelleria il 6 ottobre 2021, iscritto al n. 56 del registro ricorsi 2021 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visto l’atto di costituzione della Regione Siciliana;

udito nell’udienza pubblica del 22 novembre 2022 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;

uditi l’avvocato dello Stato Marco Corsini per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Ulisse Corea per la Regione Siciliana;

deliberato nella camera di consiglio del 22 novembre 2022.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso depositato il 6 ottobre 2021 (reg. ric. 56 del 2021), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Siciliana 29 luglio 2021, n. 19 (Modifiche alla legge regionale 10 agosto 2016, n. 16 in materia di compatibilità delle costruzioni realizzate in aree sottoposte a vincolo), in riferimento agli artt. 3, 117, secondo comma, lettere l) ed s), 123 e 127 della Costituzione, nonché in riferimento agli artt. 14 e 27 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2.

La legge reg. Siciliana n. 19 del 2021 si compone di due articoli, l’art. 1, strutturato in due commi (di cui solo il primo è oggetto dell’odierno gravame), e l’art. 2, che regola l’entrata in vigore della legge.

Con la disposizione impugnata, il legislatore regionale intende fornire l’interpretazione autentica dell’art. 24 della legge della Regione Siciliana 5 novembre 2004, n. 15 (Misure finanziarie urgenti. Assestamento del bilancio della Regione e del bilancio dell’Azienda delle foreste demaniali della Regione siciliana per l’anno finanziario 2004. Nuova decorrenza di termini per la richiesta di referendum), che ha attuato in Sicilia il cosiddetto terzo condono edilizio, introdotto dall’art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326.

Ai sensi del citato art. 24, comma 1, è consentita, dalla data di entrata in vigore della legge, la presentazione dell’istanza per il rilascio della concessione edilizia in sanatoria «ai sensi dell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003»; inoltre, sempre il richiamato art. 24 – in forza dell’art. 1, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 19 del 2021 – deve essere interpretato nel senso che è ammissibile la sanatoria delle opere abusive «realizzate nelle aree soggette a vincoli che non comportino inedificabilità assoluta».

Più nel dettaglio, la disposizione impugnata inserisce, nella legge della Regione Siciliana 10 agosto 2016, n. 16 (Recepimento del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380), l’art. 25-bis, rubricato «Norme di interpretazione autentica», in base al quale:

«1. L’articolo 24 della legge regionale 5 novembre 2004, n. 15 si interpreta nel senso che sono recepiti i termini e le forme di presentazione delle istanze presentate ai sensi dell’articolo 32 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e pertanto resta ferma l’ammissibilità delle istanze presentate per la regolarizzazione delle opere realizzate nelle aree soggette a vincoli che non comportino inedificabilità assoluta nel rispetto di tutte le altre condizioni prescritte dalla legge vigente. 2. Per la definizione delle pratiche di sanatoria di cui al presente articolo, gli enti competenti rilasciano il nulla osta entro i termini previsti dalla normativa vigente».

Quanto al comma 2 dell’art. 1 della legge regionale impugnata, che, come detto, non è oggetto di gravame, prevede che, mediante il rinvio alla «normativa vigente», il citato nulla osta venga reso entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge ovvero, nel caso di istanza di riesame, dalla data di presentazione della medesima istanza.

1.1.– L’Avvocatura generale dello Stato premette che l’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, come convertito, consentiva, al fine di regolarizzare il settore edilizio, il condono delle opere abusive esistenti mediante il rilascio del titolo abilitativo alle condizioni stabilite dalla stessa norma statale e dalle normative regionali, fatte comunque salve le competenze delle Regioni a statuto speciale (commi da 1 a 4).

Il condono avrebbe dovuto riguardare le opere ultimate entro il 31 marzo 2003 che non avessero comportato un ampliamento dell’esistente in misura superiore al trenta per cento della relativa volumetria o, in alternativa, che presentassero ulteriori caratteristiche espressamente indicate (commi 25 e 26).

Il termine di presentazione delle domande veniva fissato a pena di decadenza entro il 10 dicembre 2004, con l’attestazione del pagamento dell’oblazione e dell’anticipazione degli oneri concessori (comma 32).

Tali disposizioni venivano dettate come estensione della disciplina del condono già introdotta dalle leggi 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive), e 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), con una importante differenza: venivano espressamente escluse dall’ambito di applicazione del terzo condono le opere abusive realizzate in aree soggette a vincoli di inedificabilità relativa (comma 27, lettera d), la cui sanatoria era invece ammessa dai precedenti condoni.

In tale ambito, argomenta l’Avvocatura, con l’art. 24 della legge regionale n. 15 del 2004, la Regione Siciliana aveva integralmente recepito quanto stabilito dall’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, come convertito, attesa la previsione – al comma 1 del citato art. 24 – che la concessione edilizia in sanatoria può essere richiesta e rilasciata nelle forme e nei limiti di cui all’art. 32 della legge nazionale.

