ORDINANZA N. 409
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 69, quarto comma, del codice penale, come modificato dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), promossi con ordinanze del 18 e 20 luglio 2006 dal Tribunale di Ravenna, del 6 aprile 2006 dal Tribunale di Perugia, del 9 marzo e del 3 aprile 2006 dal Tribunale di Firenze, del 4 novembre 2006 dal Tribunale di Perugia, del 7 novembre 2006 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena, del 7 novembre 2006 dal Tribunale di Perugia, del 21 settembre e del 18 dicembre 2006 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena, del 13 gennaio 2007 e del 31 luglio 2006 dal Tribunale di Firenze, del 6 e del 23 febbraio 2007 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena, rispettivamente iscritte ai numeri 698 e 699 del registro ordinanze 2006 ed ai numeri 4, 143, 144, 232, 246, 252, 254, 340, 393, 402, 418, 463, 496 e 497 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 7, 13 e 16, nell’edizione straordinaria del 26 aprile 2007 e numeri 19, 21, 22, 23, 25 e 26, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 novembre 2007 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che il Tribunale di Ravenna, con due ordinanze di analogo tenore emesse il 18 ed il 20 luglio 2006 (r.o. n. 698 e n. 699 del 2006), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, come modificato dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui – nel disciplinare il concorso di circostanze eterogenee – vieta al giudice di ritenere le circostanze attenuanti prevalenti sull’aggravante della recidiva reiterata, prevista dall’art. 99, quarto comma, cod. pen.;
che il giudice a quo – chiamato a giudicare persone imputate di reati di detenzione e vendita illecite di sostanze stupefacenti, con l’aggravante della recidiva reiterata – premette che risulterebbe configurabile, nella specie, stante la non elevata quantità dello stupefacente detenuto e ceduto, la circostanza attenuante ad effetto speciale del fatto di lieve entità, di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza): circostanza che comporta una sensibilissima mitigazione del trattamento sanzionatorio (alla pena edittale della reclusione da sei a venti anni e della multa da euro 26.000 ad euro 260.000, prevista dal comma 1 del citato art. 73, si sostituisce quella della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 3.000 ad euro 26.000);
che, ciò premesso, il rimettente osserva come l’art. 69, quarto comma, cod. pen., a seguito della modifica operata dall’art. 3 della legge n. 251 del 2005, escluda dal cosiddetto giudizio di comparazione fra circostanze eterogenee «i casi previsti dall’art. 99, quarto comma, nonché dagli articoli 111 e 112, primo comma, numero 4)» cod. pen., per i quali «vi è divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti»;
che, pertanto, l’anzidetta attenuante del fatto di lieve entità – che, anteriormente alla novella, sarebbe stata ritenuta prevalente sulla recidiva reiterata – alla stregua del testo vigente della norma impugnata potrebbe essere considerata, al più, equivalente all’aggravante contestata: con la conseguenza che agli imputati andrebbe inflitta una pena minima di sei anni di reclusione ed euro 26.000 di multa, manifestamente sproporzionata per eccesso rispetto all’oggettiva gravità dei fatti;
che – una volta correttamente contestata dal pubblico ministero la recidiva reiterata – resterebbe difatti escluso che tale aggravante possa venir sottratta al giudizio di comparazione: il giudice potrebbe non applicare il corrispondente aumento di pena, da ritenere obbligatorio solo nei casi previsti dall’art. 99, quinto comma, cod. pen. (ossia quando si tratti di uno delitti indicati dall’art. 407, comma 2, lettera a, del codice di procedura penale); ma non potrebbe, invece – contrariamente alla «prassi […] seguita da alcuni giudici di merito» – «ignorare una corretta contestazione di tale forma di recidiva per evitare effetti ritenuti ingiusti»;
