Sentenza n. 222 del 2022

SENTENZA N. 222

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA;

Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 15, 17 e 24 della legge della Regione Lombardia 6 agosto 2021, n. 15 (Assestamento al bilancio 2021-2023 con modifiche di leggi regionali), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato l’11 ottobre 2021, depositato in cancelleria il 14 ottobre 2021, iscritto al n. 62 del registro ricorsi 2021 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visto l’atto di costituzione della Regione Lombardia;

udito nell’udienza pubblica del 4 ottobre 2022 il Giudice relatore Giulio Prosperetti;

uditi l’avvocato dello Stato Alfonso Peluso per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Alessandra Zimmitti e Piera Pujatti per la Regione Lombardia;

deliberato nella camera di consiglio del 6 ottobre 2022.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato l’11 ottobre 2021 e depositato il successivo 14 ottobre (reg. ric. n. 62 del 2021), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 15, 17 e 24 della legge della Regione Lombardia 6 agosto 2021, n. 15 (Assestamento al bilancio 2021-2023 con modifiche di leggi regionali).

2.– Il ricorrente impugna l’art. 15 della legge reg. Lombardia n. 15 del 2021 per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, ritenendolo lesivo della competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, in quanto in contrasto con gli artt. 1, comma 1 [, lettera b)], e con l’Allegato 3, capitolo 2.1., schede prodotti numeri 21), 22) e 23) del decreto legislativo 29 aprile 2010, n. 75 (Riordino e revisione della disciplina in materia di fertilizzanti, a norma dell’articolo 13 della legge 7 luglio 2009, n. 88), con gli artt. 184 e 184-ter, comma 5, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), e con gli artt. 9, comma 3, 13 e 15 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99 (Attuazione della direttiva 86/278/CEE concernente la protezione dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura).

2.1.– L’articolo impugnato stabilisce che: «l. Al fine di salvaguardare la qualità delle produzioni agricole o anche dei suoli e prevenire l’insorgere di fenomeni o processi di degrado e di inquinamento ambientale, nonché a tutela della salute, i fanghi impiegabili per la produzione dei gessi di defecazione da fanghi, dei gessi di defecazione o dei carbonati di calcio da defecazione per il relativo utilizzo sui suoli della regione sono quelli idonei all’utilizzo agronomico e conformi agli standard ai sensi della normativa statale e della specifica disciplina regionale attuativa di riferimento. 2. In applicazione del principio di precauzione nell’azione in materia ambientale e nelle more della revisione del decreto legislativo 27 gennaio 1992 n. 99 (Attuazione della direttiva n. 86/278/CEE concernente la protezione dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura), all’utilizzo del “gesso di defecazione da fanghi”, secondo quanto previsto dalla scheda prodotto n. 23) dell’Allegato 3, capitolo 2.l., del decreto legislativo 29 aprile 2010, n. 75 (Riordino e revisione della disciplina in materia di fertilizzanti, a norma dell’articolo 13 della legge 7 luglio 2009, n. 88), si applicano le regole di tracciabilità, di cui agli articoli 9, comma 3, 13 e 15 del d.lgs. 99/1992, previste per l’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura. 3. Le disposizioni di cui al comma 2 si applicano anche al “carbonato di calcio da defecazione” e al “gesso di defecazione”, ottenuti da fanghi di depurazione. 4. Con una o più deliberazioni, la Giunta regionale può stabilire, per le finalità di cui al comma l, eventuali ulteriori aspetti della disciplina sull’utilizzo dei fanghi in agricoltura da applicare ai gessi di defecazione da fanghi, ai gessi di defecazione e ai carbonati di calcio da defecazione, prodotti utilizzando fanghi di depurazione. 5. Le previsioni di cui ai commi da 1 a 4 si applicano agli utilizzi in agricoltura effettuati a partire dal 1 febbraio 2022. 6. Fermo restando quanto previsto al comma 5, entro centottanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, le autorità competenti riesaminano le autorizzazioni già rilasciate per la produzione dei fertilizzanti di cui al comma l, ai fini dell’adeguamento alle disposizioni di cui al presente articolo».