In ragione di tale richiamo, doveva ritenersi che non fossero ammissibili le istanze presentate per la regolarizzazione delle opere realizzate in aree soggette a vincoli di inedificabilità relativa, appunto escluse dal citato comma 27, lettera d), dell’art. 32.

Non poteva dunque continuare ad applicarsi l’art. 23 della legge della Regione Siciliana 10 agosto 1985, n. 37 (Nuove norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, riordino urbanistico e sanatoria delle opere abusive), che, nel recepire il primo condono, ammetteva tale misura anche con riguardo alle opere realizzate in aree soggette a vincolo di inedificabilità relativa dietro nulla osta dell’autorità competente per il vincolo, limitando il divieto di sanatoria solo in relazione alle zone caratterizzate da inedificabilità assoluta.

In tal senso, nel ricorso vengono richiamate alcune sentenze della Corte di cassazione secondo cui «il legislatore regionale, a differenza di quanto accaduto con la L.R. n. 37 del 1985, ha recepito nell’ambito territoriale della Regione Sicilia, la L. n. 326 del 2003, art. 32 direttamente e integralmente e cioè sia con riguardo alle forme che ai limiti ivi previsti tra cui, anche, la previsione di cui al comma 27, lettera d), per la quale la concessione edilizia in sanatoria non può essere rilasciata per interventi di nuova costruzione in aree sottoposte ai vincoli ivi citati» (viene richiamata la sentenza della Corte di cassazione, sezione terza penale, n. 30693 del 2021). Il ricorrente evidenzia che, sulla base del medesimo orientamento, la legge reg. Siciliana n. 37 del 1985 non potrebbe dunque prevalere sulla normativa statale sopravvenuta che disciplina in ogni suo aspetto il condono edilizio, anche tenuto conto della posteriorità temporale di quest’ultima rispetto alla prima (sul punto vengono richiamate le sentenze della Corte di cassazione, sezione terza penale, 8 aprile 2016, n. 45527, e 27 ottobre 2011, n. 45977).

1.2.– Ciò premesso, con il primo motivo di ricorso il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta la violazione degli artt. 117, secondo comma, lettera s), 123, 127, Cost., nonché degli artt. 14 e 27 dello statuto di autonomia. La disposizione impugnata, espressione della competenza statutaria primaria della Regione Siciliana nelle materie dell’urbanistica e della tutela del paesaggio (art. 14, primo comma, lettere f ed n), nell’estendere l’ambito di applicazione del condono edilizio alle aree soggette a vincoli di inedificabilità relativa, contrasterebbe con la norma di grande riforma economico-sociale contenuta nell’art. 32, comma 27, lettera d), del citato d.l. n. 269 del 2003, come convertito, che esclude il condono in presenza di vincoli relativi; limitazione, questa, introdotta dallo Stato nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva nella materia della tutela dell’ambiente e dei beni culturali (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.).

A sostegno di tale censura, il ricorrente deduce che la disposizione impugnata, erroneamente definita dal legislatore regionale di interpretazione autentica, introdurrebbe una indebita estensione, per la sola Regione Siciliana, dei limiti di applicazione del terzo condono edilizio, in contrasto con quanto stabilito dall’art. 32, comma 27, lettera d), del d.l. n. 269 del 2003, come convertito, le cui previsioni non sarebbero derogabili da parte del legislatore regionale e che infatti l’art. 24 della legge reg. Siciliana n. 15 del 2004 aveva integralmente recepito.

Più nello specifico, i limiti statali al condono edilizio assurgerebbero nel caso delle regioni ordinarie a principi fondamentali sanciti dallo Stato nella materia, di competenza legislativa concorrente, del governo del territorio e, nel caso delle regioni ad autonomia speciale, a norme di grande riforma economico-sociale.

A quest’ultimo riguardo, nel ricorso viene richiamata la sentenza n. 196 del 2004 con cui – in relazione al terzo condono – questa Corte avrebbe affermato che le previsioni concernenti la determinazione massima dei fenomeni condonabili integrano norme di grande riforma economico-sociale che, sulla base degli statuti, costituiscono un limite per le potestà legislative primarie delle regioni ad autonomia speciale.

D’altro canto, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, questa Corte avrebbe ripetutamente sancito la prevalenza del potere legislativo statale nel vincolare la competenza legislativa regionale, anche esclusiva, allorquando le leggi nazionali dettino norme di riforma economico-sociale nella materia della tutela dell’ambiente, dei beni culturali e del paesaggio, onde evitare una lesione diretta dei beni culturali e paesaggistici, con conseguente grave diminuzione del livello di tutela garantito nell’intero territorio nazionale.

Ad avviso del ricorrente, pertanto, il limite al condono edilizio posto dall’art. 32, comma 27, lettera d), del d.l. n. 269 del 2003, come convertito, rientrerebbe a pieno titolo nell’ambito delle norme di grande riforma economico-sociale, proprio in quanto introdotto a salvaguardia delle esigenze di tutela dei beni culturali e del paesaggio (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.).

