Sentenza n. 96 del 2024

SENTENZA N. 96

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da:

Presidente: Franco MODUGNO;

Giudici: Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 171-bis del codice di procedura civile, promosso dal Tribunale ordinario di Verona, sezione prima civile, nel procedimento vertente tra L. V. e A. K. I., società sportiva dilettantistica a responsabilità limitata, con ordinanza del 23 settembre 2023, iscritta al n. 150 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 2023, la cui trattazione è stata fissata per l’adunanza in camera di consiglio del 16 aprile 2024.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 maggio 2024 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

deliberato nella camera di consiglio del 9 maggio 2024.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 23 settembre 2023 (r.o. n. 150 del 2023), il Tribunale ordinario di Verona, sezione prima civile, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 171-bis del codice di procedura civile in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 77 della Costituzione.

Il giudice rimettente riferisce che nell’ambito di un processo ordinario di cognizione era stata convenuta in giudizio una società sportiva dilettantistica per ottenere, in via principale, ai sensi degli artt. 2050 e 2051 del codice civile, o in subordine in forza dell’art. 1218 cod. civ., il risarcimento dei danni subiti dalla parte attrice in conseguenza di un sinistro avvenuto presso il kartodromo gestito dalla convenuta.

Riferisce ancora il rimettente che la società, nel costituirsi in giudizio, oltre a contestare la domanda proposta sia in relazione all’an che al quantum, deduceva che, al momento del tesseramento, ai clienti è rilasciata un’assicurazione per la tutela dei danni eventualmente occorsi nelle attività svolte nel kartodromo, contratta con la compagnia UnipolSai, che doveva di qui essere considerata unico soggetto legittimato passivo rispetto alla pretesa spiegata in giudizio dall’attrice.

Il Tribunale evidenzia, in punto di rilevanza, che l’atto di citazione è stato notificato in data 6 giugno 2023, sicché trova applicazione la disciplina dettata dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149 (Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata), che ha modificato il rito ordinario di cognizione, introducendo, tra l’altro, il censurato art. 171-bis cod. proc. civ., che impone al giudice di pronunciare, entro quindici giorni dalla scadenza del termine per la costituzione del convenuto, il decreto di fissazione dell’udienza. Mediante tale decreto il giudice, da un lato, verifica la regolarità del contraddittorio e pronuncia, ove occorra, i provvedimenti di cui agli artt. 102, secondo comma, 107, 164, secondo, terzo, quinto e sesto comma, 167, secondo e terzo comma, 171, terzo comma, 182, 269, secondo comma, 291 e 292 cod. proc. civ. e, da un altro, indica alle parti le questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione, anche rispetto alle condizioni di procedibilità della domanda e alla sussistenza dei presupposti per procedere con rito semplificato.

Il rimettente sottolinea che la disposizione in oggetto, come attestato anche dalla relazione illustrativa al d.lgs. n. 149 del 2022, è una delle modifiche più rilevanti alla disciplina del processo di cognizione di primo grado tra quelle introdotte dal predetto decreto, poiché ha la funzione di realizzare la concentrazione processuale che caratterizza la nuova fase introduttiva e di trattazione anticipando al decreto di fissazione dell’udienza tutte le verifiche preliminari che il giudice è chiamato a compiere alla prima udienza.

Il Tribunale di Verona puntualizza, inoltre, che questo provvedimento deve essere emanato obbligatoriamente, come suggerisce tanto l’uso dell’indicativo nella disposizione, quanto la circostanza che, in mancanza, le parti rischierebbero di compiere un’attività processuale inutile nelle memorie depositate prima dell’udienza, ai sensi dell’art. 171-ter cod. proc. civ., qualora fossero solo dopo disposti adempimenti preliminari funzionali a una corretta realizzazione del principio del contraddittorio.

Ciò premesso, il giudice a quo evidenzia che dovrebbe assumere, nella fattispecie per cui è processo, almeno due dei provvedimenti sottesi alle verifiche contemplate dall’art. 171-bis cod. proc. civ.

In primo luogo, infatti, in virtù dell’eccezione della parte convenuta sulla legittimazione passiva esclusiva della compagnia UnipolSai, dovrebbe emettere un ordine di integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 107 cod. proc. civ.

In secondo luogo, poiché la domanda ha ad oggetto il pagamento di una somma di denaro inferiore all’importo di euro 50.000 ed è conseguentemente assoggettata, in virtù dell’art. 3, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile), convertito, con modificazioni, in legge 10 novembre 2014, n. 162, alla condizione di procedibilità della negoziazione assistita, che non è stata esperita, dovrebbe indicare detta questione, rilevata d’ufficio, tra quelle che devono essere oggetto di trattazione nelle memorie di cui all’art. 171-ter cod. proc. civ.

Senonché il Tribunale dubita della conformità ad alcuni parametri costituzionali dall’art. 171-bis cod. proc. civ.

1.1.– Innanzitutto, il giudice rimettente assume un contrasto della disposizione censurata con i criteri indicati dalla legge di delega, e, di qui, con gli artt. 76 e 77 Cost.

A riguardo rileva che l’art. 1, comma 5, lettera i), della legge 26 novembre 2021, n. 206 (Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata), pur indicando principi molto dettagliati relativi alla fase di trattazione, non contempla alcun intervento anticipato dell’autorità giudiziaria prima dell’udienza di comparizione delle parti.

Sottolinea, inoltre, che i principi di cui all’art. 1, comma 5, lettere da c) a g), della predetta legge n. 206 del 2021, non prevedono tra i possibili contenuti delle memorie delle parti, successive agli atti introduttivi, anche le questioni rilevabili d’ufficio dal giudice.

Sicché il giudice a quo evidenzia che il legislatore delegante, pur nell’ambito di principi di delega molto dettagliati, non ha contemplato una fase, antecedente all’udienza di prima comparizione, destinata alle verifiche preliminari, che si porrebbe, dunque, quale elemento distonico rispetto all’assetto prefigurato dallo stesso.

Il rimettente ritiene di dover pertanto verificare se l’intervento operato, con l’inserimento nel codice di procedura civile dell’art. 171-bis, sia coerente con i principi della delega, meno specifici, che riguardano il processo di cognizione di primo grado.

In primis, si interroga sulla coerenza della norma con l’obiettivo di concentrazione dell’attività processuale individuato tra i principi di delega dall’art. 1, comma 5, lettera a), della legge n. 206 del 2021.

Osserva, in proposito, che la disposizione censurata realizza detta concentrazione solo nella prima parte del primo comma, laddove impone al giudice di adottare – per quel che rileva nel processo presupposto – un provvedimento integrativo del contraddittorio o di sanatoria dei vizi dell’atto introduttivo, peraltro sacrificando il principio del contraddittorio perché l’emanazione di tale provvedimento avviene inaudita altera parte. Secondo il rimettente non potrebbe del resto prefigurarsi l’applicazione dell’art. 101, secondo comma, cod. proc. civ., in quanto tale disposizione prevede la concessione alle parti di un termine minimo di giorni venti per interloquire sulle questioni rilevate d’ufficio dal giudice, mentre il decreto di fissazione dell’udienza deve essere pronunciato entro quindici giorni dalla scadenza del termine per la costituzione in causa del convenuto.

