Sentenza n. 124 del 2025

SENTENZA N. 124

ANNO 2025

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da:

Presidente: Giovanni AMOROSO;

Giudici: Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 10, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137 (Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 176, e 25, comma 12, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77, promosso dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Genova, sezione 2, nel procedimento vertente tra Power House società sportiva dilettantistica srl e l’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Genova, con ordinanza del 3 giugno 2024, iscritta al n. 143 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell’anno 2024.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 23 giugno 2025 il Giudice relatore Francesco Saverio Marini;

deliberato nella camera di consiglio del 23 giugno 2025.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 3 giugno 2024 (reg. ord. n. 143 del 2024), la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Genova, sezione 2, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 102, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 10, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137 (Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 176, e dell’art. 25, comma 12, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77, nella parte in cui prevedono che le controversie relative all’atto di recupero del contributo a fondo perduto, previsto dal comma 1 del citato art. 1, sono devolute alla giurisdizione tributaria.

2.– Il rimettente espone di essere investito del ricorso proposto dalla società sportiva dilettantistica Power House srl, per l’annullamento dell’atto di recupero del contributo a fondo perduto concessole, relativamente all’anno di imposta 2020, ai sensi dell’art. 1 del d.l. n. 137 del 2020, come convertito.

La ricorrente gestiva, sin dal 2011, una palestra, che però, nell’anno 2020, è rimasta chiusa a causa dei provvedimenti restrittivi emanati nel periodo dell’emergenza epidemiologica da COVID-19; per cui aveva presentato, in data 18 dicembre 2020, istanza telematica per la fruizione del contributo previsto dal citato decreto-legge, erogatole, in data 24 dicembre 2020, nella somma di euro 4.000,00.

Tuttavia, l’Agenzia delle entrate, con l’atto impugnato, notificato in data 5 luglio 2023, aveva chiesto alla società ricorrente, «sul presupposto dell’indebito ottenimento del contributo» per carenza dei requisiti di legge, la sua restituzione, irrogando contestualmente le relative sanzioni e applicando, sulle somme così calcolate, gli «interessi maturati e maturandi», per un importo totale pari a euro 8.412,04.

3.– In punto di rilevanza, la Corte di giustizia tributaria osserva che, nel giudizio a quo, è stato impugnato l’atto di recupero del contributo previsto dall’art. 1 del d.l. n. 137 del 2020, come convertito (d’ora in avanti: “decreto ristori”). Il comma 10 del citato art. 1 rinviava, tra l’altro, all’art. 25, comma 12, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito (d’ora in avanti: “decreto rilancio”), che – nel disciplinare un altro contributo a fondo perduto riconosciuto ai soggetti colpiti dall’emergenza epidemiologica da COVID-19 – aveva ritenuto applicabile, agli eventuali atti di recupero, la disciplina dettata dal decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413). Da ciò consegue, «stante il carattere esplicito della disposizione e l’orientamento della Cassazione», la devoluzione delle relative controversie alla giurisdizione tributaria. Il rimettente, quindi, «dovrebbe ritenere e decidere la controversia non residuando […] alcuno spazio per una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione che si tradurrebbe, nel caso di specie[,] in una inammissibile interpretatio abrogans».

4.– Con riferimento alla non manifesta infondatezza, la Corte di giustizia tributaria – ricostruita la giurisprudenza costituzionale e di legittimità in ordine agli «elementi indefettibili della fattispecie tributaria» – osserva che i contributi a fondo perduto previsti sia dall’art. 1 del “decreto ristori”, sia dall’art. 25 del “decreto rilancio” non hanno natura tributaria.

In proposito, il rimettente richiama l’orientamento della Corte di cassazione, la quale ha evidenziato che il contributo previsto dall’art. 25 del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, non consiste «nell’imposizione di una prestazione che implica una decurtazione patrimoniale a carico dell’obbligato, né […] nel riconoscimento di un credito d’imposta, ma nell’erogazione di una somma [di denaro] da parte dell’Amministrazione, [che] non concorre neppure alla formazione della base imponibile delle imposte sui redditi, né alla determinazione del valore della produzione netta ai fini dell’IRAP». Gli «unic[i] collegament[i] tra il contributo in esame e la materia tributaria» – insomma – sono rappresentati, sul piano oggettivo, dall’individuazione delle condizioni che ne legittimano l’erogazione e dai dati sulla cui base viene determinato il relativo ammontare, e, sul piano soggettivo, dall’affidamento alla Agenzia delle entrate della competenza in materia di liquidazione e controllo (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 13 dicembre 2023, n. 34851).