La disposizione impugnata eccederebbe quindi dai limiti alla potestà legislativa regionale sanciti dallo statuto di autonomia e violerebbe i parametri costituzionali che regolano la formazione delle leggi regionali, con invasione della sfera di competenza legislativa esclusiva dello Stato.

1.3.– La norma impugnata violerebbe altresì l’art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza e della coerenza e certezza dell’ordinamento giuridico.

A fondamento di tale censura, il ricorrente evidenzia ancora una volta il carattere innovativo e non meramente interpretativo della disposizione impugnata, in quanto renderebbe sanabili, su beni vincolati di interesse culturale e paesaggistico, interventi che pacificamente non lo sono in base alla disciplina statale e regionale.

Per l’effetto, la disposizione impugnata non dirimerebbe alcun dubbio interpretativo sulla portata di una determinata norma, attribuendole una delle possibili varianti di senso compatibili col tenore letterale, bensì introdurrebbe surrettiziamente una prescrizione nuova e retroattiva, estendendo l’ambito di applicabilità del condono edilizio.

Il ricorrente ricorda che, «anche se non costituzionalizzato al di fuori della previsione contenuta nell’art. 25 Cost.», il principio di irretroattività della legge assurge a valore di principio generale ai sensi dell’art. 11, primo comma, delle disposizioni preliminari al codice civile, cui il legislatore dovrebbe preferibilmente attenersi; nel caso in cui invece intenda discostarsene, il medesimo dovrebbe allora ispirarsi con particolare rigore al canone della ragionevolezza.

In virtù di tale premessa, l’estensione dell’ambito di applicazione del condono edilizio alle zone soggette a vincoli di inedificabilità relativa sarebbe irragionevole e lesiva del principio di stabilità dei rapporti giuridici, in quanto verrebbe modificato l’esito delle pratiche di condono, a distanza di circa diciassette anni dalla relativa presentazione, con la possibilità persino – ai sensi di quanto previsto dal comma 2 dell’art. 1 della legge regionale in esame – di riaprire i procedimenti già definiti con provvedimento inoppugnabile e su cui eventualmente potrebbe essersi formato un giudicato negativo.

1.4.– Ad avviso del ricorrente, infine, l’estensione con efficacia retroattiva dell’area degli illeciti condonabili avrebbe una evidente ricaduta anche sul piano dell’ordinamento penale, parimenti riservato alla potestà legislativa statale, con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. e dell’art. 14 dello statuto della Regione Siciliana.

Infatti, la disposizione regionale consentirebbe – si legge nel ricorso introduttivo – «di dare legittimamente corso a una domanda di sanatoria amministrativa ai sensi degli artt. 23 della legge reg. Sicilia n. 37 del 1985» e 32 del d.l. n. 269 del 2003, come convertito, «quando per lo stesso abuso si configurano ipotesi di illecito penale sanzionate ai sensi dell’art. 181 del Codice dei beni culturali».

Del resto, anche questa Corte avrebbe più volte statuito che in tema di condono edilizio il limite della materia penale opera pure nei confronti delle regioni ad autonomia speciale (al riguardo, viene nuovamente richiamata la sentenza n. 196 del 2004).

Di conseguenza, la norma impugnata finirebbe per invadere la sfera riservata al legislatore statale in materia penale, con un inammissibile e ingiustificato trattamento di favore per gli illeciti commessi nel territorio siciliano in danno del paesaggio e del patrimonio culturale.

2.– Con atto depositato il 4 novembre 2021, si è costituita in giudizio la Regione Siciliana, in persona del Presidente pro tempore, chiedendo che le questioni vengano dichiarate inammissibili e comunque non fondate.

2.1.– L’eccezione di inammissibilità viene sollevata sotto il profilo della carente motivazione delle censure, deducendo che il ricorrente si sarebbe limitato a indicare il parametro violato, senza in alcun modo esplicitare le ragioni che militerebbero in favore della tesi dell’illegittimità costituzionale della norma impugnata.

2.2.– Nel merito, la Regione resistente esclude la violazione degli artt. 117, secondo comma, lettera s), e 123 Cost., evidenziando che la disposizione censurata avrebbe reale portata interpretativa e integrerebbe espressione della competenza legislativa esclusiva della Regione Siciliana prevista dall’art. 14, primo comma, lettere f) ed n), dello statuto di autonomia.

Al riguardo, viene premesso che sulle modalità di recepimento del terzo condono edilizio, ad opera dell’art. 24 della legge reg. Sicilia n. 15 del 2004, si è instaurato un nutrito contenzioso nell’ambito del quale il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, prendendo posizione per la prima volta con il parere n. 291 del 2010, avrebbe interpretato in termini del tutto condivisibili il citato art. 24, lettura che sarebbe stata appunto recepita dalla disposizione impugnata.

In particolare, il CGARS avrebbe reiteratamente affermato che il divieto di cui all’art. 32, comma 27, lettera d), del d.l. n. 269 del 2003, come convertito, andrebbe inteso in Sicilia come riferito unicamente ai vincoli assoluti e non anche a quelli relativi.

