Sentenza n. 228/99

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 228

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO            

- Avv.    Massimo VARI                     

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY              

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE                     

- Avv.    Fernanda CONTRI               

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Prof.    Annibale MARINI               

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 206 e 222, primo comma, del codice penale, e degli artt. 312 e 313 del codice di procedura penale, promossi con ordinanze emesse il 20 novembre 1997 e il 26 novembre 1998 dal Giudice per le indagini preliminari della Pretura di Venezia, iscritte ai nn. 136 del registro ordinanze 1998 e n. 63 del registro ordinanze 1999 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell’anno 1998 e n. 7, prima serie speciale, dell’anno 1999 .

Visti l’atto di costituzione di Bordin Franco nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 13 aprile 1999 il Giudice relatore Giuliano Vassalli;

udito l’Avvocato dello Stato Giuseppe O. Russo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Nel corso di un procedimento a carico di persona indagata del reato di maltrattamenti nei confronti della propria madre, il Giudice per le indagini preliminari della Pretura di Venezia disponeva – a mezzo di incidente probatorio – accertamento psichiatrico, all’esito del quale il perito concludeva nel senso della totale incapacità di intendere e di volere dell’indagato e della sua impossibilità di partecipare coscientemente al processo, evidenziandone altresì la pericolosità sociale.

A seguito di tale perizia, il Pubblico ministero richiedeva l’applicazione provvisoria, nei confronti dell’indagato, della misura di sicurezza dell’internamento in ospedale psichiatrico giudiziario, secondo quanto previsto dall’art. 206 del codice penale, in relazione all’art. 222 dello stesso codice.

Il Giudice per le indagini preliminari, premesso che l’ "infungibilità tra misura di sicurezza e misura cautelare" determinerebbe anche l’impossibilità di fare ricorso alla disposizione dell’art. 73 del codice di procedura penale, nonchè di essere vincolato, avendo il perito accertato la pericolosità sociale della persona sottoposta alle indagini, alla richiesta, ha, con ordinanza del 20 novembre 1997, sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 206 e 222, primo comma, del codice penale, 312 e 313 del codice di procedura penale, nella parte in cui riservano "in sostanza alle insindacabili richieste del pubblico ministero se applicare all’infermo di mente socialmente pericoloso la misura di sicurezza provvisoria del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario oppure la misura cautelare della custodia in idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero". Il tutto senza che venga contemplato alcun dovere di motivazione circa la scelta in concreto effettuata, nonostante identici siano i presupposti dell’una e dell’altra "misura", entrambe fondate sul comune requisito della "pericolosità sociale dell’indagato".

Con conseguente violazione dei parametri costituzionali sopra indicati, sia per l’intrinseca irragionevolezza di un sistema che rende infungibile l’applicabilità delle due "misure", peraltro affidate alla insindacabile richiesta del pubblico ministero, "ingiustificatamente deteriore per l’indagato, non solo per la notoria situazione di fatiscenza e semiabbandono in cui versano" gli ospedali psichiatrici giudiziari, "ma soprattutto perchè da una parte la misura di sicurezza é tendenzialmente applicabile indefinitamente nel tempo, salvo il venir meno della pericolosità, laddove invece la custodia cautelare in luogo di cura" é assoggettata ai limiti temporali di cui all’art. 303 del codice di procedura penale.

2. – Si é costituito l’indagato con memoria sottoscritta dagli avvocati Francesco Caffarelli e Francesco Mazzoleni, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o di manifesta infondatezza della proposta questione in quanto basata sull’erroneo presupposto che il giudice non possa disattendere la richiesta del pubblico ministero o rigettandola o applicando una misura meno grave di quella richiesta.

3. – E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con richiesta di dichiarazione di non fondatezza della questione in quanto avente per presupposto – ancora una volta erroneo – l’identità delle condizioni per l’applicazione delle due "misure".

La misura cautelare della custodia in idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero é subordinata alla presenza delle medesime condizioni stabilite dalla legge per l’adozione delle misure cautelari e, quindi, su un concetto di pericolosità da individuare alla stregua dell’art. 274, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale; la "pericolosità" a base dell’applicazione provvisoria delle misure di sicurezza é, invece, quella delineata dall’art. 203 del codice penale. Dunque, le fattispecie messe a confronto presentano divergenze tali da giustificare la diversità delle misure e della loro disciplina.

