ORDINANZA N. 117 ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
ordinanza
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 206 e 224 del codice penale e degli artt. 37 e 38 del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988 n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di minorenni), promosso dal Tribunale per i minorenni di Sassari nel procedimento penale a carico di D.G. ed altri con ordinanza del 26 febbraio 2007, iscritta al n. 526 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell’11 marzo 2009 il Giudice relatore Giuseppe Frigo.
Ritenuto che, con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale per i minorenni di Sassari ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 24, 31 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 206 e 224 del codice penale e degli artt. 37 e 38 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di minorenni), nella parte «in cui consentono l’applicazione di una misura di sicurezza, e specialmente l’applicazione provvisoria, anche nei confronti di minori infraquattordicenni e persino di fanciulli molto giovani senza previsione di alcun limite minimo di età»;
che il giudice a quo premette che, con sentenza del 22 gennaio 2007, il Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale aveva dichiarato, ai sensi dell’art. 26 del d.P.R. n. 448 del 1988, il non luogo a procedere, per difetto di imputabilità, nei confronti di tre minori infraquattordicenni (uno di undici anni, gli altri di tredici), sottoposti ad indagini per i delitti continuati di cui agli artt. 609-bis, primo comma e secondo comma, numero 1), 609-ter, numero 2), e 609-octies cod. pen. (violenza sessuale aggravata di gruppo), commessi in concorso con altri quattro minori non imputabili ai danni di una minore nata il 12 febbraio 1997;
che, con detta sentenza, il medesimo Giudice aveva applicato in via provvisoria ai minori, ai sensi degli artt. 36 e 37 del d.P.R. n. 448 del 1988, la misura di sicurezza del riformatorio giudiziario, da eseguire nelle forme del collocamento in comunità, per la durata di un anno, disponendo la trasmissione degli atti al Tribunale per i minorenni ai fini dell’instaurazione del procedimento per la verifica della pericolosità previsto dall’art. 38 del medesimo decreto;
che, nell’udienza fissata ai sensi di tale disposizione, i difensori dei minori avevano eccepito, sotto plurimi profili, la nullità della sentenza del Giudice per le indagini preliminari e, comunque, l’inefficacia della misura di sicurezza con essa applicata, chiedendone la revoca;
che, ad avviso del giudice a quo, tali eccezioni debbono ritenersi proponibili, in quanto volte a far valere nullità assolute, rilevabili anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, onde evitare la nullità di tutti gli atti successivi (artt. 179 e 185 del codice di procedura penale), risultando, tuttavia, infondate;
che non avrebbe pregio, anzitutto, l’eccezione di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 178, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., in quanto emessa senza una preventiva richiesta del pubblico ministero, il quale si era limitato a chiedere l’archiviazione del procedimento e, con separato atto, l’applicazione provvisoria della misura di sicurezza;
che, in base all’art. 26 del d.P.R. n. 448 del 1988, difatti, la sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità (art. 97 cod. pen.) deve essere pronunciata dal giudice, anche d’ufficio, non appena accerti che l’imputato è minore degli anni quattordici: e ciò in ossequio al principio ispiratore dell’intero processo minorile, per cui al minore – specie se infraquattordicenne – deve essere garantita la più rapida uscita dal processo, a tutela della sua personalità; detta sentenza, d’altro canto, era il solo provvedimento con il quale – a norma dell’art. 37 del d.P.R. n. 448 del 1988 – poteva essere applicata provvisoriamente la misura di sicurezza richiesta dal pubblico ministero;
che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, inoltre, la sentenza in questione poteva bene essere emessa dal giudice per le indagini preliminari (che costituirebbe, anzi, l’organo normalmente deputato a provvedervi, trattandosi di pronuncia basata su un semplice riscontro anagrafico dell’età del minore): con correlativa legittimazione di detto giudice a disporre anche l’applicazione provvisoria della misura di sicurezza ai sensi del citato art. 37;
che parimenti infondati risulterebbero gli ulteriori assunti difensivi, stando ai quali la misura sarebbe divenuta inefficace, sia per non avere il giudice proceduto all’interrogatorio dei minori prima dell’adozione del provvedimento o, quanto meno, nei cinque giorni successivi alla sua esecuzione, così come prescritto dall’art. 313 in riferimento all’art. 294 cod. proc. pen.; sia in quanto la richiesta di riesame, proposta dal difensore di uno dei minori contro il provvedimento stesso, non era stata decisa nel termine di cui all’art. 309 cod. proc. pen.;
che le disposizioni del codice di rito sul cosiddetto interrogatorio di garanzia e sulla richiesta di riesame dovrebbero ritenersi, infatti, non operanti in rapporto all’applicazione provvisoria di misure di sicurezza ai minori, la quale trova una disciplina organica ed autonoma – derogatoria, dunque, di quella generale – nel capo IV del d.P.R. n. 448 del 1988;