Alla luce di tali rilievi, lo stesso rimettente dubita della compatibilità della disposizione censurata con gli altri principi generali indicati dallo stesso art. 1, comma 5, lettera a), della legge delega, ossia quelli della semplicità e dell’effettività della tutela, poiché il giudice assume autonomamente le proprie determinazioni sulle questioni rilevate d’ufficio, senza alcuna interlocuzione con le parti all’esito della quale potrebbe adottare una diversa decisione.

Di contro, soggiunge il giudice a quo, qualora la norma fosse intesa nel senso del dovere dell’autorità giudiziaria di interloquire previamente con le parti su ciascuna delle questioni rilevate d’ufficio, ciò comporterebbe una dilatazione e non già una contrazione dei tempi processuali, ponendosi comunque in contrasto con le indicazioni generali promananti dal richiamato, generale, principio di delegazione legislativa.

Il Tribunale osserva, altresì, che la seconda parte del primo comma dello stesso art. 171-bis cod. proc. civ., nel prevedere che il giudice invita le parti a interloquire nelle memorie integrative sulle questioni rilevate d’ufficio, assicura il rispetto del principio del contraddittorio, tuttavia sacrificando quello di concentrazione dell’attività processuale.

1.2.– Lo stesso giudice a quo assume, poi, che la disposizione censurata sarebbe incompatibile anche con gli artt. 3 e 24 Cost.

1.2.1.– In particolare, con riferimento all’evocato parametro di cui all’art. 3 Cost., il Tribunale sottolinea che è prevista una decisione inaudita altera parte solo delle questioni rilevate d’ufficio che condizionano l’introduzione del processo o la sua estensione soggettiva, mentre, per tutte le altre, la relativa decisione è differita alla prima udienza, senza che sussista una ragionevole giustificazione per questo diverso trattamento che disvelerebbe, così, una scelta arbitraria, preclusa al legislatore anche in una materia, come quella processuale, nella quale pure gode di ampia discrezionalità.

1.2.2.– D’altra parte, secondo il giudice rimettente, l’art. 171-bis cod. proc. civ. si porrebbe in contrasto con l’art. 24 Cost., laddove consente l’assunzione di provvedimenti di carattere interlocutorio senza alcun preventivo confronto con le parti, ponendosi così in conflitto anche con la relativa regola generale espressa dall’art. 101, secondo comma, cod. proc. civ., assurta ormai a principio informatore del processo civile.

2.– Con atto depositato in data 12 dicembre 2023, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ed ha eccepito in via preliminare l’inammissibilità delle questioni sul rilievo che, per un verso, il rimettente avrebbe chiesto a questa Corte di effettuare un sindacato sul merito legislativo in materia processuale, nella quale il legislatore ordinario gode di ampia discrezionalità e, per un altro, non avrebbe considerato l’ampia formulazione dei criteri direttivi previsti dalla legge delega.

La difesa dello Stato deduce poi, quanto al merito, la non fondatezza delle questioni.

2.1.– Con riferimento all’evocata violazione degli artt. 76 e 77 Cost., l’Avvocatura generale osserva che, se anche la legge delega non ha previsto espressamente l’emanazione di provvedimenti del giudice antecedenti alla prima udienza, essi sono funzionali ad assicurare la concentrazione processuale indicata tra i generali principi direttivi dall’art. 1, comma 5, lettera a), della legge n. 206 del 2021, nonché a far sì che le memorie depositate dalle parti prima dell’udienza non siano inutili – come peraltro rilevato dallo stesso giudice a quo – ciò che avverrebbe qualora il giudice emanasse all’udienza di trattazione un provvedimento volto alla corretta instaurazione del contraddittorio nei confronti delle parti originarie ovvero disponesse un provvedimento orientato ad estendere detto contraddittorio ad altri soggetti.

Nell’indicata prospettiva, secondo la difesa dello Stato, la disposizione censurata consente sia di ridurre la durata del giudizio ordinario di cognizione di primo grado di circa cinquanta/sessanta giorni, sia di assicurare che alla prima udienza si svolga effettivamente l’attività di trattazione della causa che, altrimenti, rischierebbe di essere differita di ulteriori quattro/cinque mesi.

Aggiunge inoltre l’Avvocatura generale che, attraverso il controllo operato dal giudice in limine litis con l’emanazione del decreto di fissazione dell’udienza, il legislatore delegato ha voluto superare uno dei problemi che si erano verificati nell’esperienza del processo cosiddetto societario, introdotto dal decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366), nel quale la fase dinanzi al giudice si realizzava solo dopo la notifica dell’istanza di fissazione dell’udienza, mentre quella preparatoria era rimessa all’esclusiva gestione delle parti, senza alcun controllo da parte dell’autorità giudiziaria. Ciò che aveva comportato non di rado che all’udienza di discussione dinanzi al collegio, dopo lo scambio di memorie, talvolta numerose, tra le parti, venisse rilevata d’ufficio una questione pregiudiziale di rito, con conseguente regressione del procedimento.

L’Avvocatura generale sottolinea, poi, che non sarebbe privo di giustificazione il differente trattamento contemplato per le questioni rilevabili d’ufficio, poiché la decisione anticipata solo per alcune di esse rispetto al momento dell’udienza dipende dall’esigenza di evitare che questo comporti un differimento della stessa, quando le parti hanno ormai depositato le memorie integrative.

Inoltre, l’assunto per il quale la semplicità e la effettività della tutela sarebbero compromesse dalla decisione “solitaria” del giudice, resa con il decreto di fissazione dell’udienza, non tiene conto dei poteri di direzione del processo in ogni caso riconosciuti all’autorità giudiziaria dall’art. 175 cod. proc. civ. che, in uno con la possibilità di svolgere le udienze da remoto o sostituirle con lo scambio di note scritte, consente agevolmente al giudice di interloquire con i difensori anche nella fase delle verifiche preliminari fissando, senza alcuna preclusione da parte della normativa vigente, un’apposita udienza.

L’Avvocatura generale rileva che, ad ogni modo, i provvedimenti interlocutori emanati ai sensi dell’art. 171-bis cod. proc. civ. sono revocabili e modificabili, sicché l’esercizio del contraddittorio e del diritto di difesa possono realizzarsi, come avviene anche in altri casi, ex post.

2.2.– La difesa dello Stato ritiene, anche alla luce delle considerazioni compiute in relazione agli altri parametri, non fondate, parimenti, le questioni sollevate con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.

Con riferimento alla censura di violazione dell’art. 3 Cost. ribadisce, stante anche l’ampia discrezionalità del legislatore nella conformazione degli istituti processuali, che il differente trattamento riservato alle questioni rilevabili dal giudice d’ufficio è giustificato in ragione delle diverse conseguenze che l’assunzione dei provvedimenti volti alla corretta instaurazione del contraddittorio (con le parti in causa o con altre verso le quali è necessario estendere lo stesso) e il rilievo d’ufficio di questioni hanno sui tempi di svolgimento del giudizio, sui quali possono incidere, dilatandoli, solo i primi.

D’altra parte, rileva la difesa statale, la differente modulazione temporale dei poteri del giudice ripropone quella già contemplata dall’art. 183 cod. proc. civ., nella formulazione anteriore all’intervento del d.lgs. n. 149 del 2022, secondo la quale il giudice, solo dopo aver svolto i controlli sulla regolare costituzione del contraddittorio con esito positivo, indicava alle parti, come stabilito dal quarto comma, le questioni rilevabili d’ufficio delle quali riteneva opportuna la trattazione.

