SENTENZA N. 154
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK “
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 213, comma secondo, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), richiamato dall’art. 1, comma sesto, secondo inciso, del decreto-legge 30 gennaio 1979, n. 26 (Provvedimenti urgenti per l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 3 aprile 1979, n. 95, promossi con ordinanze del 18 dicembre 2003 dalla Corte d’appello di Ancona, nel procedimento civile vertente tra Diana Ponzetti ved. Belardinelli, ed altri, e SIMA Meccanica Oleodinamica s.p.a. in amministrazione straordinaria, e del 19 aprile 2005 dal Tribunale ordinario di Verona, nel procedimento civile vertente tra Banca Intesa – Banca Commerciale Italiana s.p.a. e Pagana s.r.l. in amministrazione straordinaria, iscritte al n. 237 del registro ordinanze 2004 e al n. 500 del registro ordinanze 2005 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 43 e 41, prima serie speciale, dell’anno 2005.
Visto l’atto di costituzione di Diana Ponzetti ved. Belardinelli ed altri, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 7 marzo 2006 e nella camera di consiglio dell’8 marzo 2006 il Giudice relatore Romano Vaccarella;
uditi l’avvocato Nicola Sbano per Diana Ponzetti ved. Belardinelli ed altri e l’avvocato dello Stato Antonio Palatiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.− Nel corso di un giudizio di opposizione al piano di riparto finale di una procedura di amministrazione straordinaria di cui al decreto-legge 30 gennaio 1979, n. 26 (Provvedimenti urgenti per l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 3 aprile 1979, n. 95, la Corte d’appello di Ancona, con ordinanza del 18 dicembre 2003, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 111 della Costituzione, dell’art. 213 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui fa decorrere il termine di venti giorni, per la proposizione da parte dei creditori delle contestazioni al piano di riparto finale, dall’inserzione nella Gazzetta Ufficiale dell’avviso dell’avvenuto deposito dell’atto presso la cancelleria del tribunale, anziché dalla ricezione della raccomandata con avviso di ricevimento contenente la notizia dell’avvenuto deposito.
1.1.− Premette la Corte rimettente che un dipendente della SIMA Meccanica Oleodinamica s.p.a. in amministrazione straordinaria, vantando nei confronti di quest’ultima un credito per differenze di trattamento di fine rapporto, aveva impugnato dinanzi al Tribunale ordinario di Ancona il piano di riparto finale redatto a conclusione della procedura concorsuale.
La società convenuta, costituitasi in persona del commissario straordinario, aveva eccepito in rito la tardività del ricorso, perché proposto oltre il termine di venti giorni dal compimento delle formalità previste dall’art. 213 del r.d. n. 267 del 1942 (legge fallimentare); nel merito aveva dedotto l’infondatezza della domanda.
Con sentenza del 29 giugno 2000 l’adìto Tribunale aveva dichiarato inammissibile il ricorso perché tardivo, osservando che il decreto-legge n. 26 del 1979, disciplinante la procedura cui era sottoposta la SIMA Meccanica Oleodinamica s.p.a., richiama, all’art. 1, sesto comma, le norme del r.d. n. 267 del 1942 relative alla liquidazione coatta amministrativa (artt. 195 e seguenti); sicché la fase di chiusura della procedura di amministrazione straordinaria è regolata dall’art. 213 della legge fallimentare, il quale stabilisce che il piano di riparto tra i creditori dev’essere depositato, previa autorizzazione dell’autorità vigilante, presso la cancelleria del tribunale; che dell’avvenuto deposito è data notizia mediante inserzione nella Gazzetta Ufficiale e che nel termine di venti giorni dall’inserzione gli interessati possono proporre, con ricorso al tribunale, le loro contestazioni.
Avverso detta pronuncia aveva proposto appello il Belardinelli, deducendo, fra l’altro, la incostituzionalità del citato art. 213.
1.2.− Affermata la sicura rilevanza della questione di legittimità costituzionale ai fini della decisione sul proposto gravame, la Corte d’appello reputa la questione non manifestamente infondata.
La norma impugnata sarebbe discriminatoria e lesiva del diritto di difesa dei creditori ammessi al passivo, laddove impone loro di impugnare il piano di riparto finale nel termine di venti giorni dalla pubblicazione, nella Gazzetta Ufficiale e nei giornali designati dall’autorità che vigila sulla procedura, dell’avviso dell’avvenuto deposito.
Osserva il giudice a quo che tale forma di pubblicità presuppone un onere di diligenza eccessivo, insostenibile non solo per qualsiasi privato cittadino, ma anche per qualsiasi organizzazione, pubblica o privata. Occorrerebbe, infatti, sobbarcarsi l’onere della consultazione quotidiana della Gazzetta Ufficiale o di imprecisati giornali scelti dall’organo di vigilanza, per tutta la durata della procedura, la quale può protrarsi per vari anni.
Ad avviso della Corte rimettente, invece, i creditori hanno diritto «di ricevere diretta formale comunicazione dall’organo della procedura del deposito dei piani di riparto».
La Corte costituzionale, invero, ha già dichiarato la illegittimità costituzionale di numerose disposizioni della legge fallimentare, che facevano decorrere termini di impugnazione dalla data di deposito o di pubblicazione, ponendo il principio che il termine per la tutela dei diritti decorre dalla data di notifica o di comunicazione dei provvedimenti.
In conclusione, secondo il giudice a quo, per effetto della disposizione censurata non troverebbero realizzazione il principio costituzionale del giusto processo, l’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, l’art. 15 (recte: 14) del Patto internazionale di New York sui diritti civili e politici, come pure molte direttive comunitarie.
1.3.- Con atto del 20 gennaio 2004 si sono costituiti nel giudizio incidentale di costituzionalità gli eredi del ricorrente, i quali hanno concluso per l’accoglimento della questione.
Osserva, preliminarmente, la parte privata che il termine di venti giorni per opporsi al piano di riparto decorre esclusivamente dall’avvenuta pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della notizia dell’avvenuto deposito, nessun effetto essendo, invece, connesso alla pubblicazione sugli altri organi di stampa designati dalla autorità di vigilanza.
Ciò precisato, rileva che la mancata diretta comunicazione ai creditori impone a costoro oneri abnormi, tenuto conto della indeterminata durata delle procedure, della inesigibilità del grado di diligenza richiesto per soddisfare l’onere in questione, peraltro, non imposto da alcuna ragione; che, d’altra parte, altre disposizioni della stessa legge fallimentare prevedono che i soggetti interessati ad opposizioni o ad impugnazioni di atti della procedura debbono avere diretta comunicazione di fatti od atti potenzialmente lesivi.
La disposizione impugnata, oltre che irragionevole, sarebbe lesiva sia del diritto alla difesa sia di quello al giusto processo, nonché del principio di buona amministrazione, sotto il profilo del «giusto procedimento», di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), avendo la liquidazione coatta amministrativa carattere non giurisdizionale; infine, essa violerebbe il principio di uguaglianza, essendo ingiustificato il diverso trattamento fatto a chi intenda proporre opposizione od impugnazione ex artt. 98 o 100 della legge fallimentare e a chi intenda proporre ricorso ex art. 213 della stessa legge.
1.4.− È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la infondatezza della questione.
Ad avviso della difesa erariale, sebbene la tutela dei diritti imponga di far decorrere il termine per l’impugnazione di qualsiasi provvedimento giurisdizionale dalla data della notificazione o comunicazione nelle forme ordinarie, tuttavia il diritto di difesa può variamente atteggiarsi, in funzione delle peculiari caratteristiche dei diversi tipi di procedimento e delle esigenze di giustizia. In virtù di tale principio, la Corte costituzionale ha ritenuto legittimo l’eccezionale ricorso a strumenti, quali la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, idonei a creare una presunzione di conoscenza, anziché l’effettiva conoscibilità dell’atto, nei casi in cui sia impossibile o sommamente difficoltosa la notificazione nelle forme ordinarie.
Ipotesi di tale genere sono previste sia nella disciplina delle procedure concorsuali (artt. 126 e 171 della legge fallimentare) sia nel codice di procedura civile (art. 150).
Analogamente è previsto dalla disposizione impugnata, della quale, data la particolarità della fattispecie regolata e l’elevato livello di conoscibilità assicurato dalle forme di pubblicità ivi indicate, può escludersi l’irragionevolezza, nonché il contrasto con il diritto di difesa o con il principio del giusto processo.