A sostegno di tale assunto, nel parere n. 291 del 2010 sarebbe richiamato l’art. 1, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 37 del 1985, attuativa del primo condono edilizio introdotto dalla legge n. 47 del 1985, ai sensi del quale «[la legge n. 47 del 1985] e successive modifiche e integrazioni si applica, ad eccezione degli artt. 3, 5, 23, 24, 25, 29 e 50, nella Regione Siciliana con le sostituzioni, modifiche e integrazioni della presente legge».

Il CGARS avrebbe quindi evidenziato che l’art. 23 della legge reg. Siciliana n. 37 del 1985 sostituisce con un unico articolo gli artt. 32 e 33 della legge n. 47 del 1985 i quali, nella loro formulazione originaria, ammettevano – nel definire le condizioni di applicabilità del condono – la sanatoria delle opere abusive realizzate in zone soggette a vincoli di inedificabilità relativa.

In virtù dell’accorpamento indicato, il testo dei citati artt. 32 e 33 vigente nella Regione Siciliana sarebbe impermeabile alle modifiche successivamente apportate dalla legislazione statale e quindi coinciderebbe tuttora con la versione iniziale.

La vigenza di quanto originariamente previsto dagli artt. 32 e 33 della legge n. 47 del 1985 si tradurrebbe – ha sostenuto il CGARS nel parere citato – secondo un’esegesi necessariamente sistematica, nella «salvezza» di quanto previsto dall’art. 23 della legge reg. Siciliana n. 37 del 1985 che li ha recepiti, con la conseguenza che in Sicilia il divieto di cui all’art. 32, comma 27, lettera d), del d.l. n. 269 del 2003, come convertito, «deve considerarsi riferito unicamente ai vincoli “assoluti”, e non anche a quelli cosiddetti relativi; per i quali ultimi può, invece, ottenersi la concessione in sanatoria, ove si realizzino tutte le altre condizioni stabilite dal predetto art. 32-33, ancora vigente nella Regione».

D’altro canto, nell’indicare i limiti al condono edilizio, proprio l’art. 32, comma 27, del d.l. n. 269 del 2003, come convertito, farebbe espressamente salva, nel suo incipit, la disciplina contenuta negli artt. 32 e 33 della legge n. 47 del 1985, che, nel caso della Regione Siciliana, rimarrebbero insensibili alle modifiche apportate successivamente dal legislatore statale, tra le quali appunto rientrerebbero i limiti introdotti dal comma 27 dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, come convertito.

Inoltre, non consistendo lo scopo di un vincolo di inedificabilità relativa nell’impedire in sé l’edificazione, bensì nel conformarla secondo modalità che la rendano compatibile con la tutela dell’interesse in funzione del quale il vincolo è stato posto, ammettere la sanatoria di opere realizzate in presenza di un vincolo relativo all’esito di una valutazione postuma, ma di contenuto analogo, non determinerebbe alcun arretramento di tutela del patrimonio culturale.

Oltretutto, ad avviso del ricorrente, il divieto di cui all’art. 32, comma 27, lettera d), del d.l. n. 269 del 2003, come convertito, nemmeno integrerebbe una norma fondamentale di riforma economico-sociale, in quanto tale idonea a vincolare la potestà legislativa primaria regionale, essendo priva di contenuto riformatore e non attenendo a un bene comune di primaria importanza per la vita sociale ed economica, come invece richiederebbe la costante giurisprudenza costituzionale (vengono richiamate le sentenze n. 198 del 2018, n. 164 del 2009 e n. 378 del 2007).

A riscontro di tale assunto, viene osservato che l’art. 32, comma 1, della legge n. 47 del 1985, come modificato dal comma 43 dell’art. 32, del d.l. n. 269 del 2003, come convertito, nel suo incipit prevede testualmente che, «[f]atte salve le fattispecie previste dall’art. 33, il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo, è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso […]».

Risulterebbe, quindi, confermata la condonabilità di opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo relativo, con la conseguenza che, nella determinazione massima dei fenomeni condonabili su cui non potrebbe incidere il legislatore regionale, non andrebbe inclusa la sanatoria degli abusi commessi nelle aree soggette a vincoli di inedificabilità relativa.

Ciò risulterebbe avvalorato anche dai commi 14, 15, 16 e 17 dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, come convertito, che prevedono la possibilità di sanatoria degli abusi realizzati su aree di proprietà statale, qualora sussista la disponibilità dello Stato a cedere a titolo oneroso la proprietà dell’area su cui insiste l’opera abusiva, anche nel caso di aree soggette ai vincoli di cui all’art. 32 della legge n. 47 del 1985.

Da quanto sin qui complessivamente osservato discenderebbe, ad avviso della Regione resistente, la non fondatezza del primo motivo di ricorso.

