Sentenza n. 340 del 1992

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 340

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

-          Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

-          Prof. Giuseppe BORZELLINO

-          Dott. Francesco GRECO

-          Prof. Gabriele PESCATORE

-          Avv. Ugo SPAGNOLI

-          Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-          Prof. Antonio BALDASSARRE

-          Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-          Avv. Mauro FERRI

-          Prof. Luigi MENGONI

-          Prof. Enzo CHELI

-          Dott. Renato GRANATA

-          Prof. Giuliano VASSALLI

-          Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 70 e 71 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 25 gennaio 1991 dal Pretore di Torino nei procedimenti penali riuniti a carico di Paladino Giuseppe, iscritta al n. 363 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1991.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera del 17 giugno 1992 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

Ritenuto in fatto

1. Nel corso del processo penale a carico di Paladino Giuseppe, persona riguardo alla quale era stata accertata un'infermità di mente tanto al momento dei fatti contestati quanto nel corso del processo, infermità tale da non porlo in grado di partecipare coscientemente al processo ma non coincidente con l'incapacità d'intendere e di volere, il Pretore di Torino, con ordinanza del 25 gennaio 1991 - premesso che, non essendo l'infermità sopravvenuta al fatto, gli era precluso disporre la sospensione del processo - ha sollevato, in riferimento agli artt.3 e 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità degli artt. 70 e 71 del codice di procedura penale, nella parte in cui, "limitando alla sola ipotesi dell'infermità sopravvenuta la previsione della sospensione del procedimento penale per infermità mentale dell'imputato tale da impedirne la partecipazione cosciente allo stesso, escludono la possibilità di sospensione nell'ipotesi d'infermità già sussistente nel momento in cui fu commesso il reato e successivamente protrattasi, allorchè la stessa non comporti anche l'esclusione della capacità d'intendere e di volere dell'imputato".

Richiamata la Relazione al progetto definitivo del codice e la sentenza costituzionale n. 23 del 1979, il giudice a quo ravvisa nella normativa denunciata: per un verso, contrasto con il principio di eguaglianza per l'irragionevole disparità di trattamento fra chi sia affetto da infermità di mente sopravvenuta che lo renda incapace di partecipare coscientemente al processo e chi in tale situazione si trovi al momento del processo a causa di infermità già presente al momento del fatto, ma tale da non escluderne la capacità di intendere e di volere: in entrambi i casi il processo si svolge nei confronti di soggetto processualmente incapace ma, mentre nel primo caso ne è prescritta la sospensione, nel secondo il processo deve necessariamente proseguire, pur potendo concludersi (non essendo l'imputato incapace di intendere e di volere) con una sentenza di condanna; per un altro verso, violazione del diritto di difesa, perchè si impone la celebrazione di un processo nei confronti di soggetto processualmente incapace che all'esito del giudizio potrebbe subire una decisione di condanna.

2. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Rileva l'Avvocatura come, nonostante la lettera della legge e le parole della Relazione al progetto preliminare sembrerebbero circoscrivere la sospensione del processo all'ipotesi di infermità sopravvenuta al fatto, il costante richiamo della detta Relazione alla sentenza n. 23 del 1979, da intendere come <<riferimento "recettizio">>, e la ratio garantista che connota la nuova disciplina, rendono evidente che in tutti i casi in cui l'incapacità processuale <<non si colleghi ad un vizio totale di mente, ma ad un'infermità solo parziale, che, come nella specie, impedisca una "partecipazione cosciente al processo", venendo meno l'esigenza esplicitata dal legislatore di evitare l'interferenza con la disciplina sostanziale della infermità mentale, non ha più alcun senso distinguere tra incapacità originaria e incapacità sopravvenuta, dovendo comunque, in tale ipotesi, procedersi a perizia e, se del caso, alla sospensione del processo>>.

Considerato in diritto

1. Il Pretore di Torino dubita della legittimità costituzionale degli artt.70 e 71 del codice di procedura penale nella parte in cui, "limitando alla sola ipotesi della infermità sopravvenuta la previsione della sospensione del procedimento pena le per infermità mentale dell'imputato, tale da impedirne la partecipazione cosciente allo stesso, escludono la possibilità di sospensione nell'ipotesi d'infermità già sussistente nel momento in cui fu commesso il reato e successivamente protrattasi, allorchè la stessa non comporti anche l'esclusione della capacità d'intendere e di volere dell'imputato".

In punto di rilevanza il giudice a quo osserva che si trova a procedere nei confronti di persona imputabile, affetta da infermità mentale inquadra bile nella figura del vizio parziale di mente di cui all'art. 89 del codice penale, un'infermità che però, in quanto già sussistente al tempus commissi delicti, non può comportare la sospensione del processo per non essere sopravvenuta al fatto.