2.2.– In proposito, l’Avvocatura generale dello Stato rileva che l’art. 1, comma 1, [recte: l’art. 2, comma 1] lettera aa), del d.lgs. n. 75 del 2010 stabilisce la definizione di «correttivi» come «materiali da aggiungere al suolo in situ principalmente per modificare e migliorare proprietà chimiche anomale del suolo dipendenti da reazione, salinità, tenore in sodio, i cui tipi e caratteristiche sono riportati nell’allegato 3» e che l’Allegato 3, capitolo 2, del d.lgs. n. 75 del 2010 nell’elencare, per tutti i tipi di correttivi, le modalità di preparazione, i componenti essenziali e gli altri requisiti e caratteristiche, prevede nella scheda prodotto numero 23) – recante le prescrizioni per la preparazione del correttivo denominato «gesso di defecazione da fanghi» – che solo per la sua produzione sia consentito l’utilizzo dei fanghi di depurazione delle acque reflue, diversamente da quanto invece stabilito nelle schede prodotti numeri 21) e 22), tabella 2.1 «Correttivi calcici e magnesiaci», colonna 3 «Modo di preparazione e componenti essenziali», relativi ai correttivi «[g]esso di defecazione» e «[c]arbonato di calcio di defecazione».

Pertanto, il ricorrente ritiene che i commi 1, 3 e 4 dell’art. 15 della legge reg. Lombardia n. 15 del 2021, nello stabilire che per la preparazione dei correttivi «[g]esso di defecazione» e «[c]arbonato di calcio di defecazione» possano essere impiegati i fanghi di depurazione delle acque reflue, si pongano in evidente contrasto con la disciplina statale richiamata, violando l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. che riserva allo Stato la competenza legislativa in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.

La difesa dello Stato reputa, poi, che il comma 2 dell’art. 15 della legge reg. Lombardia n. 15 del 2021, estendendo al correttivo «[g]esso di defecazione da fanghi» l’applicazione delle regole di tracciabilità stabilite per i fanghi di depurazione dagli artt. 9, comma 3, 13 e 15 del d.lgs. n. 99 del 1992, contrasti «sia con le disposizioni contenute nel d.lgs. 75/2010 che riconoscono ai fertilizzanti conformi alle disposizioni in esso contenute il titolo di prodotto, e sia con le disposizioni di cui al comma 5 dell’art. 184-ter del d.lgs. 152/2006, che prevedono l’applicabilità della disciplina in materia di rifiuti, nell’ambito di un’operazione di recupero, esclusivamente sino alla cessazione della qualifica di rifiuto ovvero, nel caso specifico del “gesso di defecazione da fanghi”, sino alla preparazione del correttivo secondo le specifiche riportate nella scheda 23, dell’allegato 3, punto 2, del d.lgs. 75/2010, e non durante il successivo utilizzo».

Per queste ragioni, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna le anzidette disposizioni regionali per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

2.3.– L’Avvocatura generale impugna anche l’art. 17 della legge reg. Lombardia n. 15 del 2021, ai sensi del quale «1. Alle Aziende di Servizi alla Persona (ASP) derivanti dalla trasformazione delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza in attuazione della legge regionale 13 febbraio 2003, n. 1 (Riordino della disciplina delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza operanti in Lombardia), che rientrano nella rete territoriale regionale quali enti gestori di unità di offerta preposte all’erogazione dei livelli di assistenza di cui al capo IV “Assistenza sociosanitaria” del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017 (Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502), che hanno dovuto affrontare i maggiori costi legati alla gestione dell’emergenza sanitaria entro un quadro normativo che le esclude dal campo di applicazione dei soggetti che possono beneficiare della Cassa Integrazione Guadagni – D.Lgs. 150/2015 e successivi, L. 178/2020, D.L. 41/2021, D.L. 73/2021 – è possibile riconoscere fino al 100 per cento del budget assegnato nell’ambito dei contratti sottoscritti per l’esercizio 2020. Il predetto riconoscimento tiene conto sia dell’attività ordinariamente erogata nel corso dell’anno 2020 di cui deve essere rendicontata l’effettiva produzione, sia, fino a concorrenza del predetto limite massimo del 100 per cento del budget sottoscritto, di un contributo una tantum legato all’emergenza in corso ed erogato a ristoro dei soli costi fissi a rilevanza sanitaria sostenuti dalle ASP. A tal fine si applicano le modalità previste per l’attuazione delle norme di cui agli articoli 4, commi 5-bis e 5-ter, e 109 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19) convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77. 2. La spesa di cui al comma 1 trova copertura nel quadro delle risorse previste a legislazione vigente sull’esercizio 2020».

