Ordinanza n. 254 del 2005

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ORDINANZA N. 254

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Fernanda                     CONTRI                              Presidente

- Guido                         NEPPI MODONA                Giudice

- Annibale                     MARINI                                     "

- Franco                         BILE                                           "

- Giovanni Maria           FLICK                                        "

- Francesco                    AMIRANTE                               "

- Ugo                             DE SIERVO                               "

- Romano                      VACCARELLA                        "

- Paolo                           MADDALENA                          "

- Alfio                           FINOCCHIARO                        "

- Alfonso                       QUARANTA                             "

- Franco                         GALLO                                      "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 205, secondo comma, numero 2, e 222, primo comma, del codice penale, promosso, nell’ambito di un procedimento penale, dalla Corte di assise di Torino con ordinanza del 6 maggio 2004, iscritta al n. 693 del registro ordinanze del 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell’anno 2004.

Udito nella camera di consiglio del 4 maggio 2005 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che la Corte di assise di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 205, secondo comma, numero 2, e 222, primo comma, del codice penale, nella parte in cui impongono al giudice di disporre, ove persista la pericolosità sociale, la misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario nei confronti dell’imputato prosciolto per infermità psichica, «anche nei casi in cui tale pericolosità risulti fronteggiabile con l’inserimento dell’imputato in una comunità terapeutica psichiatrica di tipo B), prevista dall’attuale ordinamento socio-sanitario ed in concreto funzionante»;

che la Corte rimettente premette di procedere nei confronti di un soggetto sottoposto agli arresti domiciliari presso una struttura sanitaria e che le parti, all’esito del dibattimento, hanno concordemente richiesto il proscioglimento dell’imputato per totale incapacità di intendere e di volere;

che il pubblico ministero ha chiesto l’applicazione della misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, ai sensi dell’art. 222, secondo comma, cod. pen., per un periodo non inferiore ad anni cinque, mentre la difesa ha chiesto che l’imputato, «fermo il suo stato di custodia cautelare domiciliare», venga inserito in una comunità terapeutica psichiatrica;

che, con particolare riferimento alle condizioni di salute e alla pericolosità sociale dell’imputato, la Corte rimettente rileva che il perito d’ufficio ha ribadito la diagnosi di «perdurante schizofrenia paranoide», attualmente in fase di parziale regressione solo grazie ai trattamenti farmacologici, psicoterapeutici e socio-riabilitativi attivati fin dal momento in cui la misura cautelare detentiva è stata sostituita con gli arresti domiciliari, ed ha precisato che l’imputato può essere considerato socialmente non pericoloso solo ove ne venga disposto l’«inserimento in struttura residenziale che garantisca la prosecuzione dei vari trattamenti sopra richiamati con presenza educativa e sanitaria sulle intere 24 ore»;

che per tali motivi la misura di sicurezza dell’ospedale psichiatrico giudiziario, richiesta dal pubblico ministero, non è stata applicata, in via provvisoria, onde evitare una regressione nel percorso riabilitativo del soggetto e la sicura «interruzione del complesso trattamento terapeutico da tempo avviato, con prospettive di ulteriore sviluppo, nei confronti dell’imputato, con conseguente serio pregiudizio della sua salute»;

che, alla luce di tali considerazioni, il rimettente ritiene le disposizioni censurate in contrasto con gli artt. 2, 3 e 32 Cost., sia perché l’imputato, «affetto da infermità psichica suscettibile di fondare un giudizio di pericolosità», può essere ricoverato presso adeguata struttura terapeutica psichiatrica di tipo contenitivo solo nella fase anteriore al proscioglimento, sia perché il vigente sistema delle misure di sicurezza non consentirebbe all’imputato di fruire dei trattamenti terapeutici più adeguati sotto il profilo psichiatrico;

che, infine, il giudice a quo ritiene che, proprio alla luce del quadro psicopatologico dell’imputato, «misure di sicurezza quali la libertà vigilata o anche la assegnazione a una casa di cura e custodia sarebbero inadeguate» e comunque insufficienti per assicurare le esigenze di natura specialpreventiva che hanno trovato sin qui adeguata risposta solo grazie all’intenso trattamento terapeutico al quale l’imputato è stato sottoposto dal momento in cui l’originaria misura cautelare detentiva è stata sostituita con gli arresti domiciliari.

