Sentenza n.151 del 1980
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SENTENZA N.151

ANNO 1980

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 composta dai signori giudici

Avv. Leonetto AMADEI  Presidente

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. l 8, comma primo, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa) promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 16 aprile 1977 dal Tribunale di Siracusa nel procedimento civile vertente tra Ponzio Michele e Bordonaro Antonino ed altro, iscritta al n. 323 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 251 del 14 settembre 1977;

2) ordinanza emessa il 4 maggio 1977 dalla Corte d'appello di Brescia nel procedimento civile vertente tra Haiat A. Selim e fallimento s.n.c. Silver ed altro, iscritta al n. 484 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 347 del 21 dicembre 1977;

3) ordinanza emessa il 27 gennaio 1977 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra De Blasis Svandiro e fallimento De Blasis Svandiro ed altri, iscritta al n. 508 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4 del 4 gennaio 1978;

4) ordinanza emessa il 7 febbraio 1979 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto dalla S.p.a. A.S.l.S. contro l'Esattoria comunale di Messina ed altro, iscritta al n. 847 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29 del 30 gennaio 1980.

Visti gli atti di costituzione di De Blasis Svandiro e della S.p.a. A.S.I.S. nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 29 ottobre 1980 il Giudice relatore Virgilio Andrioli;

uditi l'avv. Dario Di Gravio per De Blasis, l'avv. Mario Pentimalli per la Soc. A.S.I.S. e l'avvocato dello Stato Renato Carafa per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. - La circostanza che tutte le ordinanze di rimessione pongono in forse la legittimità dell'art. 18, primo comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267 in quanto fissa il dies a quo del termine di quindici giorni per l'opposizione del fallito alla sentenza dichiarativa per un verso giustifica la riunione dei quattro procedimenti e per altro verso limita il compito della Corte alla verifica della conformità della norma impugnata ai parametri ravvisati dal Tribunale di Roma negli artt. 3 e 24 Cost. (gli altri giudici hanno fatto capo al solo art. 24) per la opposizione del solo fallito. t per vero estraneo all'attuale dibattito lo scrutinio dell'art. 18 nella parte in cui fa decorrere dall'affissione il termine per l'opposizione di interessati diversi dal fallito, della vasta congerie, cioè, di coloro a carico dei quali operano gli effetti della dichiarazione di fallimento (autori di atti pregiudizievoli ai creditori, parti di rapporti pendenti, creditori non istanti).

2. - La precisazione avvia l'indagine intesa a dire fondata la questione per violazione degli artt. 3 e 24, secondo comma Cost.: invero, la necessità di trattazione e decisione unitarie della pluralità di opposizioni, in ipotesi proposte da vari legittimati non identificabili a priori, spiega perchè nel sistema della legge il termine iniziale sia uno ed unico e ne sia la messa in moto sottratta alla iniziativa degli interessati a rendere irretrattabili gli effetti del fallimento dichiarato.

Sennonché il diritto di difesa del debitore, il quale è destinatario degli effetti del fallimento in assai maggior misura degli altri interessati alla revoca della sentenza dichiarativa, se non riceve offesa dalla seconda delle ragioni giustificatrici della norma in esame (si vuol dire l'impulso d'ufficio), riesce colpito dalla difficoltà della conoscenza effettiva della pronuncia somministrata al debitore dalla affissione, dalla quale pur prende a decorrere il termine di quindici giorni.

Allegare, come da questa Corte si è giudicato con precedenti pronunce (sent. 93/1962; sent. 141/1970; ord. 59/ 1971), l'adagio: vigilantibus, non dormientibus iura succurrunt non convince, perchè tutto sta a vedere se sia da reputarsi dormiens il debitore che non rispetta il termine decorrente dall'affissione, e la esperienza insegna che la risposta affermativa è quanto meno azzardata.

La inidentificabilità, poi, degli altri interessati, se legittima la scelta del legislatore nei limiti in cui ricorre la ripetuta inconoscibilità, non somministra utile supporto al dettato normativo nell'ipotesi del debitore, talchè ben può concludersi che la individuazione del dies a quo nell'affissione dell'estratto della sentenza e, per quel che concerne l'opposizione del debitore, priva di razionale fondamento.