che, tanto premesso, il Tribunale rimettente reputa, tuttavia, che la disciplina in parola generi rilevanti dubbi di costituzionalità, sia sotto il profilo sostanziale che sotto quello processuale: e ciò soprattutto nell’ipotesi in cui coinvolga, come nella specie, minori di anni quattordici;
che il giudice a quo dubita, in particolare, della legittimità costituzionale degli artt. 206 e 224 cod. pen. e degli artt. 37 e 38 del d.P.R. n. 448 del 1988, «nei limiti in cui consentono l’applicazione di una misura di sicurezza, e specialmente l’applicazione provvisoria, anche nei confronti dei minori infraquattordicenni e persino di fanciulli molto giovani senza previsione di alcun limite minimo di età»;
che, al riguardo, il rimettente osserva come le misure di sicurezza, e in special modo quella del riformatorio giudiziario – per quanto eseguita nelle forme del collocamento in comunità – comportino una grave compressione della libertà personale e un repentino allontanamento del minore dalla famiglia; il suo affidamento a persone sconosciute con modi e tempi che non consentono un’adeguata preparazione del personale specializzato; una brusca interruzione del percorso scolastico del minore e delle sue abitudini e relazioni sociali: e tutto ciò non per finalità educative, ma di prevenzione generale e, dunque, «in una cornice altamente stigmatizzante», insita nella stessa denominazione di «riformatorio»;
che, di conseguenza, le misure in parola sarebbero idonee a produrre un grave, e talora irreparabile, pregiudizio per lo sviluppo della personalità del minore, tanto più avvertibile quanto più la sua età si collochi al di sotto della soglia della imputabilità: profilo sotto il quale le norme denunciate lederebbero sia l’art. 31, secondo comma, Cost., in forza del quale la Repubblica protegge l’infanzia e la gioventù; sia gli artt. 2 e 3 Cost., che impongono allo Stato di garantire i diritti involabili della persona e di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della personalità umana;
che le norme impugnate violerebbero, inoltre, l’art. 10 Cost., ponendosi in contrasto con le norme internazionali – tra cui, in particolare, l’art. 40 della Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, e gli artt. 3 e 5 della Convezione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n. 77 – che impegnano gli Stati Parti a un’adeguata tutela dei diritti del fanciullo accusato di un reato;
che, sotto il profilo più strettamente processuale, poi, le norme censurate determinerebbero, in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., una irrazionale disparità tra le garanzie difensive accordate ai maggiorenni e quelle previste a favore dei minorenni;
che, infatti, mentre l’applicazione provvisoria delle misure di sicurezza nei confronti di maggiorenni deve essere preceduta o, se non sia possibile, seguita entro breve termine (cinque giorni) dall’interrogatorio dell’accusato, con le garanzie della difesa (artt. 313 e 294 cod. proc. pen.); analoghe garanzie non sarebbero assicurate al minore, segnatamente nel caso in cui l’applicazione provvisoria venga disposta dal giudice per le indagini preliminari con la sentenza di cui all’art. 26 del d.P.R. n. 448 del 1988;
che tale disparità di trattamento sarebbe del tutto ingiustificata, in quanto la circostanza che il soggetto al quale è attribuito un reato sia un minore infraquattordicenne dovrebbe comportare, semmai, un incremento delle garanzie difensive, sia perché si tratta di soggetto debole, sia perché l’immediato contatto tra il giudice e il minore risulterebbe indispensabile ai fini di una decisione ponderata;
che sarebbe leso, da ultimo, l’art. 111 Cost., in forza del quale, da un lato, ogni processo deve svolgersi nel contraddittorio tra le parti, in condizione di parità; e, dall’altro, ogni persona accusata deve essere, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico e disporre del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa;
che tali principi risulterebbero compromessi dalla possibilità – prefigurata dall’art. 37 in relazione all’art. 26 del d.P.R. n. 448 del 1988 – che sia il giudice per le indagini preliminari, nella fase iniziale del procedimento, a disporre, sia pure in via provvisoria, la misura di sicurezza nei confronti dell’infraquattordicenne, senza alcun obbligo di informare l’accusato e senza alcun contraddittorio;
che, d’altra parte, non sarebbe sufficiente che l’instaurazione del contraddittorio sia prevista in un momento successivo, e cioè nell’ambito del procedimento di cui all’art. 38, non potendo comunque esservi «parità di contraddittorio» tra la pubblica accusa ed un soggetto incapace di scelte autonome per evidente immaturità (quale il bambino di undici anni colpito, nel caso di specie, dalla misura);
che il giudice a quo ha reputato, infine, in attesa della decisione sulla questione di costituzionalità, di disporre comunque la revoca della misura di sicurezza applicata ai tre minori, così come consentito dall’art. 38, comma 1, del d.P.R. n. 448 del 1988: e ciò per evitare che la protrazione di una misura disposta sulla base di norme sospettate di incostituzionalità produca «un’eccessiva stigmatizzazione» dei minori stessi, atta a compromettere lo sviluppo della loro personalità;
che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.