In proposito, il ricorrente evidenzia che le Aziende di servizi alla persona (ASP) operanti in Lombardia derivano dalla trasformazione delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB) e apparterrebbero al settore sanitario, presentando un peculiare regime giuridico.

L’Avvocatura evidenzia il contrasto della disposizione impugnata con l’art. 4, commi 5-bis e 5-ter, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77, che attribuisce alle regioni e Province autonome di Trento e Bolzano la possibilità di riconoscere alle «strutture private accreditate» destinatarie di un budget «fino a un massimo del 90 per cento del budget assegnato nell’ambito degli accordi e dei contratti di cui all’articolo 8-quinquies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, stipulati per l’anno 2020, ferma restando la garanzia di riequilibrio economico del Servizio sanitario regionale» (comma 5-bis).

Ad avviso del ricorrente, infatti, il «riconoscimento del 100% del budget previsto dall’articolo 17 della legge in esame» deve ritenersi «contrario alla ratio della norma nazionale e induce una spesa non giustificata dalle attività assistenziali a carico del SSR lombardo», con la conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., che stabilisce la competenza legislativa esclusiva statale in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e dell’art. 117, terzo comma, Cost. che attribuisce allo Stato il compito di stabilire i principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica.

2.4.– Infine, il ricorrente impugna l’art. 24 della legge reg. Lombardia n. 15 del 2021 per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., nonché degli artt. 3, 41 e 120 Cost., ritenendolo in contrasto con le previsioni dell’art. 3, comma 29, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica).

Ad avviso del ricorrente, infatti, la disposizione impugnata, nel novellare l’art. 53 della legge della Regione Lombardia 14 luglio 2003, n. 10 (Riordino delle disposizioni legislative regionali in materia tributaria – Testo unico della disciplina dei tributi regionali), si sarebbe discostata dai criteri previsti dal suddetto art. 3, comma 29, della legge n. 549 del 1995, prevedendo una tassazione più elevata rispetto a quella consentita dalla legislazione statale.

Inoltre, secondo la difesa dello Stato, la disposizione impugnata «oltre a violare il suddetto parametro statale interposto costituito dalla legge n. 549/1995, si traduce di fatto in una misura potenzialmente limitativa all’introduzione di rifiuti speciali di provenienza extraregionale, con il conseguente concretarsi di un ostacolo alla libera circolazione delle cose. Trattasi di una imposizione tributaria superiore alla misura massima prevista dal legislatore nazionale, che colpisce la circolazione dei beni e che si appalesa di per sé discriminatoria nei confronti di soggetti collocati fuori dal territorio regionale».

Da ciò deriverebbe il contrasto della norma con i parametri di cui agli artt. 3, 41 e 120 Cost., in quanto questa, ad avviso del ricorrente: «a. introduce un trattamento sfavorevole per le imprese esercenti l’attività di smaltimento operanti al di fuori del territorio regionale; b. restringe la libertà di iniziativa economica in assenza di concrete e giustificate ragioni attinenti alla tutela della sicurezza, della libertà e della dignità umana, valori che non possono ritenersi posti in pericolo dall’attività di smaltimento controllato e ambientalmente compatibile dei rifiuti; c. introduce un ostacolo alla libera circolazione di cose tra le Regioni, senza che sussistano ragioni giustificatrici, neppure di ordine sanitario o ambientale (cfr. sentenza n. 335 del 2001), violando il vincolo generale imposto alle Regioni dall’art. 120, primo comma, Cost.».