Con riferimento al parametro di cui all’art. 24 Cost., l’Avvocatura generale ribadisce che un’interlocuzione con le parti è comunque possibile, anche mediante la fissazione di un’udienza ad hoc, già nella fase delle verifiche preliminari, e che, in ogni caso, i provvedimenti adottati possono essere sempre modificati o revocati all’esito del contraddittorio con le parti.

La difesa dello Stato osserva, infine, che, come è stato più volte affermato nella giurisprudenza costituzionale, quello del contradditorio è un principio che può essere bilanciato con altri valori di pari rango, come la ragionevole durata del processo, talché, per assicurare la stessa, può essere giustificato un possibile affievolimento del contraddittorio a una fase iniziale e limitatamente ad alcune questioni.

3.– Ha inoltre depositato in giudizio un’opinione scritta, in qualità di amicus curiae, l’Unione nazionale delle camere civili (d’ora in poi: UNCC), dichiarata ammissibile con decreto presidenziale dell’11 marzo 2024.

L’UNCC evidenzia che, effettivamente, l’interpretazione della disposizione censurata compiuta dal giudice rimettente parrebbe porsi in contrasto con il principio del contraddittorio, che non può adeguatamente svolgersi, anche alla luce dell’art. 101, secondo comma, cod. proc. civ., vieppiù come novellato dallo stesso d.lgs. n. 149 del 2022, solo ex post.

Si sottolinea nell’opinione che, però, tra gli operatori si va affermando una interpretazione della disposizione censurata secondo cui il giudice può, nell’esercizio dei generali poteri direttivi del processo demandati allo stesso dall’art. 175 cod. proc. civ., eventualmente differendo l’udienza di prima comparizione, fissare un’udienza specifica, nella quale decidere sulle questioni preliminari afferenti la corretta instaurazione del contraddittorio.

Questa interpretazione della disposizione censurata consentirebbe, secondo l’UNCC, anche di superare il dubbio di eccesso di delega potendo, a differenza di quanto prospettato dal giudice a quo, essere esplicato il contraddittorio con le parti anche sulle questioni rilevate d’ufficio ai sensi della prima parte del primo comma dell’art. 171-bis cod. proc. civ.

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza del 23 settembre 2023 (r.o. n. 150 del 2023), il Tribunale di Verona, sezione prima civile, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 171-bis cod. proc. civ. in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 77 Cost.

Il giudice rimettente evidenzia che la disposizione censurata, come attestato anche dalla Relazione illustrativa al d.lgs. n. 149 del 2022, riveste un ruolo centrale nella struttura del processo di cognizione di primo grado riformato da tale decreto, in quanto ha la funzione, nell’intento di realizzare la concentrazione processuale che caratterizza la nuova fase introduttiva e di trattazione, di evitare che alla prima udienza il giudice sia chiamato a compiere le verifiche preliminari, anticipandole al decreto di fissazione dell’udienza. Il Tribunale di Verona sottolinea che non vi è dubbio sul dovere del giudice di emettere il decreto di cui all’art. 171-bis cod. proc. civ., come si evince tanto dall’uso dell’indicativo da parte di tale disposizione, quanto dalla circostanza che, in mancanza, le parti rischierebbero di compiere un’attività processuale inutile nelle memorie depositate prima dell’udienza, ai sensi dell’art. 171-ter cod. proc. civ., qualora fossero solo dopo disposti adempimenti preliminari funzionali a una corretta realizzazione del principio del contraddittorio.

1.1.– Ciò premesso, in primo luogo, il giudice a quo assume, con riferimento agli artt. 76 e 77 Cost., un contrasto della disposizione censurata con i criteri indicati dalla legge di delega.

A riguardo rileva, innanzi tutto, che l’art. 1, comma 5, lettera i), della legge n. 206 del 2021, pur indicando principi molto dettagliati relativi alla fase di trattazione, non contempla alcun intervento anticipato dell’autorità giudiziaria prima dell’udienza di comparizione delle parti.

Sottolinea, inoltre, che i principi di cui all’art. 1, comma 5, lettere da c) a g), della predetta legge non indicano tra i possibili contenuti delle memorie delle parti, successive agli atti introduttivi, anche le questioni rilevabili d’ufficio dal giudice.

Nell’indicata prospettiva il Tribunale a quo evidenzia che il legislatore delegante, pur nell’ambito di principi di delega molto dettagliati, non ha contemplato una fase, antecedente all’udienza di prima comparizione, destinata alle verifiche preliminari che si porrebbe, dunque, quale elemento distonico rispetto all’assetto prefigurato dallo stesso.

1.2.– Il giudice rimettente assume, inoltre, che la disposizione censurata sarebbe incompatibile anche con gli artt. 3 e 24 Cost.

1.2.1.– In particolare, quanto alla possibile violazione dell’art. 3 Cost., osserva che è prevista una decisione inaudita altera parte solo delle questioni rilevate d’ufficio che condizionano l’introduzione del processo o la sua estensione soggettiva, mentre, per tutte le altre, la relativa decisione è differita alla prima udienza, senza che sussista una ragionevole giustificazione per tale diverso trattamento sì da svelare una scelta arbitraria che sarebbe preclusa al legislatore in una materia, come quella processuale, nella quale pure gode di ampia discrezionalità.

1.2.2.– Il giudice a quo rileva, inoltre, che l’art. 171-bis cod. proc. civ. si porrebbe in contrasto con l’art. 24 Cost., laddove consente l’emanazione di provvedimenti di carattere interlocutorio senza alcun preventivo contraddittorio tra le parti, ponendosi così in conflitto, sotto tale aspetto, anche con la relativa regola generale espressa dall’art. 101, secondo comma, cod. proc. civ., assurta ormai a principio informatore del processo civile.

2.– Occorre esaminare, innanzi tutto, l’eccezione preliminare dell’Avvocatura dello Stato che assume l’inammissibilità delle questioni, sia quella fondata sulla violazione dell’art. 76 Cost., in virtù degli ampi criteri della delega legislativa, sia quelle relative agli artt. 3 e 24 Cost., attraverso cui sarebbe richiesto un sindacato sul merito delle scelte del legislatore.

L’eccezione non è fondata, atteso che tanto la conformità della disposizione censurata alla legge delega per non avere il rimettente considerato gli ampi margini di discrezionalità del legislatore delegato (sentenza n. 248 del 2020), quanto l’eventuale non manifesta irragionevolezza della scelta legislativa costituiscono, semmai, elementi per il rigetto delle questioni nel merito e non già per l’inammissibilità delle stesse (tra le altre, sentenze n. 126 del 2021; n. 260 e n. 224 del 2020; n. 35 del 2017).

3.– Sotto un distinto profilo, il giudice rimettente evoca, nel muovere le proprie censure per violazione dei criteri di delega, oltre all’art. 76 Cost., anche l’art. 77 Cost.

Tuttavia, come noto, quest’ultima disposizione riguarda non già i decreti legislativi, come la prima, bensì indica i presupposti, individuati nella necessità e nell’urgenza, in presenza dei quali il Governo può eccezionalmente emanare decreti-legge immediatamente in vigore, sino alla conversione in legge, entro i successivi sessanta giorni.

Si tratta, dunque, di un parametro inconferente, poiché la disposizione censurata non è stata emanata con decreto-legge, con conseguente inammissibilità della questione in relazione allo stesso (tra le molte, sentenze n. 225, n. 171, n. 46 e n. 8 del 2023, n. 259 e n. 248 del 2022 e n. 198 del 2021).

4.– All’esame delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Verona, con riferimento agli altri parametri (artt. 76, 3 e 24 Cost.), è opportuno premettere una sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento nel quale si colloca la disposizione censurata.

5.– L’art. 171-bis cod. proc. civ. rientra nell’ambito delle norme con le quali il d.lgs. n. 149 del 2022 ha riformato il giudizio ordinario di cognizione di primo grado in forza dei criteri di delega enunciati dall’art. 1, comma 5, della legge n. 206 del 2021.

5.1.– Il richiamato art. 1, comma 5, nel demandare al Governo l’emanazione di uno o più decreti legislativi volti a modificare il codice di procedura civile in materia di processo di cognizione di primo grado davanti al tribunale in composizione monocratica, indica, alla lettera a), i principi e criteri direttivi di carattere generale, individuati in quelli di «assicurare la semplicità, la concentrazione e l’effettività della tutela e la ragionevole durata del processo».

Le successive lettere da b) ad i), dedicate alla fase introduttiva e di trattazione, enucleano una serie di criteri più puntuali volti a consentire il deposito delle memorie orientate alla definizione del thema decidendum e del thema probandum prima dell’udienza di trattazione e non già a valle di essa, come avveniva nel sistema all’epoca vigente con la concessione dei termini di cui all’art. 183, sesto comma, cod. proc. civ.

In sostanza, la legge delega ha disegnato una nuova struttura della fase introduttiva e di trattazione del giudizio ordinario di cognizione di primo grado nella quale, antecedentemente alla prima udienza, le parti devono “dire e chiedere tutto”, non già, peraltro, nei soli atti introduttivi, bensì specificando le proprie domande e difese, nonché veicolando le istanze istruttorie formulate in forma diretta e contraria nelle memorie integrative da depositare prima dell’udienza.

5.2.– I criteri di delega, contenuti nell’art. 1, comma 5, lettere da a) a i), della legge n. 206 del 2021, sono stati attuati dal legislatore delegato con il d.lgs. n. 149 del 2022.

In particolare, è stato aumentato il termine di comparizione del convenuto, rideterminato dai precedenti novanta agli attuali centoventi giorni, al fine di consentire che, dopo la costituzione dello stesso, che deve avvenire entro settanta giorni (e non più venti giorni) antecedenti l’udienza di cui all’art. 183 cod. proc. civ., le parti possano depositare le memorie integrative che precedono tale udienza.

La disposizione censurata ha, inoltre, previsto che il giudice è tenuto, entro quindici giorni dalla scadenza del termine per la costituzione in causa della parte convenuta (id est, in un periodo ricompreso tra settanta e cinquantacinque giorni prima dell’udienza di trattazione), ad emanare il decreto di fissazione dell’udienza; decreto con il quale lo stesso giudice è chiamato ad effettuare una serie di verifiche preliminari sulla corretta instaurazione del contraddittorio e sulla sussistenza di alcuni vizi processuali, pronunciando, ove necessario, i conseguenti provvedimenti, nonché ad indicare alle parti le questioni rilevate d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione nelle memorie integrative.

Più specificamente, la disposizione censurata prevede che, ai fini dell’emanazione del decreto di fissazione dell’udienza, il giudice verifichi la «regolarità del contraddittorio» (art. 171-bis, primo comma, prima parte, cod. proc. civ.), compiendo una serie di controlli, ossia quelli concernenti: a) l’integrità del contraddittorio in ipotesi di litisconsorzio necessario (art. 102, secondo comma, cod. proc. civ.); b) l’opportunità che il processo si svolga in confronto di un terzo cui la causa è comune (art. 107 cod. proc. civ.); c) la nullità della citazione (art. 164, secondo, terzo, quinto e sesto comma, cod. proc. civ.); d) la nullità della comparsa di risposta sotto il profilo della identificabilità della domanda riconvenzionale (art. 167, secondo e terzo comma, cod. proc. civ.); e) la costituzione delle parti e la dichiarazione di contumacia (art. 171, terzo comma, cod. proc. civ.); f) i difetti di rappresentanza e autorizzazione e le nullità o la mancanza della procura al difensore (art. 182 cod. proc. civ.); g) l’eventuale fissazione di una nuova udienza se il convenuto chiama in causa un terzo (art. 269, secondo comma, cod. proc. civ.); h) la validità della notificazione della citazione originaria al fine della dichiarazione di contumacia (art. 291 cod. proc. civ.); i) la necessità di notificare alla parte contumace gli atti previsti dalla legge (art. 292 cod. proc. civ.).

Se a fronte di tali controlli si rende necessario sanare uno dei vizi riscontrati ovvero ordinare il rinnovo della notifica della citazione nei confronti del convenuto non costituito o, ancora, integrare il contraddittorio nei confronti di soggetti non evocati in giudizio, il giudice, nello stesso decreto di fissazione dell’udienza, emana i provvedimenti conseguenti, differendo, ove occorra, l’udienza di cui all’art. 183 cod. proc. civ.

Per altro verso, con il medesimo decreto di cui all’art. 171-bis cod. proc. civ., il giudice deve indicare alle parti le altre questioni rilevate d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione, anche con riguardo alle condizioni di procedibilità della domanda e alla sussistenza dei presupposti per procedere con rito semplificato.

I due ordini di intervento che il giudice può compiere nelle verifiche preliminari si sostanziano in attività diverse: la prima è finalizzata alla sanatoria di un vizio processuale o all’estensione (necessaria o opportuna che sia) del contraddittorio e la seconda a consentire alle parti di esercitare il doveroso contraddittorio sull’esercizio del potere ufficioso, imposto ormai, oltre che sul piano costituzionale dal rispetto degli artt. 24 e 111 Cost., anche dall’art. 101, secondo comma, cod. proc. civ. con riguardo al processo civile.

In proposito, la Relazione illustrativa al d.lgs. n. 149 del 2022 ha sottolineato che «in un sistema che aspira a realizzare il canone della concentrazione, e per il quale dunque, salvi i rari casi di chiamata del terzo da parte dell’attore, all’udienza la causa deve tendenzialmente sempre giungere con il perimetro del thema decidendum e del thema probandum già definito [...], non era possibile immaginare che il giudice fosse chiamato a compiere tutte le verifiche preliminari di sua competenza all’udienza stessa».

Nell’ottica del legislatore, l’anticipazione di una serie di attività al decreto di fissazione dell’udienza è volta a evitare che, dopo che sia stato imposto alle parti lo scambio delle tre memorie in via anticipata e senza poter entrare in contatto con il giudice, si possa giungere alla prima udienza e vederne disposto lo spostamento con l’assegnazione di nuovi termini per il deposito di ulteriori memorie, integrative di quelle già depositate.

L’intento perseguito dalla riforma è quello di giungere, di norma, alla prima udienza con l’eliminazione o la sanatoria di eventuali vizi processuali emersi nella fase introduttiva del processo e con la delimitazione, tendenzialmente definitiva, del perimetro del quod decidendum e del quod probandum, stante le deduzioni delle parti formulate nelle memorie integrative.

5.3.– La possibilità di evitare la regressione del giudizio, mediante i provvedimenti emessi e i rilievi effettuati nel decreto di fissazione dell’udienza, è peraltro tendenziale e non già assoluta, poiché resta fermo che le attività sananti e l’indicazione delle questioni rilevabili d’ufficio, che l’art. 171-bis cod. proc. civ. affida al giudice in sede di verifiche preliminari, non trovano comunque in esse, sul piano logico e cronologico, un limite ultimo oltre il quale opera uno sbarramento, per consumazione del potere, alla eventuale successiva rilevazione di tali questioni; la quale comunque potrà ancora avvenire sino al momento previsto dalla legge per ciascuna di esse. Momento che, ad esempio, quanto al rilievo della mancata partecipazione di un litisconsorte necessario, può essere finanche quello della decisione (anche in sede di impugnazione) della causa, onde evitare una pronuncia inutiliter data che non potrebbe essere opposta alla parte pretermessa.