che il nuovo dettato dell’art. 69, quarto comma, cod. pen. si porrebbe quindi in contrasto sia «con il principio di ragionevolezza quale accezione particolare del principio di uguaglianza» (art. 3, primo comma, Cost.), il quale funge da limite alla discrezionalità legislativa nella determinazione della qualità e quantità delle sanzioni penali; sia con il principio della funzione rieducativa della pena (art. 27, terzo comma, Cost.);
che il giudizio di comparazione tra circostanze mira, infatti, a consentire al giudice il perfetto adeguamento della pena al caso concreto, tramite la valorizzazione degli elementi positivi o negativi più significativi ai fini della qualificazione del fatto e del suo autore;
che, precludendo in assoluto il giudizio di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata, la norma impugnata determinerebbe, per contro, un «appiattimento» del trattamento sanzionatorio, rispetto a situazioni anche assai diverse; col rischio di imporre – come nella specie – l’applicazione di pene manifestamente sproporzionate, la cui espiazione non consentirebbe la rieducazione del condannato;
che analoga questione di legittimità costituzionale è sollevata dal Tribunale di Firenze, con tre distinte ordinanze, emesse il 3 aprile 2006, il 13 gennaio 2007 e il 31 luglio 2006 (r.o. n. 144, n. 418 e n. 463 del 2007);
che anche secondo tale giudice rimettente – chiamato parimenti a giudicare persone imputate di reati di detenzione e cessione illecite di sostanze stupefacenti, con l’aggravante della recidiva reiterata, per fatti da ritenere di lieve entità – la preclusione sancita dal nuovo testo dell’art. 69, quarto comma, cod. pen. violerebbe tanto l’art. 3 Cost., impedendo l’adeguamento della pena alla personalità del colpevole e all’entità del fatto commesso; quanto l’art. 27, terzo comma, Cost., imponendo l’applicazione di pene che possono rivelarsi manifestamente sproporzionate, e come tali contrastanti con la finalità rieducativa;
che con tre ordinanze di analogo tenore, emesse il 6 aprile, il 4 ed il 7 novembre 2006 (r.o. n. 4, n. 232 e n. 252 del 2007), nell’ambito di procedimenti penali nei confronti di persone imputate del reato di illecita detenzione di sostanze stupefacenti, con l’aggravante della recidiva reiterata, il Tribunale di Perugia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e – limitatamente all’ordinanza r.o. n. 252 del 2007 – anche in riferimento all’art. 27, primo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., come modificato dall’art. 3 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui esclude che possa ritenersi prevalente sulla recidiva reiterata la circostanza attenuante ad effetto speciale di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990: circostanza che il giudice a quo reputa configurabile nei casi di specie;
che il Tribunale rimettente muove anch’esso dal rilievo che, per affermazione di questa Corte, l’adeguamento della pena ai casi concreti – cui il giudizio di bilanciamento fra circostanze di segno opposto è preordinato – costituisce espressione dei principi di personalità della responsabilità penale e della finalità rieducativa della pena, nonché, al tempo stesso, uno strumento di attuazione dell’eguaglianza di fronte alla sanzione penale;
che, su tale premessa, il giudice a quo osserva come sia ben vero che anche nel caso in cui venga preclusa la formulazione di un giudizio di prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti – secondo quanto avviene attualmente per la recidiva reiterata, in forza dall’art. 69, quarto comma, cod. pen. – permane un residuo margine di graduabilità della pena; ma che tale graduabilità residua deve risultare comunque idonea ad assicurare la ricordata finalità rieducativa, oltre che connotata da razionalità e proporzionalità;
che ciò non avverrebbe, per contro, nell’ipotesi in cui – per valutazioni attinenti alla concreta offensività del reato di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti – detto reato possa considerarsi di lieve entità: apparendo del tutto incongruo che, in tale ipotesi, venga preclusa la formulazione di un giudizio di prevalenza dell’attenuante di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, rispetto alla recidiva reiterata;