Infine, la celerità della procedura fallimentare nel suo complesso intesa e la tutela degli interessi dei creditori sono a torto invocate, per poco si consideri che tutti gli effetti del fallimento si producono a prescindere dalla affissione a far tempo dalla pronuncia (e cioè dalla pubblicazione mediante deposito in cancelleria) della sentenza dichiarativa, la quale è esecutiva di diritto e insuscettibile di sospensione, e che la sua revoca non impinge sulla validità degli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi del fallimento.

3. - Alcuno dei giudici si è domandato e ha domandato se la mancata o tardiva esecuzione delle altre forme di propalazione della pronuncia (e segnatamente della comunicazione dell'estratto della sentenza) incida sulla idoneità della affissione alla decorrenza del termine per l'opposizione del fallito, ma del quesito è unico destinatario il giudice ordinario, al quale competono l'interpretazione e l'applicazione della legge fallimentare e del codice di procedura civile, che non cessa di essere la legge generale della giurisdizione dei diritti (art. 1).

Altro giudice ha sollecitato la Corte a sostituire alla affissione la ricezione da parte del fallito del biglietto di comunicazione dell'estratto della sentenza dichiarativa quale atto idoneo alla decorrenza del termine, ma la operazione compete al legislatore, non alla Corte.

Né va sottaciuto che alla raccomandata pura e semplice, di cui il legislatore ordinario, malgrado l'ammonimento espresso nella sent. 88/1977 di questa Corte, ha insistito nel reputarsi pago nella parziale novellazione del combinato disposto degli artt. 136 c.p.c. e 45 d.a.c.p.c., operata con gli artt. 7 e 8 legge 7 febbraio l979, n. 59, dovrebbe, per esaudire il voto, essere sostituita, le quante volte il biglietto non sia consegnato dal cancelliere al debitore né venga notificata per mezzo di ufficiale giudiziario, la raccomandata con avviso di ricevimento: sostituzione che implica ancora e sempre quella creazione di nuove norme, che non compete alla Corte.

Le or svolte riflessioni pongono in evidenza come, anche ratione temporis (ancora non erano entrati a far parte del complesso normativo gli artt. 7 e 8, nonché 3 legge 59/1979), non possa essere invocata come espressione di opposto indirizzo la sent. 255/1974 con la quale la Corte non si è limitata a giudicare illegittimi gli artt. 131, primo e terzo comma, e 183, primo e terzo comma, r.d. 267/1942, ma si è indotta a sostituire all'affissione la ricezione della comunicazione del dispositivo; a chi ben guardi la invocazione è frutto di disattenta lettura dell'arresto del '74, voltachè eventuali parti del giudizio di appello sono nel campo dei concordati le sole parti costituite nel giudizio di primo grado e, pertanto, non si avverte l'esigenza di costruire un dies a quo uno ed unico per la massa sconosciuta degli interessati diversi dal debitore.

Né merita, infine, diverso apprezzamento la denuncia d'incostituzionalità dell'art. 30 legge 87/1953, in questa sede sporta da una delle parti, comecchè inidoneo a colmare < vuoti > provocati da pronunce d'incostituzionalità di leggi e atti aventi forza di legge.

4. - Il dispositivo, che la Corte va a formulare, consente ai giudici, che lo han sollecitato, di pronunciare sul merito; anche alla Corte d'appello di Brescia, la quale ha posto in rilievo la condizione del socio illimitatamente responsabile non rappresentante della società personale, che non fu posto in grado di difendersi nella procedura di dichiarazione di fallimento, evidente essendo che, una volta eliminato l'ostacolo della decadenza dalla opposizione, la cui disciplina, traverso il richiamo effettuato dall'art. 147, primo e terzo comma, r.d. 267/1942, va rinvenuta nell'art. 18, sarà il socio ammesso a far valere le sue ragioni.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i quattro procedimenti, iscritti ai nn. 323, 484, 508/1977 e 847/ 1979, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 18, primo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nella parte in cui prevede che il termine di quindici giorni per fare opposizione decorra per il debitore dalla affissione della sentenza che ne dichiara il fallimento.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20/11/80.

Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA -  Edoardo  VOLTERRA – Michele  ROSSANO – Antonino  DE STEFANO – Leopoldo  ELIA – Guglielmo  ROEHRSSEN – Oronzo REALE - Brunetto  BUCCIARELLI DUCCI – Alberto  MALAGUGINI – Livio  PALADIN – Arnaldo  MACCARONE – Antonio  LA PERGOLA – Virgilio  ANDRIOLI

Giovanni  VITALE – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 27/11/80.