Sotto altro aspetto, è lo stesso art. 183 cod. proc. civ., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022, a prevedere che solo alla prima udienza il giudice, dopo che le parti hanno interloquito tra loro in vari atti e memorie, possa autorizzare l’attore a chiamare in causa un terzo quando tale esigenza sorge dalle difese del convenuto.

5.4.– L’altra disposizione collocata dal legislatore delegato al centro della nuova fase di trattazione del processo ordinario di cognizione, accanto a quella censurata, è l’art. 171-ter cod. proc. civ., secondo cui le parti, a pena di decadenza, con le memorie integrative, possono: a) almeno quaranta giorni prima dell’udienza di cui all’art. 183 cod. proc. civ., proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto o dal terzo, nonché precisare o modificare le domande, eccezioni e conclusioni già proposte; con la stessa memoria l’attore può chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo, se l’esigenza è sorta a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta; b) almeno venti giorni prima dell’udienza, replicare alle domande e alle eccezioni nuove o modificate dalle altre parti, proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande nuove da queste formulate nella memoria di cui al numero precedente, nonché indicare i mezzi di prova ed effettuare le produzioni documentali; c) almeno dieci giorni prima dell’udienza, replicare alle eccezioni nuove e indicare la prova contraria.

In sostanza, con riferimento alle difese delle parti, si tratta – salvo che per aspetti limitati – di memorie aventi un contenuto analogo a quelle che costituivano la cosiddetta appendice scritta dell’udienza dell’art. 183 cod. proc. civ. nel sistema previgente, nell’ambito di quel “rovesciamento” della fase di introduzione e trattazione del rito ordinario di cognizione che caratterizza la riforma.

5.5.– In definitiva, nella prospettiva del legislatore, l’udienza di trattazione, in luogo di un’udienza di mero “smistamento” volta alla sanatoria di vizi processuali o, in assenza di essi, alla concessione di termini per il deposito delle tre memorie costituenti l’appendice scritta della stessa nell’assetto previgente, assurge a momento centrale del processo di primo grado nel quale il giudice, con ampia contezza sull’oggetto della controversia, ha la possibilità, anche in forza della comparizione personale delle parti, di procurarne la conciliazione ovvero di gestire in maniera efficace la controversia, decidendo sulle istanze istruttorie e calendarizzando i relativi adempimenti sino alla pronuncia della sentenza, affinché questa intervenga nel tempo più celere possibile.

6.– Passando al merito delle sollevate questioni, deve essere esaminata, in via logicamente preliminare, quella sollevata in riferimento all’art. 76 Cost.

Come si è evidenziato, secondo la prospettazione del giudice rimettente l’eccesso di delega deriverebbe dalla circostanza che nessuno, tra i pur dettagliati criteri di delega indicati dall’art. 1, comma 5, della legge n. 206 del 2021 per la riforma del rito ordinario di cognizione di primo grado, faceva riferimento al decreto di fissazione dell’udienza, che pure è uno degli aspetti fondamentali nei quali si sostanzia la nuova struttura di tale rito, senza che si possa, peraltro, ricondurre la previsione al criterio generale di delega volto a realizzare la concentrazione processuale di cui alla lettera a) della predetta disposizione, stante che la disposizione censurata sarebbe connotata da elementi contraddittori in tale direzione.

6.1.– La questione non è fondata.

Va ricordato che, in conformità alla costante giurisprudenza di questa Corte, i confini del potere legislativo delegato risultano complessivamente dalla determinazione dell’oggetto e dei principi e criteri direttivi, unitariamente considerati, con la conseguenza che, nell’ambito di tale cornice, riveniente da un’interpretazione anche sistematica e teleologica della delega, deve essere inquadrata la discrezionalità del legislatore delegato, il quale è chiamato a sviluppare, e non solo ad eseguire, le previsioni della legge di delega, potendo così ben svolgere un’attività di «riempimento» normativo, che è pur sempre esercizio delegato di una funzione «legislativa» (tra le altre, sentenze n. 79 del 2019, n. 198 del 2018 e n. 104 del 2017).

Tenendo conto, quindi, del grado di specificità dei principi e criteri direttivi e della maggiore o minore ampiezza dell’oggetto della delega, la loro interpretazione deve muovere, innanzi tutto, dalla “lettera” del testo normativo, a cui si affianca l’interpretazione sistematica sulla base della ratio legis, emergente dal contesto complessivo della legge di delega e dalle finalità che essa persegue (sentenze n. 22 e n. 7 del 2024). In sostanza, il controllo sul superamento dei limiti posti dalla legge di delega deve essere compiuto partendo dal dato letterale per poi procedere a verificare se l’attività del legislatore delegato, nell’esercizio del margine di discrezionalità che gli compete nell’attuazione della legge di delega, si sia inserito in modo coerente nel complessivo quadro normativo, rispettando la ratio della norma delegante (sentenze n. 250 e n. 59 del 2016, n. 146 e n. 98 del 2015 e n. 119 del 2013).

La discrezionalità conferita dalla legge è particolarmente ampia quando la delega riguarda, come nella fattispecie in esame, un intervento normativo molto esteso su settori dell’ordinamento che, per la complessità dei rapporti e la tecnicità e interconnessione delle regole, mal si prestano ad esame ed approvazione diretta delle Camere (sentenza n. 84 del 2024): in questi casi, infatti, i principi e criteri direttivi della legge di delega tracciano gli obiettivi ed esprimono le linee di fondo delle scelte del legislatore delegante, con conseguente ampiezza del potere e dell’«attività di “riempimento” normativo» conferiti al legislatore delegato (sentenze n. 22 del 2024 e n. 166 del 2023).

Con riferimento alla questione sollevata dal giudice a quo, se effettivamente l’art. 1, comma 5, della legge n. 206 del 2021 non fa specifico riferimento all’emanazione da parte del giudice, prima dell’udienza di comparizione e trattazione, di alcun provvedimento, non di meno la disposizione censurata si colloca coerentemente nell’ambito degli altri criteri di delega enucleati per la fase introduttiva e di trattazione del giudizio ordinario di cognizione di primo grado.

Infatti, la previsione ad opera della legge delega di uno scambio di memorie tra le parti prima della celebrazione dell’udienza sarebbe stata inutile o addirittura dannosa per l’auspicata concentrazione processuale senza un previo intervento del giudice. Sarebbe potuto accadere, come nell’esperienza dell’abrogato processo cosiddetto societario, disciplinato dal d.lgs. n. 5 del 2003, che dopo lo scambio delle memorie, il giudice dovesse rinviare l’udienza per l’esigenza di “sanare” o completare attività processuali di carattere preliminare, con conseguente necessità per le parti di depositare prima della nuova udienza altre memorie.

6.2. – In definitiva, una norma come quella espressa dall’art. 171-bis cod. proc. civ. è riconducibile al criterio di delega di cui all’art. 1, comma 5, lettera i), della legge n. 206 del 2021, che demanda al Governo l’introduzione di norme funzionali ad «adeguare le disposizioni sulla trattazione della causa ai principi di cui alle lettere da c) a g)», costituendone un naturale sviluppo in quanto coessenziale alla realizzazione del meccanismo del deposito delle memorie prima dell’udienza (sentenze n. 189 del 2018 e n. 278 del 2016).