Considerato che il Tribunale per i minorenni di Sassari sottopone a scrutinio di costituzionalità gli artt. 206 e 224 del codice penale e gli artt. 37 e 38 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di minorenni), prospettandone il contrasto con gli artt. 2, 3, 10, 24, 31 e 111 della Costituzione, nella parte «in cui consentono l’applicazione di una misura di sicurezza, e specialmente l’applicazione provvisoria, anche nei confronti di minori infraquattordicenni e persino di fanciulli molto giovani senza previsione di alcun limite minimo di età»;
che la questione deve ritenersi manifestamente inammissibile sotto un duplice profilo;
che, in primo luogo, il giudice rimettente formula un petitum in forma discorsiva, privo dei caratteri di specificità e univocità cui deve essere improntato un quesito di costituzionalità: omettendo, in specie, di indicare in un modo chiaro e puntuale quale o quali interventi vengano richiesti a questa Corte in correlazione alle singole censure svolte, che investono aspetti eterogenei, sostanziali e processuali, della disciplina censurata;
che, d’altro canto, ove dovesse ritenersi – in rapporto alla parte conclusiva della formula dianzi riprodotta – che il giudice a quo intenda ottenere, tramite la denuncia di incostituzionalità, quanto al profilo di diritto penale sostanziale, anche o soltanto l’introduzione nell’ordinamento di un limite minimo di età per l’applicazione delle misure di sicurezza ai non imputabili, si sarebbe evidentemente di fronte alla richiesta di un intervento additivo di innovazione normativa che esorbita dai poteri di questa Corte, in quanto implica scelte discrezionali rientranti nella esclusiva competenza del legislatore (sulla manifesta inammissibilità di richieste consimili, con specifico riguardo alla disciplina delle misure di sicurezza, si vedano le ordinanze n. 83 del 2007, n. 254 del 2005, n. 88 del 2001 e n. 24 del 1985);
che, in secondo luogo, quanto al profilo di diritto processuale, nel formulare il quesito di costituzionalità, il giudice a quo muove dal presupposto, implicito e non dimostrato, che la sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità, emessa nei confronti del minore di quattordici anni dal giudice per le indagini preliminari ai sensi dell’art. 26 del d.P.R. n. 448 del 1988 – sentenza con la quale sono state applicate in via provvisoria le misure di sicurezza di cui si discute nel caso di specie – non debba essere preceduta da alcun avviso all’interessato (o a chi legalmente lo rappresenta), né da una qualunque forma di contraddittorio;
che il rimettente omette, tuttavia, di sperimentare preventivamente la praticabilità di una interpretazione diversa e conforme a Costituzione del quadro normativo;
che, al riguardo, occorre infatti considerare che – come in più occasioni rilevato anche dalla giurisprudenza di legittimità – la sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità è idonea a produrre effetti pregiudizievoli per il minore, in quanto comporta l’accertamento del fatto e della sua commissione da parte dell’interessato: e ciò tanto più nel caso in cui il pubblico ministero abbia richiesto, ai sensi dell’art. 37, comma 1, del d.P.R. n. 448 del 1988, l’applicazione di una misura di sicurezza, la quale presuppone, per regola generale (art. 224 cod. pen.), che si accerti che il minore non imputabile abbia commesso il fatto, che non ricorrano cause di giustificazione e che sussista, altresì, il necessario coefficiente psicologico, visto nella particolare situazione del non imputabile;
che la sentenza in questione è destinata, in ogni caso, ad essere iscritta, sia pure temporaneamente, nel casellario giudiziale (art. 3, comma 1, lettera f, del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313), potendo in tal modo formare oggetto di valutazione ai fini del giudizio sulla personalità del soggetto in eventuali successive vicende giudiziarie;
che, pertanto, il minore infraquattordicenne ha interesse – morale e giuridico – a non vedersi prosciolto da un reato inesistente o che non ha commesso solo in ragione della sua giovanissima età;