L’Avvocatura generale dello Stato ritiene, inoltre, che la disposizione impugnata si ponga in contrasto con quanto recentemente stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 82 del 2021, in tema di aumento del tributo speciale per il conferimento in discarica di rifiuti provenienti da fuori Regione. In tale decisione, infatti, è stato chiarito che il riconoscimento dell’autonomia finanziaria delle regioni in materia ambientale e la conseguente differenziazione impositiva tra regioni «non può […] mai degenerare in un’ulteriore differenziazione stabilita solo in ragione del mero transito di un determinato bene attraverso il confine regionale».

3.– Con atto depositato in data 10 novembre 2021, si è costituita in giudizio la Regione Lombardia, che ha integrato tale atto, in data 4 agosto 2022, con una ulteriore memoria difensiva.

3.1.– La resistente nelle proprie difese evidenzia che, a far data dal 21 dicembre 2021, l’art. 15 della legge reg. Lombardia n. 15 del 2021 è stato modificato.

Più precisamente, il comma 3 di detto articolo è stato abrogato dall’art. 20, comma 1, lettera b), della legge della Regione Lombardia 16 dicembre 2021, n. 23 (Seconda legge di revisione normativa ordinamentale 2021), mentre i commi 1 e 4 sono stati riformulati dall’art. 20, comma l, lettere a) e c), della medesima legge regionale che hanno, rispettivamente, soppresso le parole, presenti nei testi previgenti, «dei gessi di defecazione o dei carbonati di calcio da defecazione» e «ai gessi di defecazione e ai carbonati di calcio da defecazione, prodotti utilizzando fanghi di depurazione».

Alla luce di tali modifiche, la Regione Lombardia sostiene che per le relative questioni sia intervenuta la cessazione della materia del contendere, in quanto le sopravvenienze normative dovrebbero considerarsi pienamente satisfattive delle censure promosse dal ricorrente e le norme impugnate non avrebbero trovato applicazione medio tempore, essendo previsto dal comma 5 dello stesso art. 15 che si applicassero agli utilizzi in agricoltura solo a partire dal 1° febbraio 2022, mentre lo ius superveniens è entrato in vigore il 21 dicembre 2021.

Quanto, invece, alle censure aventi ad oggetto il comma 2 dell’art. 15, rimasto immutato, la difesa regionale evidenzia che la disposizione impugnata è finalizzata ad ostacolare pratiche abusive e a garantire una maggiore difesa dell’ambiente, anche in relazione alla competenza regionale esclusiva in materia di agricoltura e di quella, concorrente, in materia di tutela della salute.

Detta disposizione sarebbe stata introdotta, in applicazione del principio di precauzione e, comunque, con carattere di transitorietà e cedevolezza rispetto alla normativa nazionale, allo scopo di accrescere il livello di tutela ambientale del territorio regionale.

3.2.– La difesa regionale sostiene, poi, l’inammissibilità e, in ogni caso, la non fondatezza del ricorso anche con riferimento alle censure aventi ad oggetto l’art. 17 della legge reg. Lombardia n. 15 del 2021.

In proposito, la Regione evidenzia che la norma impugnata ha l’obiettivo di ristorare finanziariamente le ASP, tenuto conto che le stesse hanno dovuto affrontare i maggiori oneri connessi all’emergenza epidemiologica, anche in considerazione dell’esclusione del proprio personale dai benefici della cassa integrazione guadagni.

La specifica misura adottata sarebbe, in altri termini, funzionale al perseguimento di obiettivi afferenti alla tutela della salute sul territorio e andrebbe, pertanto, considerata nell’ambito della materia di legislazione concorrente della tutela della salute di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.

In proposito, la Regione Lombardia evidenzia che la Corte costituzionale ha avuto modo di osservare, anche nella recente sentenza n. 9 del 2022, che l’organizzazione sanitaria è parte integrante della materia «tutela della salute» di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost., per cui la disposizione regionale impugnata risulterebbe del tutto legittima.

4.– Infine, la Regione Lombardia sostiene l’inammissibilità e, comunque, la non fondatezza delle censure formulate nel ricorso avverso l’art. 24 della legge regionale n. 15 del 2021, difendendosi anche nel merito.

