SENTENZA N. 130
ANNO 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), come sostituito dall’articolo 12, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 concernente «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002)», promossi con ordinanze del 3 agosto 2006 (numero 2 ordinanze) dalla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna e del 29 novembre 2006 dalla Commissione tributaria provinciale di Udine, rispettivamente iscritte ai nn. 621, 622 e 702 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 36 e 40, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 marzo 2008 il Giudice relatore Ugo De Siervo.
Ritenuto in fatto
1. – Con due ordinanze di contenuto analogo pronunciate in data 3 agosto 2006 in due distinti procedimenti, la Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 102, secondo comma, e VI disposizione transitoria della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui non esclude dalla giurisdizione tributaria le controversie riguardanti le sanzioni di cui all’art. 3, comma 3, del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12 (Disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all’estero e di lavoro irregolare), convertito in legge dall’art. 1 della legge 23 aprile 2002, n. 73.
In entrambi i giudizi il rimettente è chiamato a decidere sull’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, Ufficio di Ravenna, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di quella città la quale aveva accolto il ricorso proposto da una società contro l’atto di irrogazione della sanzione amministrativa disposta nei suoi confronti per l’impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture obbligatorie.
La commissione tributaria ritiene pregiudiziale, rispetto all’esame del merito della controversia, verificare la sussistenza della propria giurisdizione in ordine alla applicazione delle sanzioni previste dall’art. 3 del decreto-legge n. 12 del 2002.
Al riguardo ricorda che la Corte costituzionale, con le ordinanze n. 94, n. 93, n. 36 e n. 34 del 2006, ha dichiarato manifestamente inammissibili le numerose censure di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, sollevate dai giudici tributari in relazione alla attribuzione alla giurisdizione tributaria delle controversie in esame, perché non avevano previamente compiuto il tentativo di dare della disposizione censurata un’interpretazione «costituzionalmente corretta».
Il giudice a quo, «pur dubitando della propria giurisdizione», dichiara di prendere atto della giurisprudenza della Corte di cassazione secondo la quale, benché la materia disciplinata dall’art. 3 del decreto-legge n. 12 del 2002 sia estranea rispetto a quella tributaria, sussiste la giurisdizione delle commissioni tributarie in relazione alle controversie in esame, in quanto l’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 attribuisce a detti organi le controversie concernenti le sanzioni amministrative comunque irrogate da uffici finanziari.
La funzione nomofilattica attribuita alla Cassazione comporterebbe, infatti, che debba essere considerata come diritto vivente l’interpretazione della norma censurata data dalla suprema Corte, «esonerando la Commissione dall’obbligo di ricercare divergenti interpretazioni».
Tuttavia, il rimettente ritiene che la disposizione censurata contrasti con l’art. 102, secondo comma, prima parte, e con la VI disposizione transitoria della Costituzione. La Corte costituzionale, infatti, ha affermato che il potere del legislatore di riordinare i giudici speciali ai sensi della VI disposizione transitoria della Costituzione incontra il duplice limite di non snaturare la materia attribuita alla loro rispettiva competenza e di assicurare la conformità a Costituzione. Pertanto, la giurisdizione tributaria dovrebbe essere limitata alla materia dei tributi.
La sanzione di cui all’art. 3, comma 3, del decreto-legge n. 12 del 2002, invece, avrebbe per presupposto l’impiego di lavoratori dipendenti non risultanti dalle scritture obbligatorie e dunque l’inosservanza di norme «lavoristico-previdenziali». L’unico riferimento al campo tributario sarebbe costituito dalla attribuzione della competenza ad irrogare la sanzione agli uffici finanziari, elemento ritenuto dalla Cassazione sufficiente per radicare la giurisdizione tributaria.
In tal modo, però, ad avviso del rimettente, sarebbe snaturata la funzione del giudice tributario, che verrebbe così trasformato «in giudice speciale dell’amministrazione tributaria, in palese violazione dell’art. 102 e VI disposizione transitoria Cost.».
Inoltre, l’attribuzione a tale giudice della cognizione delle sanzioni amministrative in una materia sostanzialmente previdenziale sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., in quanto irrazionale e lesiva del diritto di difesa del cittadino. Infatti, la controversia che avrebbe ad oggetto l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro irregolare renderebbe necessaria una attività istruttoria basata essenzialmente sulla prova testimoniale, la quale, invece, non è consentita nel processo tributario.
2. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, la quale rileva innanzitutto come, successivamente alla pronuncia dell’ordinanza di rimessione, il decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248, ha profondamente modificato l’art. 3 del decreto-legge n. 12 del 2002, trasformando i criteri di determinazione della sanzione e assegnando la competenza ad irrogarla alla direzione provinciale del lavoro territorialmente competente.
Poiché tale ultima modifica determinerebbe la devoluzione delle controversie concernenti le sanzioni in esame al giudice del lavoro, si imporrebbe la restituzione degli atti al rimettente affinché valuti se ciò comporti uno spostamento della giurisdizione anche in relazione alla controversia al suo esame.
Nel merito la questione sarebbe infondata. L’attribuzione alla giurisdizione tributaria delle controversie in esame troverebbe la propria giustificazione nella circostanza che la normativa di cui al decreto-legge n. 12 del 2002, avrebbe quale scopo ulteriore rispetto a quello di tutela del lavoratore, anche quello di consentire l’emersione del lavoro sommerso che «costituisce manifestazione di reddito certamente rilevante dal punto di vista tributario ai fini impositivi». Pertanto, non irragionevolmente, il legislatore avrebbe ritenuto prevalenti le finalità tributarie perseguite dalla disposizione e avrebbe perciò attribuito la giurisdizione al giudice tributario.
Infondate sarebbero altresì le censure sollevate con riguardo agli artt. 3 e 24 Cost., dal momento che l’esperibilità di un’attività istruttoria piuttosto che di un’altra non è lesiva del diritto di difesa ove non impedisca sostanzialmente – come accade nel processo tributario – una difesa efficace.
3. – Con ordinanza in data 29 novembre 2006, la Commissione tributaria provinciale di Udine ha sollevato, in riferimento all’art. 102, secondo comma, e alla VI disposizione transitoria della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, del decreto legislativo n. 546 del 1992 nella parte in cui attribuisce alle commissioni tributarie la giurisdizione sulle controversie relative a sanzioni di natura non tributaria.
Il rimettente premette di essere chiamato a decidere sul ricorso proposto da una società avverso l’atto di irrogazione di sanzioni emesso dall’Agenzia delle entrate di Gemona in relazione all’impiego di mano d’opera, formalmente alle dipendenze di altra società, ma di fatto utilizzata dalla ricorrente, in forza di apparente contratto di appalto.
La Commissione tributaria ritiene pregiudiziale alla decisione sul ricorso la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992.
Benché la Corte costituzionale, nelle ordinanze n. 35 e n. 34 del 2006, abbia invitato i giudici di merito a esplorare eventuali interpretazioni conformi a Costituzione, il giudice a quo ritiene che tale strada risulti ormai preclusa dall’orientamento espresso dalla giurisprudenza delle sezioni unite della Cassazione.
Ciò posto, il rimettente afferma che non sarebbe consentito al legislatore espandere la giurisdizione speciale oltre l’ambito delle controversie tributarie, incontrando il limite posto dall’art. 102, secondo comma, Cost. il quale, secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale, va interpretato in relazione alla VI disposizione transitoria. Questa, infatti, se autorizza la trasformazione dei giudici speciali preesistenti all’entrata in vigore della Costituzione, tuttavia non consente di snaturare le materie attribuite alla loro competenza.
Tale limite sarebbe stato superato dalla disposizione censurata, la quale definirebbe l’ambito della giurisdizione delle commissioni tributarie non solo in base alla materia oggetto del contendere, ma anche con riferimento «al dato meramente soggettivo dell’ufficio preposto all’irrogazione della sanzione, a prescindere dalla natura, tributaria o meno, di quest’ultima».
La rilevanza della questione – sostiene il rimettente – emergerebbe dalla circostanza che l’eventuale difetto di giurisdizione delle commissioni tributarie derivante dalla dichiarazione di incostituzionalità della norma precluderebbe qualunque decisione di merito nel giudizio a quo.
4. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, la quale chiede che venga disposta la restituzione degli atti al rimettente dal momento che, successivamente all’ordinanza di rimessione, l’art. 3 del decreto-legge n. 12 del 2002 sarebbe stato modificato dal decreto-legge n. 223 del 2006. Detta ordinanza, infatti, pur essendo stata depositata il 29 novembre 2006, sarebbe stata deliberata nella camera di consiglio dell’11 aprile 2006, dunque anteriormente al mutamento del quadro normativo di riferimento.
Per effetto delle modifiche introdotte dal citato decreto, attualmente l’art. 3, comma 5, del decreto-legge n. 12 del 2002 attribuisce la competenza ad irrogare la sanzione alla direzione provinciale del lavoro. Secondo l’Avvocatura, ciò potrebbe determinare uno spostamento della competenza giurisdizionale anche in relazione alle controversie già pendenti.