Infatti, l’onere imposto agli interessati e la presunzione di conoscenza derivante dal sistema di pubblicità adottato trovano giustificazione nel rilevante numero e nella dislocazione territoriale (anche internazionale) degli interessati; elementi, questi, che renderebbero sommamente difficile, se non impossibile, la comunicazione diretta degli atti ai creditori, tenuto anche conto delle esigenze di celerità e speditezza che caratterizzano le procedure concorsuali, compresa l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.
1.5.− La costituita parte privata ha depositato memoria illustrativa, nella quale ribadisce le sue conclusioni.
Nel mettere in evidenza che la procedura di amministrazione straordinaria della SIMA Meccanica Oleodinamica s.p.a. è durata circa diciassette anni, osserva che è del tutto inesigibile l’onere di informazione che, ai fini della tempestività dell’impugnazione del piano di riparto, grava sui singoli creditori, ove essi non ricevano comunicazione diretta dell’avvenuto deposito.
La Corte costituzionale ha affermato il diritto del cittadino di essere informato «di ciò che tocca i suoi diritti», di talché le disposizioni che, come quella denunciata, fanno decorrere un termine da un fatto ignoto all’interessato, vanificandone il diritto di difesa, sono in contrasto con i parametri costituzionali evocati dal giudice rimettente.
Infatti, per un verso, l’onere di conoscenza imposto agli interessati dalla norma impugnata è di impossibile assolvimento e, per altro verso, la dispensa dell’organo gestorio della procedura concorsuale dalla diretta comunicazione dell’avvenuto deposito del piano di riparto (quanto meno) ai «creditori in prededuzione» (fra i quali era annoverabile il ricorrente) costituisce esonero da un incombente di modestissima entità, quanto a impegno e costo.
La sproporzione fra le due situazioni – l’una di onere, l’altra di agevolazione – è indice della irrazionalità della norma, la quale viola, altresì, il principio di uguaglianza, quello di tutela delle posizioni soggettive in giudizio, quello di buon andamento della pubblica amministrazione, collocata senza ragione su di un piano di supremazia, nonché quello del giusto processo.
Infine, la parte deducente, richiamata la sentenza della Corte costituzionale n. 117 del 1994, circa la distinzione e il coordinamento fra ordinamento italiano e ordinamento europeo, denuncia il contrasto della norma censurata con diverse disposizioni internazionali pattizie, poste a garanzia dei diritti fondamentali, fra i quali vi è quello di difesa, che per il suo effettivo esercizio esige che sia conosciuto ciò da cui ci si deve difendere.
1.6.− In prossimità dell’udienza l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato memoria, con la quale svolge ulteriori argomentazioni, concludendo per l’inammissibilità o l’infondatezza della questione.
In punto di rilevanza, la difesa erariale osserva che l’art. 1 del decreto-legge n. 26 del 1979 è stato abrogato dall’art. 109 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 (Nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a norma dell’art. 1 della legge 30 luglio 1998, n. 274), il cui art. 75, ora, stabilisce che il bilancio finale della procedura con il conto della gestione sono depositati dal commissario straordinario presso la cancelleria del tribunale, previa autorizzazione del Ministero vigilante; che un avviso dell’avvenuto deposito è, a cura del cancelliere, comunicato all’imprenditore insolvente e affisso; che gli interessati possono proporre le loro contestazioni con ricorso al tribunale nel termine di venti giorni, decorrente per l’imprenditore dalla comunicazione e per ogni altro interessato dall’affissione; infine, che si osservano le disposizioni dell’art. 213, secondo comma, secondo e terzo periodo, della legge fallimentare.
Orbene, non essendo più in vigore la norma denunciata, che faceva decorrere il termine dalla pubblicazione dell’avviso nella Gazzetta Ufficiale, l’ordinanza di rimessione risulta carente di motivazione in ordine alla rilevanza della questione per quanto attiene all’applicabilità della norma impugnata nel giudizio a quo.