4. – Un’identica questione il Giudice per le indagini preliminari della Pretura di Venezia ha sollevato, con ordinanza del 26 novembre 1998, nel procedimento a carico di persona indagata del reato di maltrattamenti nei confronti della propria moglie, dopo l’accertamento, a seguito di incidente probatorio, della totale incapacità di intendere e di volere dello stesso indagato, con giudizio di pericolosità sociale, pur in mancanza di condizioni impeditive della partecipazione cosciente al processo, riproducendo i medesimi argomenti adottati nell’altra ordinanza.

5. – E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con richiesta – basata su deduzioni identiche a quelle utilizzate con riferimento all’ordinanza del 20 novembre 1997 – di dichiarazione di non fondatezza della questione.

Considerato in diritto

1. – Le ordinanze sollevano una identica questione. I relativi giudizi vanno, quindi, riuniti per essere decisi con un’unica sentenza.

2. – Il Giudice per le indagini preliminari della Pretura di Venezia dubita, in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione, della legittimità costituzionale degli artt. 206 e 222, primo comma, del codice penale e degli artt. 312 e 313 del codice di procedura penale, nella parte in cui prevedono in caso di accertata infermità di mente dell’imputato che sia anche socialmente pericoloso, l’applicazione provvisoria della misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario se il pubblico ministero ne faccia richiesta.

Più in particolare, nella prima ordinanza di rimessione, pronunciata nel corso delle indagini preliminari promosse nei confronti di persona indagata del delitto di maltrattamenti in danno della propria madre, il giudice a quo, in presenza di una perizia eseguita nelle forme dell’incidente probatorio che aveva concluso nel senso della totale infermità di mente dell’indagato e della sua incapacità di partecipare coscientemente al processo, denuncia che, in presenza della richiesta del pubblico ministero di applicazione provvisoria della sopra ricordata misura di sicurezza, non sia consentito al giudice di esprimere un diverso avviso. Così da inferirne l’illegittimità della normativa in tal modo denunciata perchè del tutto irragionevole, non potendo nella specie trovare applicazione, nonostante l’incapacità dell’indagato di partecipare coscientemente al processo, il regime dei "provvedimenti cautelari" previsto dall’art. 73 del codice di procedura penale, vale a dire l’informativa all’autorità competente per l’adozione del trattamento sanitario per malattie mentali, ai fini delle necessarie cure nell’ambito del servizio psichiatrico ovvero, nei casi in cui debba essere disposta la custodia cautelare, il ricovero provvisorio in idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero, adottando i provvedimenti necessari per prevenire il pericolo di fuga. Con in più la soggezione del giudice alle insindacabili richieste del pubblico ministero senza che sussista un dovere di motivare il provvedimento di ricovero provvisorio in ospedale psichiatrico giudiziario in presenza di "specifica pericolosità dell’indagato", rilevante invece ai fini delle esigenze cautelari di cui all’art. 274, lettera c), del codice di procedura penale. L’irragionevolezza del sistema sarebbe sottolineata dalla impossibilità di adottare una scelta diversa da quella del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, ingiustificatamente deteriore per l’indagato, non soltanto per la notoria "situazione di fatiscenza e semiabbandono in cui versano tali strutture", ma anche perchè un simile regime non é assoggettato alla disciplina dei termini di custodia cautelare cui é invece sottoposto il ricovero coattivo.

Analogo il contenuto della seconda ordinanza di rimessione, pronunciata nel corso delle indagini preliminari a carico di persona indagata di maltrattamenti in danno della propria moglie. Pure qui era stata disposta perizia psichiatrica mediante incidente probatorio, e pure qui l’accertamento aveva concluso per l’incapacità di intendere e di volere dell’indagato al momento del fatto e per la sua pericolosità sociale, con la sola, e certo non del tutto trascurabile, differenza – almeno seguendo le argomentazioni del rimettente – che la persona sottoposta alle indagini era stata ritenuta dal perito in grado di partecipare coscientemente al processo.

3. – La questione non é fondata.

Il giudice a quo muove infatti, in entrambe le ordinanze, da erronei presupposti interpretativi: e ciò sia per quanto attiene all’ambito dei poteri e doveri del giudice in presenza di una richiesta di applicazione provvisoria di misura di sicurezza, sia per quanto attiene ai presupposti della specifica disciplina di cui all’art. 73 del codice di procedura penale, che il giudice assume di non essere abilitato ad applicare nei casi di specie.