che in questo modo, infatti, sulla base di una mera presunzione, svincolata dall’apprezzamento del fatto concreto e della effettiva pericolosità del reo – il quale potrebbe risultare gravato da precedenti assai tenui e di diversa indole – si imporrebbe l’irrogazione di una pena corrispondente a quella che il legislatore ha stabilito in rapporto al «disvalore oggettivo del reato nella sua dimensione ordinaria»;
che con sei ordinanze, di analogo tenore, emesse il 7 novembre 2006 (r.o. n. 246 del 2007), il 21 settembre 2006 (r.o. n. 254 del 2007), il 18 dicembre 2006 (r.o. n. 340 del 2007), l’11 febbraio 2007 (r.o. n. 402 del 2007), il 6 febbraio 2007 (r.o. n. 496 del 2007) ed il 23 febbraio 2007 (r.o. n. 497 del 2007), nell’ambito di processi penali nei confronti di persone imputate dei reati di illecita cessione o detenzione di sostanze stupefacenti, con l’aggravante della recidiva reiterata, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena ha sollevato, in riferimento agli artt. 25, secondo comma, 27, terzo comma, e – limitatamente alle ordinanze r.o. n. 246, n. 496 e n. 497 del 2007 – anche in riferimento all’art. 3, primo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., come modificato dall’art. 3 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza delle attenuanti sulle circostanze inerenti la persona del colpevole, nelle ipotesi previste dall’art. 99, quarto comma, cod. pen.;
che, ad avviso del rimettente, la preclusione assoluta del giudizio di prevalenza di una o più circostanze attenuanti rispetto alla recidiva reiterata – oltre a comportare (secondo le ordinanze n. 246, n. 496 e n. 497 del 2007) una omologazione del trattamento sanzionatorio per situazioni che potrebbero risultare assai diverse – rischierebbe di imporre l’irrogazione di pene manifestamente sproporzionate rispetto al disvalore del fatto, dalla cui espiazione (proprio perché avvertita come ingiustificatamente afflittiva) non potrebbe derivare la rieducazione del condannato: ipotesi, questa, ricorrente nei casi di specie, nei quali la norma denunciata impedirebbe di ritenere prevalente sulla recidiva reiterata l’attenuante del fatto di lieve entità, di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990;
che, al tempo stesso, calibrando la risposta sanzionatoria in funzione della pericolosità sociale del recidivo secondo un giudizio sostanzialmente presuntivo – dato che nessun rilievo verrebbe riconosciuto alla «natura della recidiva ed alla qualità della capacità criminale da essa espressa» – il legislatore finirebbe per scivolare verso un «diritto penale dell’autore», contrastante con l’art. 25, secondo comma, Cost., che connette indefettibilmente la responsabilità penale ed il trattamento sanzionatorio ad essa conseguente alla commissione di un «fatto», nella sua materialità;
che con due ordinanze di analogo tenore, emesse il 9 marzo ed il 13 luglio 2006 (r.o. n. 143 e n. 393 del 2007) nell’ambito di processi penali nei confronti di persone imputate del reato di cessione illecita di sostanze stupefacenti, il Tribunale di Firenze ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 25, secondo comma, 27, terzo comma, 101, secondo comma, e 111, primo e sesto comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., come modificato dall’art. 3 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui stabilisce il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle circostanze aggravanti inerenti alla persona del colpevole, nel caso previsto dall’art. 99, comma 4, cod. pen.;
che il giudice a quo – premesso che i fatti per cui si procede debbono essere ritenuti di lieve entità ai fini dell’applicazione dell’attenuante di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 – osserva come tale attenuante sia volta a mitigare le pene particolarmente severe stabilite per le violazioni in materia di stupefacenti, allorché la condotta presenti una ridotta offensività: rendendo così il sistema sanzionatorio, stabilito dal citato d.P.R. n. 309 del 1990, complessivamente conforme al dettato costituzionale;
che la pena inflitta in concreto – specialmente quando si tratti di pena detentiva – deve risultare, infatti, sempre adeguata alla effettiva offensività della singola condotta criminosa, in base al disposto dell’art. 25, secondo comma, Cost.; e conforme, altresì, alla finalità rieducativa della sanzione penale, prevista dall’art. 27, terzo comma, Cost.;