2.3.– In ordine alla violazione degli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera l), Cost. (rispettivamente secondo e terzo motivo di ricorso), la Regione Siciliana deduce che tali censure poggerebbero sull’erroneo presupposto interpretativo che il condono in esame estingua i reati paesaggistici previsti dall’art. 181 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), e non i reati edilizi, caratterizzati da disciplina differenziata e diversa oggettività giuridica.

Nell’atto di costituzione viene poi evidenziato, richiamando gli insegnamenti del CGARS in materia di legislazione urbanistica della Regione Siciliana, che l’estinzione del reato non inciderebbe sulla legittimità urbanistica dell’opera e non risulterebbe pertanto vietato introdurre una sanatoria urbanistica che non determini l’estinzione dei connessi illeciti penali, attesa la totale separazione logico-concettuale della vicenda penale da quella amministrativa.

Sarebbe quindi consentito alla Regione Siciliana, nell’esercizio di una propria competenza legislativa, introdurre ipotesi ulteriori di estinzione della difformità urbanistica a prescindere dall’illiceità penale dell’attività edilizia svolta.

Peraltro, anche questa Corte avrebbe statuito, ad esempio nella sentenza n. 196 del 2004, che gli effetti amministrativi e penali dei condoni edilizi non debbano necessariamente coincidere, affermando che la riserva della materia penale in favore del legislatore statale possa ritenersi violata solo quando la fonte normativa integratrice extra-statale pretenda di introdurre una fattispecie di reato, ma non anche allorquando concorra alla determinazione del precetto normativo secondo lo schema della norma penale in bianco.

A tale ultimo riguardo, viene in particolare richiamata la sentenza n. 46 del 2014 di questa Corte, secondo cui la legislazione regionale può «concorrere a precisare, secundum legem, i presupposti di applicazione di norme penali statali, svolgendo, in pratica, funzioni analoghe a quelle che sono in grado di svolgere fonti secondarie statali: ciò, particolarmente, quando la legge statale subordini effetti incriminatori o decriminalizzanti ad atti amministrativi (o legislativi) regionali (il riferimento è, in particolare, alle cosiddette norme penali in bianco: sentenze n. 63 del 2012 e n. 487 del 1989)».

In tale prospettiva, la disposizione regionale impugnata avrebbe appunto solo precisato i limiti di applicazione del terzo condono, facoltà peraltro espressamente prevista dall’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, come convertito, che fa salve le competenze delle regioni a statuto speciale (comma 4), escludendo dalla possibile applicazione del condono, nel rispetto della normativa vigente in Sicilia, solamente gli abusi realizzati nelle aree soggette a vincoli assoluti (art. 23, della legge reg. Siciliana n. 37 del 1985).

Neppure si verificherebbe una disparità di trattamento tra il territorio siciliano e il resto d’Italia, in quanto la violazione dell’art. 3 Cost. si potrebbe configurare solo se si negasse la spettanza alla Regione Siciliana del potere di incidere con proprie norme sulla materia di competenza legislativa esclusiva, laddove «è fisiologicamente connaturata allo stesso principio regionalistico la possibilità di regimi differenziati della stessa fattispecie tra Regione e Regione» (sentenza n. 46 del 2014), anche ammettendo il compimento di attività edilizie contrastanti con gli strumenti edilizi, penalmente sanzionate in altre regioni.

3.– Con atto depositato il 16 novembre 2021, è intervenuta, ad adiuvandum, l’associazione Legambiente Sicilia Aps, che si è definita titolare di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto dedotto in giudizio, avendo tra i propri fini statutari la tutela del patrimonio storico, artistico e culturale del territorio e del paesaggio.

4.– Con memoria depositata l’8 marzo 2022, la Regione Siciliana ha chiesto che l’intervento spiegato da associazione Legambiente Sicilia Aps venga dichiarato inammissibile.

Nella camera di consiglio dell’11 maggio 2022, l’intervento è stato dichiarato inammissibile con l’ordinanza di questa Corte n. 134 del 2022.

5.– Il 30 maggio 2022, la Regione Siciliana ha depositato memoria integrativa, richiamandosi alle proprie argomentazioni difensive.

In punto di inammissibilità, la Regione resistente ha aggiunto che il ricorso si caratterizzerebbe per perplessità e oscurità delle censure, non risultando chiaro se il Presidente del Consiglio dei ministri contesti l’illegittimità costituzionale della norma scaturente dall’interpretazione autentica (cioè la sanabilità di abusi in presenza di vincoli di inedificabilità relativa) o se, piuttosto, si limiti ad escludere che tale norma possa costituire una delle opzioni possibili della norma interpretata. In particolare, il Presidente del Consiglio dei ministri non avrebbe promosso una questione di legittimità costituzionale, bensì articolato una questione interpretativa avente ad oggetto l’art. 24 della legge reg. Siciliana n. 15 del 2004, al fine di escludere che tale norma possa essere letta nel senso di ritenere ammissibile in Sicilia il terzo condono edilizio in presenza di vincoli relativi.

In ordine alla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., la Regione resistente ha precisato che il ricorrente non avrebbe motivato adeguatamente le ragioni della violazione del supposto parametro interposto rappresentato dall’art. 181 cod. beni culturali; disposizione, quest’ultima, che, anzi, confermerebbe che ad una sanatoria amministrativa non corrisponde sempre una sanatoria penale, in quanto la sanatoria amministrativa “postuma” ivi disciplinata escluderebbe la sanzione penale solo nei casi indicati dal comma 1-ter del citato art. 181.

Nel merito, dopo aver ribadito che l’art. 32, comma 27, lettera d), del d.l. n. 269 del 2003, come convertito, non assurge a norma di grande riforma economico-sociale, la Regione Siciliana ribadisce che nemmeno questa Corte avrebbe mai riconosciuto tale natura. In particolare, nello stabilire che è sottratto allo spazio di intervento affidato al legislatore delle regioni ad autonomia particolare «quanto è immediatamente riferibile ai principi di questo intervento eccezionale di “grande riforma” (il titolo abilitativo edilizio in sanatoria, la determinazione massima dei fenomeni condonabili)» (sentenza n. 194 del 2006), questa Corte non avrebbe affatto affermato che per «determinazione massima dei fenomeni condonabili» debbano intendersi i limiti di cui al citato art. 32, comma 27. Ed infatti, tale locuzione atterrebbe esclusivamente alla definizione delle volumetrie massime condonabili.

In tale prospettiva, sarebbero del tutto inconferenti quelle sentenze richiamate dal ricorrente in cui questa Corte ha stabilito che – nell’ambito della competenza legislativa esclusiva nella materia della «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. – lo Stato può continuare ad imporre al legislatore delle regioni ad autonomia speciale, che eserciti la propria competenza statutaria nella materia dell’urbanistica, il rispetto delle leggi qualificabili come «riforme economico-sociali» emanate nella materia di cui al citato art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

6.− Il 1° giugno 2022, la Regione Siciliana ha depositato istanza di rinvio dell’udienza, rappresentando di aver condiviso con la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per gli Affari regionali e per le autonomie l’opportunità di istituire un tavolo di lavoro congiunto per valutare modificazioni alla norma impugnata.

7.− Con memoria del 6 giugno 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri ha aderito all’istanza di rinvio presentata dalla Regione.

8.− In accoglimento dell’istanza di rinvio, l’udienza pubblica è stata rinviata al 22 novembre 2022, nella quale le parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni formulate nei rispettivi scritti difensivi.

Considerato in diritto

1.– Con ricorso depositato il 6 ottobre 2021 (reg. ric. n. 56 del 2021), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 19 del 2021, in riferimento agli artt. 3, 117, secondo comma, lettere l) ed s), 123 e 127 della Costituzione, nonché in riferimento agli artt. 14 e 27 dello statuto della Regione Siciliana.

Con la disposizione impugnata, il legislatore regionale intende fornire l’interpretazione autentica dell’art. 24 della legge reg. Siciliana n. 15 del 2004, che ha recepito in Sicilia il terzo condono edilizio, previsto dall’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, come convertito.

In forza della disposizione impugnata, la menzionata norma di recepimento deve essere interpretata nel senso che è ammissibile la sanatoria delle opere abusive «realizzate nelle aree soggette a vincoli che non comportino inedificabilità assoluta».

Più nel dettaglio, la disposizione impugnata aggiunge l’art. 25-bis, «Norma di interpretazione autentica», alla legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, disponendo quanto segue:

«1. L’articolo 24 della legge regionale 5 novembre 2004, n. 15 si interpreta nel senso che sono recepiti i termini e le forme di presentazione delle istanze presentate ai sensi dell’articolo 32 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e pertanto resta ferma l’ammissibilità delle istanze presentate per la regolarizzazione delle opere realizzate nelle aree soggette a vincoli che non comportino inedificabilità assoluta nel rispetto di tutte le altre condizioni prescritte dalla legge vigente. 2. Per la definizione delle pratiche di sanatoria di cui al presente articolo, gli enti competenti rilasciano il nulla osta entro i termini previsti dalla normativa vigente».

2.– Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 117, secondo comma, lettera s), 123 e 127, Cost., nonché degli artt. 14 e 27 dello statuto di autonomia, in quanto la disposizione impugnata, pur espressione della competenza statutaria primaria della Regione Siciliana nelle materie dell’urbanistica e della tutela del paesaggio (art. 14, primo comma, lettere f e n), contrasterebbe con la norma di grande riforma economico-sociale contenuta nel già richiamato art. 32, comma 27, lettera d), del d.l. n. 269 del 2003, come convertito.

In particolare, la disposizione impugnata, limitando espressamente l’esclusione della sanatoria alle sole aree sottoposte a vincoli di “inedificabilità assoluta”, estenderebbe implicitamente il condono edilizio anche alle opere realizzate nelle aree soggette ad altri possibili vincoli (di cosiddetta inedificabilità relativa), in violazione dell’invocato parametro interposto.