4. – Indubbiamente l’applicazione provvisoria di misure di sicurezza rispecchia un istituto datato dal sistema del codice del 1930, quando tra l’altro esisteva la categoria legale della pericolosità presunta, definitivamente caduta nel 1986 con l’abrogazione dell’art. 204 del codice penale (art. 31, comma 1, della legge 10 ottobre 1986, n. 663) e quando per il soggetto incapace d’intendere e di volere e socialmente pericoloso era previsto – come lo é tuttora con la denominazione di ospedale psichiatrico giudiziario datogli dall’Ordinamento penitenziario per allinearsi alla terminologia della legge 18 marzo 1968, n. 431 – il manicomio giudiziario. E si può convenire che la intera disciplina potrebbe meritare una attenta revisione (così come invocano le ordinanze del giudice a quo), sia alla stregua dei dubbi avanzati intorno all’istituto stesso dell’ospedale psichiatrico giudiziario, sia alla stregua di una valutazione relativa all’adeguatezza di tale istituzione in relazione ai mutamenti introdotti sin dalle leggi 13 maggio 1978, n. 180 e 23 dicembre 1978, n. 833 per il trattamento dei soggetti totalmente infermi di mente: leggi alle quali ha invece ritenuto nel frattempo di avvicinarsi il codice di procedura penale del 1988 con la disciplina prevista nell’art. 73 per i casi in cui si tratti di un imputato e il suo stato di mente appaia tale da renderne necessaria la cura nell’ambito del servizio psichiatrico. Ma una tale revisione della legislazione penale (nella specie, di diritto penale sostanziale) é opera esclusivamente riservata al legislatore; e fino a che una eventuale riforma non intervenga il giudizio di legittimità costituzionale non può che fondarsi sulle norme vigenti e su una loro corretta interpretazione.

Ora, il giudice a quo, quando si é ritenuto vincolato a statuire l’internamento, in via provvisoria, in un ospedale psichiatrico giudiziario, degli imputati i cui casi si trovavano sottoposti al suo esame, non ha correttamente interpretato le disposizioni della legge vigente. Ed infatti egli non era vincolato nè ai risultati delle perizie (rispetto alle quali non si assolve certamente al compito proprio del giudice quando ci si limita a dire, come nei casi considerati, che esse appaiono "immuni da vizi tecnici e logici") nè alla richiesta del pubblico ministero, la quale é, sì, presupposto inderogabile sul piano processuale per abilitare il giudice a disporre l’applicazione provvisoria di una misura di sicurezza (art. 312 cod. proc .pen.), ma non obbliga menomamente il giudice ad esimersi dal giudizio che a lui solo spetta secondo quanto stabilito dall’art. 313. Questa libertà di valutazione del giudice circa il ricorrere di tutti gli elementi che danno luogo alla complessa fattispecie dell’applicazione provvisoria di misure di sicurezza (sia per quanto attiene allo stato di mente dell’imputato sia per quanto attiene all’esistenza di una sua generica pericolosità sociale) é confermata, nel sistema vigente, da una serie di considerazioni. Anzitutto dal fatto che la ricordata abrogazione dell’art. 204 del codice penale (preceduta, giova rilevarlo, da una serie di sentenze della Corte costituzionale che erano venute variamente limitando l’estensione dei casi di pericolosità presunta) ha significato il rafforzamento dell’autonomia e della responsabilità del giudice nella valutazione della pericolosità sociale dell’imputato, valutazione a lui solo commessa. In secondo luogo dal fatto che il vigente codice di procedura penale, nel disciplinare ex novo il rito per l’applicazione provvisoria della misura di sicurezza, ha sottolineato l’importanza e l’autonomia del giudizio devoluto al giudice, esigendo una ordinanza munita di tutti i requisiti delle ordinanze di cui all’art. 292 del codice di procedura penale, ivi compresa dunque l’esposizione delle specifiche esigenze e degli indizi che giustificano in concreto la misura, con l’indicazione degli elementi di fatto e dei motivi per i quali assumono rilevanza, nonchè (a seguito di aggiunta introdotta con l’art. 9 della legge 8 agosto 1995, n. 332) l’esposizione dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa.

E’ pertanto palesemente erroneo il presupposto interpretativo delle ordinanze del giudice rimettente, quando questi assume di "dovere applicare senz’altra scelta la misura di sicurezza richiesta": per la quale, tra l’altro, in uno dei due casi considerati, vi era stata da parte del pubblico ministero soltanto la richiesta di "valutare l’opportunità di emettere il provvedimento previsto dagli artt. 206 e 222 c.p. dal momento che allo stato il soggetto non era ricoverato presso alcun centro di cura".