Inoltre, la disposizione censurata è, al contempo, volta a realizzare il generale canone della concentrazione processuale sancito dalla lettera a) del medesimo art. 1, comma 5, della legge delega, perché orientata a ridurre le ipotesi di regressione del giudizio dopo il deposito delle memorie integrative.

7.– Non fondata è anche la questione relativa alla violazione dell’art. 3 Cost., che consiste nella deduzione del differente trattamento riservato dal primo comma dell’art. 171-bis cod. proc. civ. alle questioni rilevabili d’ufficio che possono esitare in provvedimenti ordinatori del giudice emanati con il decreto di fissazione dell’udienza (id est, quelle indicate nella prima parte del comma stesso), e tutte le altre, che devono solo essere indicate alle parti (e non sono anche decise) nel medesimo decreto.

Tale diversa regola processuale, posta dalla disposizione censurata, quanto a questioni che sono tutte rilevabili d’ufficio dal giudice, appare invero giustificata per le differenti conseguenze che l’assunzione dei provvedimenti volti alla corretta instaurazione del contraddittorio (nei confronti delle parti in causa o di altre cui è necessario estendere lo stesso) ovvero alla sanatoria di vizi degli atti introduttivi e il rilievo d’ufficio di altre questioni ad opera dell’autorità giudiziaria, hanno sui tempi di svolgimento del giudizio, sui quali sono suscettibili di incidere, dilatandoli, solo i primi, comportando, di regola, un differimento dell’udienza di trattazione.

Vi è, poi, che i provvedimenti emessi a seguito delle cosiddette “verifiche preliminari” si correlano a questioni spesso “liquide”, ossia con un basso tasso di controvertibilità, soprattutto per quanto attiene alla regolarità delle notifiche e alla rappresentanza in giudizio, mentre le altre questioni rilevabili d’ufficio non solo non sono tipizzate, ma evocano profili di maggiore controvertibilità tra le parti. Il che impedisce di ritenere integrata un’ingiustificata disparità di trattamento ridondante in una violazione dell’art. 3 Cost., poiché, come questa Corte ha costantemente affermato, una violazione del principio di eguaglianza sussiste qualora situazioni omogenee siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso e non quando alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non assimilabili (ex plurimis, sentenze n. 67 del 2023, n. 270 del 2022, n. 165 del 2020, n. 155 del 2014, n. 108 del 2006, n. 340 e n. 136 del 2004).

E ciò vieppiù alla luce dell’ampia discrezionalità della quale gode il legislatore nella conformazione degli istituti processuali (tra le più recenti, sentenze n. 228 e n. 222 del 2023, n. 230, n. 203, n. 177, n. 143 e n. 13 del 2022, n. 148 e n. 128 del 2021); discrezionalità che opera anche rispetto a norme orientate alla riduzione della durata dei giudizi (sentenza n. 74 del 2022).

8.– Infine, il Tribunale dubita della conformità dell’art. 171-bis cod. proc. civ. all’art. 24 Cost., poiché la disposizione censurata prevede l’emanazione, con decreto, di provvedimenti di carattere interlocutorio fuori udienza e senza alcun contraddittorio preventivo con le parti.

8.1.– In generale, anche recentemente, questa Corte ha precisato che il contraddittorio, «quale primaria e fondamentale garanzia del giusto processo», consiste nella «necessità che tanto l’attore, quanto il contraddittore, partecipino o siano messi in condizione di partecipare al procedimento», anche se «al legislatore è consentito di differenziare la tutela giurisdizionale con riguardo alla particolarità del rapporto da regolare» (sentenza n. 73 del 2022).

Il principio del contraddittorio costituisce un connotato intrinseco del processo (sentenza n. 93 del 2022), nel quale deve essere assicurato il diritto di difesa, «quale spetta a tutti i cittadini nei procedimenti giurisdizionali» (sentenza n. 341 del 2006).

Il «giusto processo», nel quale si attua la giurisdizione e si realizza il diritto inviolabile di difesa, comporta necessariamente che esso «si svolga nel contraddittorio tra le parti», nonché – prescrive ulteriormente l’art. 111, secondo comma, Cost. – «in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale».

Il contraddittorio è, invero, un momento fondamentale del giudizio quale cardine della ricerca dialettica della verità processuale, condotta dal giudice con la collaborazione delle parti, volta alla pronuncia di una decisione che sia il più possibile “giusta”.

Il principio del contraddittorio, infatti, chiama in causa non solo la dialettica tra le parti nel corso del processo, ma riguarda anche la partecipazione attiva del giudice.

8.2.– Proprio facendo leva su tale principio, del resto, prima ancora che intervenisse il legislatore, la giurisprudenza di legittimità aveva ritenuto la nullità della sentenza fondata sulla cosiddetta terza via, ossia quella pronunciata dal giudice attribuendo valenza decisiva a una questione rilevata d’ufficio senza aver provocato su di essa il contraddittorio con le parti in causa, in violazione, peraltro, dell’art. 183, terzo comma, cod. proc. civ., per il quale (nella formulazione all’epoca vigente) il giudice, alla prima udienza, era tenuto a segnalare alle parti le questioni rilevabili d’ufficio delle quali riteneva opportuna la trattazione (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 5 agosto 2005, n. 16577).

In seguito, la legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile) ha introdotto, con l’art. 45, comma 13, un nuovo comma, il secondo, nell’art. 101 cod. proc. civ., in base al quale il giudice, se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, riserva la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione.

Sulla predetta disposizione è da ultimo intervenuto nuovamente il legislatore proprio con il d.lgs. n. 149 del 2022, aggiungendo, con l’art. 3, comma 7, un primo periodo allo stesso secondo comma dell’art. 101 cod. proc. civ.: «[i]l giudice assicura il rispetto del contraddittorio e, quando accerta che dalla sua violazione è derivata una lesione del diritto di difesa, adotta i provvedimenti opportuni»; principio questo che informa di sé il processo civile e che, in particolare, nel giudizio di primo grado si invera nella prescrizione posta dall’art. 186 cod. proc. civ., secondo cui il giudice istruttore dà in udienza i provvedimenti opportuni sulle domande e sulle eccezioni delle parti «sentite le loro ragioni».

Anche sul piano normativo, dunque, è ormai acquisita la necessità del pieno rispetto del contraddittorio che – attraverso la contrapposizione dialettica tra tesi diverse argomentate dalle parti, anche in relazione alle questioni rilevate d’ufficio dal giudice – mira ad assicurare una decisione assunta nel rispetto del diritto inviolabile di difesa (art. 24 Cost.) e del canone del giusto processo (art. 111 Cost.). In tanto il contraddittorio adempie a tale funzione, in quanto le parti siano poste in condizione di esercitare in modo effettivo questa facoltà di interloquire, che è loro assicurata. Ed il giudice è tenuto ad esercitare i propri poteri all’interno del processo orientando gli stessi, in ogni momento, a questa regola fondante del giudizio.

8.3.– Orbene, la stessa disposizione censurata (l’art. 171-bis cod. proc. civ.) è, sotto un primo aspetto, volta proprio al rispetto di tale garanzia del contraddittorio tra le parti.