Ad avviso della Corte rimettente, analoghe considerazioni valgono per il contributo previsto dall’art. 1 del “decreto ristori”, che viene in rilievo nel giudizio a quo, di cui va parimenti esclusa la natura tributaria.

Da qui, dunque, la violazione dell’art. 102, secondo comma, Cost., in quanto – secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale – «l’attribuzione alla giurisdizione tributaria di controversie non aventi natura tributaria comporta la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali» (sono citate le sentenze di questa Corte n. 39 del 2010 e n. 64 del 2008).

5.– Le norme censurate si porrebbero, altresì, in contrasto con l’art. 3 Cost., per «irrazionalità e […] disparità di trattamento di situazioni accomunate da una unica ratio», perché, secondo la giurisprudenza di legittimità e quella tributaria, «viene attribuita alla giurisdizione del giudice tributario la cognizione sulle controversie relative all’atto di recupero con esclusione di quelle relative alla originaria spettanza del contributo stesso».

6.– È intervenuto in giudizio, con atto depositato il 31 agosto 2024, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate manifestamente infondate.

7.– Ad avviso della difesa statale, la circostanza che «il legislatore abbia demandato all’Agenzia delle Entrate, che è l’organo il quale esercita la potestà impositiva, sia la concessione del contributo a fondo perduto che l’attività di controllo e recupero dei contributi indebitamente percepiti consente di assimilare il contributo de quo a un’agevolazione di natura sostanzialmente tributaria e di configurare comunque il rapporto tra Agenzia delle Entrate e i beneficiari del contributo de quo come di natura sostanzialmente tributaria».

Invero, i contributi a fondo perduto previsti sia dall’art. 1 del “decreto ristori”, sia dall’art. 25 del “decreto rilancio” sono «parametrat[i] su dati prettamente fiscali».

Sul piano contabile, poi, costituiscono contributi «in conto esercizio in quanto erogat[i] ad integrazione di mancati ricavi registrati dal contribuente a causa della crisi causata dalla diffusione del Covid-19».

Gli aspetti procedimentali – relativi a modalità, termini e contenuti dell’istanza dell’interessato – sono «definiti con provvedimento del Direttore dell’Agenzia [delle entrate]», alla quale, come detto, spetta non solamente l’erogazione del contributo, ma anche la verifica dei presupposti per la sua concessione e l’eventuale recupero dell’importo non spettante; verifica a cui si applicano le «disposizioni aventi ad oggetto l’accertamento tributario».

La natura tributaria dei contributi in esame e del rapporto sotteso alla loro erogazione sarebbe, infine, confermata dall’applicabilità del regime sanzionatorio di cui all’art. 13, comma 5, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, recante «Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell’articolo 3, comma 133, lettera q), della legge 23 dicembre 1996, n. 662», e «degli interessi nella misura di cui all’art. 20 del [d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602] (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito)».

8.– In conclusione – osserva la difesa statale – «l’Agenzia delle Entrate ha sostanzialmente svolto un’attività di accertamento fiscale», disconoscendo il diritto della società ricorrente nel giudizio a quo a percepire il contributo, irrogandole «sanzioni tributarie e recuperando gli interessi previsti dalle norme fiscali».

Sarebbe, dunque, evidente lo «stretto collegamento esistente tra l’attività di accertamento tributario e il recupero del contributo su un piano sia soggettivo (in quanto è l’Agenzia delle Entrate l’ente individuato a erogare detto contributo) sia oggettivo (in quanto vi è un sostanziale rinvio alle norme procedimentali, sanzionatorie e processuali tributarie)».

Di conseguenza, con l’attribuzione alla giurisdizione tributaria della cognizione sulle controversie relative al recupero dei contributi in esame, il legislatore, senza snaturarne i limiti, avrebbe previsto «un semplice ampliamento [di detta giurisdizione] su una fattispecie avente comunque ad oggetto un rapporto di natura tributaria tra Agenzia delle Entrate e beneficiario del contributo». Non vi sarebbe, allora, alcuna violazione dell’art. 102, secondo comma, Cost.

9.– Anche le questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento all’art. 3 Cost. sarebbero – secondo l’Avvocatura generale dello Stato – non fondate.