Nel merito la questione sarebbe infondata per le medesime ragioni già espresse nell’atto di intervento relativo al giudizio promosso dalla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna.
Considerato in diritto
1. – La Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna dubita della legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui – secondo il diritto vivente – «non esclude dalla giurisdizione tributaria le controversie riguardanti le sanzioni» previste dall’art. 3, comma 3, del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12 (Disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all’estero e di lavoro irregolare) per l’impiego di lavoratori dipendenti non risultanti dalle scritture o altra documentazione obbligatorie.
In particolare, il rimettente ritiene che la disposizione censurata violi l’art. 102 e la VI disposizione transitoria della Costituzione in quanto assegna alla giurisdizione delle Commissioni tributarie controversie che «nulla hanno a che fare con i tributi», sulla base della mera attribuzione ad un organo finanziario della competenza ad irrogare le sanzioni, così trasformando il giudice tributario in giudice speciale dell’amministrazione tributaria. La disposizione censurata violerebbe, inoltre, gli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal momento che sarebbe irrazionale e lesiva del diritto di difesa del cittadino l’attribuzione al giudice tributario della cognizione di controversie che, avendo ad oggetto l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro irregolare, richiederebbero lo svolgimento di un’attività istruttoria basata sulla prova testimoniale, non consentita nel processo tributario.
Anche la Commissione tributaria provinciale di Udine ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, in riferimento all’art. 102 e alla VI disposizione transitoria della Costituzione. Il rimettente censura la suddetta disposizione nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione del giudice tributario le controversie aventi ad oggetto le sanzioni amministrative comunque irrogate da uffici finanziari, «anche a prescindere dalla natura tributaria degli illeciti sanzionati e delle relative sanzioni».
2. – Preliminarmente, deve essere disattesa la richiesta di restituzione degli atti ai rimettenti formulata dall’Avvocatura dello Stato in ragione del sopravvenuto mutamento del quadro normativo di riferimento.
L’art. 36-bis del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), introdotto in sede di conversione dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, ha modificato in più parti l’art. 3 del decreto-legge n. 12 del 2002, tra l’altro attribuendo alla direzione provinciale del lavoro – anziché alla Agenzia delle entrate – la competenza ad irrogare la sanzione ivi prevista per l’impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture obbligatorie.
Tale modifica normativa è entrata in vigore il 12 agosto del 2006, cioè in data successiva alle ordinanze di rimessione della Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna emesse in data 3 agosto 2006.
Ritiene l’Avvocatura che la modifica in questione avrebbe determinato la devoluzione delle controversie relative alle sanzioni per l’impiego di lavoratori irregolari alla giurisdizione del giudice ordinario e che pertanto dovrebbe essere disposta la restituzione degli atti al rimettente.
In realtà, ai sensi dell’art. 5 del codice di procedura civile, la giurisdizione si determina «con riguardo alla legge vigente (…) al momento della proposizione della domanda e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge». Conseguentemente, la perpetuatio jurisdictionis impedisce che la modifica normativa in base alla quale, secondo l’Avvocatura, si determina l’effetto di attribuire al giudice ordinario la giurisdizione sulle controversie in questione, incida sui giudizi a quibus, in quanto al momento della proposizione della domanda sussisteva – secondo la prospettazione del rimettente – la giurisdizione del giudice tributario (ordinanza n. 297 del 2007).
Quanto all’ordinanza di rimessione della Commissione tributaria provinciale di Udine, essa risulta pubblicata, mediante deposito in cancelleria, in data 29 novembre 2006, dunque successivamente alla modifica dell’art. 3, comma 5, del decreto-legge n. 12 del 2002. Di conseguenza, non vi è alcun mutamento del quadro normativo successivo alla proposizione della questione di legittimità costituzionale, che abbia effetti sui giudizi a quibus e possa perciò giustificare una pronuncia di restituzione degli atti ai rimettenti.
3. – La questione sollevata dai rimettenti in riferimento all’art. 102, secondo comma, e alla VI disposizione transitoria della Costituzione è fondata nei termini di seguito specificati.
L’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992 individua l’oggetto della giurisdizione tributaria stabilendo che appartengono ad essa «tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, nonché le sovrimposte e le addizionali». Stabilisce, inoltre, che appartengono alla medesima giurisdizione «le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio».