Sotto altro profilo ancora, la deducente contesta la rilevanza della questione, per la considerazione che con le osservazioni ex art. 213 della legge fallimentare, per pacifica giurisprudenza, non possono essere fatte valere pretese attinenti alla esistenza, all’ammontare e al rango dei crediti, le quali debbono essere azionate con l’opposizione allo stato passivo.
Nel merito, la difesa erariale osserva che la giurisprudenza costituzionale, nell’accogliere o rigettare eccezioni analoghe a quelle ora in esame, ha costantemente affermato la necessità di contemperare le esigenze, ugualmente degne di tutela, di tutti i protagonisti della vicenda processuale, e così di attuare un bilanciamento tra i contrapposti interessi, affinché il diritto dell’uno non si risolva nella compressione del diritto degli altri. In particolare, poiché alla luce del novellato art. 111 Cost. e dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, il diritto alla durata ragionevole del processo va considerato di valore equivalente a quello del diritto stesso alla difesa piena e reale, occorre considerare che si tratta, nella specie, di un procedimento assai complesso, con numerosissimi creditori, necessariamente riguardante le «grandi imprese». Premesso che il momento della chiusura di tale procedimento è, per forza di cose, molto distante dal tempo della verifica dei crediti, il cui esito è comunicato direttamente ai singoli interessati, i quali possono far valere con l’opposizione le loro pretese sostanziali, l’Avvocatura dello Stato sostiene che ricorrono le speciali ragioni di deroga al sistema ordinario delle comunicazioni individuali: il numero altissimo degli interessati; il tempo necessariamente lungo che intercorre dall’epoca della formazione dello stato passivo; il non coinvolgimento di situazioni soggettive riguardanti l’esistenza, l’entità e la natura dei crediti, già consolidatesi in sede di formazione e opposizione allo stato passivo; tutti questi elementi giustificano il ricorso al ragionevole sistema di conoscenza alternativo alla notifica individuale e permettono di ricondurre la fattispecie nell’alveo di quelle situazioni analoghe, che la Corte ha già avuto occasione di giudicare compatibili con le norme costituzionali (sentenze n. 273 del 1987 e n. 228 del 1995).
2.− Nel corso di un giudizio di opposizione a un piano di riparto parziale di una procedura di amministrazione straordinaria, il Tribunale ordinario di Verona ha sollevato, con ordinanza del 19 aprile 2005, questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 24 Cost., dell’art. 1, quinto (recte: sesto) comma, «secondo inciso», della legge 3 aprile 1979, n. 95 (recte: del decreto-legge n. 26 del 1979, come convertito nella legge n. 95 del 1979), «in relazione al richiamo ivi operato» agli artt. 212 e 213 della legge fallimentare, «nella parte in cui non prevede che del deposito dei piani di riparto parziali se ne debba dare notizia ai creditori con raccomandata con avviso di ricevimento».
2.1.− In punto di fatto, il giudice a quo riferisce che la Banca Intesa – Banca Commerciale Italiana s.p.a. ha proposto opposizione a un piano di riparto parziale dell’amministrazione straordinaria della società Pagana s.r.l., lamentando la mancata inclusione di alcuni suoi crediti, pur ammessi al passivo; che la Pagana s.r.l., costituitasi in persona del commissario straordinario, ha eccepito la tardività del ricorso; che la ricorrente ha dedotto la illegittimità costituzionale degli artt. 212 e 213 della legge fallimentare per contrasto con l’art. 24 Cost.; che la causa, quindi, è passata in decisione.
2.2.− In punto di diritto, il giudice rimettente, richiamata la giurisprudenza di legittimità, che, nell’interpretare l’art. 212 della legge fallimentare, differenzia, nell’ambito della distribuzione dell’attivo della liquidazione coatta amministrativa, gli «acconti» (quali erogazioni provvisorie e revocabili) dalle «ripartizioni parziali» (quali attribuzioni definitive e irretrattabili), osserva che a queste ultime, date le caratteristiche di obbligatorietà, stabilità e concorsualità, è applicabile la disciplina dettata dall’art. 213 della legge fallimentare per il riparto finale.