Prevede, infatti, che sin dal decreto di fissazione dell’udienza il giudice debba indicare alle parti le questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione.

Ciò è, all’evidenza, espressione dell’esigenza di garantire il contraddittorio poiché le parti sono sollecitate a sviluppare la propria posizione su di esse già nelle memorie di cui all’art. 171-ter cod. proc. civ. e poi a discuterne all’udienza di prima comparizione.

8.4.– Sotto altro aspetto, invece, la disposizione censurata, nella sua formulazione testuale, non garantisce allo stesso modo il contraddittorio laddove prevede che il giudice, prima dell’udienza di comparizione ex art. 183 cod. proc. civ. e delle memorie integrative ex art. 171-ter cod. proc. civ., operi le verifiche preliminari dalla stessa prescritte e adotti i provvedimenti conseguenti. È infatti stabilito che il giudice non si limiti ad indicare alle parti specifiche questioni di rito, anch’esse rilevate d’ufficio, quali sono quelle che attengono alla notifica degli atti introduttivi del giudizio, alla regolarità della rappresentanza delle parti, alla necessità o opportunità che il giudizio si svolga anche con la partecipazione di un altro soggetto. Il giudice va oltre: decide tali questioni, con decreto, anticipatamente rispetto all’udienza di prima comparizione e, soprattutto, le decide senza che le parti siano chiamate ad interloquire su di esse o abbiano la possibilità di farlo.

È pur vero che, in seguito, in sede di udienza di comparizione, le stesse parti, entrando in contatto con il giudice per la prima volta, possono interloquire in ordine al decreto emesso in precedenza e chiedere che il giudice, con ordinanza adottata in udienza, lo modifichi o lo revochi. Ma intanto il decreto ha posto a carico delle parti un onere processuale (di rinnovazione di una notificazione, di regolarizzazione della rappresentanza processuale, di integrazione del contraddittorio, di chiamata in causa di un terzo), che, se inadempiuto, comporta conseguenze pregiudizievoli per le parti, finanche l’estinzione del processo.

Ciò rende, in concreto, non effettiva la possibilità per le parti stesse di aver voce all’udienza di prima comparizione. Come è stato osservato in dottrina, viene meno il dialogo tra il giudice e i difensori sui vizi del contraddittorio, degli atti introduttivi e delle formalità di costituzione.

Del resto questa Corte, con riferimento alla chiamata del terzo chiesta dal convenuto nel processo del lavoro, ha precisato che «rimane […] l’esigenza di garantire il contradditorio delle parti prima che il terzo possa essere chiamato dal convenuto; contraddittorio che sarebbe sacrificato se, prima dell’udienza di discussione, il giudice potesse ammettere la chiamata del terzo disponendo, intanto, la notifica del provvedimento di fissazione e della memoria del convenuto e quindi differendo l’udienza di discussione» (sentenza n. 67 del 2023). La necessità di soddisfare l’esigenza di garanzia del contraddittorio tra le parti giustifica che il provvedimento del giudice, nel processo del lavoro, sia adottato in udienza, sentite le parti.

8.5.– Pertanto, sotto questo aspetto, la censura del giudice rimettente coglie nel segno laddove evidenzia una possibile compressione del diritto di difesa.

Ma «le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali» (sentenza n. 42 del 2017), potendo questa Corte indicarne l’interpretazione adeguatrice, orientata alla conformità a Costituzione, sì da superare un dubbio di legittimità costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 41 e n. 36 del 2024, n. 183, n. 105, n. 46 e n. 10 del 2023).

L’interpretazione adeguatrice, quando operata da questa Corte, rappresenta l’esito della valutazione delle censure di legittimità costituzionale mosse dal giudice a quo e quindi ha una valenza e portata peculiari rispetto all’ordinaria esegesi del giudice comune.

8.6.– Viene in rilievo, innanzi tutto, il potere del giudice di direzione del processo sancito dall’art. 175 cod. proc. civ. e, più in generale, dall’art. 127 cod. proc. civ., che prevedono che il giudice – e in particolare il giudice istruttore – esercita tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento, fissando le udienze che ritiene utili a tal fine e anche determinando i punti sui quali esse devono svolgersi. Inoltre – come già rilevato – il giudice deve in ogni caso assicurare il rispetto del contraddittorio e, quando accerta che dalla sua violazione è derivata una lesione del diritto di difesa, adotta i provvedimenti opportuni (art. 101, secondo comma, cod. proc. civ.).

Per un verso, allora, il giudice, in occasione delle verifiche preliminari di cui all’art. 171-bis cod. proc. civ., può apprezzare egli stesso la necessità, in concreto, che le parti interloquiscano in ordine all’oggetto del decreto che è chiamato ad adottare prima dell’udienza di comparizione; ciò perché, talora, possono esservi aspetti da chiarire con l’apporto che solo le difese delle parti possono dare.

A questo scopo, ha la possibilità di fissare, prima dell’emanazione del decreto previsto dalla disposizione censurata (anche nelle più agili forme rispetto all’udienza cosiddetta in presenza contemplate, oggi, dall’art. 127-bis cod. proc. civ.), un’udienza ad hoc, nell’ambito di quelli che sono i propri generali poteri di organizzazione e direzione del processo (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 21 febbraio 2022, n. 5624), i quali consentono sempre al giudice, ove lo ritenga opportuno, di concedere termini alle parti per il deposito di note scritte o di fissare udienze non espressamente previste dalla legge.

Per altro verso – se il giudice adotta senz’altro il decreto quando le questioni che risolve si presentano “liquide”, apparendogli scontate e indubbie (si pensi alla necessità di rinnovare una notificazione nulla) – può accadere che le parti, alle quali il decreto è comunicato, le ritengano invece controvertibili e meritevoli di interlocuzione nel contraddittorio tra loro; ciò che può verificarsi, ad esempio, se viene ordinato l’intervento di un terzo che può incidere sensibilmente sulla portata della lite. In tale evenienza, ciascuna parte può sollecitare il giudice affinché, esercitando il suo potere direttivo, fissi un’udienza ad hoc e «determin[i] i punti sui quali essa deve svolgersi» (art. 127, secondo comma, cod. proc. civ.).

Il giudice può fissarla allo scopo di vagliare le ragioni che ad avviso della parte richiedente ostano all’adozione del provvedimento, in modo da decidere subito, evitando che, ove il contraddittorio tra le parti si dispieghi solo all’udienza di trattazione, il giudizio possa subire una regressione.

Nell’uno e nell’altro caso la fissazione di un’udienza ad hoc soddisfa la necessità della piena realizzazione del contraddittorio tra le parti, pur se l’udienza di comparizione ex art. 183 cod. proc. civ. non potrà non essere differita con un qualche conseguente allungamento dei tempi del processo.

8.7.– Rimane però che, pur nel contesto di un’interpretazione adeguatrice della disposizione censurata, l’art. 175 cod. proc. civ. non può essere piegato fino a far ritenere un vero e proprio obbligo processuale del giudice, essendo il suo potere direttivo essenzialmente discrezionale.

Non può escludersi che il giudice, seppur sollecitato a farlo, ritenga di non frapporre un’udienza anticipata nell’ordinario iter processuale al solo fine di realizzare il contraddittorio tra le parti su singole questioni di rito, decise con decreto in sede di verifica preliminare; udienza anticipata che comporterebbe, il più delle volte, il differimento o la fissazione di una nuova udienza di prima comparizione e trattazione.