In particolare, la Regione Lombardia, premessa una articolata ricostruzione della normativa regionale in rapporto alle norme interposte, ritiene che la maggiorazione stabilita dall’art. 53, comma 8, della legge reg. Lombardia n. 10 del 2003, prevista esclusivamente per i rifiuti derivanti dal trattamento da impianti di altre regioni nei quali vengono trattati anche rifiuti urbani, intende dare specifica e concreta attuazione ai principi di autosufficienza e prossimità, allo scopo di ridurre quanto più possibile la movimentazione dei rifiuti stessi.

Pertanto le censure promosse nel ricorso avverso l’art. 24 della legge reg. Lombardia n. 15 del 2021 dovrebbero ritenersi totalmente prive di fondamento.

Considerato in diritto

1.– Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 62 del 2022), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 15, 17 e 24 della legge reg. Lombardia n. 15 del 2021.

1.2.– Il ricorrente impugna l’art. 15 della legge reg. Lombardia n. 15 del 2021 per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., ritenendo che i commi 1, 3 e 4, nello stabilire che, per la preparazione dei correttivi «[g]esso di defecazione» e «[c]arbonato di calcio da defecazione», possano essere impiegati i fanghi di depurazione delle acque reflue, si pongano in contrasto con la disciplina statale contenuta nel d.lgs. n. 75 del 2010, che consente l’utilizzazione dei fanghi solo con riferimento al correttivo «gesso di defecazione da fanghi».

Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, anche il comma 2 dell’art. 15 violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto prevede la tracciabilità del «gesso di defecazione da fanghi», qualificato dal d.lgs. n. 75 del 2010 come «correttivo», rinviando alla disciplina stabilita dagli artt. 9, comma 3, 13 e 15 del d.lgs. n. 99 del 1992 per i fanghi, considerati invece dalla legge statale come rifiuti.

1.3.– È, inoltre impugnato, l’art. 17 della legge reg. Lombardia n. 15 del 2021 con cui la Regione Lombardia riconosce alle Aziende di servizi alla persona (ASP) «fino al 100 per cento del budget assegnato nell’ambito dei contratti sottoscritti per l’esercizio 2020», in preteso contrasto con quanto stabilito dall’art. 4, commi 5-bis e 5-ter, del d.l. n. 34 del 2020 come convertito, che attribuisce alle regioni e Province autonome di Trento e Bolzano la possibilità di riconoscere alle strutture destinatarie di un budget «fino a un massimo del 90 per cento del budget assegnato nell’ambito degli accordi […] stipulati per l’anno 2020, ferma restando la garanzia dell’equilibrio economico del Servizio sanitario regionale» (comma 5-bis).

Ad avviso del ricorrente, infatti, il riconoscimento del 100 per cento del budget previsto dalla disposizione regionale determinerebbe la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in materia di livelli essenziali delle prestazioni, in quanto sottrarrebbe le risorse assegnate a questi, e dell’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di coordinamento della finanza pubblica.

1.4.– Infine, è impugnato l’art. 24 della legge regionale n. 15 del 2021, che ha novellato l’art. 53, in particolare il comma 8 della legge n. 10 del 2003 (che all’epoca non era stata impugnata), in quanto ritenuto lesivo dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che stabilisce la competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, e degli artt. 3, 41 e 120 Cost., poiché in contrasto con le previsioni dell’art. 3, comma 29, della legge n. 549 del 1995.

2.– In relazione all’impugnazione dei commi 1, 3 e 4 dell’art. 15 della legge reg. Lombardia n. 15 del 2021 va, preliminarmente, dichiarata la cessazione della materia del contendere a seguito delle novità normative intervenute dopo la proposizione del ricorso.

A decorrere dal 21 dicembre 2021, infatti, il comma 3 dell’art. 15 della legge reg. Lombardia n. 15 del 2021 è stato abrogato dall’art. 20, comma 1, lettera b), della legge reg. Lombardia n. 23 del 2021, mentre i commi 1 e 4 dello stesso articolo sono stati riformulati dall’art. 20, comma l, lettere a) e c), della medesima legge regionale, che hanno soppresso le parole, presenti nei rispettivi testi previgenti, «dei gessi di defecazione o dei carbonati di calcio da defecazione» e «ai gessi di defecazione e ai carbonati di calcio da defecazione, prodotti utilizzando fanghi di depurazione.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, «la modifica normativa della norma oggetto di questione di legittimità costituzionale in via principale intervenuta in pendenza di giudizio determina la cessazione della materia del contendere quando ricorrono simultaneamente le seguenti condizioni: occorre che il legislatore abbia abrogato o modificato le norme censurate in senso satisfattivo delle pretese avanzate con il ricorso e occorre che le norme impugnate, poi abrogate o modificate, non abbiano ricevuto applicazione medio tempore» (sentenza n. 238 del 2018; nello stesso senso, ex multis, sentenze n. 185, n. 171 e n. 44 del 2018).

Nel caso in esame, le sopravvenienze normative, anche tenendo conto di quanto affermato dalla difesa erariale in pubblica udienza, possono senz’altro considerarsi satisfattive rispetto alle doglianze che avevano originato l’impugnativa e le norme impugnate non hanno trovato applicazione medio tempore, considerato che il comma 5 dell’art. 15 della legge reg. Lombardia n. 15 del 2021 ne stabiliva l’applicazione a partire dal 1° febbraio 2022, mentre lo ius superveniens è entrato in vigore il 21 dicembre 2021.

Va, pertanto, dichiarata cessata la materia del contendere in ordine alle dette questioni.

3.– Quanto, invece, alle censure aventi ad oggetto il comma 2 dell’art. 15 della legge reg. Lombardia n. 15 del 2021, la relativa questione non è fondata.

La disposizione impugnata, estendendo all’utilizzo del correttivo «gesso di defecazione da fanghi» le regole di tracciabilità di cui agli artt. 9, comma 3, 13 e 15 del d.lgs. n. 99 del 1992, previste per l’utilizzazione dei fanghi in quanto rifiuti, non disciplina, infatti, una materia riconducibile a quella della tutela dell’ambiente, attribuita come tale alla potestà legislativa esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Trattandosi di regolamentare l’uso di un correttivo destinato, secondo quanto stabilito dal d.lgs. n. 75 del 2010, agli utilizzi in agricoltura allo scopo di modificare e migliorare le proprietà chimiche del suolo, si deve, infatti, ritenere che il legislatore regionale sia legittimamente intervenuto sul punto, nell’esercizio della propria competenza nella materia «agricoltura», di carattere residuale per le regioni a statuto ordinario (ex plurimis, sentenze n. 62 del 2013, n. 116 del 2006, n. 282 e n. 12 del 2004).

Sebbene la giurisprudenza di questa Corte sia costante nel ritenere che la disciplina della gestione dei rifiuti deve essere ricondotta alla «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» (ex plurimis, sentenze n. 289 e n. 142 del 2019, n. 215, n. 151 e n. 150 del 2018) e che il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale è riservato allo Stato, ferma restando la competenza delle regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali (ex plurimis, sentenze n. 129 del 2019, n. 215, n. 151 e n. 150 del 2018, n. 85 del 2017), nel caso di specie il riferimento a una sostanza qualificata come rifiuto (i fanghi) è stato fatto dalla norma impugnata come mero rinvio materiale alle relative regole di tracciabilità, al solo scopo di prevederne l’applicazione anche per la sostanza correttiva «gesso di defecazione da fanghi». La disciplina dell’impiego di tale correttivo è, invece, come si è detto, riconducibile alla materia «agricoltura».

La questione, pertanto, deve essere dichiarata non fondata.

4.– Va, invece, dichiarata l’inammissibilità delle questioni aventi ad oggetto l’art. 17 della legge reg. Lombardia n. 15 del 2021, impugnato per la ritenuta violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, e dell’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di coordinamento della finanza pubblica.

In proposito, risulta decisiva, con riferimento alle norme interposte invocate come parametro dal ricorso statale – l’art. 4, commi 5-bis e 5-ter, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, che si riferisce a «strutture private accreditate» – la circostanza che le strutture destinatarie, le ASP, non rientrano nella suddetta categoria delle «strutture private accreditate» e che il ricorrente non spiega, in alcun modo, le ragioni del contrasto della norma impugnata con i parametri costituzionali invocati.

Per quanto esposto, l’impugnazione è, pertanto, inammissibile per difetto di motivazione sulle ragioni del contrasto fra la disposizione impugnata e i parametri costituzionali ritenuti lesi (ex multis, sentenza n. 215 del 2015).

