SENTENZA N. 238
ANNO
2009
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME
DEL POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) – come modificato dall’art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248, promossi con ordinanze del 17 luglio 2008 dal Giudice di pace di Catania e del 7 novembre 2008 dalla Commissione tributaria provinciale di Prato, rispettivamente iscritte al n. 445 del registro ordinanze 2008 e al n. 21 del registro ordinanze 2009 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3 e n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2009.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 10 giugno 2009 il Giudice relatore Franco Gallo.
Ritenuto
in fatto
1. – Nel corso di un giudizio di
opposizione all’esecuzione proposto ai sensi dell’art. 615 del codice di
procedura civile, il Giudice di pace di Catania, con ordinanza depositata il 17
luglio 2008 (r.o. n. 445 del 2008), ha sollevato, in
riferimento agli artt. 25, primo comma, 102, secondo comma, e VI disposizione transitoria della Costituzione, questioni
di legittimità dell’art. 2, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo
31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione
della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n.
413) – come modificato dall’art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 settembre
2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti
in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art.
1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248 – nella parte in cui stabilisce
che «Appartengono alla giurisdizione tributaria […] le controversie relative
alla debenza del canone […] per lo smaltimento di
rifiuti urbani».
1.1. – Il Giudice di pace rimettente
premette, in punto di fatto, che: a) il contribuente si è opposto, ai sensi
dell’art. 615 cod.proc.civ., al diritto del Comune di
Catania di procedere, a séguito della notificazione di una cartella di
pagamento, alla riscossione coattiva «della tassa di smaltimento rifiuti solidi
urbani, oggi tariffa di igiene ambientale (TIA), per gli anni 1997, 1998, 1999
e 2000»; b) la convenuta s.p.a. SERIT Sicilia, agente della riscossione per la
provincia di Catania, ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice adíto, essendo la controversia devoluta alla giurisdizione
delle commissioni tributarie, ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992.
1.2. – Il medesimo giudice rimettente
premette altresí, in punto di diritto, che: a) «con
l’emanazione del cosiddetto decreto Ronchi» (art. 49 del d.lgs. 5 febbraio
1997, n. 22, recante «Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della
direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli
imballaggi e sui rifiuti di imballaggio») la tassa sui rifiuti solidi urbani
(TARSU), disciplinata dall’art. 58 del
decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, è stata sostituita
con un prelievo di natura non piú tributaria, ma
privatistica, cioè con la tariffa di igiene ambientale (TIA), determinata in
base al costo complessivo del servizio, «al fine di far pagare agli utenti il
costo del reale servizio usufruito»; b) la natura non tributaria della TIA è
desumibile sia dalla denominazione di «tariffa» sia dalla sua determinazione
quantitativa in ragione della copertura del costo del servizio, a nulla
rilevando – contrariamente a quanto affermato dalla Corte di cassazione con le
sentenze n. 13902 del 2007 e n. 4895 del 2006 – né il fatto che la sua
disciplina presenterebbe elementi di natura tributaria e non tributaria né il
fatto che essa subentra alla TARSU, cioè ad una entrata avente indiscussa
natura tributaria.
1.3. – Su tali premesse, il giudice a
quo afferma che la norma censurata – nell’attribuire alla giurisdizione
tributaria le controversie, di natura non tributaria, in materia di TIA –
«comporta lo snaturamento della giurisdizione tributaria e, quindi, la violazione»
degli evocati parametri costituzionali, perché, come piú
volte affermato dalla Corte costituzionale, «la giurisdizione del giudice
tributario deve ritenersi imprescindibilmente collegata alla natura tributaria
del rapporto» (sentenza n. 64 del 2008;
ordinanze n. 395
del 2007; n.
427, n. 94,
n. 35 e n. 34 del 2006).
1.4. – Quanto alla rilevanza, il Giudice
di pace osserva che la decisione sulla controversia «non potrà prescindere
dall’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal convenuto, eccezione
la cui fondatezza dipende dall’applicabilità, nel giudizio principale, della
disposizione censurata».