La giurisprudenza di legittimità – come rilevato dai rimettenti – interpreta tale disposizione nel senso di attribuire alla giurisdizione tributaria non solo le controversie concernenti i tributi, ma anche, in via residuale, le controversie concernenti le sanzioni irrogate in relazione ad infrazioni connesse alla violazione di norme le quali non necessariamente attengono a tributi. In tal caso, sufficiente a radicare la giurisdizione tributaria, in forza dell’esplicito disposto dell’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, è ritenuta la natura finanziaria dell’organo competente ad irrogare la sanzione.
3.1 – Questioni analoghe a quelle in esame sono già state sottoposte al vaglio di questa Corte la quale le ha dichiarate inammissibili, dal momento che i rimettenti non avevano verificato la possibilità di dare dell’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 un’interpretazione conforme a Costituzione, la quale valorizzasse «la natura tributaria del rapporto cui deve ritenersi imprescindibilmente collegata la giurisdizione del giudice tributario», limitandosi, invece, a considerare unicamente il profilo soggettivo concernente la natura dell’organo competente ad irrogare la sanzione (ordinanza n. 34 del 2006; si vedano, inoltre, le ordinanze n. 395 del 2007; n. 94 e n. 35 del 2006).
La Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna e la Commissione tributaria provinciale di Udine, pur conoscendo le citate decisioni, ritengono di doversi adeguare all’interpretazione data dalla Corte di cassazione, a sezioni unite, nell’ordinanza 10 febbraio 2006, n. 2888, ritenendola, tuttavia, in contrasto con l’art. 102, secondo comma, della Costituzione.
In particolare, il giudice di legittimità ha ritenuto che appartengono alla giurisdizione delle Commissioni tributarie le controversie concernenti l’irrogazione della sanzione per l’impiego di lavoratori dipendenti non risultanti dalle scritture o altra documentazione obbligatorie prevista dall’art. 3, comma 3, del decreto-legge n. 12 del 2002. Infatti, poiché il comma 5 dell’art. 3 citato – nel testo originario – stabilisce che «competente alla irrogazione della sanzione amministrativa di cui al comma 3 è l’Agenzia delle entrate», troverebbe applicazione l’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, secondo il quale rientrano nella giurisdizione tributaria le sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari. A tale conclusione la Cassazione è pervenuta pur affermando espressamente che le controversie relative alle sanzioni di cui all’art. 3 del decreto-legge n. 12 del 2002 non hanno natura tributaria, in considerazione delle finalità perseguite da tale normativa, volta a favorire l’emersione del lavoro irregolare.
Tale interpretazione della disposizione censurata è stata confermata dalla Suprema Corte anche in decisioni successive a quella richiamata dai rimettenti, e successive, altresì, alle ordinanze di questa Corte sopra citate.
3.2 – Questa Corte ha, anche di recente, ribadito che «la giurisdizione tributaria deve essere considerata un organo speciale di giurisdizione preesistente alla Costituzione» (sentenza n. 64 del 2008). Ha, poi, riconosciuto che l’oggetto di tale giurisdizione, così come la disciplina degli organi speciali, ben possano essere modificati dal legislatore ordinario, il quale, tuttavia, incontra precisi limiti costituzionali consistenti nel «non snaturare (come elemento essenziale e caratterizzante la giurisprudenza speciale) le materie attribuite» a dette giurisdizioni speciali e nell’«assicurare la conformità a Costituzione» delle medesime giurisdizioni (ordinanza n. 144 del 1998). «Da tale giurisprudenza si desume che il menzionato duplice limite opera con riferimento ad ogni modificazione legislativa riguardante l’oggetto delle giurisdizioni speciali preesistenti alla Costituzione (sia in sede di prima revisione, sia successivamente) e, altresì, che il mancato rispetto del limite di “non snaturare” le materie originariamente attribuite alle indicate giurisdizioni si traduce nell’istituzione di un “nuovo” giudice speciale, espressamente vietata dall’art. 102 Cost. L’identità della “natura” delle materie oggetto delle suddette giurisdizioni costituisce, cioè, una condizione essenziale perché le modifiche legislative di tale oggetto possano qualificarsi come una consentita “revisione” dei giudici speciali e non come una vietata introduzione di un “nuovo” giudice speciale» (ancora sentenza n. 64 del 2008).
Con specifico riguardo alla giurisdizione tributaria, questa Corte ha poi precisato con riguardo a questioni di legittimità analoghe a quelle in esame, che essa «deve ritenersi imprescindibilmente collegata» alla «natura tributaria del rapporto» e che la medesima non può essere ancorata «al solo dato formale e soggettivo, relativo all’ufficio competente ad irrogare la sanzione» (ordinanza n. 34 del 2006
).Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere