Sentenza n. 228 del 1995

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SENTENZA N. 228

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 44, in relazione all'art. 42, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa) promosso con ordinanza emessa il 17 febbraio 1994 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra la curatela del Fallimento della "3E s.p.a." e la Banca Agricola milanese s.p.a. iscritta al n. 427 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 30, prima serie speciale, dell'anno 1994. Visti l'atto di costituzione della Banca Agricola milanese s.p.a nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 2 maggio 1995 il Giudice relatore Renato Granata; uditi l'avv. Massimo Luciani per la Banca Agricola milanese s.p.a. e l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

In un giudizio civile tra la curatela del Fallimento della "3E s.p.a." e la Banca Agricola milanese s.p.a. - nel quale si controverteva sull'efficacia di pagamenti effettuati dalla convenuta per conto della "3E", sua correntista, dopo la sentenza dichiarativa di fallimento ma prima della sua affissione ex art. 17 del regio decreto del 1942, n. 267 - il Tribunale di Milano adito, ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza in riferimento all'art. 24 della Costituzione, ha sollevato, con ordinanza del 17 febbraio 1994, questione incidentale di legittimità dell'art. 44, in relazione all'art. 42, del regio decreto n. 267 del 1942 (legge fallimentare) <nella parte, in cui non è previsto che gli effetti del fallimento rispetto ai terzi decorrano dall'affissione, salvo prova contraria della conoscenza da parte del terzo della sentenza di fallimento>. Secondo il giudice a quo, la normativa denunciata - nella consolidata interpretazione giurisprudenziale costituente il diritto vivente, secondo cui gli atti compiuti dal fallito ed i pagamenti da lui, o per conto di lui, eseguiti dopo la pubblicazione (attraverso il deposito in cancelleria) della sentenza dichiarativa di fallimento sono immediatamente inefficaci nei confronti dei creditori anche prima dell'affissione (alla porta esterna del Tribunale) ai sensi del citato art. 17 della legge fallimentare, e senza che rilevi l'eventuale buona fede dei terzi - comporterebbe, in danno di questi, una sostanziale privazione del diritto della difesa "che vive proprio nella esclusione di una responsabilità senza colpa". Dal che appunto l'ipotizzato vulnus all'art. 24 della Costituzione. Nel giudizio innanzi alla Corte si è costituita la Banca Agricola Milanese, svolgendo considerazioni adesive a quelle contenute nell'ordinanza di rinvio ed, in particolare, sostenendo che la pertinenza del parametro costituzionale, ivi richiamato, risulterebbe confermata dalle recenti sentenze della Corte nn. 32, 47 e 110 del 1995, nelle quali questioni analoghe, a quella odierna, sarebbero state esaminate in relazione al citato art. 24. In senso opposto ha concluso l'Avvocatura dello Stato, per l'intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri, escludendo la fondatezza della proposta impugnativa, in considerazione soprattutto della "non conferenza del richiamo all'art. 24 Cost.", non venendo in questo caso in gioco l'esercizio della tutela giurisdizionale.

Considerato in diritto

Il Tribunale di Milano dubita che l'art. 44 della legge fallimentare, che fa decorrere gli effetti della sentenza di fallimento, di cui al precedente art. 42, dalla data della sua pubblicazione, contrasti con l'art. 24 della Costituzione, nella parte in cui considera tali effetti opponibili anche al terzo di buona fede, che abbia contrattato con (o per) il fallito dopo il fallimento, ma prima della affissione della correlativa pronunzia ai sensi dell'art. 17 della stessa legge. La questione così prospettata non è fondata, per la non pertinenza del riferimento all'art. 24 Cost., così come eccepito dall'Avvocatura dello Stato. Occorre, invero, distinguere tra i profili processuali dell'esecuzione concorsuale - in relazione ai quali la conoscenza o la conoscibilità della sentenza, o di altro connesso provvedimento decisorio della procedura, assumono rilievo ai fini della correlativa impugnazione - e profili, invece, sostanziali, come quelli che vengono nella specie in considerazione per quanto attiene all'automatismo degli effetti del fallimento con aggancio ad un momento temporale unico. I profili processuali della disciplina fallimentare coinvolgono all'evidenza il diritto della difesa; e ad essi hanno appunto (direttamente o per taluni aspetti) riguardo la sentenza n. 110 del 1995 sul dies a quo del termine per l'azione revocatoria, ex art. 67 legge fallimentare) e ordinanza n. 32 del 1995 (sulla posizione dei crediti anteriori all'amministrazione controllata, ai fini della formazione dello stato passivo, nel fallimento conseguente, e della correlativa opponibilità), richiamate dalla Banca come precedenti in relazione all'art. 24 della Costituzione (mentre nella sentenza n. 47/1995, pure essa a tal fine richiamata dalla parte, la censura per violazione del diritto di difesa risulta viceversa assorbita). Diversamente, nel caso di specie, l'art. 24 non può essere invocato, perchè il combinato contesto delle norme denunciate non attiene al regime delle impugnazioni della sentenza di fallimento, ma al momento di produzione di taluni suoi effetti, che il legislatore ha inteso ricollegare, con immediatezza ed unità temporale, direttamente alla pubblicazione, con il deposito in cancelleria (che segna la prima esteriorizzazione di quella pronunzia quale espressione di imperatività giurisdizionale, suscettibile di potenziale conoscenza): così individuando - sul piano sostanziale - e con esercizio di discrezionalità legislativa, il punto di equilibrio tra le contrapposte istanze di garanzia dei creditori (contro atti che ne alterino la par condicio a ridosso della pronuncia di fallimento) e di tutela dei terzi coinvolti nella procedura, in modo che volutamente prescinde dalle ulteriori forme di pubblicità previste, ad altri fini, dall'art. 17. Il coinvolgimento di detta ultima disposizione nell'odierna impugnativa - che concerne, si ripete, la dimensione temporale degli effetti sostanziali del fallimento - è quindi, a sua volta, fuori luogo; nè può valere, come si pretenderebbe, ad agganciare il parametro dell'art. 24 Cost., per la dimostrata arbitrarietà di una siffatta contaminazione tra effetti sostanziali e profili processuali del fallimento.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 42, 44 e 17 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa) sollevata, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, dal Tribunale di Milano con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 02/06/95.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Renato GRANATA, Redattore

Depositata in cancelleria il 06/06/95.