che alla realizzazione di tali principi costituzionali era preordinata anche la previsione dell’art. 69 cod. pen. – nel testo anteriore alla novella – in tema di giudizio di comparazione tra circostanze, la quale consentiva al giudice di adeguare discrezionalmente la pena alla concreta offensività del fatto sottoposto al suo giudizio;
che la nuova formulazione della norma – vietando il giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti, anche ad effetto speciale, rispetto alla recidiva reiterata – impedirebbe, per contro, il conseguimento del suddetto obiettivo in presenza di determinate condizioni personali dell’imputato: ponendosi così in contrasto, non soltanto con i precetti, già ricordati, degli artt. 25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost.; ma anche con quelli degli artt. 101, secondo comma, e 111, primo e sesto comma, Cost., stante l’impossibilità, per il giudice, «di adempiere, nel processo, all’obbligo di legge di adeguare la sanzione al caso concreto ed irrogare una sanzione che abbia finalità rieducative»;
che sarebbe inoltre violato l’art. 3, primo comma, Cost., giacché, per effetto della norma denunciata, a condotte estremamente diverse sotto il profilo della offensività conseguirebbe una identica sanzione;
che in tutti i giudizi di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate.
Considerato che le ordinanze di rimessione sollevano questioni identiche od analoghe, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica decisione;
che questa Corte ha già scrutinato questioni di legittimità costituzionale in tutto simili a quelle odierne, dichiarandone l’inammissibilità per non avere i giudici rimettenti verificato – nell’assenza di indirizzi consolidati – la praticabilità di una soluzione interpretativa diversa da quella posta a base dei dubbi di costituzionalità ipotizzati, e tale da determinare il possibile superamento di detti dubbi, o da renderli comunque non rilevanti nei casi di specie (sentenza n. 192 del 2007);
che, anche nell’odierna occasione, le censure formulate dai giudici a quibus trovano, difatti, la loro premessa fondante nell’assunto per cui la norma denunciata avrebbe determinato una indebita limitazione del potere-dovere del giudice di adeguamento della pena al caso concreto – adeguamento funzionale alla realizzazione dei principi di eguaglianza, di necessaria offensività del reato, di personalità della responsabilità penale e della funzione rieducativa della pena – introducendo un «automatismo sanzionatorio», correlato ad una irrazionale presunzione iuris et de iure di pericolosità sociale del recidivo reiterato;
che ad avviso dei rimettenti, cioè, il fatto che il colpevole del nuovo reato abbia riportato due o più precedenti condanne per delitti non colposi farebbe inevitabilmente scattare il meccanismo limitativo degli esiti del giudizio di bilanciamento tra circostanze prefigurato dall’art. 69, quarto comma, del codice penale (nel nuovo testo introdotto dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251): con l’effetto di “neutralizzare” – anche quando si sia in presenza di precedenti penali remoti, non gravi e scarsamente significativi in rapporto alla natura del nuovo delitto – la diminuzione di pena connessa alle circostanze attenuanti concorrenti, indipendentemente dalla natura e dalle caratteristiche di queste ultime;
che tale assunto poggia, a sua volta, su un duplice presupposto, per lo più implicito e comunque indimostrato;
che i rimettenti mostrano, infatti, di ritenere – fatta eccezione per il Tribunale di Ravenna – che, a seguito della legge n. 251 del 2005, la recidiva reiterata sia divenuta obbligatoria e non possa essere, dunque, discrezionalmente esclusa dal giudice in correlazione alle peculiarità del caso concreto; ovvero di ritenere – come il Tribunale di Ravenna – che ove pure la recidiva reiterata abbia mantenuto il pregresso carattere di facoltatività, tale carattere atterrebbe unicamente all’applicazione dell’aumento di pena: senza però sottrarre l’aggravante, correttamente contestata, all’obbligatorio giudizio di comparazione con le attenuanti concorrenti, che provoca la necessaria elisione di queste ultime in base alla norma denunciata;