2. – Il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è
intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale promosso dal Giudice di
pace di Catania ed ha chiesto dichiararsi manifestamente inammissibili, per
difetto di motivazione, le questioni sollevate in riferimento al primo comma
dell’art. 25 ed alla VI disposizione transitoria
Cost., nonché manifestamente infondata quella sollevata in riferimento al
secondo comma dell’art. 102 Cost. In particolare, in relazione a quest’ultima
questione, la difesa erariale afferma che: a) l’art. 49 del d.lgs. n. 22 del
3. – Nel corso di due giudizi riuniti
aventi ad oggetto l’impugnazione, da parte del medesimo contribuente, di avvisi
di pagamento della tariffa di igiene ambientale (TIA) prevista dall’art. 49 del
d.lgs. n. 22 del 1997 e relativa agli anni 2007 e 2008,
3.1. –
3.2. – Su tali premesse, il giudice a
quo afferma che tale ultima disposizione – nell’attribuire alla
giurisdizione tributaria le controversie, di natura non tributaria, in materia
di TIA – si risolve nella creazione di un nuovo giudice speciale e, quindi, víola l’evocato parametro costituzionale.
4. – Il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è
intervenuto anche in questo giudizio ed ha chiesto dichiararsi la questione
manifestamente inammissibile o, comunque, manifestamente infondata. Per la
difesa erariale, l’inammissibilità deriva dal difetto di motivazione sulla
rilevanza, in quanto nell’ordinanza di rimessione manca l’esposizione dei fatti
di causa e dei termini della controversia; l’infondatezza deriva, invece – per
le medesime considerazioni svolte nell’atto di intervento nel giudizio di
costituzionalità promosso dal Giudice di pace di Catania – dalla natura
tributaria della tariffa prevista dall’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006.
Considerato in diritto
1. – Il Giudice di pace di Catania (r.o. n. 445 del 2008) dubita della legittimità
costituzionale dell’art. 2, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo
31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione
della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n.
413) – come modificato dall’art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 settembre
2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti
in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art.
1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248 –, nella parte in cui dispone che
«Appartengono alla giurisdizione tributaria […] le controversie relative alla debenza del canone […] per lo smaltimento di rifiuti
urbani» e, quindi, della tariffa di igiene ambientale (TIA) prevista dall’art.
49 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva
91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e
della direttiva 94/62/ CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio).
Il Giudice di pace rimettente afferma
che la disposizione denunciata víola: a) l’art. 25,
primo comma, della Costituzione; b)
2. –
Per il rimettente, la suddetta
disposizione víola l’art. 102, secondo comma, Cost., perché attribuisce alla cognizione
delle commissioni tributarie controversie che non hanno ad oggetto tributi e,
pertanto, «si risolve nella creazione di un nuovo giudice speciale», vietata da
tale parametro.
3. – L’identità della disposizione
denunciata dai due giudici rimettenti e la parziale coincidenza sia delle
censure prospettate, sia dei parametri costituzionali evocati, sia delle
argomentazioni svolte nelle ordinanze di rimessione, rendono opportuna la
riunione dei giudizi, al fine di esaminare e decidere congiuntamente le
questioni.
4. – Le questioni sollevate dal Giudice
di pace di Catania (r.o. n. 445 del 2008) sono
manifestamente inammissibili.
4.1. – Con riferimento agli evocati art.
25, primo comma, Cost. e VI disposizione transitoria della
Costituzione, il rimettente non indica le ragioni della denunciata
illegittimità costituzionale. Da ciò consegue la manifesta inammissibilità di
tali questioni.
4.2. – Con riferimento al parimenti
evocato secondo comma dell’art. 102 Cost., il rimettente afferma che: a) il
giudizio principale è stato instaurato ai sensi dell’art. 615 del codice di
procedura civile, come opposizione al diritto del Comune di Catania di
procedere alla riscossione coattiva del credito risultante da una cartella di
pagamento notificata al debitore; b) tale credito riguarda «la tassa di
smaltimento rifiuti solidi urbani, oggi tariffa di igiene ambientale (TIA), per
gli anni 1997, 1998, 1999 e 2000».
4.2.1. – In relazione all’affermazione sub a) – secondo cui il giudizio principale
è stato instaurato ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ. –, va rilevato che
sia l’art. 72, comma 5, del decreto
legislativo 15 novembre 1993, n. 507, con riferimento alla TARSU, sia
l’art. 49, comma 15, del d.lgs. n. 22 del 1997, con riferimento alla TIA, fanno
espresso rinvio, per la disciplina della riscossione di tali prelievi, al d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla
riscossione delle imposte su reddito). In particolare, l’art. 57, comma 1,
alinea e lettera a), di detto decreto
presidenziale stabilisce che «Non sono ammesse: […] a) le opposizioni regolate dall’art. 615 del codice di procedura
civile, fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni». Il
rimettente, tuttavia, qualifica espressamente l’azione proposta dal
contribuente non come opposizione agli atti esecutivi, ma come opposizione
regolata dall’art. 615 cod. proc. civ., ed inoltre non precisa se essa abbia ad
oggetto la pignorabilità dei beni. L’ordinanza, pertanto, è priva di
motivazione sulle ragioni per le quali il Giudice di pace – nonostante il
citato chiaro disposto dell’art. 57, comma 1, alinea e lettera a), del d.P.R.