In punto di non manifesta infondatezza, deduce che le norme denunciate contrastano con il principio di eguaglianza e con il diritto di difesa dell'imputato. L'art. 3 della Costituzione sarebbe vulnerato per l'irragionevole disparità di trattamento ravvisabile tra chi sia affetto da infermità di mente sopravvenuta non coincidente con la totale incapacità di intendere e di volere che lo renda incapace di partecipare coscientemente al processo e chi si trovi in un'identica situazione al momento del processo a causa di infermità già esistente al momento del fatto: pur in presenza in entrambi i casi di un soggetto che non è in grado di partecipare coscientemente al processo, solo nel primo caso è prescritta la sospensione; e ciò nonostante che il processo possa concludersi con una sentenza di condanna.

Il rispetto dell'art. 24, secondo comma, resterebbe compromesso imponendosi la celebrazione di un giudizio nei confronti di soggetto processualmente incapace verso il quale potrà essere pronunciata anche sentenza di condanna.

2. Pure se il giudice a quo ha sottoposto al vaglio della Corte sia l'art.70 sia l'art. 71 del codice di procedura penale il petitum da lui effettivamente perseguito comporta che una soltanto delle disposizioni denunciate resti effettivamente coinvolta nelle censure di illegittimità.

Più precisamente, il primo comma dell'art. 70, da cui scaturisce il presupposto per l'operatività del regime concernente non soltanto la sospensione del processo ma anche l'adozione dei provvedimenti conseguenti all'accertamento della infermità mentale impeditiva di una cosciente partecipazione dell'imputato al processo; una disciplina che trova applicazione anche durante la fase delle indagini preliminari, fase in ordine alla quale sono dettate disposizioni ora comuni all'infermità sopravvenuta nel corso del vero e proprio processo (art. 71, primo comma, 72, 73) ora specifiche per la fase antecedente l'inizio dell'azione penale (art. 70, terzo comma, 71, quarto comma).

Ne consegue che, risultando l'art. 71 del codice di procedura penale erroneamente evocato nel processo a quo potendo l'assetto normativo divisato dall'ordinanza di rimessione essere realizzato solo sopprimendo dall'art.70, primo comma, del codice di procedura penale le parole "sopravvenuta al fatto", la relativa questione deve essere dichiarata inammissibile.

3. La questione di legittimità costituzionale dell'art. 70, primo comma, del codice di procedura penale è, invece, fondata.

L'Avvocatura Generale dello Stato, nell'atto di intervento per il Presidente del Consiglio dei ministri, invoca il rigetto della questione; e ciò in quanto, nonostante la lettera della legge sembrerebbe riservare la sospensione del processo all'ipotesi d'infermità sopravvenuta al fatto, la ratio garantista che connota la disciplina e l'insistito riferimento della Relazione al progetto preliminare alla sentenza n. 23 del 1979, renderebbero evidente come in tutti i casi in cui l'impossibilità di partecipare coscientemente al processo non derivi da un vizio totale di mente ma da un'infermità soltanto parziale, non avrebbe più senso distinguere tra incapacità originaria e incapacità sopravvenuta, dovendo comunque procedersi a perizia e, se del caso, alla sospensione del processo. La tesi non può essere condivisa.

Circa la riferibilità della fattispecie prevista dall'art.70 del codice di procedura penale esclusivamente all'ipotesi di infermità di mente sopravvenuta e non anche all'infermità di mente sussistente al momento del fatto e perdurante nel corso del procedimento, proprio la sentenza n. 23 del 1979, che ebbe a decidere in ordine alla legittimità dell'art. 88 del codice di procedura penale del 1930, vale a far ritenere non attendibile la linea interpretativa, proposta dall'Avvocatura Generale dello Stato. Infatti, può anche qui ripetersi che "la diversità di disciplina, riservata, nel sistema della legge, alle due situazioni", è resa evidente "dall'espressa esclusione della sospensione del processo nei casi in cui il giudice debba pronunciare sentenza di proscioglimento (compresa, quindi, quella per incapacità di intendere e di volere)". Il fatto che nel sistema del nuovo codice condizione perchè il processo venga sospeso non è la totale incapacità di intendere e di volere ma l'impossibilità per l'imputato di partecipare coscientemente al processo non vale a mutare i termini del problema, comunque risultando il ricorso all'istituto della sospensione condizionato alla sopravvenienza della infermità.

4. L'interpretazione delle norme denunciate appare, del resto, perfettamente in consonanza rispetto a quanto emerge dai lavori preparatori del nuovo codice di procedura penale.