La devoluzione alla giurisdizione ordinaria delle controversie relative al diniego del contributo di cui all’art. 1 del d.l. n. 137 del 2020, come convertito, infatti, non è normativamente prevista, bensì frutto dell’interpretazione giurisprudenziale, che, peraltro, «appare controvertibile».

Inoltre, mentre «il diniego fa seguito all’esito negativo di un controllo tecnico di natura meramente formale sull’istanza presentata dal richiedente», «l’atto di revoca del contributo […] è emesso all’esito di un procedimento di accertamento di natura squisitamente fiscale». Di conseguenza, trattandosi di fattispecie differenti, non risulterebbe violato il principio di uguaglianza e la scelta del legislatore in punto di riparto di giurisdizione sarebbe «discrezionale e non arbitraria».

Considerato in diritto

1.– La Corte di giustizia tributaria di primo grado di Genova, sezione 2, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 10, del d.l. n. 137 del 2020, come convertito (d’ora in avanti: “decreto ristori”), e dell’art. 25, comma 12, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito (d’ora in avanti: “decreto rilancio”), in riferimento agli artt. 3 e 102, secondo comma, Cost.

Le norme censurate hanno istituito contributi a fondo perduto a favore di soggetti – in possesso di determinati requisiti – colpiti dall’emergenza epidemiologica da COVID-19 e hanno devoluto alla giurisdizione tributaria la cognizione delle controversie relative agli atti di recupero di detti contributi, qualora siano stati illegittimamente erogati.

La Corte rimettente – ricostruita la giurisprudenza costituzionale e di legittimità in ordine agli elementi indefettibili della fattispecie tributaria – assume che i contributi previsti dalle norme censurate non avrebbero natura tributaria.

Essi, infatti, non consistono «nell’imposizione di una prestazione che implica una decurtazione patrimoniale a carico dell’obbligato, né […] nel riconoscimento di un credito d’imposta, ma nell’erogazione di una somma [di denaro] da parte dell’Amministrazione, [che] non concorre neppure alla formazione della base imponibile delle imposte sui redditi, né alla determinazione del valore della produzione netta ai fini dell’IRAP». Gli «unic[i] collegament[i] tra [i contributi] in esame e la materia tributaria» sono rappresentati, sul piano oggettivo, dall’individuazione delle condizioni che ne legittimano l’erogazione e dai dati sulla cui base viene determinato il relativo ammontare e, sul piano soggettivo, dall’affidamento all’Agenzia delle entrate della competenza in materia di liquidazione e controllo (Cass., sez. un. civ., n. 34851 del 2023).

Ad avviso del giudice a quo, dunque, le norme censurate violerebbero il divieto di istituzione di giudici speciali posto dall’art. 102, secondo comma, Cost., perché attribuirebbero alla giurisdizione tributaria controversie aventi a oggetto prestazioni che non hanno natura tributaria.

Le norme impugnate si porrebbero, altresì, in contrasto con l’art. 3 Cost., per «irrazionalità e […] disparità di trattamento di situazioni accomunate da una unica ratio», in quanto, secondo la giurisprudenza di legittimità e quella tributaria, «viene attribuita alla giurisdizione del giudice tributario la cognizione sulle controversie relative all’atto di recupero con esclusione di quelle relative alla originaria spettanza del contributo stesso».

2.– È opportuno innanzitutto ricostruire, brevemente, il quadro normativo di riferimento.

L’art. 25 del “decreto rilancio” aveva istituito un «[c]ontributo a fondo perduto» a favore dei soggetti esercenti attività d’impresa, di lavoro autonomo e di reddito agrario, titolari di partita IVA, con ricavi o compensi non superiori a cinque milioni di euro nel periodo d’imposta precedente a quello in corso alla data della sua entrata in vigore e con un ammontare del fatturato o dei corrispettivi del mese di aprile 2020 inferiore ai due terzi di quello del mese di aprile 2019. La misura del contributo era stabilita applicando percentuali variabili in relazione alla differenza del fatturato e dei corrispettivi e spettava, in ogni caso, per un valore minimo di mille euro per le persone fisiche e di duemila euro per i soggetti diversi dalle persone fisiche.

Come emerge dalla relazione illustrativa, la «finalità perseguita dalla disposizione [era] quella di sostenere i soggetti colpiti dall’emergenza epidemiologica “Covid-19”», demandando all’Agenzia delle entrate sia la concessione dei contributi, sia l’attività di recupero di quelli indebitamente percepiti.