n. 602 del 1973 – ha ritenuto ammissibile, nella specie, detta opposizione. In
difetto di tale motivazione, non appare evidente che il giudice a quo debba fare applicazione della
disposizione denunciata e pertanto, non essendo stata dimostrata la rilevanza
della sollevata questione, questa deve dichiararsi manifestamente
inammissibile.
4.2.2. – Sempre in relazione
all’affermazione sub a), va
ulteriormente rilevato che l’art. 2, comma 1, secondo periodo, del d.lgs. n.
546 del 1992 stabilisce che «Restano escluse dalla giurisdizione tributaria
soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata
tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove
previsto, dell’avviso di cui all’art. 50 del d.P.R.
29 settembre 1973, n. 602, per le quali continuano ad applicarsi le
disposizioni del medesimo decreto del Presidente della Repubblica».
Nell’ordinanza di rimessione viene riferito che il giudizio principale riguarda
la fase della esecuzione forzata tributaria successiva alla notifica della
cartella di pagamento, e cioè proprio la fase per la quale la citata
disposizione prevede la giurisdizione del giudice ordinario. Dopo tale
premessa, tuttavia, il rimettente non fornisce alcuna motivazione sulle ragioni
per le quali, nella specie, egli ritiene sussistere – in contrasto con il sopra
citato art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992 – la giurisdizione delle commissioni
tributarie, in luogo di quella del giudice ordinario. Anche in questo caso, in
difetto di siffatta motivazione, non appare evidente che il giudice debba fare
applicazione della disposizione denunciata e pertanto, non essendo stata
dimostrata – neppure sotto tale diverso profilo – la rilevanza della sollevata
questione, questa deve dichiararsi manifestamente inammissibile.
4.2.3. – Infine, con l’affermazione sub b), il rimettente dichiara, ad un
tempo, che il credito per il quale si procede alla riscossione coattiva
riguarda solo
5. – La difesa erariale ha eccepito la
manifesta inammissibilità della questione sollevata dalla Commissione
tributaria provinciale di Prato (r.o. n. 21 del
2009), affermando che l’ordinanza di rimessione, non avendo esposto i fatti di
causa ed indicato i termini della controversia, è priva di motivazione sulla
rilevanza.
L’eccezione non è fondata.
Contrariamente a quanto dedotto dall’Avvocatura generale dello Stato, infatti,
il rimettente ha chiaramente precisato che il giudizio principale ha ad oggetto
l’impugnazione di «avvisi di pagamento […] relativi alla TIA (tariffa igiene
ambientale) per gli anni 2007 e 2008, concernente l’immobile ove ha sede
l’impresa individuale» del soggetto sottoposto a prelievo. Ciò è sufficiente ad
evidenziare la rilevanza della questione, perché, per affermare la propria
giurisdizione, il giudice a quo deve
fare applicazione proprio della disposizione denunciata.
6. – Nel merito, la questione
prospettata dalla Commissione tributaria provinciale di Prato non è fondata,
perché il giudice rimettente muove dall’erroneo presupposto interpretativo che
6.1. – Al riguardo, per precisare il thema decidendum,
appare opportuno procedere ad una sintetica ricostruzione delle linee
essenziali del complesso quadro normativo in cui si inserisce la disposizione
denunciata.
L’evoluzione normativa in materia, per
quanto qui interessa, è scandita da quattro diversi principali interventi
legislativi.
6.1.1. – Il regio decreto 14 settembre 1931, n. 1175 (Testo unico per
la finanza locale), prevedeva, originariamente, la corresponsione al Comune di
un «corrispettivo per il servizio di ritiro e trasporto delle immondizie
domestiche» ed attribuiva natura privatistica al rapporto tra utente e servizio
comunale. Tale configurazione sinallagmatica del rapporto è stata, però,
radicalmente mutata – con un primo significativo intervento del legislatore –
dall’art. 10 della legge 20 marzo 1941, n. 366 (Raccolta, trasporto e smaltimento
dei rifiuti solidi urbani), il quale ha attribuito ai Comuni la facoltà di
istituire una «tassa» per la raccolta ed il trasporto delle immondizie e dei
rifiuti ordinari (interni ed esterni), ponendo tale prelievo a carico dei
soggetti occupanti i fabbricati posti nelle zone in cui si svolge (in regime di
privativa comunale) il servizio di raccolta. L’art. 21 del d.P.R.