che, in questa prospettiva, si è, in particolare, sostenuto da una parte degli interpreti che, ai fini della pronuncia della sentenza di cui all’art. 26 del d.P.R. n. 448 del 1988 nella fase delle indagini preliminari, occorra il consenso del minore (almeno in presenza di una richiesta di applicazione provvisoria di misura di sicurezza): e ciò analogamente a quanto stabilito con riguardo alla possibile definizione del processo all’udienza preliminare dall’art. 32, comma 1, del medesimo decreto, nel nuovo testo introdotto dall’art. 22 della legge 1° marzo 2001, n. 63, con l’obbiettivo di adeguamento al principio e alle regole in tema di contraddittorio nella formazione della prova espressi dall’art. 111, quarto e quinto comma, Cost.; dovendosi notare – quanto alla disposizione del citato art. 32, comma 1 – che, pur a seguito della declaratoria di parziale incostituzionalità recata dalla sentenza n. 195 del 2002 di questa Corte, l’esigenza del previo consenso del minore resta applicabile in funzione della pronuncia delle sentenze di non luogo a procedere che presuppongano un accertamento di responsabilità;
che, peraltro, anche da parte di coloro che non ritengono praticabile tale soluzione ermeneutica, si è comunque sottolineata l’esigenza di valutare se e quali strumenti offra il sistema processuale per assicurare al minore e a chi legalmente lo rappresenta la possibilità di interloquire preventivamente in vista della pronuncia in parola;
che, a tal riguardo, la più recente giurisprudenza di legittimità ha, in effetti, specificamente affermato che la finalità perseguita dal legislatore con la previsione dell’art. 26 del d.P.R. n. 448 del 1988 – quella, cioè, di assicurare la rapida uscita del minore infraquattordicenne dal procedimento, in modo da sottrarlo all’effetto stigmatizzante e traumatizzante che esso comporta – non può travalicare l’interesse difensivo del minore stesso e, dunque, non esclude, ma implica la necessità di adottare «un’interpretazione adeguatrice ai principi del giusto processo, al fine di evitare che sia emessa una pronuncia virtualmente pregiudizievole in quanto non pienamente liberatoria» (Cassazione, 22 maggio 2008, n. 23612);
che siffatta interpretazione adeguatrice – non perscrutata dal giudice a quo – oltre a travolgere, nel merito, tutte le censure di ordine processuale dal medesimo formulate, inciderebbe, prima ancora, sulla rilevanza della questione o, quanto meno, sulla adeguatezza della motivazione in ordine alla stessa;
che nella prospettiva ermeneutica dianzi indicata, infatti, spetterebbe al giudice a quo appurare se l’eventuale vizio di nullità della sentenza di non luogo a procedere applicativa della misura di sicurezza – in quanto emessa, nel caso di specie, senza alcuna forma di contraddittorio – si riverberi in senso preclusivo sul procedimento di verifica della pericolosità previsto dall’art. 38 del d.P.R. n. 448 del 1988 – che in detta sentenza trova il suo necessario presupposto – privando così di rilievo anche le censure relative ai profili sostanziali della disciplina;
che, per costante giurisprudenza di questa Corte, la mancata verifica preliminare da parte del giudice rimettente, nell’esercizio dei poteri ermeneutici riconosciutigli dalla legge, della praticabilità di una soluzione interpretativa diversa da quella posta a base dei dubbi di costituzionalità ipotizzati, e tale da determinare il superamento di tali dubbi, o da renderli comunque non rilevanti nel caso di specie, comporta l’inammissibilità della questione sollevata (ex plurimis, sentenza n. 192 del 2007; ordinanze n. 193 del 2008 e n. 409 del 2007);
che sotto entrambi i profili evidenziati la questione va dichiarata, pertanto, manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 206 e 224 del codice penale e degli artt. 37 e 38 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di minorenni), sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 24, 31 e 111 della Costituzione, dal Tribunale per i minorenni di Sassari con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 aprile 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Giuseppe FRIGO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 aprile 2009.