La fattispecie dell'imputato "che per infermità mentale sopravvenuta al fatto non sia in grado di partecipare coscientemente al processo", previ sta quale ipotesi di sospensione del processo stesso, ha la sua genesi nel Progetto del 1978 (art. 74) ove la sospensione resta comunque subordinata alla condizione che "non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento" (art. 75, primo comma).

A sua volta, l'art. 67 del Progetto preliminare del 1988, nel riprodurre l'inciso "infermità mentale sopravvenuta al fatto" da cui deriva l'impossibilità per l'imputato "di partecipare coscientemente al processo" (art. 67), prevede la sospensione del processo stesso "semprechè non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento" (art.68).

L'essere riservato all'infermità soltanto nunc il ricorso all'istituto della sospensione fu dettato dallo scrupolo del legislatore delegato di evitare <<che la mancata distinzione tra infermità "sopravvenuta" ed infermità "originaria" finisse per provocare una sensibile alterazione della stessa disciplina sostanziale dell'infermità mentale>> (v.Relazione al progetto preliminare, p. 53). Uno scrupolo puntualmente condiviso dalla Commissione parlamentare che nel suo parere (p. 40) propose <<di ritornare alla formula dell'art. 88 del codice attuale, il quale fa riferimento allo "stato di infermità mentale tale da escludere la capacità di intendere e di volere">>: e ciò per il pericolo, insito nel nuovo precetto, di dar luogo, "per la discrezionalità che l'accompagna", pure "a situazioni peggiorative rispetto a quanto consentito dall'art. 88" del codice di procedura penale del 1930. L'intento del legislatore delegato rivolto a ricomprendere, senza possibilità di equivoci, nell'ambito dell'istituto della sospensione le sole ipotesi di infermità sopravvenuta emerge in modo assolutamente univoco dalla Relazione al testo definitivo (p.171) che, pur insistendo sulla necessità di utilizzare la nuova formula "non sia in grado di partecipare coscientemente al processo", ribadisce l'immutato regime in ordine alla sopravvenienza dell'infermità quale disciplinata dal codice abrogato. Il tutto in un contesto normativo volto a contemperare "le garanzie dell'autodifesa con l'esigenza di contenere la stasi processuale" (v. ordinanza n. 298 del 1991), così da evitare "anche rischi di comportamenti simulatori", attraverso "un paradigma procedimentale utilizzato anche in tema di riesame della pericolosità" (v., ancora, ordinanza n. 298 del 1991).

5. Se l'interpretazione della norma denunciata non può essere che quella fatta palese dalla lettera del precetto sottoposto al vaglio di questa Corte, altrimenti travolgendosi l'univoco significato espresso da dette norme in funzione di un inespresso significato ricavabile dal costante richiamo alla sentenza n. 23 del 1979, la disciplina censurata appare palesemente in contrasto con l'art.24, secondo comma, della Costituzione.

Proprio il richiamo alla indicata decisione della Corte basta a far ritenere vulnerato il diritto all'autodifesa dell'imputato: una lesione, peraltro, non ravvisata dalla sentenza n. 23 del 1979 con riferimento all'art. 88 del codice abrogato solo perchè, "risultando l'imputato incapace di intendere e di volere al momento del fatto, il procedimento non potrà mai concludersi con una decisione di condanna", ma ipotizzata dalla stessa sentenza per il caso di infermità di mente sopravvenuta non accompagnata dalla sospensione del processo in quanto, non versando l'imputato "in stato di incapacità di intendere e di volere al tempus commissi delicti, potrà essere pronunciata, all'esito del giudizio, una sentenza di condanna, con la conseguente applicazione della pena".

Il che, appunto, si verifica alla stregua dell'art. 70, primo comma, del codice di procedura penale 1988 nei casi in cui l'infermità di mente, non coincidente con la totale incapacità di intendere o di volere, risalga al tempus commissi delicti e perduri nel corso del procedimento. In una simile ipotesi, non potendo trovare applicazione la disposizione impugnata, resterebbe precluso l'epilogo consistente in una decisione di proscioglimento o di non luogo a procedere: non potendo certo qui ripetersi che "ad una tale condizione psichica del prevenuto dovrà necessariamente conseguire, salvo che non ricorra l'applicazione di una formula più favorevole, una decisione di proscioglimento per difetto d'imputabilità" (v., ancora, sentenza n. 23 del 1979).

Va, quindi, dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art.70, primo comma, del codice di procedura penale limitatamente alle parole "sopravvenuta al fatto".

Resta così assorbita l'ulteriore verifica quanto alla conformità della norma denunciata all'altro parametro costituzionale invocato dal giudice a quo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 70, primo comma, del codice di procedura penale, limitatamente alle parole "sopravvenuta al fatto";

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 71 del codice di procedura penale sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Torino con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 07/07/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Giuliano VASSALLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 20/07/92.