10 settembre 1982, n. 915 (Attuazione delle direttive CEE numero 75/442
relativa ai rifiuti, numero 76/403 relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili
e numero 78/319 relativa ai rifiuti tossici e nocivi), ha poi sostituito (a
decorrere dal 1° gennaio 1984, come successivamente stabilito dall’art. 25 del
decreto-legge 28 febbraio 1983, n. 55, convertito, con modificazioni, dalla
legge 26 aprile 1983, n. 131) l’intera sezione II (artt. da
6.1.2. – Un secondo essenziale
intervento legislativo è costituito dal
decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507 (Revisione ed
armonizzazione dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle
pubbliche affissioni, della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche
dei comuni e delle province nonché della tassa per lo smaltimento dei rifiuti
solidi urbani a norma dell’art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421,
concernente il riordino della finanza territoriale), efficace a decorrere dal
1° gennaio 1994, il quale – in attuazione del comma 4 dell’art. 4 della legge
di delegazione 23 ottobre 1992, n. 421 – ha stabilito, all’art. 58, che, in relazione
all’istituzione ed all’attivazione del servizio relativo allo «smaltimento dei
rifiuti solidi urbani interni, svolto in regime di privativa» nelle zone del
territorio comunale, i Comuni «debbono istituire una tassa annuale» (usualmente
denominata "TARSU”), da applicarsi «in base a tariffa», secondo appositi
regolamenti comunali, a copertura (dal cinquanta al cento per cento ovvero, per
gli enti locali per i quali sussistono i presupposti dello stato di dissesto,
dal settanta al cento per cento) del costo del servizio stesso, nel rispetto
delle prescrizioni e dei criteri specificati negli artt. da
Quanto ai soggetti passivi, la tassa è
dovuta (in solido tra i componenti del nucleo familiare o tra gli utilizzatori
in comune degli immobili) da coloro che occupano o detengono locali od aree
scoperte a qualsiasi uso adibiti – ad esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie di civili abitazioni diverse
dalle aree a verde – esistenti nelle zone del territorio comunale in cui il
servizio è istituito ed attivato o comunque reso in maniera continuativa, ivi
comprese le abitazioni coloniche e gli altri fabbricati con area scoperta di
pertinenza anche se nella zona in cui è attivata la raccolta dei rifiuti è
situata solo la strada di accesso (artt. 62 e 63). I soggetti passivi hanno
«l’obbligo di denuncia» dell’occupazione o detenzione dei locali ed aree
tassabili siti nel territorio del Comune (art. 70, specie commi 1 e 6). In
connessione con l’obbligo di presentare tale dichiarazione di scienza, è attribuito
al Comune il potere di «emettere» (nel senso di "notificare”, come chiarito dal
comma 1 dell’art. 72) motivati avvisi di accertamento d’ufficio (in caso di
omessa denuncia) o in rettifica (in caso di denuncia infedele o incompleta),
entro specifici termini di decadenza (artt. 71, 73). È prevista l’esclusione o
l’esonero dal tributo in determinati casi in cui gli immobili si trovino in
condizione di non potere produrre rifiuti, mentre è, di regola, irrilevante la
circostanza che il soggetto passivo abbia, in concreto, autonomamente
provveduto allo smaltimento (art. 62, commi 2, 3 e 5). Il prelievo, dunque, è
posto in relazione, da un lato, alla attitudine media ordinaria alla produzione
quantitativa e qualitativa dei rifiuti per unità di superficie e per tipo di
uso degli immobili e, dall’altro, alla potenziale fruibilità del servizio di
smaltimento dei rifiuti da parte dei soggetti passivi. In particolare, la
tassa, mediante determinazione tariffaria da parte del Comune, «può essere
commisurata […] in base alla quantità e qualità medie ordinarie per unità di
superficie imponibile di rifiuti solidi […] producibili nei locali ed aree per
il tipo di uso, cui i medesimi sono destinati e al costo dello smaltimento»
(art. 65, comma 1, come sostituito dall’art. 3, comma 68, della legge 28
dicembre 1995, n. 549). Solo in via eccezionale ed alternativa è prevista la
possibilità di commisurare la medesima tassa, «per i comuni aventi popolazione
inferiore a 35.000 abitanti, in base alla qualità, alla quantità effettivamente
prodotta, dei rifiuti solidi urbani e al costo dello smaltimento» (ibidem). È coerente con tale
impostazione pubblicistica l’obbligo, imposto agli occupanti o detentori «degli