Di tal ché, ai sensi dell’or citato art. 213, il piano di riparto parziale dev’essere depositato nella cancelleria del tribunale (primo comma, prima proposizione); dell’avvenuto deposito dev’essere data notizia mediante inserzione nella Gazzetta Ufficiale e nei giornali designati dall’autorità che vigila sulla procedura (primo comma, seconda proposizione); dall’inserzione nella Gazzetta Ufficiale decorre il termine di venti giorni, entro il quale gli interessati possono proporre, con ricorso al tribunale, le loro contestazioni (secondo comma).
La medesima disciplina trova applicazione anche nella procedura di amministrazione straordinaria, di cui al decreto-legge n. 26 del 1979, convertito, con modificazioni, nella legge n. 95 del 1979, posto che l’art. 1, quinto (recte: sesto) comma di tale legge (recte: di tale decreto-legge, come convertito), nel «secondo inciso», stabilisce che la procedura «è disciplinata, in quanto non diversamente stabilito con il presente decreto-legge, dagli articoli 195 e seguenti e dall’art. 237 della legge fallimentare».
2.3.− Quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo osserva che, avendo la parte resistente eccepito la tardività del ricorso per inosservanza del termine di cui all’art. 213, secondo comma, della legge fallimentare, e risultando effettivamente il ricorso depositato oltre detto termine, la causa non può essere decisa indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale sollevata.
2.4.− Quanto alla non manifesta infondatezza della medesima questione, il giudice rimettente osserva che l’inserzione nella Gazzetta Ufficiale dell’avviso dell’avvenuto deposito, non dando ai creditori la possibilità di effettiva conoscenza di tale deposito, non consente loro di proporre tempestivamente ricorso avverso provvedimenti, che, presentando le ricordate caratteristiche di definitività e irretrattabilità, incidono sul loro «diritto soggettivo al ricavato della procedura».
Il meccanismo di pubblicità, previsto dalla norma denunciata, non attingendo un apprezzabile livello di conoscibilità da parte dei creditori, finisce col non permettere loro di fruire in via di effettività delle idonee garanzie giurisdizionali apprestate dall’ordinamento a tutela dei loro diritti soggettivi; sicché è palese – conclude il giudice a quo – la violazione del diritto di difesa dei creditori e, quindi, del principio sancito dall’art. 24 Cost.
2.5.− È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la inammissibilità e la infondatezza della questione.
La difesa erariale rileva, in via preliminare, che la norma della cui costituzionalità si dubita, in realtà non è l’art. 1, comma quinto, della legge n. 95 del 1979, come indicato nell’ordinanza di rimessione, bensì l’art. 1, comma sesto, del decreto-legge n. 26 del 1979, convertito con modificazioni, nella legge n. 95 del 1979.
Ancora in via preliminare, l’Avvocatura osserva che la norma impugnata è stata abrogata dal d.lgs. n. 270 del 1999, il quale ha integralmente regolamentato ex novo la materia.
La questione, dunque, appare inammissibile, oltre che per erronea identificazione della norma impugnata, altresì per carenza di motivazione in ordine alla rilevanza, non avendo il giudice rimettente precisato per quale ragione trovi ancora applicazione, nella controversia al suo esame, la norma abrogata.
Nel merito, la difesa erariale afferma che la pubblicità, di cui si discute, è pienamente idonea a soddisfare l’esigenza di conoscenza o conoscibilità del piano di riparto da parte dei creditori.
Ricordato che la Corte costituzionale ha dichiarato la contrarietà a Costituzione di varie norme della legge fallimentare, che facevano decorrere termini di impugnativa dalla data del deposito in cancelleria (sentenze n. 155 del 1980 e n. 102 del 1986) o dalla data del provvedimento (sentenza n. 42 del 1981), osserva che, ben diversamente da quelle norme, la disposizione ora censurata, prevedendo l’inserzione nella Gazzetta Ufficiale, ossia una forma di pubblicità per definizione idonea a consentire una generale conoscibilità, e un termine congruo, fornisce adeguata tutela al diritto di difesa, nel contesto di una scelta discrezionale del legislatore, che, in assenza di manifesta irragionevolezza, non è sindacabile dal giudice delle leggi.
Considerato in diritto
1.− La Corte d’appello di Ancona dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 111 della Costituzione, dell’art. 213 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui fa decorrere il termine di venti giorni, per la proposizione da parte dei creditori delle contestazioni al piano di riparto finale, dall’inserzione nella Gazzetta Ufficiale dell’avviso dell’avvenuto deposito dell’atto presso la cancelleria del tribunale, anziché dalla ricezione della raccomandata con avviso di ricevimento contenente la notizia dell’avvenuto deposito.