5. – Erroneo é inoltre il presupposto interpretativo dal quale muove il giudice rimettente circa il ruolo affidato dall’ordinamento all’art. 73 del codice di procedura penale.

Al riguardo non é privo di rilievo il premettere (anche se ciò non é contestato dal giudice rimettente) che, a seguito della sentenza n. 340 del 1992 di questa Corte, l’art. 70 cod. proc. pen. si applica anche ai casi nei quali l’infermità di mente non é sopravvenuta, ma risale al tempus commissi delicti e perdura nel corso del procedimento; e che tale pronuncia riverbera i propri effetti anche come presupposto della disciplina contenuta nell’art. 73, in quanto non sussistano i presupposti per un proscioglimento per incapacità di intendere o di volere o in quanto l’adozione di tale formula sia preclusa per lo stadio in cui il procedimento si trova (vedi sentenza di questa Corte n. 41 del 1993, con la quale il potere di pronunciare sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità non spetta al giudice delle indagini preliminari).

L’errore nel quale incorrono le ordinanze di rimessione a proposito dell’art. 73 cod. proc. pen. consiste nel denunciare "la palese identità dei presupposti" dell’istituto ivi contemplato e di quello dell’applicazione provvisoria delle misure di sicurezza quando la misura consiste nell’internamento in un ospedale psichiatrico giudiziario, nonchè nell’aggiungere, testualmente, che esse si fondano entrambe sul presupposto della pericolosità sociale dell’imputato. Tale identità di presupposti non sussiste in alcuna delle ipotesi dell’art. 73: non in quelle contemplate nei commi 1 e 2 di detto articolo, dove non si esige nè per il ricorso all’adozione "delle misure previste dalle leggi sul trattamento sanitario per le malattie mentali" nè per "il ricovero provvisorio dell’imputato in idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero" alcuna pericolosità sociale dello stesso, dovendosene valutare soltanto lo stato di mente e le connesse necessità terapeutiche (oltre che, nel caso del ricovero, il pericolo nel ritardo); e non in quelle contemplate nel comma 3 dello stesso articolo, essendo il tipo di pericolosità di cui all’art. 274 lettera c) cod. proc. pen. (evocato – sia pure per le necessità del suo ragionamento – dal giudice rimettente nonostante che in nessuno dei casi in esame fosse stata richiesta una misura di custodia cautelare) ben diverso da quello di cui agli articoli 222 (e dunque anche 206) del codice penale e riposando la speciale misura di cui all’art. 286 non sulla pericolosità del soggetto (che vi viene in considerazione in modo soltanto mediato, oltre che parziale) bensì sul suo bisogno di cura in strutture adeguate. Nel codice penale la pericolosità sociale é la pericolosità criminale cosiddetta generica, e cioé la probabilità che la persona commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati (art. 203, primo comma, cod. pen.), mentre nell’art. 274 cod. proc. pen. la pericolosità consiste nel concreto pericolo che la persona imputata commetta gravi delitti specificamente indicati dalla legge o delitti della stessa specie di quello per cui si procede.

L’articolo 73 del codice di procedura penale e l’art. 206 del codice penale (sia pure con riferimento all’internamento in ospedale psichiatrico giudiziario) riposano dunque su presupposti diversi. Con la conseguenza che, anche sotto questo punto di vista, le premesse dalle quali muove il giudice rimettente sono erronee.

6. – In conclusione, l’ordinamento vigente può essere considerato meritevole di revisione e di correttivi, anche in relazione alla sua derivazione da iniziative legislative proprie di tempi l’uno dall’altro lontani e riferibili a concezioni diverse, ma non può essere definito irragionevole; e agli eventuali correttivi non può certo provvedere questa Corte, essendo le diverse opzioni possibili rimesse unicamente a scelte discrezionali del legislatore.

Alla stregua del vigente ordinamento il giudice rimettente avrebbe potuto considerare non doversi applicare nei casi sottoposti al suo esame l’internamento provvisorio in ospedale psichiatrico giudiziario e avrebbe potuto ricorrere, ove ne avesse ritenuto sussistenti i requisiti, ad una delle iniziative alternativamente previste nei commi 1 e 2 dell’art. 73 cod. proc. pen.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 206 e 222, primo comma, del codice penale, e degli artt. 312 e 313 del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari della Pretura di Venezia con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Giuliano VASSALLI, Redattore

Depositata in cancelleria l’11 giugno 1999.