insediamenti comunque situati fuori dall’area di raccolta», di utilizzare il
servizio pubblico di nettezza urbana, conferendo i rifiuti urbani, «interni ed
equiparati», nei «contenitori viciniori» (art. 59, comma 3). È compatibile con
la medesima impostazione, anche la previsione di riduzioni della tassa per le
zone in cui la raccolta non viene effettuata e per i casi di non svolgimento,
svolgimento per periodi stagionali, nonché per i casi in cui l’utente dimostri
di aver provveduto autonomamente allo smaltimento in periodi di protratto
mancato svolgimento del servizio, ove l’autorità sanitaria competente abbia
riconosciuto una situazione di danno o di pericolo di danno alle persone o
all’ambiente secondo le norme e prescrizioni sanitarie nazionali (art. 59,
commi 2, 4, 5, 6, secondo periodo). La natura pubblicistica e non privatistica
del prelievo è ulteriormente evidenziata sia dalla regola secondo cui
«L’interruzione temporanea del servizio di raccolta per motivi sindacali o per
imprevedibili impedimenti organizzativi non comporta esonero o riduzione del
tributo» (art. 59, comma 6, primo periodo); sia dal sopra citato comma 3-bis dell’art. 61 e successive
modificazioni, che ha reso rilevante anche il costo dello spazzamento
dei rifiuti esterni. Il d.lgs. n. 507 del
1993 prevede anche una «tassa
giornaliera di smaltimento» dei rifiuti producibili mediante l’uso (autorizzato
o no), per periodi inferiori a 183 giorni per anno solare, di locali od aree
pubbliche, di uso pubblico, o aree gravate da servitú
di pubblico passaggio (art. 77). Per la riscossione, si applicano, in quanto
compatibili, le disposizioni del d.P.R. n. 602 del
1973, e del d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43 (art. 72).
Ai sensi dell’art. 52, comma 5, del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, il Comune
ha facoltà di disciplinare con proprio regolamento l’affidamento a terzi delle
fasi di liquidazione, accertamento e riscossione della tassa. Sanzioni
specifiche sono previste dall’art. 76 (e successive modificazioni) per l’omessa
o infedele denuncia e per la mancata presentazione o trasmissione di atti,
documenti o dati richiesti dal Comune; sono comunque applicabili le
disposizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria
stabilite dal d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472.
6.1.3. – Un terzo intervento legislativo
si è realizzato con l’entrata in vigore (dal 1° gennaio 1999) dell’art. 49 del
cosiddetto "decreto Ronchi”, cioè del d.lgs. n. 22 del 1997 (successivamente
modificato dall’art. 1, comma 28, della legge 9 dicembre 1998, n. 426, e
dall’art. 33 della legge 23 dicembre 1999, n. 488), il quale – in dichiarata
attuazione delle direttive 91/156/CEE, 91/689/CEE e 94/62/CE – ha stabilito l’obbligo dei Comuni di
effettuare, in regime di privativa, la gestione dei rifiuti urbani ed
assimilati e, in particolare, ha previsto l’istituzione, da parte dei Comuni
medesimi, di una «tariffa» per la copertura integrale dei costi per i servizi
relativi alla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o
provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico,
nelle zone del territorio comunale. Tale tariffa – usualmente denominata
tariffa di igiene ambientale (TIA) – «è composta da una quota determinata in
relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in
particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti, e da
una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e
all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura
integrale dei costi di investimento e di esercizio» (comma 4). Con regolamento
del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, viene elaborato il
metodo normalizzato per definire le componenti dei costi e determinare la
tariffa di riferimento (comma 5). Il metodo normalizzato è stato approvato con
il regolamento di cui al d.P.R. 27 aprile 1999, n.
158. È tenuto al pagamento della tariffa «chiunque occupi oppure conduca
locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza
dei medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio
comunale» (comma 3). La tariffa è ridotta nei casi in cui il produttore di
rifiuti assimilati dimostri (mediante attestazione rilasciata da chi effettui
il recupero) di aver avviato detti rifiuti al recupero (comma 14). La tariffa è
applicata e riscossa dal soggetto che gestisce il servizio (commi 9 e 13).