Analoga questione, in riferimento all’art. 24 Cost., solleva il Tribunale ordinario di Verona relativamente all’art. 1, quinto (recte: sesto) comma, «secondo inciso», della legge 3 aprile 1979, n. 95 – recte: del decreto-legge 30 gennaio 1979, n. 26 (Provvedimenti urgenti per l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 3 aprile 1979, n. 95 – per il «richiamo ivi operato» agli artt. 212 e 213 del r.d. n. 267 del 1942 (legge fallimentare), «nella parte in cui non prevede che del deposito dei piani di riparto parziali se ne debba dare notizia ai creditori con raccomandata con avviso di ricevimento».
2.− La sostanziale identità delle questioni poste dalle ordinanze di rimessione impone la riunione dei due giudizi.
2.1.− A tale proposito va chiarito che, ai fini della questione in esame, non rileva la circostanza che, nel giudizio di cui all’ordinanza n. 237 del 2004, si trattava di un credito prededucibile mentre, nel giudizio di cui all’ordinanza n. 500 del 2005, si trattava di un credito concorsuale, come tale già oggetto di valutazione ed accertamento in sede di formazione dello stato passivo.
Il credito prededucibile, infatti, se riconosciuto sia nella sua esistenza sia nella sua entità dal commissario − come nel caso di specie − non necessita di alcuna altra verifica ed è, in tutto, assimilato ed assimilabile ai crediti ammessi allo stato passivo: sicché nella locuzione «crediti ammessi» devono ritenersi compresi, pur se non figurano nello stato passivo, anche i crediti prededucibili riconosciuti esistenti, anche nel loro ammontare, dal commissario.
3.− Le eccezioni di inammissibilità proposte dall’Avvocatura dello Stato nei confronti dell’ordinanza n. 500 del 2005 devono essere respinte.
Questa Corte ha ripetutamente escluso (da ultimo, sentenza n. 224 del 2004) che «l’erronea indicazione della norma censurata ridondi in vizio dell’ordinanza quando dal contesto della motivazione sia agevolmente individuabile la norma effettivamente impugnata dal rimettente»: nella specie, è indubbio che entrambi i rimettenti − l’uno (ordinanza n. 237 del 2004) omettendo il riferimento alla norma della legge cosiddetta “Prodi” che la richiama, l’altro (ordinanza n. 500 del 2005) errando nell’indicazione del comma (quinto invece che sesto) dell’art. 1 e riferendo quest’ultimo alla legge di conversione (n. 95 del 1979) invece che al decreto-legge poi convertito (n. 26 del 1979) − hanno appuntato le loro censure nei confronti dell’art. 213 della legge fallimentare quale norma della quale essi erano tenuti a fare applicazione nelle rispettive procedure di amministrazione straordinaria.
Quanto alla circostanza che i rimettenti non si siano dati carico della sopravvenuta abrogazione − ad opera del decreto legislativo 8 luglio 1999 n. 270 (Nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a norma dell’art. 1 della legge 30 luglio 1998, n. 274) − della precedente disciplina, è sufficiente rilevare che, poiché l’art. 106, comma 1, del d.lgs. n. 270 del 1999 dispone che «le procedure di amministrazione straordinaria in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto continuano ad essere regolate dalle disposizioni anteriormente vigenti», non è implausibile la tesi secondo la quale le contestazioni del piano di riparto siano governate, nei giudizi a quibus, dall’art. 213 della legge fallimentare.
4.− Le questioni sono fondate.
4.1.− Preliminarmente, deve chiarirsi che la disciplina di cui all’art. 213 della legge fallimentare ha ad oggetto − come osservato dal Tribunale ordinario di Verona sulla base del costante orientamento della giurisprudenza − non solo il piano di riparto finale, ma anche quelli parziali, in quanto pure questi ultimi consistono in attribuzioni patrimoniali definitive ed irretrattabili (a differenza degli «acconti», caratterizzati dalla provvisorietà e revocabilità dell’erogazione): sicché la disciplina prevista da tale norma (deposito in cancelleria del piano, finale o parziale, di riparto autorizzato dall’autorità di vigilanza; inserzione nella Gazzetta Ufficiale dell’avviso dell’avvenuto deposito; decorrenza da tale inserzione del termine perentorio per la proposizione delle contestazioni al tribunale) concerne ogni ipotesi di riparto tra i creditori.