L’intervento di cui all’art. 25 del “decreto rilancio” è stato seguito da una serie articolata di iniziative del Governo, consistenti nell’introduzione di misure di aiuto e di sostegno economico a favore delle imprese operanti nei settori economici interessati dalle misure restrittive introdotte, a loro volta, per contenere la diffusione dell’epidemia da COVID-19.

Così, per quel che interessa in questa sede, l’art. 1 del “decreto ristori” aveva previsto un contributo a fondo perduto da destinare agli «operatori dei settori economici interessati dalle misure restrittive introdotte con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 24 ottobre 2020».

In particolare, tale disposizione normativa riconosceva un contributo a favore di tutti i soggetti titolari di partita IVA che svolgevano attività prevalente nell’ambito di detti settori, salvo che avessero «attivato la partita IVA a partire dal 25 ottobre 2020» o, alla stessa data, l’avessero chiusa.

Come il precedente contributo istituito dal citato art. 25, anche questo «spetta[va] a condizione che l’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2020 [fosse] inferiore ai due terzi dell’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2019» (art. 1, comma 3) e, anche in assenza di detti requisiti, «ai soggetti che dichiara[va]no di svolgere come attività prevalente una di quelle riferite ai codici ATECO riportati nell’Allegato 1 che [avevano] attivato la partita IVA a partire dal 1° gennaio 2019» (art. 1, comma 4).

Per i soggetti che avevano già ricevuto il contributo a fondo perduto previsto dal “decreto rilancio”, al fine di renderne più rapida possibile la corresponsione, il citato art. 1 del “decreto ristori” stabiliva che la somma venisse accreditata direttamente sul loro conto corrente bancario o postale, parametrandola a una percentuale di quella già corrisposta in precedenza, il cui valore era stato determinato sulla base del calo di fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2020 rispetto al mese di aprile 2019 (art. 1, commi 5 e 7). La norma, comunque, prevedeva il riconoscimento del contributo anche ai soggetti che non erano riusciti a presentare l’istanza ai sensi del “decreto rilancio”: in tal caso, l’Agenzia delle entrate avrebbe riaperto la procedura web per consentire solo a loro di presentare la predetta istanza e, successivamente, calcolare la somma spettante sulla base dello stesso parametro utilizzato per coloro che avevano già ricevuto il precedente contributo (art. 1, commi 6 e 7). In ogni caso, il relativo importo non poteva essere superiore a euro 150.000 (art. 1, comma 8).

Veniva demandata a un nuovo provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate la regolamentazione tecnica e, in particolare, la definizione dei termini e delle modalità per consentire la trasmissione delle istanze da parte dei soggetti che non avevano trasmesso la richiesta di contributo ai sensi del “decreto rilancio” (art. 1, comma 11).

Il comma 10 dell’art. 1 del “decreto ristori” – censurato dal giudice a quo – rinviava alle disposizioni dell’art. 25 (commi da 7 a 14) del “decreto rilancio” relative alle attività di controllo e al regime sanzionatorio applicabili nei confronti sia dei soggetti che avevano già ricevuto il precedente contributo sia di quelli che presentavano l’istanza per la prima volta.

In forza del rinvio al comma 7 dell’art. 25, inoltre, anche il contributo istituito dal “decreto ristori” non partecipava alla formazione della base imponibile delle imposte sui redditi, non rilevava ai fini del rapporto di cui agli artt. 61 e 109, comma 5, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi) e non concorreva alla formazione del valore della produzione netta, base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) ai sensi del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali).

L’art. 1, comma 10, del “decreto ristori” rinviava, altresì, all’ultimo periodo del comma 12 dell’art. 25 del “decreto rilancio” – anch’esso censurato in questa sede –, secondo cui alle «controversie relative all’atto di recupero si applicano le disposizioni previste dal decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546», con conseguente devoluzione della loro cognizione alla giurisdizione tributaria.

Con riferimento a questa disposizione, la relazione illustrativa del “decreto rilancio” evidenziava che le controversie relative all’eventuale atto di recupero del contributo non spettante erano devolute alla giurisdizione tributaria, «trattandosi del recupero di un’agevolazione basata su dati di natura tributaria».

3.– Tanto premesso, le questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento all’art. 102, secondo comma, Cost. sono fondate.