L’impugnato art. 1, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 19 del 2021 non potrebbe avere – ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri – carattere interpretativo bensì innovativo (si tratterebbe di norma surrettiziamente nuova e «retroattiva approvata a distanza di quasi diciassette anni») e contrasterebbe con l’indicata norma statale ritenuta di grande riforma economico-sociale.

Le limitazioni di cui al citato art. 32, comma 27, lettera d), del d.l. n. 269 del 2003, come convertito, sarebbero state introdotte dallo Stato nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva nella materia della «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali» (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.).

L’impugnato art. 1, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 19 del 2021 eccederebbe quindi dai limiti alla potestà legislativa regionale, sanciti dallo statuto regionale (le grandi riforme economico-sociali), in violazione dei parametri costituzionali che regolano la formazione delle leggi regionali (artt. 123 e 127 Cost.), con invasione, al contempo, della sfera di competenza legislativa esclusiva statale (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.).

Quanto alle norme di grande riforma economico-sociale, nel ricorso viene richiamata la sentenza di questa Corte n. 196 del 2004 con cui – in relazione al terzo condono – si è affermato che le previsioni concernenti la determinazione massima dei fenomeni condonabili afferiscono al limite, posto alle potestà legislative primarie delle regioni a statuto speciale, rappresentato dalle grandi riforme economico-sociali. In particolare, quelle operanti nelle materie della tutela dell’ambiente, dei beni culturali e del paesaggio, con conseguente grave diminuzione del livello di tutela garantito nell’intero territorio nazionale.

2.1.– Nel ricostruire il quadro normativo di riferimento, il Presidente del Consiglio dei ministri si è soffermato sulla portata applicativa della norma che la Regione Siciliana ha inteso interpretare.

Ad avviso del ricorrente, l’art. 24 della legge reg. Siciliana n. 15 del 2004, nel rinviare all’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, come convertito, senza limitazioni di sorta, avrebbe recepito integralmente il suo contenuto precettivo, inclusi i limiti alla sanatoria dettati dal comma 27, lettera d).

In questo senso, si sarebbe ripetutamente pronunciata la Corte di cassazione penale, valorizzando il dato letterale del citato art. 24, sia pure non in linea con l’orientamento espresso dal CGARS, secondo il quale il rinvio alla legislazione statale dovrebbe invece intendersi limitato ai termini e alle forme di presentazione dell’istanza di sanatoria. Ad avviso del CGARS, infatti, nell’ambito della Regione Siciliana dovrebbe continuare ad applicarsi la disciplina attuativa del primo condono edilizio, prevista dalla legge statale n. 47 del 1985 e recepita dalla legge reg. Siciliana n. 37 del 1985, preclusiva della sanatoria solo a fronte di vincoli di inedificabilità assoluta.

Questa soluzione sarebbe però, ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, palesemente errata, in quanto – come evidenziato dalla Corte di cassazione – una legge regionale anteriore non potrebbe prevalere su una disciplina nazionale successiva.

È per tale ragione che, sempre secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, dovrebbe escludersi la natura interpretativa della disposizione impugnata, posto che la medesima estende con efficacia retroattiva l’ambito di applicazione del condono ad ipotesi non consentite dalla norma che intende interpretare, e quindi non rientranti nelle possibili varianti di senso del testo originario.

3.– La Regione Siciliana, nella costituzione in giudizio e nella successiva memoria, ha eccepito l’inammissibilità delle censure, per oscurità e difetto di motivazione, in quanto il ricorrente si sarebbe limitato a indicare i parametri violati, senza indicare le ragioni a sostegno del vulnus lamentato.

3.1.– Le eccezioni non sono fondate.

Invero, il Presidente del Consiglio dei ministri ricostruisce il quadro normativo, nazionale e regionale, attinente al terzo condono edilizio ed esamina la relativa giurisprudenza costituzionale, amministrativa e penale, motivando adeguatamente sulla violazione dei parametri invocati.

4.– Nel merito, sono fondate le questioni promosse in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e 14 dello statuto della Regione Siciliana.

Va premesso che la disposizione impugnata, a dispetto della qualificazione fornita dal legislatore regionale, ha carattere innovativo perché – consentendo, con efficacia retroattiva, la sanatoria delle opere realizzate nelle aree soggette a vincoli di inedificabilità relativa – è in evidente contrasto con quanto stabilito dalla disposizione che intende interpretare.

Già sulla base della sua portata letterale, infatti, l’art. 24 della legge reg. Siciliana n. 15 del 2004 richiama espressamente l’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, come convertito, nella sua integralità. Di conseguenza, tale rinvio riguarda non solo i termini e le forme della richiesta di concessione in sanatoria, ma anche i limiti entro i quali questa deve essere rilasciata, tra cui quello previsto dal citato comma 27, lettera d), dell’art. 32, che attribuisce «carattere ostativo alla sanatoria anche in presenza di vincoli che non comportino l’inedificabilità assoluta» (sentenza n. 117 del 2015; in senso conforme, sentenze n. 181 del 2021, n. 225 del 2012, n. 290 e n. 54 del 2009 e n. 196 del 2004). Fra questi, ma non solo, come prescrive la citata lettera d), vi sono «i vincoli imposti a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di tali opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici».