4.2.− Questa Corte ha avuto modo di pronunciarsi più volte − e proprio a proposito di disposizioni della legge fallimentare − sulla possibilità che la legge faccia decorrere termini perentori, previsti per impugnare provvedimenti (asseritamente) lesivi di diritti soggettivi, da momenti (emanazione del provvedimento, affissione) diversi da quello della notificazione o comunicazione dei provvedimenti stessi.
Da ultimo, con la sentenza n. 224 del 2004, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 144, quarto comma, della legge fallimentare – nella parte in cui prevede che il termine per la proposizione del reclamo avverso la sentenza che provvede sull’istanza di riabilitazione decorre dalla affissione della sentenza stessa anziché dalla sua comunicazione –, osservando che «questa Corte, scrutinando altre norme della legge fallimentare, ha affermato che la scelta dell’affissione, quale forma di pubblicità idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione di un atto, può essere giustificata solo dalla difficoltà di individuare coloro che possono avere interesse a proporre l’impugnazione stessa (sentenze n. 273 del 1987 e n. 153 del 1980), risultando priva, invece, di razionale giustificazione se riferita a soggetti preventivamente individuati dal legislatore (sentenze n. 211 del 2001, n. 152 e n. 151 del 1980, n. 255 del 1974). Ciò in quanto l’affissione determina una mera presunzione legale, peraltro insuperabile, di conoscenza dell’atto ed è quindi compatibile con il diritto di difesa del destinatario nei soli casi in cui l’individuazione di questi, ed il conseguente ricorso a mezzi di comunicazione diretta dell’atto stesso, risultino impossibili o estremamente difficoltosi».
Tale pronuncia è a sua volta coerente − e così pure le decisioni da essa richiamate − con i principi enunciati nella sentenza n. 881 del 1988, la quale − nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 190, secondo comma, della legge fallimentare, nella parte in cui faceva decorrere dalla data del decreto, anziché dalla sua rituale comunicazione all’interessato, il termine di decadenza di dieci giorni per il reclamo avverso il provvedimento del giudice delegato di cessazione degli effetti dell’amministrazione controllata − ha precisato quanto segue: «Questa Corte ha già ritenuto (sentenze numeri 255 del 1974; 120 del 1986; 156 del 1986) che del diritto di difesa fa parte integrante il diritto dei soggetti interessati ad impugnare determinati atti processuali di essere posti in grado di averne tempestiva conoscenza, in modo da potere utilizzare, nella loro interezza, i termini legali di decadenza, di volta in volta prestabiliti dalla legge per l’esperimento del gravame. Ha anche affermato che alle stesse esigenze, ora assunte e tutelate a livello costituzionale, è informato il codice di procedura civile che contiene il principio di ordine generale (artt. 133 e 136 cod. proc. civ.) per cui i termini previsti per le impugnazioni decorrono dalla notificazione all'interessato del provvedimento da impugnare e, in determinati casi, dalla sua comunicazione. In altri termini, l’effettivo esercizio del diritto di difesa costituzionalmente garantito (art. 24 Cost.) postula che il termine di decadenza previsto per le impugnazioni decorra solo dal momento in cui l’interessato abbia avuto notizia dell’atto da impugnare o, quanto meno, abbia attinto detta notizia ad un livello di conoscibilità».
4.3.− A ciò si aggiunga che, nella procedura fallimentare, l’art. 110 della legge fallimentare dispone che «tutti i creditori […] siano avvisati» del deposito in cancelleria del progetto di ripartizione e che il giudice delegato stabilisce il riparto e lo rende esecutivo con decreto, dalla comunicazione del quale – come statuito dalla sentenza n. 42 del 1981 – decorre il termine per proporre, ex art. 26 della legge fallimentare, reclamo (al quale per la costante, successiva giurisprudenza, si applica l’art. 739, comma secondo, cod. proc. civ.).