Diversamente dalla normativa sulla TARSU, l’art. 49 del "decreto Ronchi”,
pertanto: a) evita di qualificare espressamente il prelievo come "tributo” o
"tassa”, pur mantenendo il riferimento testuale alla «tariffa»; b) stabilisce
che
6.1.4. – La quarta rilevante modifica
legislativa del prelievo è costituita dall’art. 238 del d.lgs. 3 aprile 2006,
n. 152 (Norme in materia ambientale), in vigore dal 23 aprile 2006, il quale ha
soppresso la tariffa di cui all’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997,
sostituendola con la diversa «tariffa per la gestione dei rifiuti urbani» (come
testualmente indicato nella rubrica dell’articolo), che una disposizione successiva
(l’art. 5, comma 2-quater, del citato
decreto-legge n. 208 del 2008) denomina «tariffa integrata ambientale (TIA)».
Tale tariffa integrata deve essere determinata ad opera dell’autorità d’àmbito territoriale ottimale (AATO), prevista dall’art. 201
dello stesso decreto legislativo, entro tre mesi dalla data di entrata in
vigore del regolamento ministeriale (da emanarsi, a sua volta, entro sei mesi
dalla sopra indicata data di entrata in vigore della parte quarta del decreto
legislativo e, quindi, dell’art.
6.2. – Da tale ricostruzione normativa
emerge che, per il periodo dal
7. – Cosí
delimitato il thema decidendum,
va rilevato che, nel porre la questione di legittimità costituzionale, il
rimettente muove da due diversi assunti: a) che la giurisdizione tributaria, ai
sensi dell’evocato parametro, deve avere ad oggetto solo controversie
tributarie; b) che
7.1. – Il primo dei due assunti del
rimettente è esatto. Per costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, la
giurisdizione del giudice tributario «deve ritenersi imprescindibilmente
collegata» alla «natura tributaria del rapporto» (ordinanze n. 395
del 2007; n.
427, n. 94,
n. 35 e n. 34 del 2006),
con la conseguenza che l’attribuzione alla giurisdizione tributaria di
controversie non aventi tale natura comporta la violazione del divieto
costituzionale di istituire giudici speciali posto dall’art. 102, secondo
comma, Cost. (sentenze
n. 141 del 2009; n. 130 e n. 64 del 2008).
La decisione della sollevata questione
esige, dunque, che si proceda alla qualificazione della natura della tariffa di
igiene ambientale (TIA) prevista dall’art. 49 del d.lgs. n. 22 del
7.2. – Il secondo assunto del
rimettente, circa la natura di corrispettivo privatistico, propria della
suddetta tariffa di igiene ambientale, è erroneo, come sopra osservato, ove si
proceda al raffronto tra la sua disciplina positiva e la nozione di tributo,
quale elaborata dalla giurisprudenza
costituzionale.
7.2.1. – Questa Corte, mediante numerose
pronunce, ha indicato i criteri cui far riferimento per qualificare come tributari alcuni prelievi. Tali criteri,
indipendentemente dal nomen iuris utilizzato dalla normativa che disciplina i
prelievi stessi, consistono nella doverosità della prestazione, nella mancanza
di un rapporto sinallagmatico tra parti e nel collegamento di detta prestazione
alla pubblica spesa in relazione ad un presupposto economicamente rilevante (ex
plurimis: sentenze n. 141 del
2009; n. 335
e n. 64 del 2008;
n. 334 del 2006
e n. 73 del 2005).
7.2.2. – Con specifico riferimento alla
disciplina della tariffa di igiene ambientale, va preliminarmente preso atto
che non è individuabile, allo stato, un’univoca giurisprudenza di legittimità sulla natura di tale tariffa, anche se
pare maggiormente attestato l’orientamento che le riconosce natura
tributaria. Infatti, ad una pronuncia della Corte di cassazione civile che ha
qualificato come non tributaria tale prestazione pecuniaria (sezioni unite,
ordinanza n. 3274 del 2006), hanno fatto séguito altre decisioni della stessa
Corte che, con varie motivazioni e differenze linguistiche, hanno invece
ricondotto detta prestazione nel novero dei tributi (sezioni unite: ordinanza
n. 3171 del 2008, sentenze n. 13902 del 2007 e n. 4895 del 2006; sezioni
semplici: sentenze n. 5298 e n. 5297 del 2009, n. 17526 del 2007). Al fine di determinare la natura (tributaria
o extratributaria) della TIA, oggetto
di contrastanti opinioni anche nella dottrina, è perciò necessario procedere ad
un autonomo ed analitico esame delle caratteristiche di tale prelievo. Al
riguardo, non rilevano né la formale
denominazione di «tariffa», né la sua alternatività rispetto alla TARSU, né la
possibilità di riscuoterla mediante ruolo.