In tal caso – evenienza questa, di norma, residuale e verosimilmente eccezionale – la realizzazione del contraddittorio è inevitabilmente differita all’udienza di cui all’art. 183 cod. proc. civ. In quella sede il giudice, con ordinanza, potrà confermare, modificare o revocare il decreto emesso in precedenza, prendendo in esame le ragioni delle parti.

D’altra parte, il sistema processuale è strutturato nel senso che, quando si celebra l’udienza di trattazione, il giudice è tenuto in ogni caso – salvo, beninteso, che ciò sia già avvenuto in un’udienza a ciò deputata – a discutere con le parti circa la legittimità dei provvedimenti ordinatori emessi con il decreto di fissazione dell’udienza, provvedimenti che, dunque, sono assoggettati a verifica nel successivo contraddittorio con le stesse, all’esito del quale possono essere confermati, modificati o revocati. Infatti, l’ultimo comma dell’art. 171-bis cod. proc. civ. prescrive che il giudice provveda con decreto, che è un tipico provvedimento provvisorio, non motivato; il che comporta che le parti, nelle memorie integrative ex art. 171-ter cod. proc. civ., possono prendere posizione in ordine ai provvedimenti adottati dal giudice, in ipotesi chiedendone la modifica o la revoca, e il giudice debba pronunciarsi, poi, con ordinanza motivata in udienza, attraverso un modello di contraddittorio differito compatibile con l’art. 24 Cost. (sentenza n. 74 del 2022).

8.8.– Nell’evenienza in cui la parte si sia attivata sollecitando il giudice a fissare (ex art. 175 cod. proc. civ.) un’udienza anticipata al fine di realizzare il contraddittorio su una questione di rito, rilevata d’ufficio dal giudice stesso e decisa con decreto, l’ordinanza adottata nell’udienza di prima comparizione non potrà comportare preclusioni o decadenze per la parte stessa ove questa, in ipotesi, non abbia posto in essere quell’attività processuale prescritta con il decreto, confidando nella possibilità di prospettare le proprie ragioni al giudice in sede di anticipato contraddittorio tra le parti. Ciò perché il giudice deve assicurare (ex art. 101 cod. proc. civ.) una interlocuzione alla parte che la chiede e realizzare, pur se ormai solo all’udienza di comparizione, quel contraddittorio sollecitato anticipatamente e che prima non ha trovato risposta.

Se il contradditorio, anche in presenza di un’istanza, è stato negato, la parte diligente, soprattutto quella attrice, non può rischiare di veder compromesso, con una decisione processuale di absolutio ad instantia o di estinzione del giudizio, il diritto a conseguire il bene della vita sotteso alla domanda giudiziale che costituisce lo scopo ultimo del processo (sentenza n. 77 del 2007), senza che sia tenuta, per evitare detto effetto, a conformarsi a un ordine giudiziale che ha, nell’immediatezza, rappresentato all’autorità giudiziaria di non condividere.

8.9.– L’incisività delle conseguenze che possono derivare dal mancato rispetto di uno dei provvedimenti propulsivi emanati dal giudice con il decreto di fissazione dell’udienza comporta, allora, che il sistema, per essere compatibile con il principio del contraddittorio, debba essere ricostruito nel senso che, se una delle parti chiede la fissazione di un’udienza ad hoc per contestare il provvedimento emesso dal giudice senza averle sentite, e il giudice disattende detta istanza, non può quest’ultimo, una volta rimasto inadempiuto l’ordine in questione, assumere i provvedimenti “sanzionatori” in chiave processuale se conferma la propria decisione, dopo l’esplicazione del dovuto contraddittorio, all’udienza di trattazione, ma adotta quelli necessari per l’ulteriore corso del giudizio. La conferma comporta soltanto che la parte è onerata ad adempiere, nel termine perentorio indicato dal giudice alla stessa udienza ex art. 183 cod. proc. civ., a detto ordine giudiziale, incorrendo solo allora, in difetto, nelle ordinarie “sanzioni” processuali per la propria inattività.

In questa situazione – residuale e verosimilmente eccezionale, si è già detto – la conseguente regressione del giudizio incide inevitabilmente sulla durata del processo. Tuttavia, a riguardo va ribadito che l’esigenza della rapidità del processo insita nel canone della sua «ragionevole durata» non può pregiudicare la completezza del sistema delle garanzie della difesa e comprimere oltre misura il «contraddittorio tra le parti» (art. 111, secondo comma, Cost.). Un processo non «giusto», perché carente sotto il profilo delle garanzie, non è conforme al modello costituzionale, quale che sia la sua durata (sentenze n. 116 e n. 67 del 2023, n. 111 del 2022 e n. 317 del 2009).

8.10.– Invece, ove la parte onerata dell’adempimento processuale prescritto nel decreto emesso ex art. 171-bis cod. proc. civ. non abbia sollecitato il giudice a realizzare il contraddittorio anche prima dell’udienza di comparizione esercitando il potere direttivo di cui all’art. 175 cod. proc. civ., non vi sarebbe, in concreto, un siffatto vulnus al diritto di difesa, né l’esigenza di protezione dell’affidamento della parte nel preventivo dispiegarsi del contraddittorio prima dell’udienza di trattazione. Rimarrebbero, nel caso di conferma, con ordinanza, del decreto ex art. 171-bis cod. proc. civ., le ordinarie conseguenze della mancata ottemperanza all’onere processuale, fermi restando i mezzi impugnatori (reclamo o appello, secondo i casi), che anch’essi, comunque, sono espressione del diritto di difesa.

8.11.– In sintesi, anche se le verifiche preliminari ex art. 171-bis cod. proc. civ. hanno ad oggetto questioni di rito normalmente “liquide” – e ciò giustifica la loro decisione con decreto del giudice prima dell’udienza di comparizione e trattazione in un’ottica di concentrazione e speditezza del processo, in coerenza con la ratio sottesa alla disposizione censurata e con lo spirito complessivo della legge di delega – per altro verso, non è sacrificato il contraddittorio delle parti nella misura in cui, quando emerga l’esigenza che questo debba dispiegarsi, il giudice possa adottare, nei modi sopra indicati, provvedimenti che salvaguardino il diritto di difesa.

Così interpretata, la disposizione censurata risulta non essere in contrasto con l’evocato parametro (art. 24 Cost.).

Peraltro, il legislatore delegato della recente riforma del processo civile mostra di voler intervenire per superare alcune criticità dell’art. 171-bis cod. proc. civ. esercitando ulteriormente la delega mediante decreto correttivo, come previsto dalla stessa legge di delega n. 206 del 2021 (XIX Legislatura, atto del Governo sottoposto a parere parlamentare n. 137).

9.– In conclusione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 171-bis del codice di procedura civile, sollevata in riferimento all’art. 77 Cost., va dichiarata inammissibile; le questioni sollevate in riferimento agli artt. 3 e 76 Cost. vanno dichiarate non fondate; la questione sollevata in riferimento all’art. 24 Cost. va dichiarata non fondata, nei termini sopra indicati.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 171-bis del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento all’art. 77 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Verona, prima sezione civile, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 171-bis cod. proc. civ., sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 76 Cost., dal Tribunale ordinario di Verona, prima sezione civile, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

3) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 171-bis cod. proc. civ., sollevata, in riferimento all’art. 24 Cost., dal Tribunale ordinario di Verona, prima sezione civile, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 maggio 2024.

F.to:

Franco MODUGNO, Presidente

Giovanni AMOROSO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 3 giugno 2024