4.4.− La modalità della comunicazione a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento è stata prescritta − “integrando” le disposizioni, rispettivamente, degli artt. 98 e 100 della legge fallimentare − dalle sentenze n. 102 del 1986 e n. 538 del 1990 ai fini dell’impugnazione dello stato passivo reso esecutivo e delle ammissioni tardive di crediti, ed è stata estesa al deposito dell’elenco dei crediti ammessi o respinti nella liquidazione coatta amministrativa (sentenze n. 155 del 1980 e n. 201 del 1993) e nell’amministrazione straordinaria (sentenza n. 181 del 1987).
5.− Consegue da quanto esposto che, in materia concorsuale, la legge prevede, attualmente, che sia utilizzata come forma di comunicazione la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (oltre che nell’art. 213, oggetto del presente giudizio) soltanto nell’art. 126 (proposta di concordato fallimentare) e nell’art. 171, comma terzo, della legge fallimentare (proposta di concordato preventivo), e cioè in due casi nei quali non soltanto non è possibile individuare compiutamente i soggetti interessati alla comunicazione delle proposte di concordato, ma anche, e soprattutto, nei quali dalla comunicazione non decorre un termine decadenziale qual è quello per impugnare un provvedimento, altrimenti irretrattabile.
6.– Alla luce dei principi enunciati nella copiosa giurisprudenza, sopra ricordata, di questa Corte, è evidente che la norma censurata sacrifica, tanto gravemente quanto ingiustificatamente, il diritto dei creditori di avere conoscenza del piano di riparto, totale o parziale, per poter proporre tempestivamente le contestazioni del caso avverso di esso: gravemente, in quanto richiede un onere di diligenza inesigibile attesa la necessità di consultare, per tutta la durata (sovente tutt’altro che breve) della procedura, la Gazzetta Ufficiale dalla quale soltanto decorre il termine de quo; ingiustificatamente, perché se l’indeterminatezza dei soggetti interessati può giustificare forme di “informazione” quali quella prevista dalla norma censurata, ciò non può dirsi quando – come nel caso dei creditori ammessi (nel senso chiarito sub 2.1.) – tali soggetti siano non solo individuabili, ma altresì individuati. In tale ipotesi – ricorrente nel caso dei creditori ammessi (e non degli altri, possibili «interessati») – l’onere di diligenza che la norma censurata impone ai creditori è incomparabilmente più gravoso, e gravido di conseguenze pregiudizievoli, di quello cui dovrebbe sottoporsi il commissario ove sia tenuto a dare diretta comunicazione dell’avvenuto deposito del piano di riparto ai creditori (ben individuati, per quanto numerosi essi siano). Peraltro, la sopportabilità da parte del commissario di tale onere è testimoniata inequivocabilmente dalla circostanza che il d.lgs. n. 270 del 1999 prevede espressamente (art. 67, comma 2) – con il richiamo delle norme relative alla procedura fallimentare – che nell’amministrazione straordinaria i creditori ammessi ricevano comunicazione dell’avvenuto deposito del piano di riparto, parziale e finale.
7.− L’art. 213, comma secondo, della legge fallimentare − in parte qua non modificato dal decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80) e quindi applicabile anche in futuro alla liquidazione coatta amministrativa − deve, pertanto, essere dichiarato costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui fa decorrere, nei confronti dei «creditori ammessi» (nell’accezione di cui al precedente punto 2.1.), il termine perentorio di venti giorni, per le contestazioni del piano di riparto, dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della notizia dell’avvenuto deposito in cancelleria anziché dalla comunicazione dell’avvenuto deposito effettuata a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento ovvero a mezzo di altra modalità di comunicazione prevista dalla legge.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 213, comma secondo, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui fa decorrere, nei confronti dei «creditori ammessi», il termine perentorio di venti giorni per proporre contestazioni avverso il piano di riparto, totale o parziale, dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della notizia dell’avvenuto deposito del medesimo in cancelleria, anziché dalla comunicazione dell’avvenuto deposito effettuata a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento ovvero con altra modalità prevista dalla legge.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 aprile 2006.
Annibale MARINI, Presidente
Romano VACCARELLA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 14 aprile 2006.