5.– Con riferimento alle censure aventi ad oggetto l’art. 24 della legge reg. Lombardia n. 15 del 2021, la Regione, nelle sue difese, ha eccepito l’inammissibilità delle questioni concernenti le disposizioni dell’articolo impugnato diverse da quelle del comma 1, lettera g), del medesimo art. 24, che ha novellato il comma 8 dell’art. 53 della legge reg. Lombardia n. 10 del 2003.

A ben vedere, non vi è, effettivamente, piena corrispondenza tra il ricorso dell’Avvocatura generale dello Stato e la delibera del Consiglio dei ministri che l’ha autorizzato, in quanto il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato solo l’articolo 24, comma 1, lettera g) che novella il comma 8 dell’articolo 53 della legge reg. n. 10 del 2003 e non le ulteriori disposizioni contenute nell’articolo 24, il che determina l’inammissibilità del ricorso sul punto.

Questa Corte, infatti, ha costantemente affermato, con riferimento alle questioni proposte in via principale, il necessario requisito della suddetta corrispondenza tra il ricorso e la delibera del Consiglio dei ministri che l’ha autorizzato (ex plurimis, sentenze n. 199 del 2020, n. 83 del 2018, n. 152 del 2017, n. 265 e n. 239 del 2016).

5.1.– Si deve rilevare che anche la questione avente ad oggetto la disposizione effettivamente impugnata, che novella il comma 8 dell’art. 53 della legge reg. Lombardia n. 10 del 2003, deve essere dichiarata inammissibile.

Va evidenziato, in proposito, che l’art. 24, comma 1, lettera g), della legge reg. Lombardia n. 15 del 2021 ha modificato il comma 8 dell’art. 53 della legge regionale n. 10 del 2003, limitandosi però a disporre la sostituzione delle parole «e 5, lettera a)» con le parole «e 5», per una esigenza di adeguamento della norma alle modifiche apportate dal medesimo art. 24 e lasciando immutate le previgenti previsioni della norma.

La parte della disposizione su cui si appuntano le censure del ricorrente, quella che stabilisce la maggiorazione del 50 per cento delle aliquote per i rifiuti che provengono da comuni ubicati fuori del territorio regionale, non è, pertanto, stata introdotta dalla norma impugnata che, come rilevato, si è limitata ad eliminare il riferimento alla lettera a) del comma 5; invero tale lettera non era più esistente, stante la riformulazione dell’intero comma 5, come prevista dalla lettera d) dello stesso art. 24.

Pertanto l’impugnativa del Presidente del Consiglio dei ministri va dichiarata inammissibile, poiché riguarda in realtà disposizioni già contenute nel testo originario del comma 8 dell’art. 53 della legge regionale n. 10 del 2003, a suo tempo non impugnate.

La giurisprudenza di questa Corte è, infatti, costante nel ritenere che i termini per la notifica e per il deposito del ricorso devono intendersi stabiliti a pena di decadenza, perché se così non fosse le controversie fra lo Stato e le regioni potrebbero essere «instaurate sine die» (ex multis, sentenza n. 121 del 2010).

Né, nel caso in esame, trattandosi della modifica di un semplice inciso contenuto nella norma, ricorre un’ipotesi di novazione della fonte che, altrimenti, avrebbe potuto consentire l’impugnazione della legge che avesse riprodotto una precedente disciplina non impugnata (ex multis, sentenza n. 9 del 2010).

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 15, commi 1, 3 e 4, della legge della Regione Lombardia 6 agosto 202l, n. 15 (Assestamento al bilancio 2021-2023 con modifiche di leggi regionali), promosse, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 17 della legge reg. Lombardia n. 15 del 2021, promosse, in riferimento all’art. 117, commi secondo, lettera m), e terzo, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 24 della legge reg. Lombardia n. 15 del 2021, promosse, in riferimento agli artt. 3, 41, 117, secondo comma, lettera s), e 120 Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 2, della legge reg. Lombardia n. 15 del 2021, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 ottobre 2022.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Giulio PROSPERETTI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 27 ottobre 2022.