Quanto
all’irrilevanza della denominazione, lo stesso art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 stabilisce
espressamente che i tributi vanno
individuati indipendentemente dal nomen iuris («comunque denominati»). Inoltre, il termine
«tariffa» – nella tradizione propria della legislazione tributaria – ha un
valore semantico neutro, nel senso che non si contrappone necessariamente a
termini quali «tassa» e «tributo», tanto che anche l’art. 58 del d.lgs. n. 507 del 1993 testualmente prevede che
Quanto alla regola stabilita dall’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, secondo cui
Quanto,
infine, alla possibilità per il Comune, prevista dal medesimo art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, di procedere alla riscossione della TIA
mediante ruolo, deve sottolinearsi che il ricorso a tale modalità di
riscossione è solo facoltativo, e, comunque, ancorché tipico delle entrate
tributarie, è consentito dalla legge anche per le entrate extratributarie.
Per una corretta valutazione della
natura della tariffa di igiene ambientale (TIA), è invece opportuno muovere
dalla constatazione che tale prelievo, pur essendo diretto a sostituire
7.2.3. – Dalla comparazione tra
7.2.3.1. – In primo luogo, quanto al
fatto generatore dell’obbligo del pagamento e ai soggetti obbligati - come si è già rilevato al punto 6.1.2. -
7.2.3.2. – In secondo luogo, in
relazione ad entrambi i pagamenti, sussiste una medesima struttura autoritativa
e non sinallagmatica, che emerge sotto svariati e concorrenti profili. In particolare,
con riguardo ai due suddetti prelievi: a) i servizi concernenti lo smaltimento
dei rifiuti devono essere obbligatoriamente istituiti dai Comuni, che li
gestiscono, in regime, appunto, di privativa, sulla base di una disciplina
regolamentare da essi stessi unilateralmente fissata; b) i soggetti tenuti al
pagamento dei relativi prelievi (salve tassative ipotesi di esclusione o di
agevolazione) non possono sottrarsi a tale obbligo adducendo di non volersi
avvalere dei suddetti servizi; c) la legge non dà alcun sostanziale rilievo,
genetico o funzionale, alla volontà delle parti nel rapporto tra gestore ed
utente del servizio.
La rilevata comune struttura autoritativa dei prelievi non viene meno per il fatto che,
riguardo alla TARSU, il d.lgs. n. 507 del 1993 individua quale soggetto attivo
del tributo il Comune e disciplina specificamente la fase di accertamento e di
liquidazione della tassa, prevedendo sanzioni e interessi (artt. 71, 73 e 76);
mentre, riguardo alla TIA, l’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, da un lato
identifica nel gestore del servizio il soggetto che la applica e riscuote
(commi 9 e 13) e, dall’altro, non reca alcuna disciplina specifica in tema di
accertamento, di liquidazione della prestazione dovuta, di contenzioso e di
sanzioni e interessi per omesso o ritardato pagamento. Non può negarsi,
infatti, che, sia per
Con riguardo, poi, alla disciplina
dell’accertamento e della liquidazione della TIA, la lacunosità delle
statuizioni contenute nel comma 9 dell’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997 (il
quale si limita a prevedere che «la tariffa è applicata dai soggetti gestori
nel rispetto della convenzione e del relativo disciplinare») può essere colmata
con l’esercizio del potere regolamentare comunale previsto per le entrate
«anche tributarie» dal citato art. 52 del d.lgs. n. 446 del 1997 o in via di
interpretazione sistematica. Analogamente, nulla osta a che, per le sanzioni ed
interessi relativi all’omesso o ritardato pagamento della TIA, possano
applicarsi le norme generali in tema di sanzioni amministrative tributarie. Cosí come, con riguardo al contenzioso, è evidente che ad
entrambi i prelievi si applica il comma 2 dell’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992,
che attribuisce, appunto, alla giurisdizione tributaria la cognizione delle
controversie relative, in generale, alla debenza dei
tributi e, specificamente del «canone […] per lo smaltimento dei rifiuti
urbani».
Non contraddice tale conclusione il fatto
che fonti secondarie prevedano, per il pagamento della TIA, l’emissione di
semplici «bollette che tengono luogo delle fatture […] sempreché contengano
tutti gli elementi di cui all’art. 21» del d.P.R. n.