3.1.– Come più volte affermato da questa Corte, la Commissione tributaria (oggi: Corte di giustizia tributaria) deve essere considerata organo speciale di giurisdizione preesistente alla Costituzione (ex plurimis, sentenze n. 204 del 2024, n. 39 del 2010, n. 238 e n. 141 del 2009, n. 130 e n. 64 del 2008).

L’art. 102, secondo comma, Cost. vieta l’istituzione di giudici speciali diversi da quelli espressamente nominati nella Carta costituzionale e la VI disposizione transitoria e finale della Costituzione – a integrazione della disciplina posta dal citato art. 102 Cost. – impone l’obbligo di effettuare la revisione degli organi speciali di giurisdizione preesistenti («salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato, della Corte dei conti e dei tribunali militari») entro il termine ordinatorio di cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione medesima (ex multis, sentenza n. 39 del 2010; ordinanza n. 144 del 1998).

Questa Corte ha precisato, in proposito, che il legislatore ordinario – nel modificare la disciplina di tali organi giurisdizionali, sia in sede di prima revisione sia successivamente – incontra il duplice limite costituzionale «di non snaturare (come elemento essenziale e caratterizzante la giurisdizione speciale) le materie attribuite» a dette giurisdizioni «e di assicurare la [loro] conformità a Costituzione» (sempre, sentenza n. 39 del 2010; ordinanza n. 144 del 1998).

In coerenza con questi principi – con specifico riferimento alla materia devoluta alla cognizione dei giudici tributari – la giurisprudenza costituzionale ha rilevato, in numerose pronunce, che la giurisdizione tributaria «deve ritenersi imprescindibilmente collegata» alla «natura tributaria del rapporto» (sentenze n. 39 del 2010, n. 238 e n. 141 del 2009, n. 130 e n. 64 del 2008; ordinanze n. 300 del 2009, n. 94 e n. 34 del 2006; nello stesso senso, ordinanze n. 218 del 2009 e n. 395 del 2007). Ne consegue che l’attribuzione a detta giurisdizione di controversie non aventi a oggetto rapporti di natura tributaria comporta la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali.

3.2.– Il contributo a fondo perduto istituito dall’art. 1 del “decreto ristori” non ha natura tributaria.

3.2.1.– Innanzitutto, nel caso di specie difetta uno dei caratteri tradizionalmente individuati dalla giurisprudenza costituzionale per ritenere una fattispecie di natura tributaria – ossia la definitiva decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo –, perché viene in rilievo l’erogazione, da parte dello Stato, di una somma di denaro a operatori economici privati (ex multis, sentenze n. 80 del 2024, n. 182, n. 128 e n. 27 del 2022, n. 236 del 2017, n. 96 del 2016, n. 178 e n. 70 del 2015).

In secondo luogo, il contributo di cui trattasi non integra neanche un beneficio fiscale, perché non consiste in una riduzione del carico tributario altrimenti gravante sul soggetto.

Gli strumenti di finanza pubblica per fronteggiare situazioni emergenziali possono distinguersi, infatti, in “sussidi finanziari” e “benefici fiscali”. Mentre i primi consistono in trasferimenti di denaro, come finanziamenti, contributi, interventi di aiuto economico in generale, i secondi includono tutte le misure comportanti un onere tributario minore di quello che sarebbe risultato applicabile in base al normale regime di tassazione, come, ad esempio, esenzioni, riduzioni della base imponibile o dell’aliquota, dilazioni di pagamento.

Il contributo a fondo perduto introdotto dall’art. 1 del “decreto ristori” – così come il precedente previsto dall’art. 25 del “decreto rilancio” – non può essere sussunto nella categoria delle agevolazioni fiscali, che presuppongono sempre un pregresso rapporto tributario (sentenza n. 120 del 2020) che invece, nel caso di specie, manca.

Il contributo in esame integra, piuttosto, una misura di aiuto e sostegno economico a favore di una determinata categoria di soggetti, che – stante la situazione di emergenza dettata dalla pandemia da COVID-19 e i conseguenti provvedimenti governativi adottati per fronteggiarla – ha subito una riduzione dell’attività economica e, quindi, del fatturato e dei compensi.

Una volta esclusa la natura di beneficio fiscale del contributo istituito dall’art. 1 del “decreto ristori”, risulta evidente che sia l’atto di concessione sia l’atto di diniego sia l’atto di ritiro – atto, quest’ultimo, che in questa sede viene in rilievo, perché a esso è limitata la previsione della giurisdizione tributaria – non possono che essere, tutti, privi di natura tributaria.