In tal senso, si è espressa ripetutamente, tra l’altro, la Corte di cassazione penale, chiarendo, in termini che questa Corte reputa condivisibili, che la legge reg. Sicilia n. 37 del 1985, nel recepire il primo condono edilizio, che ammetteva la sanatoria in presenza di vincoli relativi, non può prevalere sulla normativa statale sopravvenuta che disciplina, in ogni suo aspetto, il terzo condono edilizio e che è anch’essa recepita dalla citata legge reg. Siciliana n. 15 del 2004 (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenze 24 giugno 2021, n. 30693, 8 aprile 2016, n. 45527, e 27 ottobre 2011, n. 45977).

Non pare condivisibile, invece, il diverso avviso del CGARS, adunanza del 31 gennaio 2012, parere n. 291 del 2010, secondo cui, nell’ambito della Regione Siciliana, dovrebbe continuare ad applicarsi la disciplina attuativa del primo condono edilizio, prevista dalla legge n. 47 del 1985, preclusiva della sanatoria solo a fronte di vincoli di inedificabilità assoluta.

Deve dunque escludersi che l’applicabilità del condono edilizio in presenza di vincoli relativi possa rientrare «tra le possibili varianti di senso del testo originario» dell’art. 24 della legge reg. Siciliana n. 15 del 2004 (sentenze n. 70 del 2020 e n. 73 del 2017).

4.1.– Ciò premesso, è ben vero che la disposizione impugnata, nella sua portata innovativa, è espressione della competenza statutaria primaria della Regione Siciliana nelle materie dell’urbanistica e della tutela del paesaggio (art. 14, primo comma, lettere f ed n), tuttavia è altresì vero che essa, ai sensi dello stesso art. 14, deve essere esercitata «senza pregiudizio» delle riforme economico-sociali, che assurgono, dunque, a limite “esterno” della potestà legislativa primaria. Le “grandi riforme” sono quindi individuate, nel caso di specie, dal legislatore nazionale nell’esercizio delle sue competenze esclusive in materia di ambiente (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.).

Infatti, questa Corte ha più volte affermato che, in relazione alle competenze legislative di tipo primario previste dagli statuti speciali, lo spazio di intervento affidato al legislatore regionale, con riguardo alla disciplina del condono edilizio, è circoscritto – oltre che dal limite della materia penale – da «quanto è immediatamente riferibile ai principi di questo intervento eccezionale di “grande riforma” (il titolo abilitativo edilizio in sanatoria, la determinazione massima dei fenomeni condonabili)» (sentenza n. 196 del 2004; in senso conforme, sentenza n. 232 del 2017).

In riferimento al caso in esame, assurgono pertanto a norme di grande riforma economico-sociale le previsioni statali relative alla determinazione massima dei fenomeni condonabili, cui devono senz’altro ricondursi quelle che individuano le tipologie di opere insuscettibili di sanatoria ai sensi dell’art. 32, comma 27, del d.l. n. 269 del 2003, come convertito, incluso il limite di cui alla lettera d).

Quest’ultimo, infatti, è stato introdotto dal legislatore statale nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

La diposizione impugnata eccede quindi i limiti della potestà legislativa primaria della Regione Siciliana sanciti dallo statuto di autonomia.

4.2.– In ragione di quanto sin qui illustrato, deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 1, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 19 del 2021 per violazione degli artt. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e 14 dello statuto della Regione Siciliana.

5.– Ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), va inoltre dichiarata, in via conseguenziale, l’illegittimità costituzionale delle residue disposizioni della legge reg. impugnata n. 19 del 2021 (artt. 1, comma 2, e 2), che difettano di autonoma portata a seguito della caducazione della norma censurata (ex plurimis, sentenze n. 117 del 2022 e n. 77 del 2021; sul tema anche sentenza n. 68 del 2022). Infatti, il comma 2 dell’art. 1 stabilisce che il nulla osta previsto dalla disposizione impugnata venga reso entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge, ovvero, nel caso di istanza di riesame, dalla data di presentazione della stessa; l’art. 2 dispone che il testo legislativo entri in vigore il giorno stesso della pubblicazione.

6.– Restano assorbite le questioni promosse in riferimento agli artt. 3, 117, secondo comma, lettera l), 123 e 127, Cost., nonché all’art. 27 dello statuto della Regione Siciliana.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Siciliana 29 luglio 2021, n. 19 (Modifiche alla legge regionale 10 agosto 2016, n. 16 in materia di compatibilità delle costruzioni realizzate in aree sottoposte a vincolo);

2) dichiara, in via conseguenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, e 2 della legge reg. Siciliana n. 19 del 2021.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 novembre 2022.

F.to:

Daria de PRETIS, Presidente

Augusto Antonio BARBERA, Redattore

Igor DI BERNARDINI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2022.