che quella prospettata dai giudici rimettenti non rappresenta, tuttavia, l’unica lettura astrattamente possibile del vigente quadro normativo;
che, in primo luogo, difatti – per le ragioni specificate nella citata sentenza n. 192 del 2007 – è possibile ritenere che la recidiva reiterata sia divenuta obbligatoria unicamente nei casi previsti dall’art. 99, quinto comma, cod. pen. (rispetto ai quali soltanto tale regime è espressamente contemplato), e cioè ove concernente uno dei delitti indicati dall’art. 407, comma 2, lettera a), cod. proc. pen. (il quale reca un elenco di reati ritenuti dal legislatore, a vari fini, di particolare gravità e allarme sociale); salvo, poi, l’ulteriore problema interpretativo di stabilire quale delitto debba rientrare in tale catalogo, affinché scatti l’obbligatorietà: se il delitto oggetto della precedente condanna; ovvero il nuovo delitto che vale a costituire lo status di recidivo; o indifferentemente l’uno o l’altro; o addirittura entrambi;
che, in fatto, nessuno degli odierni rimettenti procede per delitti compresi nell’elenco dell’art. 407, comma 2, lettera a), cod. proc. pen. (i delitti di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti, oggetto dei giudizi a quibus, risultano inclusi nel suddetto elenco solo ove ricorrano le ipotesi aggravate ai sensi degli artt. 80, comma 2, e 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, che nessuno dei rimettenti riferisce essere state contestate);
che, inoltre, i rimettenti non specificano a quali delitti si riferiscano le precedenti condanne riportate dagli imputati, ovvero fanno riferimento a delitti parimenti non compresi nell’elenco;
che, d’altra parte, nei limiti in cui si escluda che la recidiva reiterata sia divenuta obbligatoria, è possibile sostenere che il giudice debba procedere al giudizio di bilanciamento – soggetto al regime limitativo di cui all’art. 69, quarto comma, cod. pen. – unicamente quando ritenga la recidiva reiterata effettivamente idonea a determinare, di per sé, un aumento di pena per il fatto per cui si procede: il che avviene – alla stregua dei criteri di corrente adozione in tema di recidiva facoltativa – solo allorché il nuovo episodio delittuoso appaia concretamente significativo, in rapporto alla natura ed al tempo di commissione dei precedenti, sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo;
che i rimettenti – compreso lo stesso Tribunale di Ravenna, il quale afferma l’opposta tesi in modo puramente assiomatico – non indicano quali argomenti si oppongano ad una simile conclusione, posto che anche il giudizio di comparazione attiene al momento commisurativo della pena;
che, al riguardo, va in effetti osservato che qualora si ammettesse che la recidiva reiterata, da un lato, mantenga il carattere di facoltatività, ma dall’altro abbia efficacia comunque inibente in ordine all’applicazione di circostanze attenuanti concorrenti, ne deriverebbe la conseguenza – all’apparenza paradossale – di una circostanza “neutra” agli effetti della determinazione della pena (ove non indicativa di maggiore colpevolezza o pericolosità del reo), nell’ipotesi di reato non (ulteriormente) circostanziato; ma in concreto “aggravante” – eventualmente, anche in rilevante misura – nell’ipotesi di reato circostanziato “in mitius” (in sostanza, la recidiva reiterata non opererebbe rispetto alla pena del delitto in quanto tale e determinerebbe, invece, un sostanziale incremento di pena rispetto al delitto attenuato: si veda la sentenza n. 192 del 2007);
che la stessa Corte di cassazione – che in primo tempo si era espressa sul tema in modo contrastante – risulta aver adottato, nelle più recenti decisioni, la linea interpretativa dianzi indicata;
che le questioni vanno dichiarate, pertanto, manifestamente inammissibili.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, come modificato dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), sollevate dal Tribunale di Ravenna, dal Tribunale di Firenze, dal Tribunale di Perugia e dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 novembre 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 30 novembre 2007.