3.2.2.– Questa soluzione non è contraddetta dalla scelta legislativa di parametrare l’an e il quantum del contributo a dati fiscali, come la titolarità della partita IVA e la riduzione del fatturato o dei compensi; ciò, infatti, non ne implica la natura tributaria, in quanto non lo traduce in un esonero dal pagamento di uno o più tributi.

Anche la circostanza – dedotta dalla difesa statale – che l’erogazione del contributo e la successiva attività di controllo fossero demandate all’Agenzia delle entrate non rileva ai fini del riconoscimento della natura tributaria della misura in questione.

In proposito, la giurisprudenza costituzionale ha già considerato in contrasto con l’art. 102, secondo comma, Cost. e con la VI disp. trans. fin. Cost. l’attribuzione, alla giurisdizione tributaria, di controversie sulla base del mero criterio soggettivo costituito dalla natura finanziaria dell’organo competente e, dunque, a prescindere dalla natura tributaria del rapporto (sentenza n. 130 del 2008). Allo stesso modo, con riferimento alle sanzioni erogate in materia di emersione del lavoro nero, questa Corte ha ribadito che la giurisdizione tributaria «deve ritenersi imprescindibilmente collegata» alla «natura tributaria del rapporto» e che la medesima non può essere ancorata al «solo dato formale e soggettivo, relativo all’ufficio competente ad irrogare la sanzione» (ordinanza n. 34 del 2006).

Neanche il richiamo, nelle norme censurate, alle sanzioni amministrative previste dall’art. 13, comma 5, del d.lgs. n. 471 del 1997 e agli interessi dovuti ai sensi dell’art. 20 del d.P.R. n. 602 del 1973, in caso di ritiro del contributo illegittimamente conseguito, è idoneo a suffragare la natura tributaria del rapporto instaurato tra amministrazione e privato dalla richiesta e dalla successiva erogazione del contributo stesso. Se di rapporto di natura tributaria si fosse trattato, il menzionato espresso richiamo (come quello alla giurisdizione tributaria) sarebbe stato del tutto superfluo.

Infine, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa statale, la natura di aiuto economico della misura in esame si desume anche dalla circostanza che il contributo erogato è escluso dalla base imponibile delle imposte sui redditi delle persone fisiche e sulle attività produttive. La detassazione, ai fini IRPEF e IRAP, di detto contributo, infatti, è volta a evitarne il depotenziamento economico, confortandone la natura di misura finanziaria di sostegno economico e non di beneficio fiscale.

3.3.– In conclusione, le caratteristiche strutturali e funzionali del contributo a fondo perduto istituito dall’art. 1 del “decreto ristori” rendono evidente che detto beneficio non presenta natura tributaria.

Pertanto le norme censurate – attribuendo alla giurisdizione tributaria controversie relative a misure economiche di natura non tributaria – snaturano la materia originariamente devoluta alla cognizione del giudice tributario. Deve, dunque, ritenersi violato l’art. 102, secondo comma, Cost., che – in ossequio al principio di cui al primo comma, che riserva la funzione giurisdizionale ai magistrati ordinari – vieta l’istituzione di giudici speciali, anche alla luce della VI disp. trans. fin. Cost., che consente di procedere alla revisione degli organi speciali di giurisdizione senza snaturare le materie loro attribuite.

4.– Per le ragioni sopra esposte, va dichiarata l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 102, secondo comma, Cost., degli artt. 1, comma 10, del d.l. n. 137 del 2020, come convertito, e 25, comma 12, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, nella parte in cui prevedono che le controversie relative all’atto di recupero del contributo a fondo perduto, previsto dal comma 1 del citato art. 1, sono devolute alla giurisdizione tributaria.

Per effetto di ciò, la Corte di giustizia tributaria rimettente deve, nel dichiarare il suo difetto di giurisdizione, individuare il giudice che ne è munito, cui devolvere la definizione della causa.

L’accoglimento delle questioni sollevate in riferimento all’art. 102, secondo comma, Cost. comporta l’assorbimento della censura relativa all’art. 3 Cost.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 10, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137 (Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 176, e dell’art. 25, comma 12, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77, nella parte in cui prevedono che le controversie relative all’atto di recupero del contributo a fondo perduto, previsto dal comma 1 del citato art. 1, sono devolute alla giurisdizione tributaria.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2025.

F.to:

Giovanni AMOROSO, Presidente

Francesco Saverio MARINI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2025