Considerato che il rimettente dubita, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, della legittimità costituzionale degli artt. 205, secondo comma, numero 2, e 222, primo comma, del codice penale, nella parte in cui impongono al giudice di disporre nei confronti dell’imputato socialmente pericoloso prosciolto per totale infermità di mente la misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, privilegiando le esigenze di controllo della pericolosità rispetto a quelle di cura e di riabilitazione anche nel caso in cui la pericolosità potrebbe esser fronteggiata mediante il ricovero in una adeguata struttura terapeutica psichiatrica di tipo contenitivo;

che il giudice a quo dà atto che con la sentenza n. 253 del 2003 questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 222 cod. pen., nella parte in cui non consente di disporre, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad assicurare cure adeguate all’infermo di mente e a fronteggiare la sua pericolosità sociale, quale la libertà vigilata, accompagnata, a norma dell’art. 228, secondo comma, cod. pen., dalle prescrizioni necessarie ad evitare la occasione di nuovi reati;

che il rimettente ritiene però, sulla base delle valutazioni espresse dal perito d’ufficio circa i positivi effetti, ai fini della cura e del contenimento della pericolosità sociale, dei trattamenti farmacologici, psicoterapeutici e socio-riabilitativi cui è stato sottoposto l’imputato agli arresti domiciliari presso una struttura psichiatrica residenziale, che misure di sicurezza quali la libertà vigilata o l’assegnazione ad una casa di cura e di custodia sarebbero inadeguate e comunque insufficienti;

che, in sostanza, il giudice a quo chiede alla Corte di creare e di disciplinare una nuova misura di sicurezza destinata a soggetti prosciolti per infermità psichica e socialmente pericolosi, individuata nel ricovero in una struttura terapeutica psichiatrica di tipo contenitivo, non riconducibile ad alcuna delle misure di sicurezza previste dal Capo I del Titolo VIII del Libro I del codice penale;

che questa Corte deve ribadire quanto ha già avuto occasione di affermare in relazione ad altre questioni volte ad ampliare la tipologia delle misure di sicurezza applicabili all’imputato prosciolto per infermità psichica, e cioè che esulano dalla sfera dei propri poteri interventi di carattere normativo, in quanto comportano scelte discrezionali che rientrano nella esclusiva competenza del legislatore (v. ordinanza n. 88 del 2001, sentenza n. 228 del 1999, ordinanze numeri 396 e 333 del 1994, n. 24 del 1985);

che inoltre il rimettente, pur richiamando la sentenza n. 253 del 2003, con la quale questa Corte ha consentito al giudice di disporre, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, una diversa misura di sicurezza idonea a contemperare le esigenze di cura con quelle di controllo della pericolosità sociale, non espone le ragioni per cui nel caso di specie la misura della casa di cura e di custodia non sarebbe adeguata e non chiarisce i motivi per i quali la libertà vigilata sarebbe in concreto insufficiente;

che tale carenza appare tanto più significativa ove si consideri la recente giurisprudenza, anche di legittimità, secondo cui la libertà vigilata, accompagnata da opportune prescrizioni idonee ad evitare le occasioni di nuovi reati, può essere eseguita anche in una struttura psichiatrica protetta;

che la questione deve pertanto essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 205, secondo comma, numero 2, e 222, primo comma, del codice penale, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, dalla Corte di assise di Torino con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il il 20 giugno 2005.

F.to:

Fernanda CONTRI, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria l'1  luglio 2005.