633 del 1972 (art. 1, comma 1, del citato decreto ministeriale n. 370 del
2000), e cioè l’emissione di atti formalmente diversi da quelli espressamente
indicati dall’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 come impugnabili davanti alle
Commissioni tributarie. In tale caso, infatti, è possibile, in via interpretativa
- come, del resto, ha
già affermato
7.2.3.3. – In terzo luogo, sono analoghi
i criteri di commisurazione dei due prelievi.
7.2.3.4. – In quarto luogo, come sopra
accennato,
7.2.3.5. – In quinto luogo, con
riferimento alla disciplina complessiva della TIA, va rilevato che l’art. 49,
comma 17, del d.lgs. n. 22 del
7.2.3.6. – In sesto luogo, infine, un
altro significativo elemento di analogia tra
7.2.4. – È appena il caso di rilevare
che la riscontrata omogeneità tra i due prelievi in esame è compatibile sia con
le direttive comunitarie di cui il d.lgs. n. 22 del 1997 istitutivo della TIA
costituisce attuazione (91/156/CEE, 91/689/CEE e 94/62/CE), sia con il
principio comunitario "chi inquina paga” (ribadito dall’art. 15 della direttiva
comunitaria 2006/12/CE), sia con le leggi di delegazione in forza delle quali
il suddetto decreto legislativo è stato emanato (artt. 1 e 38 della legge 22
febbraio 1994, n. 146; artt. 1, 6 e 43 della legge 6 febbraio 1996, n. 52).
Nessuna di tali disposizioni, infatti, impone al legislatore di configurare in
termini privatistici il rapporto tra utente e gestore del servizio di
smaltimento dei rifiuti. Quanto al diritto comunitario, esso, con tutta
chiarezza, si limita a richiedere che la legislazione nazionale garantisca un
ragionevole collegamento tra la produzione di rifiuti e la copertura del costo
per il loro smaltimento, secondo un principio di proporzionalità, in modo che
tale costo sia posto a carico, per una parte significativa, del produttore dei
rifiuti. Ed ove questa attribuzione di costi sia rispettata, resta indifferente
per il diritto comunitario se essa sia realizzata dal legislatore mediante
l’istituzione di un tributo o la previsione di un corrispettivo privatistico.
Quanto alle leggi di delegazione, esse si limitano ad autorizzare il
legislatore delegato ad apportare «modifiche» al d.lgs. n. 507 del 1993, al
fine di attuare le direttive comunitarie, e non impongono affatto di
trasformare la natura del prelievo da tributaria ad extratributaria.
8. – Le sopra indicate caratteristiche
strutturali e funzionali della TIA disciplinata dall’art. 49 del d.lgs. n. 22
del 1997 rendono evidente che tale prelievo presenta tutte le caratteristiche
del tributo menzionate al punto 7.2.1. e che, pertanto, non
è inquadrabile tra le entrate non tributarie, ma costituisce una mera variante
della TARSU disciplinata dal d.P.R. n. 507 del 1993
(e successive modificazioni), conservando la qualifica di tributo propria di
quest’ultima. A tale conclusione, del resto, si giunge anche considerando che,
tra le possibili interpretazioni della censurata disposizione e dell’art. 49
del d.lgs. n. 22 del 1997, deve essere preferita quella che, negando la
violazione del secondo comma dell’art. 102 Cost., appare conforme a
Costituzione (sulla necessità, in generale, di privilegiare un’interpretazione
costituzionalmente orientata, ex plurimis: sentenza n. 308 del
2008, ordinanze
n. 146 e n.
117 del 2009).
Le controversie aventi ad oggetto la debenza della TIA, dunque, hanno natura tributaria e la
loro attribuzione alla cognizione delle commissioni tributarie, ad opera della
disposizione denunciata, rispetta l’evocato parametro costituzionale.
per questi motivi
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, secondo periodo, del decreto
legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in
attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30
dicembre 1991, n. 413) – come modificato dall’art. 3-bis, comma 1,
lettera b), del
decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione
fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre
2005, n. 248 –, sollevate, in riferimento agli artt. 25, primo comma, e 102, secondo comma, della
Costituzione, nonché alla VI disposizione transitoria
della Costituzione, dal Giudice di pace di Catania, con l’ordinanza indicata in
epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale della medesima disposizione del d.lgs. n. 546 del 1992,
sollevata, in riferimento all’art. 102, secondo comma, Cost., dalla Commissione
tributaria provinciale di Prato, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 luglio
2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2009.